I dipendenti si rivolgono alla Cisl che avvia una procedura legale.
Rovigo, 25 ottobre 2018 - Il cda di una cooperativa sociale dice di essere in difficoltà finanziarie e senza passare per l’assemblea dei soci, documentando le difficoltà, decide di aumentare il capitale sociale per la terza volta in 3 anni infatti nel 2015 è stato chiesto un aumento di capitale di 312 euro, nel 2016 di 260 nel 2018 un ulteriore esborso di 1040.
Non solo, chiede ai lavoratori di sottoscrivere “per presa visione” l’informativa con cui la Cooperativa preleverà dalla loro busta paga 100 euro al mese e il 25% della tredicesima di dicembre. Lavoratori in gran parte donne ed inserite come operatrici socio sanitarie a Taglio di Po e Ariano nel Polesine. Pagare per lavorare. Trattenere una quota sociale minima facendo firmare aumenti di capitale senza l’approvazione dell’assemblea dei soci. Chiedendo sacrifici ai lavoratori per far fronte ad una situazione di difficoltà. Insomma, salvare l’impresa, con modalità che sono finite sul tavolo dell’avvocato Maria Enrica De Salvo, attivata dal sindacato Cisl Funzione Pubblica di Padova e Rovigo.
Quella che si è scoperchiata è una pentola ‘bollente’ che sta mettendo nei guai la ‘Corbola servizi plurimi società cooperativa’ con sede nel paese basso polesano , alla quale è giunta da parte dell’avvocato una diffida ad effettuare nuove trattenute allo stipendio di ottobre dei 116 lavoratori delle case di riposo di Corbola, Taglio di Po e Ariano Polesine (37 dei quali però non avevano accettato di sottoscrivere l’aumento di capitale ma si sono ritrovati con 100 euro di trattenuta in busta paga), intimando altresì di «provvedere immediatamente – si legge nell’atto di procedura legale – alla restituzione delle somme indebitamente trattenute». Inoltre il sindacato ha inviato una nota di protesta che è anche una denuncia agli assessorati regionali veneti al lavoro e ai servizi sociali e ai tre sindaci dei comuni coinvolti con l’obiettivo di fare chiarezza anche nei rapporti tra cooperativa e consorzio Ciass.
«E’ uno dei casi più gravi ai quali abbiamo assistito ed ha del clamoroso – afferma Franco Maisto – dirigente della Funzione Pubblica della Cisl che assieme alla collega Brenda Bergo ha illustrato ieri mattina alla stampa la delicata e complessa situazione che si è venuta a creare e che vede il sindacato in campo «perché i soldi tornino ai lavoratori». «Ci sembra incredibile – rimarca Maisto – che questa cooperativa, come sta dimostrando, agisca nel puro interesse di recuperare i soldi da chi lavora al servizio dei malati e disabili chiedendo loro di fatto di rinunciare ad una parte dello stipendio per ricapitalizzare i bilanci della Coop , non è così che si fa impresa». Maisto mette il dito nella piaga. «Mai visto – aggiunge – una simile spregiudicatezza nell’avviare colloqui individuali e far firmare moduli di versamento, azioni in base ai quali i lavoratori si impegnavano a sottoscrivere l’aumento sociale pari a 20 azioni del valore di 52 euro cadauna e a versare il valore di 1.040 euro scegliendo tre opzioni: o il versamento di 25 euro con trattenuta fissa in busta paga per i contratti part time, o il versamento di 30 euro con trattenuta mensile fissa in busta paga per i contratti full time o attraverso una quota mensile del Tfr in busta paga».
Mentre il bullo di Palazzo Chigi è momentaneamente scomparso dai radar dei media politicamente asserviti, un altro soporifero cattokomunista si è insediato sulla poltrona del comando, sfoderando le solite bufale, più spudorate di sempre: il Jobs Act è stata un’ottima riforma e i voucher «non sono il virus che semina il lavoro nero» … intanto sono partite le lettere di licenziamento per 1666 lavoratori dell’Almaviva di Roma, i sindacati svaporano come neve al sole, la povertà è in progressivo aumento e l’Italia rischia il commissariamento dalla Troika per la storia del Monte Paschi di Siena.
Nel frattempo Luca Lotti, ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e rinominato Ministro dello Sport nel governo Gentiloni, 4° governo non votato da nessuno, è sotto indagine per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento nell’ambito dell’indagine avviata dalla Procura di Napoli sulla corruzione in Consip, la centrale di appalti della Pubblica amministrazione.
Immediatamente compare un post stranito su FB: «Sarei indagato per rivelazioni di segreto d’ufficio. È una cosa che semplicemente non esiste. Inutile stare a fare dietrologie o polemiche. Sto comunque tornando a Roma per sapere se la notizia corrisponde al vero e, in tal caso, per chiedere di essere sentito oggi stesso. È una cosa che non esiste e non ho voglia di lasciarla sospesa».
E poi continua: «Noi non scappiamo dalle indagini: siamo a totale disposizione di ogni chiarimento da parte dell’autorità giudiziaria. La verità – del resto – è più forte di qualsiasi polemica mediatica e non vedo l’ora di dimostrarlo».
La famiglia Renzi, il ministro Lotti, la Consip, altissimi esponenti dei Carabinieri … insomma un giglio putrido invischiato in un caso di corruzione da 2,7 miliardi di euro, ma tutti i riflettori e le sirene del mainstream sono accese sulla giunta Raggi che «potrebbe essere indagata», sull’indagine Muraro, sulla bocciatura del bilancio, sull’arresto di Marra … vicende che vengono ripetute fino alla nausea sulle prime pagine e in tutti i tg, mentre lo scandalo napoletano è rapidamente scomparso dai radar, dopo i titoli rassicuranti sul comandante Del Sette subito ascoltato in Procura e seguito a ruota da Lotti.
Eppure anche l’inchiesta di Napoli meriterebbe qualche attenzione in più. L’appalto che i pm ritengono truccato è piuttosto consistente: acquisti per 2,7 miliardi deliberati dalla Consip (società pubblica al 100% del Tesoro) per la PA. E i personaggi coinvolti sono tra i più potenti d’Italia: Renzi, suo padre, il suo più fedele ministro, i comandanti dei Carabinieri italiani e toscani, i vertici della prima agenzia appaltante del Paese.
I fatti … i pm Woodcock, Carrano e Parascandolo incaricano i carabinieri di riempire di microspie gli uffici Consip, dove il dirigente Marco Gasparri avrebbe promesso alcuni lotti della maxi commessa all’imprenditore Alfredo Romeo, anch’egli indagato per corruzione. Ma immediatamente l’amministratore di Consip Luigi Marroni chiama una ditta per bonificare gli uffici, che toglie le cimici due giorni dopo l’installazione. Gli inquirenti allora se ne accorgono e interrogano Marroni, il quale spiffera 4 nomi: Del Sette, Saltalamacchia, Luca Lotti e Filippo Vanoni.
Vannoni, amico da una vita di Renzi, che l’ha nominato presidente della municipalizzata Publiacqua, dichiara che non solo Lotti&C, ma anche Matteo sapeva in anticipo dell’indagine segreta. Molto strano che tutti i protagonisti dello scandalo siano fedelissimi di Renzi, sia i due generali (uno comandante in Toscana, l’altro nominato comandante generale proprio da Renzi), che i due imprenditori (Russo, compagno di viaggio di Tiziano Renzi e Romeo, finanziatore dichiarato della fondazione renziana Big Bang).
(Tiziano, il padre dell’ex premier Matteo Renzi. La procura di Genova ha chiuso le indagini per la vicenda che lo vedeva coinvolto, accusato di bancarotta fraudolenta ed ha chiesto l’archiviazione. L’indagine era nata dopo il fallimento della società Chil Post srl, che distribuiva giornali e volantini.)
E Renzi perché non smentisce e non querela Vannoni? Forse perché dice la verità? L’unico che sembra aver avuto un briciolo di dignità sembra essere il generale Del Sette, che ha chiesto di non essere confermato nel suo incarico, che scade tra poco … e invece il governo Gentiloni ha deciso di prolungare l’incarico per altri due anni. (Marco Travaglio, 28 dicembre 2016). Perché i generali avvertono subito l’entourage di Renzi, rischiando grosso, se nessuno del Giglio Putrido era indagato? Forse sanno che nel gioco ad incastro sono tutti coinvolti e cercano di proteggere il premier e la sua famiglia. Lotti e Del Sette dicono naturalmente che è tutto falso, allora perché non querelano Marroni per calunnia e non lo fanno licenziare dalla Consip? Forse perché dice la verità?
Luca Lotti e compagni sono innocenti fino a prova contraria e Tiziano Renzi non è indagato, però resta una domanda: Marroni è amico dei Renzi, padre e figlio, allora perché l’amministratore di una società nominato dal governo Renzi dovrebbe accusare gli amici di Matteo Renzi di avergli rivelato l’esistenza di un’indagine nelle cui carte potrebbero esserci elementi imbarazzanti su Tiziano Renzi?
Del resto il fatto che esistesse un sistema corruttivo all’interno di Consip era già stato rivelato da una puntata di Report del dicembre 2013.Cos’è dunque Consip ? È una società partecipata al 100 per cento dal Ministero dell’economia e delle finanze, istituita in origine per la gestione di attività informatiche riservate allo Stato in materia di contabilità e finanza pubblica, poi diventata centrale di committenza nazionale, con il fine di razionalizzare gli acquisti nella pubblica amministrazione.
L’inchiesta di Report mostrava una malata connessione tra poteri politici e affari, e denunciava il cosiddetto “sistema Romeo”, che fa capo all’imprenditore campano Alfredo Romeo, proprietario della Romeo Gestioni, una società di servizi che si era aggiudicata una larga fetta del miliardo e 34 milioni di euro di appalti gestiti da Consip per conto di svariati enti pubblici. Tali servizi riguardavano la gestione di pulizia, facchinaggio e manutenzione di enti, quali il Senato della Repubblica, la Presidenza del Consiglio, comuni, province e regioni, tribunali e altri. Tale sistema si fonderebbe sulla capacità del Romeo, condannato in secondo grado per corruzione in concorso e turbativa d’asta dalla Corte d’appello di Napoli (assolto poi in Cassazione nel maggio 2016 con formula piena), accusato di tessere strette relazioni con influenti politici locali e nazionali, le quali garantirebbero un occhio di riguardo nei confronti delle società dello stesso Romeo per l’aggiudicazione di alcune gare di appalto (sintesi dell’Interpellanza presentata alla Camera da Luigi Gallo deputato del M5S).
Fatto sta che nel 2014 la società pubblica bandisce un’altra gara d’appalto di facility management, suddivisa in più lotti, forniture pluriennali a università e pubbliche amministrazioni, per un valore totale di circa 2,7 milioni di euro. Ora, tre di questi lotti se li aggiudicano le società di Alfredo Romeo. Dunque a distanza di nove anni Romeo torna nell’occhio del ciclone, per un presunto reato di corruzione, in quanto avrebbe offerto somme consistenti di danaro in contanti a Marco Gasparri, alto dirigente Consip, in cambio dell’assegnazione di appalti alle sue società. Già da tempo i pm monitoravano le attività del gruppo Romeo e avevano predisposto una serie di intercettazioni ambientali, facendo innestare un virus spia Trojan sul cellulare di Romeo e di altri indagati.
(Alfredo Romeo)
Nell’indagine è coinvolto anche un personaggio non comune. Si chiama Carlo Russo, 33 anni, imprenditore di Scandicci, amico di Tiziano Renzi e in ottimi rapporti con l’imprenditore Alfredo Romeo. Sarebbe interessante capire se ci sono rapporti triangolari tra Tiziano Renzi, Carlo Russo e Alfredo Romeo. Ma l’ipotesi probabilmente non potrà avere riscontro dalle microspie in Consip che sono state neutralizzate dalla soffiata.
Non è la prima volta che il nome del padre dell’ex premier, Tiziano Renzi, da agosto scorso segretario del PD di Rignano sull’Arno, si trova coinvolto in indagini giudiziarie, all’inizio dell’anno era stato sfiorato dalla triste vicenda di Banca Etruria. Solo la scorsa estate era arrivata per lui l’archiviazione circa l’indagine che lo vedeva accusato di bancarotta fraudolenta nel quadro del fallimento della società di distribuzione editoriale Chil Post. Sembra che avesse chiesto agli ospiti che andavano a trovarlo di lasciare il cellulare dentro casa e di appartarsi con lui in un bosco vicino per parlare: segno che avrebbe temuto la presenza di cimici in casa.
Sarebbe dunque necessario riflettere sul diffuso malaffare che coinvolgerebbe importanti membri del Giglio Magico, che troverebbe la sua naturale matrice in terra toscana, dove il Partito Democratico sostanzialmente ha un potere incontrastato dal secondo dopoguerra, attraverso un’odissea paradossale che passa dal PCI, PDS, DS fino al PD renziano, un partito sfacciatamente neoliberista.
Un potere accumulatosi nel tempo anche grazie allo stretto intreccio tra cooperative rosse e bianche, supermercati Coop, Arciconfraternita della Misericordia, clero progressista e banche locali. Un potere che inizia molto prima di Renzi, che spicca il volo proprio grazie alla promessa di rottamare una classe politica invischiata in affari con la famiglia Ligresti o garante della nomina di Mussari a MPS, uomo molto vicino a D’Alema. Insomma il sistema piovra del PD toscano ha progressivamente allargato i tentacoli sul territorio italiano fino ad arrivare a Palazzo Chigi. Ma niente paura, molto meglio parlare di terrorismo e della sindaca Raggi.
Semplicemente perché i mezzi di distrazione di massa orientano le opinioni dell’elettorato verso notizie irrilevanti rispetto all’agenda dettata dall’establishment finanziario, e dunque la gestione truffaldina del potere avviene sotto gli occhi di tutti i cittadini spettatori, senza che questi però se ne possano accorgere, perché quello che non serve alle élites deve essere taciuto e oscurato.
La corruzione politica del paese dunque non è un problema minimamente marginale rispetto alla sudditanza europea e alla perdita di senso dello stato, dato che sono le tre componenti necessarie per la conduzione a buon fine del processo di dissoluzione della sovranità politica italiana in quell’organismo sovraordinato che si chiama Unione Europea.
Del resto il giglio, le fleur-de-lys, è una figura ambivalente della simbologia araldica (informazione di sanpap) … a partire dal Medioevo divenne l’emblema della regalità, ma dietro l’immagine stilizzata del fiore cela l’ombra di un rospo o di una rana, abitanti della palude, che sguazzano volentieri tra il fango … come tra il fango dell’ipocrisia e della truffa sguazzano i componenti del giglio putrido del renzismo italiano.
L'appalto di un miliardo per la costruzione delle case di legno vinto da un consorzio di Legacoop. Manco il tempo di iniziare a parlare di ricostruzione e già s'insinua il sospetto che il «modello Emilia» in salsa amatriciana si traduca in una pioggia di appalti per le coop rosse.
Dell'area culturale e geografica vicina al commissario per la ricostruzione Vasco Errani del resto fanno parte alcuni giganti delle costruzioni. La voce che ha messo in allarme il mondo produttivo reatino è che sia già pronto un «pacchetto imprese» per le opere di messa in sicurezza dell'area del cratere, pacchetto privo di imprese locali.
Forse è solo una diceria. Ma qualche certezza intanto c'è. Una è che il primo appalto, quello per la costruzione dei Map, i moduli abitativi provvisori, ovvero le famose casette di legno che ospiteranno i terremotati fino a ricostruzione completata, sia andato a un gruppo di aziende in cui spicca il ruolo del Cns, un consorzio bolognese targato Legacoop di cui fanno parte 192 cooperative, tra cui una di quelle che facevano riferimento all'onnipresente Salvatore Buzzi.Il Cns, denunciano i Cinque Stelle, «ha già appaltato parte delle costruzioni a un altro gruppo, Cosp Tecnoservice che ha finanziato nel 2015 la campagna di Catiuscia Marini (la governatrice Pd dell'Umbria) sia pure con una somma modesta». L'altra certezza è che i sindacati del Lazio sentono già odore di bruciato e sono corsi a bussare alla porta della Regione per fissare i paletti. I segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil nei giorni scorsi hanno incontrato tre assessori regionali presso la Camera di commercio di Rieti, mettendo sul piatto tre richieste: far lavorare manodopera del posto, far lavorare aziende locali e trovare la copertura normativa necessaria a realizzare questi due obiettivi, mettendo in grado le imprese locali, che sono medio-piccole, di entrare nel giro degli appalti.
Anche sul versante degli imprenditori c'è più di qualche perplessità. «Già nei primi lavori i materiali sono arrivati da fuori - dice Gianfranco Castelli, presidente uscente di Unindustria Rieti e proprietario di un'azienda proprio ad Accumoli, epicentro del terremoto - se vogliono aiutare questo territorio devono almeno dare una chance di competere alle aziende locali». Il sindaco di Accumoli Stefano Petrucci avvisa i suoi conterranei: «Non possono pensare di partecipare a grandi appalti se non si consorziano e non acquisiscono le qualifiche necessarie».
Il terremoto è stato una tragedia terrificante. Il dopo terremoto, è inutile nasconderlo, può portare risorse a un territorio che conta tra le potenziali vittime anche la fragile economia locale. E i numeri sono giganteschi: la stima della Protezione civile è di 3-4 miliardi di danni. L'appalto delle casette è un primo piatto ricco. Bandito dalla Consip nel 2014, in via preventiva, vale 1,188 miliardi, pari a 1.075 euro al metro quadro. Una tariffa che, nota un'inchiesta dell'Espresso, è più cara di quanto pagato all'Aquila. E soprattutto è più di quanto costi qualunque casa ad Amatrice e dintorni, dove i prezzi arrivano a 840 euro al metro quadro. Per una villa.
Un incarico da 150mila euro per il fratello del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi. Consulenza per il Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna.
Emanuele Boschi, 33 anni, commercialista, ha ricevuto una ricca consulenza dalla CCC, il Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna. A quanto pare quegli incontri segreti di cui aveva già parlato ilGiornale a luglio col fratello della Boschi per salvare le coop, hanno dato vita ad un incarico "rosso" nel capoluogo Emiliano-romagnolo. I dettagli della consulenza però restano per il momento top secret.
Secondo quanto riporta il Fatto, il fratello della Boschi da un lato si occuperà della due diligence sulle attività della CCC, dall'altro lato seguirà, affiancato da altri quattro professionisti, le problematiche fiscali e tutte le operazioni che hanno dato vita al nuovo Consorzio Integra che sarà composto da 116 soci industriali (tra i quali le maggiori realtà della Legacoop, come Cmc e Camst). La Ccc in questo momento attraversa una profonda crisi. Di fatto Integra nasce dall'idea del presidente Vincenzo Onorato con l'aiuto di tre soci che sono anche i finanziatori. Tra questi spicca Coopfond, fondo mutualistico di Legacoop alla cui guida c'è Mauro Lusetti.
L'obiettivo dichiarato è quello di salvare tutti gli utili della Ccc. E a questa nuova avventura parteciperà anche Emanuele Boschi con un compenso probabile, come detto, di 150 mila euro.
Ci sono intercettazioni che restano nella storia criminale di un paese. Il “mondo di mezzo” evocato da Massimo Carminati entra di diritto nella top ten assieme a grandi classici come “i furbetti del quartierino”.
Il mondo di mezzo, secondo il boss arrestato come capo di “Mafia Capitale”, è il luogo in cui “tutto si mischia nel mezzo perché la persona che sta nel sovramondo (politico o imprenditore, ndr) ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non può fare nessuno”.
Sarebbe consolante dire che la terra di mezzo in cui sono fioriti 37 arresti è la destra romana. Invece in quel luogo si mischiano non solo i destini di Gianni Alemanno, un sindaco che sembrava volere diventare premier, e Massimo Carminati, condannato per un furto inquietante di miliardi e segreti nel Palazzo di Giustizia e coinvolto (ma sempre assolto) nei fatti più inquietanti della storia d’Italia:dall’omicidio del giornalista Mino Pecorelli al depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna. No. Nella terra di mezzo si mischiano destra e sinistra, oltre che sovramondo e sottomondo. La “Mafia Capitale” guidata da Carminati secondo i magistrati aveva a libro paga anche politici di primo piano del Pd.
Nella terra di mezzo, il boss che ha ispirato il “Nero” di Romanzo criminale, il “fasciomafioso” Carminati ha come braccio destro un criminale svelto di mano, Riccardo Brugia, e come “braccio sinistro” il re delle cooperative sociali Salvatore Buzzi: già condannato per omicidio e poi riabilitato. Buzzi “il rosso” si vanta di pagare tutti e di dare 5 mila euro al mese all’ex vice capo gabinetto del sindaco Veltroni, poi nominato capo della Polizia provinciale, Luca Odevaine, anche lui indagato.
La notizia non è quindi Carminati, ma Buzzi: un ex detenuto simbolo della resurrezione dal carcereche presiede un impero da 50 milioni. Con la sua cooperativa aderente alla Lega delle coop rosse, già guidata dal ministro Giuliano Poletti, fa soldi nel business dei campi nomadi e dell’assistenza ai rifugiati e poi divide col “nero”. A maggio Buzzi chiudeva così la sua relazione all’assemblea della Cooperativa 29 giugno: “Un augurio di buon lavoro al ministro Poletti, nostro ex Presidente nazionale che più volte ha partecipato alle nostre assemblee; al governo Renzi, affinché possa realizzare tutte le riforme che si è posto come obiettivo, l’unico modo per salvare il nostro Paese”.
La terra di mezzo non ha confini netti. Non è la destra, non è Roma: è l’Italia.
L'ispezione è stata disposta dalla magistratura per i presunti illeciti nella fusione tra Unipol Assicurazioni, Premafin Finanziaria, Milano Assicurazioni e Fondiaria Sai sostenuta da Mediobanca in quanto creditrice di entrambi i gruppi. Guardia di Finanza anche in Consob.
L’amministratore delegato di UnipolSai Carlo Cimbri è indagato per aggiotaggio dalla Procura di Milano nell’inchiesta che riguarda presunti illeciti nell’operazione di fusione tra il gruppo assicurativo delle coop e l’ex polo della famiglia Ligresti che ha dato vita alla società. Sono indagati per lo stesso reato anche altri tre manager: Roberto Giay, già amministratore delegato di Premafin Finanziaria; Fabio Cerchiai, ex presidente del consiglio di amministrazione di Milano Assicurazioni e Vanes Galanti, in passato presidente del consiglio di amministrazione di Unipol Assicurazioni. Per tutti l’ipotesi di reato è aggiotaggio. La notizia è emersa mentre a Bologna, nella sede di UnipolSai, erano in corso delle perquisizioni della Guardia di Finanza che sono state disposte dalla magistratura in relazione a presunti illeciti commessi nel corso della fusione avvenuta tra Unipol Assicurazioni, Premafin Finanziaria, Milano Assicurazioni e Fondiaria Spa che ha dato vita a UnipolSai. Del resto sono tante le criticità che erano emerse sull’operazione fin dalla sua gestazione orchestrata da Mediobanca e si erano via via intensificate a ridosso del suo perfezionamento. Nel silenzio generale delle autorità di vigilanza.
Sempre in relazione ai concambi nel corso dell’indagine la Procura ha acquisito, tra l’altro, il Progetto Plinio, il rapporto sui conti del 2011 della compagnia bolognese commissionato dai vertici di FonSai a Ernst & Young nel quadro sulla negoziazione dei concambi per la futura fusione e le cui risultanze erano ben diverse da quelle a cui giungevano i consulenti di Unipol. Secondo lo studio, le valutazioni sul bilancio del gruppo bolognese variavano, di molto, a secondo del consulente di riferimento. Una guerra di valutazioni che, secondo la società di revisione, poteva addirittura comportare per Unipol un patrimonio negativo. Anche su questo punto, all’epoca della diffusione del rapporto, si era registrato un certo immobilismo da parte della Consob che si era mossa solo dopo che le sollecitazioni della Procura di Milano con il pm Luigi Orsi, lo stesso che ha iscritto Cimbri nel registro degli indagati, aveva fatto recapitare una lettera alla Commissione di Giuseppe Vegas in cui chiedeva alla Consob se avesse riscontrato i dati su Unipol evocati dal progetto Plinio che circolavano in rete e se questi avessero potuto interferire con la trasparente formulazione dei prospetti.
Inoltre il magistrato domandava se il piano di risanamento finanziario della holding dei Ligresti, Premafin, fosse stato stato interamente divulgato al mercato o esistessero patti occulti con la famiglia siciliana. Solo a seguito della lettera di Orsi la Consob ha avviato un’analisi sul portafoglio di titoli strutturati di Unipol, che ai tempi della fusione rappresentava circa un quarto degli investimenti della compagnia bolognese. Nel corso della sua analisi la Commissione ha contestato la conformità del bilancio 2011 e della semestrale 2012 ad alcuni principi contabili internazionali nelle modalità di contabilizzazione di alcuni derivati. L’adozione dei principi indicati dalla Consob ha comportato 28,2 milioni di perdite in più nel 2011 e una riduzione del patrimonio netto di 49,2 milioni. Nel 2013 Unipol, riesponendo il bilancio 2011 per accogliere i rilievi, ha inoltre comunicato che l’affinamento delle metodologie di stima dei suoi derivati adottate nel corso del 2012, quando la magistratura aveva acceso un faro sul suo bilancio, aveva determinato un taglio di 240 milioni al fair value (valore di mercato) del portafoglio strutturati. L’analisi della vigilanza si è chiusa senza ulteriori rilievi a fine 2013.
Fatti che non hanno avuto alcuna ripercussione sulla posizione della Mazzarella che risulta ancora dirigente in staff dell’Ivass, l’ente di vigilanza delle assicurazioni che ha preso il posto dell’Isvap. Ma neanche sugli assetti della Consob i cui funzionari erano in confidenza con i vigilati, rassicurandoli sull’esito di decisioni che solo la Commissione poteva prendere. A dimostrarlo, tra il resto, una serie di telefonate del luglio 2012 raccolte dalla Procura di Milano tra il capo della divisione emittenti della Consob, Angelo Apponi e la Mazzarella, nel corso della quale è lo stesso funzionario a raccontare al numero due dell’Isvap di aver incontrato Cimbri che “era preoccupato (per le decisioni in corso sulla fattibilità della fusione, ndr) ma lui lo ha rassicurato”. Pochi giorni dopo arrivò il via libera della Commissione all’esenzione di Unipol dal lancio di una costosa Offerta pubblica di acquisto sulla Milano Assicurazioni, con il conseguente crollo in Borsa (-10,72%) della compagnia dei Ligresti. Un esito che avrebbe fatto ricco chiunque l’avesse saputo prima degli altri.
Tornando ai giorni nostri, la notizia del nuovo filone di indagine ha avuto ripercussioni immediate sui mercati finanziari. In scia agli eventi il titolo UnipolSai in Borsa ha imboccato la via del ribasso e dopo aver toccato un picco negativo superiore al 6% ha chiuso in calo del 3,8% a 2,27 euro. Peggio ancora è andata alla controllante Unipol Gruppo Finanziario che è precipitata del 7,33% a 4,17 euro. Non va tanto meglio a Mediobanca che sta perdendo il 2,84% a 6,67 euro. E proprio qui si attacca Unipol che, incurante del paradosso rispetto alle accuse di aggiotaggio, “stigmatizza che la notizia delle indagini” sulla fusione da cui è nata UnipolSai “sia divenuta oggi di pubblico dominio con immediati, conseguenti e gravi impatti sul corso dei titoli del gruppo Unipol”. La società, si legge in una nota, “si riserva ogni opportuna valutazione a tutela propria e dei propri azionisti”.