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giovedì 22 maggio 2014

Fusione Unipol-Sai, Fiamme Gialle a Bologna. Indagato Cimbri per aggiotaggio.

Fusione Unipol-Sai, Fiamme Gialle a Bologna. Indagato Cimbri per aggiotaggio

L'ispezione è stata disposta dalla magistratura per i presunti illeciti nella fusione tra Unipol Assicurazioni, Premafin Finanziaria, Milano Assicurazioni e Fondiaria Sai sostenuta da Mediobanca in quanto creditrice di entrambi i gruppi. Guardia di Finanza anche in Consob.
L’amministratore delegato di UnipolSai Carlo Cimbri è indagato per aggiotaggio dalla Procura di Milano nell’inchiesta che riguarda presunti illeciti nell’operazione di fusione tra il gruppo assicurativo delle coop e l’ex polo della famiglia Ligresti che ha dato vita alla società. Sono indagati per lo stesso reato anche altri tre manager: Roberto Giay, già amministratore delegato di Premafin Finanziaria; Fabio Cerchiai, ex presidente del consiglio di amministrazione di Milano Assicurazioni e Vanes Galanti, in passato presidente del consiglio di amministrazione di Unipol Assicurazioni. Per tutti l’ipotesi di reato è aggiotaggioLa notizia è emersa mentre a Bologna, nella sede di UnipolSai, erano in corso delle perquisizioni della Guardia di Finanza che sono state disposte dalla magistratura in relazione a presunti illeciti commessi nel corso della fusione avvenuta tra Unipol Assicurazioni, Premafin Finanziaria, Milano Assicurazioni e Fondiaria Spa che ha dato vita a UnipolSai. Del resto sono tante le criticità che erano emerse sull’operazione fin dalla sua gestazione orchestrata da Mediobanca e si erano via via intensificate a ridosso del suo perfezionamento. Nel silenzio generale delle autorità di vigilanza.
Come per esempio la Consob che, nonostante le intercettazioni telefoniche raccolte dalla Guardia di finanza di Torino su come a Bologna si cercasse in tutti i modi di far quadrare i conti, interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it alla vigilia del via libera alla fusione, non si è interessata alla questione e non ha messo in forse l’assemblea che il 25 ottobre scorso ha approvato l’operazione. Eppure il reato di aggiotaggio contestato Cimbri, a Giay, Cerchiai e Galanti si riferisce proprio ai valori di concambio delle azioni delle società coinvolte, cioè il controvalore dell’operazione, al momento della fusione delle società. Tema al centro delle intercettazioni venute a galla alla vigilia dell’assemblea. Tanto che secondo l’ipotesi di reato per la quale procede il procuratore Orsi, i concambi tra le società sarebbero stati valutati in modo erroneo e artificioso.  A viziare i concambi, sospettano gli inquirenti, sarebbe stato il ritocco al rialzo del valore reale degli immobili e dei titoli strutturati in pancia a Unipol, con impatto sul valore effettivo delle azioni emesse da Unipol. Ne sarebbero derivate significative alterazioni dei prezzi delle azioni e riflessi sul “peso” degli azionisti nella nuova società UnipolSai.
Sempre in relazione ai concambi nel corso dell’indagine la Procura ha acquisito, tra l’altro, il Progetto Plinio, il rapporto sui conti del 2011 della compagnia bolognese commissionato dai vertici di FonSai a Ernst & Young nel quadro sulla negoziazione dei concambi per la futura fusione e le cui risultanze erano ben diverse da quelle a cui giungevano i consulenti di Unipol. Secondo lo studio, le valutazioni sul bilancio del gruppo bolognese variavano, di molto, a secondo del consulente di riferimento. Una guerra di valutazioni che, secondo la società di revisione, poteva addirittura comportare per Unipol un patrimonio negativo. Anche su questo punto, all’epoca della diffusione del rapporto, si era registrato un certo immobilismo da parte della Consob che si era mossa solo dopo che le sollecitazioni della Procura di Milano con il pm Luigi Orsi, lo stesso che ha iscritto Cimbri nel registro degli indagati, aveva fatto recapitare una lettera alla Commissione di Giuseppe Vegas in cui chiedeva alla Consob se avesse riscontrato i dati su Unipol evocati dal progetto Plinio che circolavano in rete e se questi avessero potuto interferire con la trasparente formulazione dei prospetti.
Inoltre il magistrato domandava se il piano di risanamento finanziario della holding dei Ligresti, Premafin, fosse stato stato interamente divulgato al mercato o esistessero patti occulti con la famiglia siciliana. Solo a seguito della lettera di Orsi la Consob ha avviato un’analisi sul portafoglio di titoli strutturati di Unipol, che ai tempi della fusione rappresentava circa un quarto degli investimenti della compagnia bolognese. Nel corso della sua analisi la Commissione ha contestato la conformità del bilancio 2011 e della semestrale 2012 ad alcuni principi contabili internazionali nelle modalità di contabilizzazione di alcuni derivati. L’adozione dei principi indicati dalla Consob ha comportato 28,2 milioni di perdite in più nel 2011 e una riduzione del patrimonio netto di 49,2 milioni. Nel 2013 Unipol, riesponendo il bilancio 2011 per accogliere i rilievi, ha inoltre comunicato che l’affinamento delle metodologie di stima dei suoi derivati adottate nel corso del 2012, quando la magistratura aveva acceso un faro sul suo bilancio, aveva determinato un taglio di 240 milioni al fair value (valore di mercato) del portafoglio strutturati. L’analisi della vigilanza si è chiusa senza ulteriori rilievi a fine 2013.
Ma quello della Consob, che giovedì ha ricevuto anch’essa una visita della Guardia di finanza per l’acquisizione di nuova documentazione, non è un caso isolato. Dalle carte dell’inchiesta sul fallimento del gruppo Ligresti del procuratore milanese Orsi, nei mesi scorsi era emerso chiaramente il ruolo dell’Isvap, l’ex organismo di vigilanza delle assicurazioni, per agevolare la discussa fusione che stava molto a cuore a Mediobanca creditrice di entrambi i gruppo. In particolare la Procura aveva preso nota dell’attivismo del vicedirettore dell’Isvap, Flavia Mazzarella in costante contatto sia con il vigilato Cimbri che con Piazzetta Cuccia, Bankitalia e Consob ai tempi del via libera delle autorità all’operazione, nel 2012.
Fatti che non hanno avuto alcuna ripercussione sulla posizione della Mazzarella che risulta ancora dirigente in staff dell’Ivass, l’ente di vigilanza delle assicurazioni che ha preso il posto dell’Isvap. Ma neanche sugli assetti della Consob i cui funzionari erano in confidenza con i vigilati, rassicurandoli sull’esito di decisioni che solo la Commissione poteva prendere. A dimostrarlo, tra il resto, una serie di telefonate del luglio 2012 raccolte dalla Procura di Milano tra il capo della divisione emittenti della Consob, Angelo Apponi e la Mazzarella, nel corso della quale è lo stesso funzionario a raccontare al numero due dell’Isvap di aver incontrato Cimbri che “era preoccupato (per le decisioni in corso sulla fattibilità della fusione, ndr) ma lui lo ha rassicurato”. Pochi giorni dopo arrivò il via libera della Commissione all’esenzione di Unipol dal lancio di una costosa Offerta pubblica di acquisto sulla Milano Assicurazioni, con il conseguente crollo in Borsa (-10,72%) della compagnia dei Ligresti. Un esito che avrebbe fatto ricco chiunque l’avesse saputo prima degli altri. 
Tornando ai giorni nostri, la notizia del nuovo filone di indagine ha avuto ripercussioni immediate sui mercati finanziari. In scia agli eventi il titolo UnipolSai in Borsa ha imboccato la via del ribasso e dopo aver toccato un picco negativo superiore al 6% ha chiuso in calo del 3,8% a 2,27 euro. Peggio ancora è andata alla controllante Unipol Gruppo Finanziario che è precipitata del 7,33% a 4,17 euro. Non va tanto meglio a Mediobanca che sta perdendo il 2,84% a 6,67 euro.  E proprio qui si attacca Unipol che, incurante del paradosso rispetto alle accuse di aggiotaggio, “stigmatizza che la notizia delle indagini” sulla fusione da cui è nata UnipolSai “sia divenuta oggi di pubblico dominio con immediati, conseguenti e gravi impatti sul corso dei titoli del gruppo Unipol”. La società, si legge in una nota, “si riserva ogni opportuna valutazione a tutela propria e dei propri azionisti”.

mercoledì 26 febbraio 2014

Fonsai, sequestrati 2,5 milioni destinati a Paolo Ligresti su conto svizzero. - Andrea Giambartolomei

Paolo Giulia Ligresti

Le Fiamme Gialle hanno precisato che i capitali erano "in fuga" verso un conto corrente bancario di Lugano. Il figlio di Salvatore Ligresti, diventato cittadino svizzero poco prima dell'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare che ha fatto scattare gli arresti per la sua famiglia, è imputato nel cosiddetto processo 'Fonsai bis'.

Paolo Ligresti stava per mettere le mani su una fetta di Unipol-Sai. Quasi due milioni di euro in azioni della nuova compagnia assicurativa e 400mila euro di fondi sono stati bloccati dalla Guardia di finanza su ordine del gip di Torino Paola Boemio per il rischio che il malloppo fosse sottratto a possibili azioni della giustizia. I valori erano destinati alla holding lussemburghese dell’ultimogenito di Salvatore Ligresti. 
All’origine di questa operazione c’è una scoperta fatta dalla Banca d’Italia che ha segnalato un’operazione sospetta alle Fiamme Gialle. La Compagnia Fiduciaria Nazionale spa, società che detiene una parte delle azioni di Unipol Sai e dietro la quale si cela la famiglia Ligresti, stava inviando questo pacchetto azionario su un conto corrente di Lugano appartenente alla Limbo Invest SA. Si tratta della società fiduciaria lussemburghese il cui amministratore delegato è Gioacchino Paolo Ligresti, indagato di falso in bilancio e manipolazione del mercato dalla Procura di Torino, e sfuggito agli arresti del 17 luglio perché residente a Montagnola, vicino Lugano, ed era cittadino svizzero da poche settimane.
Gli investigatori, dopo l’allerta della Banca d’Italia, si sono resi conto che i Ligresti stavano cercando di veicolare i capitali schermati dalla società fiduciaria. Ora tutto è stato sequestrato a garanzia delle spese del processo e di ogni altra somma dovuta all’Erario.  
La Limbo Invest SA non ha terminato la sua attività nonostante l’indagine del pm Marco Gianoglio della Procura di Torino avesse già svelato la sua funzione. Stando agli atti la fiduciaria di Gioacchino Paolo (così come la Hike Securites SA di Jonella e la Canoe SA di Giulia Maria, tutte lussemburghesi) permette ai Ligresti di contare all’estero “su di una rete di relazioni in grado di offrire loro un valido supporto” e di tutelare i “propri capitali personali ubicati fuori dal territorio nazionale”. 
Le tre società del Granducato detenevano il 30% di Premafin, la finanziaria di famiglia che controllava Fonsai. “Si tratta delle tre società che risultano integralmente partecipate dalla Compagnia Fiduciaria Nazionale – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del 17 luglio scorso -, società che non svolgono attività commerciale alcuna, risultando strumento attraverso il quale vi è controllo indiretto da parte della famiglia Ligresti di Fondiaria-Sai S.p.A. attraverso Premafin”.  
Il dispositivo dei sequestri è coperto da segreto investigativo e verrà depositato nel fascicolo “Fonsai bis” che riguarda Paolo Ligresti. L’udienza preliminare sarà il 5 marzo, quando le difese solleveranno nuovamente la questione di competenza territoriale del processo, già sollevata e già respinta nel giudizio immediato contro Salvatore Ligresti e gli ex manager. Domani al tribunale di Torino comincerà il giudizio immediato contro Jonella Ligresti, che non ha potuto patteggiare la condanna. L’intenzione della Procura è ottenere l’accorpamento dei tre procedimenti in un unico processo. 

mercoledì 6 novembre 2013

Cancellieri e caso Ligresti: quando in cella finì il marito del ministro. - Marco Lillo

Annamaria Cancellieri


Più di trent'anni fa il marito del prefetto, Sebastiano Peluso, restò in carcere alcuni giorni per una truffa sui prezzi dei medicinali. Aveva una farmacia a Milano vicina allo studio del medico Antonino Ligresti, suo amico.

Quando Anna Maria Cancellieri il 17 luglio ha telefonato alla compagna di Salvatore LigrestiGabriella Fragni, per darle solidarietà dopo gli arresti, forse avrà ripensato a una triste giornata di 32 anni fa. Quel giorno dell’autunno del 1981 a finire in carcere non era stato l’uomo di Gabriella ma il suo: Sebastiano Peluso, 75 anni, oggi in pensione, allora farmacista con una avviata attività in via Val di Sole 22. Sono storie di trentadue anni fa. Che però i vecchi abitanti del quartiere Vigentino, periferia sud di Milano, ricordano bene.
Quando Anna Maria Cancellieri risponde al messaggio inviato via sms il 21 agosto dallo zio di Giulia Maria Ligresti, probabilmente avrà tenuto bene in mente il comportamento del dottor Antonino Ligresti quando a trovarsi in condizione di debolezza era la famiglia Peluso.
Antonino Ligresti era un medico della mutua con studio anche lui in via Val di Sole. Nasce lì l’amicizia tra le due famiglie che abitavano in via Ripamonti, a poca distanza. Anna Maria e Sebastiano Peluso si sposano nel 1966. Due anni dopo nasce Piergiorgio, cinque anni dopo Peluso apre la farmacia a Milano. Nel 1977 i coniugi comprano casa al secondo piano di via Ripamonti 166 e firmano 59 milioni di vecchie lire di cambiali al proprietario, tutte pagate entro il 1982. In quegli anni i Peluso crescono e i Ligresti decollano. Già erano ricchi ma Antonino non guidava ancora un impero della sanità e il costruttore Salvatore non spadroneggiava su giornali, banche e assicurazioni.
Nuccio Peluso, nato in Libia e cresciuto in Sicilia come il medico Nino Ligresti, si vedevano sotto i portici di via Val di Sole e poi andavano a giocare a tennis insieme. Nel 1981 è la famiglia Peluso a essere scossa da un terremotto giudiziario: Sebastiano è arrestato nell’ottobre per lo “scandalo delle fustelle false”. Le cronache di allora raccontano che la truffa funzionava così: i medici compiacenti emettevano le ricette e i farmacisti applicavano le “fustelle” false. I talloncini, che teoricamente dovevano essere staccati dalle confezioni dei farmaci, erano invece fabbricati ad hoc da grossisti del falso e poi presentati all’incasso.
Nella retata furono arrestate 23 persone, al processo nel 1983 furono 94 gli imputati. Tra questi c’era anche Sebastiano Peluso che nel 1981 finì in carcere a Lodi. Solo per pochi giorni, poi il pm Armando Perrone e il giudice istruttore Elena Riva Crugnola si resero conto che la sua posizione era marginale. Anche se il pm Perrone nel 1982 iscrisse un’ipoteca giudiziale di 50 milioni di vecchie lire sulla casa di Anna Maria Cancellieri e Sebastiano Peluso per ottenere il pagamento delle spese legali del marito. Il processo penale si concluse nei vari gradi con una progressiva riduzione delle pene, per tutti gli imputati e per Peluso in particolare. “Alla fine in Cassazione fu condannato per un reato ridicolo, mi sembra fosse l’incauto acquisto”, ricorda un farmacista coimputato che è stato difeso dagli stessi legali dello studio Astolfi. Né lo studio né il ministro Cancellieri (contattata tramite il suo portavoce) hanno voluto fornire dettagli.
Bisogna affidarsi ai ricordi di alcuni arrestati, poi condannati con Peluso, che hanno accettato di parlare con Il Fatto. Ricordano bene le riunioni tra imputati nei retrobottega delle farmacie negli anni Ottanta per far fronte al vero rischio del procedimento: la decadenza della licenza da farmacista, con il suo valore. A quegli incontri talvolta si vedeva anche Anna Maria Cancellieri, che accompagnava il marito. Se è difficile ricostruire l’esito penale della posizione di Peluso, è più semplice sul piano amministrativo. Peluso e i suoi colleghi sono riusciti a evitare la decadenza dalla licenza di farmacista grazie a una sentenza del Consiglio di Stato del 2006 che ha ribaltato la sentenza di primo grado del Tar della Lombardia.
I farmacisti erano difesi dal professor Carlo Malinconico (poi ministro tecnico con Monti assieme alla Cancellieri, finito nei guai per le vacanze all’hotel Pellicano, pagate da Piscicelli e per l’inchiesta sul Sistri Napoli) che riuscì a ottenere l’annullamento di un decreto del presidente della giunta lombarda del 1992 che aveva disposto la “decadenza sanzionatoria” dalla titolarità della farmacia. Secondo il decreto del presidente della Lombardia “tutti (i farmacisti, ndr) hanno acquistato medicinali a più riprese, a prezzi inferiori a quelli praticati dai produttori, con ‘fustelle segnaprezzo’ false”, con “reiterate irregolarità nella conduzione dell’esercizio”. Secondo il Consiglio di Stato però quel provvedimento era basato su una “formula generica” che non distingueva le responsabilità dei singoli farmacisti. Quindi non c’era alcuna ragione per disporre la decadenza della licenza per Peluso come per gli altri. I Ligresti però non hanno atteso il 2006 per assolvere e frequentare i Peluso. E per capire perché un ministro decide di telefonare a due magistrati mettendo a rischio una carriera politica con ambizioni illimitate dal Viminale al Quirinale, bisogna tornare alle sensazioni provate a ruoli invertiti 32 anni fa.

sabato 2 novembre 2013

Cancellieri, e Giulia Ligresti disse: “Il figlio ha distrutto tutto ma è talmente protetto”. - Giovanna Trinchella

Cancellieri, e Giulia Ligresti disse: “Il figlio ha distrutto tutto ma è talmente protetto”

La figlia di don Salvatore al telefono: "E' stato messo dalle banche e si è preso cinque milioni". Sulla buonuscita di Peluso l'ex ad Marchionni Fonsai (oltre 10 milioni per lui, ndr) intercettato e preoccupato perché Report sta preparando una puntata sulle onorificenze dice: "E per me verrà fuori l'azienda ha fatto crack, lui si è messo in tasca questi soldi magari il figlio della ministra se n'è messi in tasca di più di me...". Procura di Milano e Torino valutano ruolo.

Uno “messo lì dalle banche”, uno “che ha distrutto tutto”, uno “talmente protetto” che dopo aver incassato “cinque milioni e mezzo” da FonSai “figurati cosa gli daranno in Telecom”. E’ il ritratto che Giulia Maria Ligresti, ex vice presidente del CdA della società assicurativa, fa di Piergiorgio Peluso, figlio del ministro Anna Maria Cancellieriche per 14 mesi di lavoro da direttore generale aveva incassato nell’ottobre dell’anno scorso 3,6 milioni di euro solo di buonuscita.
Chissà cosa penserà la Guardasigilli finita nella bufera proprio per essersi messa a disposizione della famiglia siciliana per aiutare Giulia (detenuta e malata ma poi scarcerata) di questa fotografia del figlio. Certo è che il manager, 45 anni, bocconiano, ora dirigente finanziario Telecom, ha proseguito “a intrattenere rapporti con alcuni dirigenti del Gruppo, interessandosi sia alle vicende giudiziarie che di quelle societarie” anche molto dopo il suo addio d’oro. Il report delle Fiamme Gialle in cui si sottolineano questi contatti è del 29 agosto, Giulia viene scarcerata il 28. 
Eppure il 19 ottobre dell’anno prima la Ligresti parlava così del figlio della ministra “…omissis… sto Peluso che è entrato da noi un anno, è uscito con cinque  - rivela al telefono a una amica – ieri gli hanno deliberato in consiglio la buona uscita di cinque milioni e mezzo capito? Tutto è stato deciso dalla banche, noi ci fanno il mazzo, infatti c’era lì una persona che lì con mio papà, diceva, se quel nome o quei soldi fossero stati deliberati per te o per me o per Paolo, per qualcuno, il giorno dopo dal consiglio veniva fuori una denuncia, per questo qui che è entrato, ha distrutto tutto eh, è venuto ha avuto il mandato come se tu entri in una azienda svalorizzi tutto, distruggi tutto, fai in modo che, che uno se la può prendere zero, e pi si vedeva che era uno mandato, è uscito appena fatta con cinque milioni e mezzo”.  A inviare Peluso per un tentativo di salvataggio è Unicredit detentrice del 6,6 per cento della compagnia assicurativa. Una operazione impossibile o quasi visto che lo stesso top manager confessa ai pm che lo chiamano a testimoniare che la compagnia non ha abbastanza riserve. La fusione con Unipol va avanti nonostante tutto. Poi Peluso va via con un piccolo tesoretto considerato che la società aveva 800 milioni di buco.
Sul compenso di Peluso ha qualcosa da dire anche l’ex ad di FonSai, Fausto Marchionni. Al telefono con Alberto Alderisio, vicino alla famiglia Ligresti, si sfoga raccontandogli che di aver declinato l’invito della trasmissione Report sulle onorificenze. Il cavaliere del Lavoro Marchionni (che ha incassato come buonuscita 10 milioni stando alle cronache dell’epoca, ndr) ha paura che intervenire possa essere boomerang: “E per me verrà fuori l’azienda ha fatto crack, lui si è messo in tasca questi soldi magari il figlio della ministra se n’è messi in tasca di più di me ma ce lo dimentichiamo e… verrà fuori qualcuno! Ma te lo faccio sapere! Bah insomma, speriamo, speriamo!”. L’interlocutore non ha dubbi: “Na sai il figlio della ministra, ma intanto questo lo sanno cani e porci, tanto gliel’ha dati non certo eh….ma glieli ha dati Unpiol…eh sì Unipol”.
Su Peluso si concentrano anche i dubbi della pm di Torino quando disponendo l’intercettazione del suo cellulare si chiedono se sia stato “il promotore di quella che è stata una vera e propria "pulizia di bilancio" oppure abbia agito “con l’intento di escludere l’azionista di riferimento (famiglia Ligresti) ovvero abbia fatto emergere lacune (e quindi falsità) relative ai bilanci relativi agli esercizi precedenti”. Il manager ha ricoperto il ruolo di dg nel periodo “più delicato” attraversato da FonSai, coinciso con la chiusura di bilancio 2011 che ha registrato una perdita di oltre un miliardo di euro. Nel documento i pm Vittorio Nessi e Marco Gianoglio spiegano è necessario intercettarlo in considerazione del suo ruolo ruolo e “anche alla luce delle relazioni che Peluso ancora intrattiene con alcuni indagati (ed in particolare con Emanuele Erbetta, ad di Fonsai nel periodo di interesse”. Non solo la Procura di Torino si interessa a Peluso; il pm di Milano Luigi Orsi  sta vagliando il suo ruolo nell’ingresso del fondo Amber nel capitale della compagnia assicurativa. 

giovedì 31 ottobre 2013

Ligresti, la Cancellieri al telefono: “Qualsiasi cosa possa fare conta su di me”.

Anna Maria Cancellieri


Telefonate del ministro con i fratelli della famiglia siciliana. Poi chiamate al dipartimento per l'amministrazione penitenziaria per "sensibilizzarli" sulla scarcerazione della figlia dell'ingegnere. Il Movimento 5 Stelle contro la Guardasigilli: "Smentisca o si dimetta". Torna a far discutere la buonuscita d'oro che il figlio incassò da Fondiaria Sai.

“Comunque guarda, qualsiasi cosa io possa fare conta su di me, non lo so cosa possa fare però guarda son veramente dispiaciuta”. Così Annamaria Cancellieri, ministro della Giustizia, si è rivolta a Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti, in una telefonata il 17 luglio scorso, a poche ore dall’arresto nei confronti dell’ingegnere e dei suoi tre figli coinvolti nell’inchiesta della Procura di Torino. “Se tu vieni a Roma, proprio qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti guarda non è giusto, non è giusto”, ha aggiunto la Cancellieri al telefono con Fragni.
Il ministro “sensibilizza” per la scarcerazione
Per chiedere la scarcerazione di Giulia Maria Ligrestiin carcere da luglio nell’inchiesta FonSai, è intervenuto poi lo zio Antonio, con una nuova chiamata al ministro. Non si è fatta attendere la risposta della Cancellieri, che – come lei stessa ha ammesso ai magistrati – ha parlato a due vice capi del dipartimento per l’amministrazione penitenziaria per “sensibilizzarli” sul fatto che Giulia soffriva di anoressia. E il 28 agosto si sono aperte le porte del carcere per fare uscire la figlia dell’ingegnere, undici giorni dopo la telefonata di Antonio Ligresti.
“Si è trattato di un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione”, ha spiegato il ministro davanti al procuratore aggiunto, Vittorio Nessi, per giustificarsi. E ha aggiunto: “Essendo io una buona amica della Fragni da parecchi anni ho ritenuto, in concomitanza degli arresti, di farle una telefonata di solidarietà sotto l’aspetto umano”.
Il Movimento 5 Stelle: “Smentisca o si dimetta”
La prima reazione politica è dei senatori di Sel Loredana De Petris e Peppe De Cristofaro, che hanno chiesto al ministro di presentarsi al più presto nell’aula del Senato per fare chiarezza. “L’intervento della Cancellieri a favore della scarcerazione di Giulia Ligresti per anoressia presenta aspetti molto discutibili e inquietanti che devono essere chiariti sul piano politico e non solo su quello giudiziario”, hanno affermato in una nota, ritenendo “grave che l’intervento in questione sia stato richiesto da una telefonata privata e che abbia riguardato una classica detenuta eccellente”.
E’ intervenuto poi anche il Movimento 5 Stelle. “I membri della commissione Giustizia del M5S chiedono alla Cancellieri di smentire la notizia. Diversamente, nel caso in cui, quindi, abbia effettivamente fatto pressione sul Dap per la scarcerazione di un detenuto eccellente, il ministro deve assumersi le proprie responsabilità e rassegnare immediatamente le dimissioni da Guardasigilli”.
La buonuscita d’oro del figlio Peluso da FonSai
La vicinanza tra il ministro e la famiglia Ligresti, d’altronde, è un fatto noto. Il figlio della Cancellieri, Piergiorgio Peluso, ha incassato nel 2012 una buonuscita di 3,6 milioni di euro dopo un anno di lavoro come direttore generale della compagnia assicurativa Fondiaria Sai. L’attuale direttore finanziario di Telecom, vissuto a lungo in una casa del centro di Milano di proprietà del gruppo Fondiaria, era entrato nella società nel maggio del 2011, dopo essere stato responsabile del Corporate & Investment banking di Unicredit per l’Italia, posizione dalla quale aveva trattato l’esposizione delle società della famiglia siciliana verso l’istituto di Piazza Cordusio.
E ora i nodi tornano al pettine. La Procura di Torino, secondo la ricostruzione di Repubblica, si è accorta esaminando i tabulati telefonici della famiglia Ligresti che ci sono stati diversi contatti con la Cancellieri, fin dal giorno degli arresti di Giulia. In una di queste telefonate la compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, ha suggerito al cognato di contattare il ministro come ultimo tentativo, visto che la situazione della figlia Giulia non trovava soluzione. E la stessa Fragni ha confermato la chiamata, rimasta impigliata nella rete delle intercettazioni.
La Cancellieri ha quindi ammesso di avere “sensibilizzato i due vice capi del Dap, Francesco Cascini eLuigi Pagano, perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati”, chiarendo in un secondo momento che il suo interessamento era stato per un carcerato soltanto, Giulia Maria Ligresti, che pochi giorni dopo è andata agli arresti domiciliari. Il tribunale di Torino aveva accolto all’inizio di settembre il patteggiamento a due anni e otto mesi di reclusione e 20mila euro di multa, un mese dopo che, nonostante il parere favorevole dei pm alla scarcerazione di Giulia alla luce delle sue condizioni di salute, il gip Silvia Salvadori aveva confermato la custodia cautelare per il pericolo di fuga.
Intanto il legale di Giulia Ligresti, l’avvocato Alberto Mittone, ha fatto sapere che “fu la stessa Procura di Torino a interessarsi alle condizioni di salute della donna, tanto che aveva disposto un accertamento medico“, ricordando che anche il procuratore capo Gian Carlo Caselli si preoccupò delle condizioni di salute.
I prefetti a busta paga nella storia dei Ligresti
Non è la prima volta che i riflettori sono puntati sui legami dei Ligresti con il mondo della politica. E non solo. La famiglia siciliana è stata un punto di riferimento negli anni per amici e parenti. Banchieri, avvocati, professionisti vari, perfino prefetti della Repubblica, che dall’ingegnere di Paternò hanno ricevuto case, incarichi professionali e societari con tanto di lauti compensi, a volte milionari. Ne sa qualcosa il catanese Filippo Milone, che ha sempre lavorato nelle società immobiliari dei Ligresti. Il padre di Milone, Antonino, era viceprefetto a Milano una cinquantina di anni fa, quando il futuro padrone di Fondiaria concluse i primi affari immobiliari nella città.
Da Milone padre si arriva fino alla Cancellieri, che ha lavorato a lungo alla prefettura della metropoli, collaborando anche con l’allora prefetto Enzo Vicari, che una volta lasciati gli incarichi pubblici, diventò amministratore di alcune società del gruppo Ligresti. Dopo Vicari, morto nel 2004, un altro ex prefetto milanese, Bruno Ferrante, trovò lavoro nella galassia Ligresti. E anche Gian Valerio Lombardi, ex prefetto di Milano e oggi commissario di Aler Milano, ha ottimi rapporti con la famiglia. In particolare suo figlio Stefano, avvocato, è grande amico dei figli di Ligresti. Si arriva così all’anno scorso, con la liquidazione d’oro incassata dal figlio della Cancellieri dopo l’uscita da FonSai.

venerdì 25 ottobre 2013

Nozze FonSai-Unipol, al via la fusione a freddo che piace a Mediobanca. - Gianni Barbacetto

Nozze FonSai-Unipol, al via la fusione a freddo che piace a Mediobanca

Alberto Nagel

Oggi le assemblee dei soci che dovranno approvare l'unione tra il gruppo assicurativo delle coop e quello che fu spolpato dai Ligresti, sotto gli occhi di Piazzetta Cuccia che ora vuole l'operazione per risolvere il propri guai. Le zone d'ombra sono molte.

Oggi si aprono le assemblee societarie da cui nascerà la Grande Unipol. Con la fusione per incorporazione di Unipol, Premafin e Milano Assicurazioni in FonSai, dal cappello a cilindro della compagnia delle coop “rosse” uscirà UnipolSai, un colosso, la seconda impresa assicurativa italiana dopo Generali. Chissà come la prenderà Gianni Consorte, che era arrivato ai vertici di Unipol quando questa era “l’assicurazione dei comunisti”, l’aveva fatta entrare nel giro della grande finanza e poi nel 2005 aveva provato a conquistare una banca (la Bnl). Fu fermato, come gli altri “furbetti del quartierino” che senza andare troppo per il sottile avevano tentato di scalare a debito Antonveneta e Corriere della sera.
Oggi l’aria è cambiata e il colpaccio provato dal suo successore, Carlo Cimbri, sta per riuscire, malgrado i dubbi sui conti di Unipol, inzeppati di derivati, e i comportamenti delle autorità di vigilanza, che sembrano la fotocopia aggiornata di quello che successe nel 2005. Questa volta però Mediobanca è della partita e l’aria di larghe intese ha steso un velo di silenzio sui buchi neri dell’operazione.
Confessione per lettera. È una lunga storia che inizia nel 2001, quando la Mediobanca di Vincenzo Maranghi si mette in moto per impedire alla Fiat, che si era lanciata alla conquista di Montedison, di mettere le mani su Fondiaria, una bella compagnia d’assicurazione con base a Firenze che era controllata da Montedison. Il successore di Enrico Cuccia non voleva farla uscire dalla sua sfera d’influenza. La mette allora nelle mani di un amico silenzioso e fedele che ha molti motivi di riconoscenza nei confronti di Mediobanca: Salvatore Ligresti, che possedeva già la torinese Sai. Nasce così Fonsai, non senza trucchi da brivido per aggirare le regole che proteggono il mercato ed evitare l’Opa.
Maranghi sa di aver fatto delle forzature e lo ammette in una lettera del 30 maggio 2002 a Ligresti resa nota ieri dal Corriere, in cui dice che l’operazione Fonsai è stata un “obiettivo raggiunto pagando un prezzo assai elevato in termini di immagine e di rapporti personali”. Chiede poi proprio per questo un “cambio di passo” nella conduzione del gruppo, che non potrà più avere, si raccomanda Maranghi, “un taglio famigliare”. Resterà una predica senza risultati. Ligresti governerà la Fonsai per un decennio proprio come fosse un bene di famiglia, mettendo ai vertici manager di sua assoluta fiducia. E spolpandola via via fino al buco che lo ha portato al crollo.
Mediobanca è sempre stata al suo fianco: è stato Maranghi a concedergli il prestito subordinato di 400 milioni di euro per permettergli di impossessarsi di Fondiaria. E già nel 2001 il debito totale di Ligresti nei confronti di Mediobanca era di 930 milioni. Uscito di scena Maranghi, arriva Alberto Nagel, ma Mediobanca continua a seguire passo passo Ligresti, che si lancia in bagni di sangue come le acquisizioni di Liguria assicurazioni o della compagnia serba Ddor. Nel 2008, arriva l’ultimo regalo di Mediobanca,350 milioni. Poi il rubinetto si chiude. In un decennio l’istituto di Nagel ha buttato ben 1,2 miliardi di euro in Fonsai. Comincia allora a cercare una via d’uscita da una situazione ormai ingestibile.
Ligresti tenta un’alleanza con i francesi di Groupama, ma senza risultati. Nel 2011 Unicredit (che aveva messo un mucchio di soldi in Premafin, la holding dei Ligresti che controllava Fonsai) tenta di salvare la baracca con un aumento di capitale da 450 milioni. Operazione oggi sotto inchiesta a Torino, dove ha sede Fonsai, perché la ricapitalizzazione sarebbe stata realizzata barando sulla riserva sinistri, taroccata di 538 milioni. Seguirà l’arresto di Salvatore Ligresti e delle figlie Jonella e Giulia. Ma già prima Mediobanca aveva trovato come sostituirli: che cosa c’è di meglio, in Italia, che unire due debolezze, mantenendo Fonsai in mani amiche?
Il prescelto questa volta è Carlo Cimbri. La sua Unipol, indebitata con Mediobanca, dal matrimonio con Fonsai potrà uscire rafforzata e rigenerata. Ecco allora, dal gennaio 2012, le grandi manovre per arrivare alle nozze. 
Il ruolo di Consob. Il piano iniziale prevede che Unipol compri (a buon prezzo) la maggioranza di Premafin (che vale poco o niente, avendo più debiti che attivo): così Ligresti può uscire di scena contento e con un po’ di soldi; e Unipol se la cava con un’opa facile e concordata, perché le azioni di Premafin sono quasi per l’80 per cento nelle mani dei Ligresti. Una volta acquisita la holding, è conquistata anche la vera preda, cioè le sottostanti Fonsai e Milano Assicurazioni, senza bisogno di Opa e alla faccia degli azionisti di minoranza e del mercato. C’era un’offerta alternativa, che era stata avanzata nel dicembre 2011 dalla Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo e da Matteo Arpe.
Ma questi volevano comprare Fondiaria, non Premafin, che era una scatola vuota, anzi piena di debiti, che sarebbero restati sul groppone di Mediobanca. Ecco allora che la loro offerta è stoppata, anche grazie alla puntigliosità della Consob di Giuseppe Vegas, che invece è molto più “fluido” nei confronti della soluzione Unipol, voluta da Nagel. Il primo progetto (Opa su Premafin) è chiaramente al di sotto delle soglie minime di decenza, così Nagel a gennaio riunisce nella sede di Mediobanca i protagonisti della vicenda e mette a punto il piano definitivo. Alla presenza di Vegas: l’arbitro si presta a fare da “consulente privato” per un’operazione su cui dovrebbe vigilare. Manca soltanto il bacio in fronte che il banchiere Gianpiero Fiorani, evidentemente più espansivo, nel 2005 scoccò in fronte a un altro arbitro non proprio sopra le parti, l’allora governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Il nuovo piano prevede non l’acquisto, ma un aumento di capitale riservato di Premafin, sottoscritto da Unipol, senza obbligo di opa sulle società sottostanti: così la compagnia bolognese conquista il controllo della holding e, a cascata, delle vere prede sottostanti, cioè Fonsai e Milano Assicurazioni. Eppure ai francesi di Groupama era stato detto, pochi mesi prima, che se volevano Fonsai dovevano fare l’Opa. Unipol no: lo certifica la Consob nella sua delibera del 24 maggio 2012, sostenendo che la sua è considerata un’operazione di salvataggio, dunque esente da Opa. Anche se poi dovrà essere l’Ivass (l’autorità di controllo sulle assicurazioni) a formulare il giudizio finale sulla questione.
Questo è arrivato, ma non si esprime in modo chiaro. Unipol, con la fusione, salirà dal 42 al 50 per cento nella nuova Fonsai: con questo salto, è d’obbligo l’Opa “di consolidamento”. Ma noi non la dobbiamo fare, ribatte Cimbri, perché stiamo completando, con la fusione e gli aumenti di capitale, un’unica, anche se lunga e complessa, “operazione di salvataggio” già autorizzata dalle autorità di vigilanza ed esente da Opa. Dunque niente “consolidamento”? Il problema resta aperto e Ivass dovrebbe sciogliere le ambiguità.
La bomba a orologeria. Invece finora si è limitata a raccomandare a Cimbri di non occupare troppe poltrone nella catena di società che controlleranno Fonsai. Più delicata l’altra “raccomandazione” di Ivass, che riguarda il portafoglio derivati: per alcuni analisti una vera e propria bomba a orologeria nei bilanci della società. A proposito dei derivati in pancia a Unipol, la Consob di Vegas, più che vigilare, sembra aver finora proseguito quella azione di “consulenza privata” che ha già prodotto alcune rettifiche di bilancio, per circa 280 milioni. Ma la chiarezza su quanto pesino i titoli strutturati non è ancora stata raggiunta, anche perché Vegas ha rallentato in tutti i modi le verifiche della struttura interna alla Consob diretta da Marcello Minenna.
L’unica cosa certa è che i Ligresti sono usciti di scena. Non prima però di aver tentato di portare a casa quello che ritenevano fosse loro dovuto. Sfumato il piano iniziale (Opa su Premafin), pensavano di aver comunque ottenuto, nella riunione con Nagel e Vegas a Mediobanca, garanzie su buonauscita e manleva legale (la rinuncia a cause civili per danni nei loro confronti). Dovute, secondo i Ligresti, perché convinti che Mediobanca e Unicredit abbiano sempre “eterodiretto” Fonsai. Ma nel maggio 2012 la Consob aggiunge i “paletti”: per concedere a Unipol l’esenzione dall’opa, devono essere escluse manleve e buonuscite. Ecco allora saltar fuori il “papello”: l’elenco delle cose a cui ritenevano di aver diritto, 45 milioni di euro, consulenze, auto, segretarie, posti al villaggio vacanze…
Nagel nega, sostenendo che la sua firma su quel foglio a quadretti scritto a mano da Jonella non era un patto segreto con i Ligresti, ma soltanto una sigla per presa visione, un modo per far star buono don Salvatore. “Volevamo salvare la compagnia e non Ligresti”, dice Nagel ai magistrati di Torino. Ma i progetti iniziali tentavano di “salvare” entrambi: con un’operazione che, come dice l’amministratore delegato di Mediobanca a proposito del primo aumento di capitale Premafin, “proteggeva la nostra esposizione”. Quanto a proteggere il mercato e gli azionisti di minoranza, pochi in questa storia sembrano pensarci.
Nagel nega, ma non sa che la dicitura "per presa visione" deve essere scritta perchè venga ritenuta valida? Son stupidi loro o ritengono che siamo stupidi tutti?


Unipol-FonSai, ecco i documenti dei finanzieri che non interessano alla Consob. - Gaia Scacciavillani


Unipol-FonSai, ecco i documenti dei finanzieri che non interessano alla Consob
Giuliano Amato e Giuseppe Vegas

Il metodo dell'ad di Bologna, Carlo Cimbri? La "mutualità dei bilanci" secondo il responsabile dei documenti contabili di Fondiaria Sai ascoltato dalla Guardia di Finanza mentre lavorava al prezzo del "matrimonio" con il gruppo delle Coop. Sullo sfondo l'analisi del malandato stato di salute di via Stalingrado effettuata da Piergiorgio Peluso.

A meno di 24 ore dal via libera alle nozze tra Unipol e l’ex impero assicurativo dei Ligresti, l’elenco delle criticità dell’operazione finanziaria italiana più rilevante degli ultimi anni continua ad allungarsi. Dopo il revisore dei conti indagato per falso in bilancio, nei giorni scorsi sono spuntate delle intercettazioni telefoniche della Guardia di Finanza di Torino che aprono uno spaccato inedito su come è stato messo a punto il piano di fusione oggi al voto degli azionisti, che sarebbe stato meritevole quanto meno di un approfondimento.
Consob non è interessata. Eppure davanti alla loro parziale pubblicazione da parte dell’agenzia di stampa Adnkronos, la Consob di Giuseppe Vegas non si fa né in qua né in là. “Sono frammenti di conversazioni abbastanza confusi, trascritti malamente e da cui si capisce poco, per di più a proposito di una materia sulla quale Consob non vigila – è stata la replica della vigilanza interpellata in merito dal Fatto Quotidiano -. Consob quello che poteva fare l’ha fatto. E comunque la Commissione non può fare riferimento a queste cose, fa riferimento ai documenti contabili, ai registri pubblici”. Poco importa, quindi, se sui documenti contabili c’è l’ombra di qualche maneggio come emerge dalla trascrizione integrale delle intercettazioni vidimate dalle Fiamme Gialle che Il Fatto Quotidiano ha potuto visionare e che si riferiscono alle settimane in cui il progetto di fusione varato a dicembre 2012, era in fase di elaborazione.

Le svalutazioni a cazzo. “I due interlocutori discutono di svalutazioni di alcune poste di bilancio probabilmente riconducibili a Banca Sai. In particolare si segnalano alcune “ingerenze” sulla valutazione contabile di alcune specifiche voci (es. immobili) da parte dell’amministratore delegato di Unipol e, dal 5 novembre scorso, di Fondiaria Sai, Carlo Cimbri”, annota la Guardia di Finanza a proposito di una conversazione del 31 ottobre 2012 tra il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, Massimo Dalfelli e Riccardo Quagliana, consigliere di Popolare Vita, altra società del gruppo.
“Ho parlato con Raimondi, ma sono dei pazzi indopatici gravi”, esordisce Quagliana secondo il quale “facendo in questo modo (come chiede Cimbri, ndr) la ragione della Banca per erogare nuova finanza viene completamente meno. Ora, premesso che i vecchi consiglieri non te lo fanno, lo fanno dei nuovi che un minuto dopo vengono arrestati perché sono pazzi”. E poi chiede: “Ma non ho capito, questi hanno chiamato insieme lì il povero Raimondi dicendo riapri i conti della Banca svaluta tutto?”. Non proprio. “No, no, Cimbri ha chiamato Colombini e gli ha fatto lo sciaquone – spiega Dalfelli e poi dettaglia meglio – Colombini ha chiamato il suo interlocutore in Banca Unipol, hai capito? […] Ha sciacquato lui, contemporaneamente Erbetta, sai com’è fatto Emanuele, in maniera un po’ più posata ha provato a chiamare Raimondi, gli ha detto qualche cosa lì, un po’ di sottecchi, Raimondi ha capito bene, però, era poco convinto, poi ha chiamato me [...] lui ha detto io lo riapro pure, però voglio una lettera della controllante”. “Certo, che per altro gli dice azzera il credito, ma con l’altra mano facciamo una bella operazione di … per preservare i nostri di check, ma guarda che è veramente da pazzi”, commenta l’altro per il quale “avranno fatto i piani e dal tavolo dei piani emerge che sessantuno e settanta non ci sta, quindi staranno grattando il barile per farci svalutare l’impossibile”. A quel punto i due si lanciano in un coro sul fatto che “non è che si puoi svalutare a cazzo così” e che “la situazione è complicata”.
“Viene fuori una di quelle magie!”. Film analogo quando la stessa sera a parlare con un interlocutore rimasto anonimo, è Claudia Motta, dirigente responsabile del ramo pianificazione strategica e controllo di gestione di FonSai che premette di essere da due giorni a Bologna e di aver dovuto chiudere al più presto dei piani previsionali riguardanti delle valutazioni ancora non ufficiali da proporre alle banche nell’ottica di una prima stima del prezzo della fusione, ossia i concambi. “Insomma … dove magicamente sono un pò tornati anche i numeri che loro volevano che tornassero tra stand alone, risultato congiunto, valore delle sinergie e l’ipotesi è che su carta bianca, quindi niente di ufficiale, niente email, niente pezzi dal carta intestata … li danno … danno questi piani alle banche lunedì … con lo scopo di cominciare a farli ragionare … per capire con questi numeri dove porterebbero i concambi, nel senso che se portano nel senso giusto ottimo, se portano nel senso sbagliato come se non glieli avessimo dati”.
“Ho capito tutto – replica l’interlocutore -, le banche al momento non hanno avuto nessun tipo di indicazione se è così meglio, secondo me, poi alla fine con quello che stanno combinando sul Dif probabilmente si arriverà dove vogliono loro comunque, perchè adesso sul fatto … con questo ricalcolo del Dif che include tutte le minusvalenze sui titoli allocati a vita … cioè viene fuori una di quelle magie che …”, mentre la Motta conclude parlando di “convergenza perfetta”.
La scoperta di Peluso: “Loro non stanno peggio di noi”. Ancora tutto da esplorare, poi, un altro fascicolo agli atti della Procura di Torino dove spunta una mail del 2012 di Pergiorgio Peluso, il figlio del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri che all’epoca era direttore generale della compagnia che ha lasciato con 3,6 milioni di buonuscita, con allegate le “ Considerazioni su criticità bilancio civilistico Unipol 2010” dove si sottolinea ai colleghi e ai consulenti finanziari e legali che “a quanto pare non siamo gli unici ad avere problemi di solvibilità …” e si suggerisce di organizzzare una riunione per fare il punto su “quanto stiamo scoprendo”.

I dubbi sui conti Unipol 2010. Nel documento allegato sono indicate le criticità del bilancio Unipol 2010 sollevate da alcuni analisti interpellati, a partire dall’avviamento (200 milioni) per il quale “non sono fornite indicazioni sulla recuperabilità”. Dubbi sono espressi anche sulle valutazioni del mattone con “il valore corrente degli immobili è maggiore del 7% rispetto al valore di carico. Fondiaria Sai nel 2011 esprime a livello civilistico un +30% nonostante le forti svalutazioni contabilizzate”. Si suggeriscono poi approfondimenti (“Indubbiamente anche in questo ambito servirebbero ulteriori informazioni per una più approfondita analisi”) sulle due società di sviluppo immobiliare Midi srl e Unifimm: la prima sta costruendo uffici per il gruppo, la seconda sta realizzando una torre ad uso teriazio nella periferia di Bologna.
Il vuoto informativo su Unipol Banca. Per quanto concerne gli investimenti in imprese del gruppo, “manca il prospetto che mette a confronto per le controllate il valore di carico con le corrispondenti quote di patrimonio netto al fine di quantificare e motivare la differenza (….). Assenza di informazioni su UGF banca (511 milioni di euro di valore di carico) e Vivium (148 milioni). Sugli altri investimenti finanziari, “ si denota una significativa presenza di titoli valutati al fair value livello 3 cioé calcolati tramite tecniche di valutazione che prendono come riferimento parametri non osservabili sul mercato (1,2 miliardi di euro il 13,6% sul totale Fair Value, dato consolidato in quando non disponibile dettaglio a livello civilistico – da confrontarsi con i 77 milioni di FonSai 2010”.
L’esposizione miliardaria all’estero su finanziarie quasi insolventi. Il documento evidenzia poi come dai colloqui con gli analisti sia emersa una esposizione verso Corsair Finance Ireland Ltd per 1,3 miliardi che sommate ad altri due veicoli speciali, Art Five e Willow, porta l’esposizione nei confronti di società veicolo di Jp Morgan per più di 2,2 miliardi. Il veicolo Corsair ha per altro ricevuto da S&P e Moody’s un taglio del rating a un livello vicino alla CCC che significa che il pericolo di insolvenza è realistico. “ I tre veicoli sono stati segnalati alla Finanza e ricompresi nel minipaniere di 10 titoli oggetto di approfondimento ai fini del conteggio a fair value per la determinazione dei valori di concambio”.
Serve un aumento di capitale. Per i derivati, da una prima analisi, si evidenziano minusvalenze latenti per 285 milioni. C’è poi in Unipol una significativa esposizione ai titoli governativi spagnoli (534 milioni al 31 dicembre 2010) contro i 97 milioni di FonSai. “Altrettanto significativa è l’esposizione verso obbligazioni subordinate (1.897 milioni di euro al 31/12/2010), mentre FonSai ne ha in portafoglio 613 milioni: ciò può essere visto come un segnale di maggiore illiquidità degli asset posseduti”, si legge nel documento. Infine rispetto al margine di solvibilità, gli esperti notano come per Ugf è “eccedente rispetto al margine richiesto”, mentre è carente quella di Holmo spa che avrebbe già “posto in essere le azioni al fine di consentire al conglomerato di ripristinare entro il 2011 le condizioni di adeguatezza patrimoniale richieste dalla normativa vigente”. Infine, nel verbale del consiglio di amministrazione di Unipol Assicurazioni del 22 dicembre 2011 emerge “l’esigenza di rafforzare la struttura patrimoniale attraverso un incremento dei mezzi propri di massimo 200 milioni richiedendo alla controllante UGF un versamento in Conto futuro aumento di capitale sociale da eseguirsi in una o più tranche”. Nel caso di Fondiaria-Sai, a livello civilistico, il bilancio esprime una “eccedenza del 153%”.
La mutualità di bilancio secondo Cimbri. La situazione non dev’essere migliorata di molto se, tornando alla trascrizione delle intercettazioni di Torino, si legge quanto riportato dai finanzieri a proposito di un’altra conversazione registrata il 31 ottobre 2012 tra Daffelli e Massimo Aliverti. “Comunque il messaggio del nuovo ad (Cimbri, ndr) è stato chiaro, della serie: qui siamo tutti per uno, mo si fa mutualità, punto. Ha copiato il mio, la mia locuzione, perché ho detto, vabbè che le assicurazioni sono mutualistiche, mi sa che mi tocca fare mutualità di bilancio, mi spiego”, esordisce il dirigente a capo della redazione dei documenti contabili. “Ma oggi c’era Cimbri? [...] E ha detto questo?”, replica l’altro. “Sì, sì, mi son divertito eh, perché è uno veramente istrione”, è stata la conferma. E poi largo ai motteggi tra un “qua se c’è da fare mutualità siamo a posto!” E un: “Infatto, per le loro (di Unipol, ndrriserve Rca“, esclamazioni chiosate da un “minchia, vabbè, non avevo dubbi che fosse così, dai!” di Aliverti, cui Dalfelli replica: “Sì, lo hanno anche ammesso, che non gliela fanno su quel duecento e che noi siamo andati molto oltre e quindi se le ritrovano comode. Però sai, il messaggio è tutto un altro, con me è stato molto chiaro eh!”.