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mercoledì 13 maggio 2020

Braccianti e colf, sanatoria onerosa per le imprese: 560 euro per ogni lavoratore. - Manuela Perrone

(ANSA)

Lo prevede l’articolato di mediazione messo a punto dal Viminale, che stima un gettito complessivo per l’Inps di 91,56 milioni. Nella notte raggiunto l’accordo nel Governo.

Un contributo forfettario di 400 euro per lavoratore, oltre a un contributo per le somme dovute a titolo retributivo, contributivo e fiscale da determinarsi con successivo decreto ministeriale. E un altro da 160 euro in capo al migrante che ottenga il permesso di soggiorno temporaneo di sei mesi per la ricerca di lavoro, che può essere convertito in permesso per motivi di lavoro in caso di assunzione.
La norma “di mediazione” disegnata dal Viminale.
È una sanatoria onerosa per le imprese quella contenuta nella proposta di mediazione per la regolarizzazione di lavoratori agricoli, badanti e colf messa a punto dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese su mandato del premier Giuseppe Conte e degli altri ministri che hanno lavorato al dossier: Teresa Bellanova (Iv), Nunzia Catalfo (M5S) e Giuseppe Provenzano (Pd). Il testo della norma - un solo articolo, «Emersione di rapporti di lavoro», e 22 commi - è stato inviato dal Viminale alla presidenza del Consiglio perché entri nel “decreto Rilancio”. E ricalca la «sintesi politica», per usare le parole di Conte, raggiunta domenica notte ma sconfessata il giorno dopo dal M5S, ripiombato nella lotta intestina tra l’ala progressista filo-dem e quella sovranista. La trattativa è durata fino a notte, quando il ministro Provenzano dal Pd e Vito Crimi dal M5S hanno comunicato: «Accordo raggiunto».
L’istanza del datore di lavoro. Come anticipato dal Sole 24 Ore del 12 maggio, la proposta prevede un doppio binario e mantiene quell’impianto. Da un lato i datori di lavoro possono favorire l’emersione del lavoro nero, di italiani o stranieri che siano stati fotosegnalati in Italia prima dello scorso 8 marzo, presentando apposita istanza tra il 1° giugno e il 15 luglio 2020, con l’indicazione della durata del contratto e della retribuzione concordata, previo pagamento di un contributo forfettario di 400 euro per ogni lavoratore, «a copertura degli oneri connessi alla procedura di emersione».
La facoltà di permessi di soggiorno di 6 mesi.
Dall’altro lato, gli stranieri che abbiano un permesso di soggiorno scaduto entro il 31 ottobre 2019 possono presentare domanda in Questura per un permesso temporaneo per la ricerca di lavoro della durata di sei mesi, convertibile in permesso di lavoro in caso di assunzione, dimostrando di aver svolto attività nei settori interessati dalla norma (agricoltura, assistenza alla persona e lavoro domestico). In questo caso il contributo dovuto ammonta a 160 euro, di cui 30 per la spedizione della domanda.
Il gettito stimato: 91,56 milioni.
In tutto, la relazione illustrativa che accompagna la norma stima un’entrata complessiva per i contributi pari a 91,56 milioni di euro al netto degli ulteriori versamenti in capo ai datori. Un carico pesante, in tempi di crisi. Gli stranieri interessati sono calcolati in 212mila per la prima procedura, 52mila per la seconda. Per il ministero dell’Interno si ipotizzano oneri da 75,11 milioni, di cui 63,3 milioni già nel 2020. 
Dettagliati meglio i paletti all’emersione. Non possono presentare istanza di emersione i datori di lavoro che nei cinque anni precedenti abbiano avuto condanne anche non definitive per caporalato, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite, riduzione in schiavitù, sfruttamento del lavoro. Allo stesso modo, non sono ammessi alle procedure i migranti condannati per gli stessi reati, per droga, per delitti contro la libertà personale o che siano stati anche solo segnalati per terrorismo considerati una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Sono queste esclusioni a essere state esplicitate meglio nella versione definitiva, confermano fonti Pd. Almeno quanto bastava per poter permettere a Crimi, intorno a mezzanotte, di parlare di pacchetto «migliorato rispetto a quello di domenica scorsa, che accoglie nostre esplicite richieste».
Per tutto il resto scatta l’immunità.
In cambio della regolarizzazione, però, come in tutti i provvedimenti adottati in passato (da Maroni a Monti, da Berlusconi a Prodi), scatta l’immunità: per i lavoratori vengono sospesi i procedimenti penali e amministrativi per le violazioni delle norme relative all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale, per i datori si sospendono i procedimenti concernenti l’impiego dei lavoratori per cui si presenta la dichiarazione di emersione, «anche se di carattere finanziario, fiscale, previdenziale o assistenziale».
Conte tiene il punto contro la fronda M5S.
Questo è dunque il pacchetto che approderà in Consiglio dei ministri, al termine di un confronto duro che ha spaccato il M5S e costretto il premier Conte a intervenire: «Legittimo che il M5S rifletta, ma regolarizzare per un periodo determinato immigrati che già lavorano sul nostro territorio significa spuntare le armi al caporalato, contrastare il lavoro nero, effettuare controlli sanitari e proteggere la loro e la nostra salute, tanto più in questa fase di emergenza sanitaria». Un richiamo all’ordine in piena regola davanti a un Movimento sempre sull’orlo della scissione tra l’anima progressista filo-dem e quella sovranista, che teme emorragie di consensi verso l’ex alleato leghista. Da qui l’insistenza del ministro degli Esteri pentastellato, Luigi Di Maio, ancora ieri sera, sul no a «sanatorie indiscriminate».

mercoledì 9 ottobre 2019

Taglio dei parlamentari è legge: sì definitivo della Camera. Gli eletti passeranno da 945 a 600. - Nicola Barone

Risultati immagini per taglio parlamentari

Si tratta della quarta e ultima lettura parlamentare del testo. Entro tre mesi dall'approvazione del disegno di legge un quinto dei componenti di uno dei rami del Parlamento, cinque Consigli regionali o 500mila elettori potranno chiedere un referendum confermativo.

Sì definitivo dell'Aula della Camera con 553 voti a favore e 14 no (2 gli astenuti) al disegno di legge costituzionale che taglia il numero dei parlamentari. Si tratta della quarta e ultima lettura della riforma che porta la quota dei senatori da 315 a 200 (con non più di cinque nominati a vita) e i deputati da 630 a 400.

Per il suo via libera definitivo era necessaria la maggioranza assoluta e, come stabilito dalla Costituzione, entro tre mesi dall'approvazione del disegno di legge un quinto dei componenti di uno dei rami del Parlamento, cinque Consigli regionali o 500mila elettori potranno chiedere un referendum confermativo (il cui quesito deve essere vagliato dalla Cassazione).
La riduzione dei seggi diventa effettiva al primo scioglimento del Parlamento ma non prima di 60 giorni dall'entrata in vigore della riforma.
Contro le modifiche fortemente sostenute dal Movimento 5 Stelle si era espresso nelle precedenti votazioni il Partito democratico, in mancanza di riforme concomitanti ritenute imprescindibili come quella della legge elettorale. I dubbi espressi in passato, ha spiegato nella discussione il capogruppo dem a Montecitorio Graziano Delrio, «avevano ragioni di merito e non ideologiche. Pensavamo e pensiamo che il Parlamento non sia un luogo oscuro ma la casa della democrazia. Il nostro no era a difesa di questa istituzione e proprio perché abbiamo ottenuto garanzie a questi principi ora diciamo sì convintamente». Mancava insomma «un contesto organico che dicesse che il taglio non serve solo a risparmiare, ma anche a garantire la rappresentanza». Ma ora il documento politico su cui la maggioranza ha convenuto «afferma che le storture che avevamo denunciato saranno subito risolte».
Alla Camera e al Senato tutte le circoscrizioni vedranno una riduzione drastica, con una media del 36,5%. Sopra la media alla Camera le circoscrizioni Sicilia 1 (da 25 a 15 deputati) e Lazio 2 (da 20 a 12). Da segnalare al Senato il caso dell’Umbria e della Basilicata. Sono le due Regioni che subiscono in percentuale l’emorragia maggiore. Qui i senatori sono più che dimezzati (-57%). In entrambe le regioni infatti si passa da 7 a soli 3 eletti.
Il taglio“costerà” al Nordest la perdita di 39 rappresentanti in Parlamento: 26 al Veneto, 8 al Friuli Venezia Giulia e 5 al Trentino Alto Adige. Il calcolo è riportato dall'Osservatorio elettorale del Consiglio regionale del Veneto. Alla Camera il Veneto perderà 18 deputati (da 20 a 13 in Veneto 1 e da 30 a 19 in Veneto 2), il FVG passerà da 13 a 8 mentre il Trentino AA scende da 11 a 7. In merito invece al Senato, per il Veneto si prospetta un calo di 8 seggi (da 24 a 16), 3 invece quelli che saranno persi dal Friuli (da 7 a 4) e 1 sarà tolto al Trentino AA (da 7 a 6). A Palazzo Madama il Friuli avrà un taglio del 42,9% dei rappresentanti, mentre alla Camera la sforbiciata arriverà al 38,5%.

https://www.ilsole24ore.com/art/taglio-parlamentari-all-ultimo-voto-test-la-maggioranza-ACouJ1p

martedì 3 gennaio 2017

Il Giglio Putrido e il potere truffa del PD. - Rosanna Spadini

renzi e il giglio magico

Mentre il bullo di Palazzo Chigi è momentaneamente scomparso dai radar dei media politicamente asserviti, un altro soporifero cattokomunista si è insediato sulla poltrona del comando, sfoderando le solite bufale, più spudorate di sempre: il Jobs Act è stata un’ottima riforma e i voucher «non sono il virus che semina il lavoro nero» … intanto sono partite le lettere di licenziamento per 1666 lavoratori dell’Almaviva di Roma, i sindacati svaporano come neve al sole, la povertà è in progressivo aumento e l’Italia rischia il commissariamento dalla Troika per la storia del Monte Paschi di Siena.
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Nel frattempo Luca Lotti, ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e rinominato Ministro dello Sport nel governo Gentiloni, 4° governo non votato da nessuno, è sotto indagine per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento nell’ambito dell’indagine avviata dalla Procura di Napoli sulla corruzione in Consip, la centrale di appalti della Pubblica amministrazione.
Immediatamente compare un post stranito su FB: «Sarei indagato per rivelazioni di segreto d’ufficio. È una cosa che semplicemente non esiste. Inutile stare a fare dietrologie o polemiche. Sto comunque tornando a Roma per sapere se la notizia corrisponde al vero e, in tal caso, per chiedere di essere sentito oggi stesso. È una cosa che non esiste e non ho voglia di lasciarla sospesa».
E poi continua: «Noi non scappiamo dalle indagini: siamo a totale disposizione di ogni chiarimento da parte dell’autorità giudiziaria.  La verità – del resto – è più forte di qualsiasi polemica mediatica e non vedo l’ora di dimostrarlo».
La famiglia Renzi, il ministro Lotti, la Consip, altissimi esponenti dei Carabinieri … insomma un giglio putrido invischiato in un caso di corruzione da 2,7 miliardi di euro, ma tutti i riflettori e le sirene del mainstream sono accese sulla giunta Raggi che «potrebbe essere indagata», sull’indagine Muraro, sulla bocciatura del bilancio, sull’arresto di Marra … vicende che vengono ripetute fino alla nausea sulle prime pagine e in tutti i tg, mentre lo scandalo napoletano è rapidamente scomparso dai radar, dopo i titoli rassicuranti sul comandante Del Sette subito ascoltato in Procura e seguito a ruota da Lotti.
Eppure anche l’inchiesta di Napoli meriterebbe qualche attenzione in più. L’appalto che i pm ritengono truccato è piuttosto consistente: acquisti per 2,7 miliardi deliberati dalla Consip (società pubblica al 100% del Tesoro) per la PA. E i personaggi coinvolti sono tra i più potenti d’Italia: Renzi, suo padre, il suo più fedele ministro, i comandanti dei Carabinieri italiani e toscani, i vertici della prima agenzia appaltante del Paese.
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I fatti … i pm Woodcock, Carrano e Parascandolo incaricano i carabinieri di riempire di microspie gli uffici Consip, dove il dirigente Marco Gasparri avrebbe promesso alcuni lotti della maxi commessa all’imprenditore Alfredo Romeo, anch’egli indagato per corruzione. Ma immediatamente l’amministratore di Consip Luigi Marroni chiama una ditta per bonificare gli uffici, che toglie le cimici due giorni dopo l’installazione. Gli inquirenti allora se ne accorgono e interrogano Marroni, il quale spiffera 4 nomi: Del Sette, Saltalamacchia, Luca Lotti e Filippo Vanoni.
Vannoni, amico da una vita di Renzi, che l’ha nominato presidente della municipalizzata Publiacqua, dichiara che non solo Lotti&C, ma anche Matteo sapeva in anticipo dell’indagine segreta. Molto strano che tutti i protagonisti dello scandalo siano fedelissimi di Renzi, sia i due generali (uno comandante in Toscana, l’altro nominato comandante generale proprio da Renzi), che i due imprenditori (Russo, compagno di viaggio di Tiziano Renzi e Romeo, finanziatore dichiarato della fondazione renziana Big Bang).
Il padre del premier Matteo Renzi, Tiziano, fotografato a Roma, 23 Dicembre 2014. La procura di Genova ha chiuso le indagini per la vicenda che vedeva coinvolto il padre del premier, Tiziano Renzi, accusato di bancarotta fraudolenta ed ha chiesto l'archiviazione. Il gip decidera' se accoglierla o meno. L'indagine era nata dopo il fallimento della società Chil Post srl, che distribuiva giornali e volantini. ANSA/GIUSEPPE LAMI
(Tiziano, il padre dell’ex premier Matteo Renzi. La procura di Genova ha chiuso le indagini per la vicenda che lo vedeva coinvolto, accusato di bancarotta fraudolenta ed ha chiesto l’archiviazione. L’indagine era nata dopo il fallimento della società Chil Post srl, che distribuiva giornali e volantini.)
E Renzi perché non smentisce e non querela Vannoni? Forse perché dice la verità? L’unico che sembra aver avuto un briciolo di dignità sembra essere il generale Del Sette, che ha chiesto di non essere confermato nel suo incarico, che scade tra poco … e invece il governo Gentiloni ha deciso di prolungare l’incarico per altri due anni. (Marco Travaglio, 28 dicembre 2016). Perché i generali avvertono subito l’entourage di Renzi, rischiando grosso, se nessuno del Giglio Putrido era indagato? Forse sanno che nel gioco ad incastro sono tutti coinvolti e cercano di proteggere il premier e la sua famiglia. Lotti e Del Sette dicono naturalmente che è tutto falso, allora perché non querelano Marroni per calunnia e non lo fanno licenziare dalla Consip? Forse perché dice la verità?
Luca Lotti e compagni sono innocenti fino a prova contraria e Tiziano Renzi non è indagato, però resta una domanda: Marroni è amico dei Renzi, padre e figlio, allora perché l’amministratore di una società nominato dal governo Renzi dovrebbe accusare gli amici di Matteo Renzi di avergli rivelato l’esistenza di un’indagine nelle cui carte potrebbero esserci elementi imbarazzanti su Tiziano Renzi?
Del resto il fatto che esistesse un sistema corruttivo all’interno di Consip era già stato rivelato da una puntata di Report del dicembre 2013.  Cos’è dunque Consip ? È una società partecipata al 100 per cento dal Ministero dell’economia e delle finanze, istituita in origine per la gestione di attività informatiche riservate allo Stato in materia di contabilità e finanza pubblica, poi diventata centrale di committenza nazionale, con il fine di razionalizzare gli acquisti nella pubblica amministrazione.
L’inchiesta di Report mostrava una malata connessione tra poteri politici e affari, e denunciava il cosiddetto “sistema Romeo”, che fa capo all’imprenditore campano Alfredo Romeo, proprietario della Romeo Gestioni, una società di servizi che si era aggiudicata una larga fetta del miliardo e 34 milioni di euro di appalti gestiti da Consip per conto di svariati enti pubblici. Tali servizi riguardavano la gestione di pulizia, facchinaggio e manutenzione di enti, quali il Senato della Repubblica, la Presidenza del Consiglio, comuni, province e regioni, tribunali e altri. Tale sistema si fonderebbe sulla capacità del Romeo, condannato in secondo grado per corruzione in concorso e turbativa d’asta dalla Corte d’appello di Napoli (assolto poi in Cassazione nel maggio 2016 con formula piena), accusato di tessere strette relazioni con influenti politici locali e nazionali, le quali garantirebbero un occhio di riguardo nei confronti delle società dello stesso Romeo per l’aggiudicazione di alcune gare di appalto (sintesi dell’Interpellanza presentata alla Camera da Luigi Gallo deputato del M5S).
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Gruppo Romeo Gestioni
Fatto sta che nel 2014 la società pubblica bandisce un’altra gara d’appalto di facility management, suddivisa in più lotti, forniture pluriennali a università e pubbliche amministrazioni, per un valore totale di circa 2,7 milioni di euro. Ora, tre di questi lotti se li aggiudicano le società di Alfredo Romeo. Dunque a distanza di nove anni Romeo torna nell’occhio del ciclone, per un presunto reato di corruzione, in quanto avrebbe offerto somme consistenti di danaro in contanti a Marco Gasparri, alto dirigente Consip, in cambio dell’assegnazione di appalti alle sue società. Già da tempo i pm monitoravano le attività del gruppo Romeo e avevano predisposto una serie di intercettazioni ambientali, facendo innestare un virus spia Trojan sul cellulare di Romeo e di altri indagati.
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(Alfredo Romeo)
Nell’indagine è coinvolto anche un personaggio non comune. Si chiama Carlo Russo, 33 anni, imprenditore di Scandicci, amico di Tiziano Renzi e in ottimi rapporti con l’imprenditore Alfredo Romeo. Sarebbe interessante capire se ci sono rapporti triangolari tra Tiziano Renzi, Carlo Russo e Alfredo Romeo. Ma l’ipotesi probabilmente non potrà avere riscontro dalle microspie in Consip che sono state neutralizzate dalla soffiata.
Non è la prima volta che il nome del padre dell’ex premier, Tiziano Renzi, da agosto scorso segretario del PD di Rignano sull’Arno, si trova coinvolto in indagini giudiziarie, all’inizio dell’anno era stato sfiorato dalla triste vicenda di Banca Etruria. Solo la scorsa estate era arrivata per lui l’archiviazione circa l’indagine che lo vedeva accusato di bancarotta fraudolenta nel quadro del fallimento della società di distribuzione editoriale Chil Post. Sembra che avesse chiesto agli ospiti che andavano a trovarlo di lasciare il cellulare dentro casa e di appartarsi con lui in un bosco vicino per parlare: segno che avrebbe temuto la presenza di cimici in casa.
Sarebbe dunque necessario riflettere sul diffuso malaffare che coinvolgerebbe importanti membri del Giglio Magico, che troverebbe la sua naturale matrice in terra toscana, dove il Partito Democratico sostanzialmente ha un potere incontrastato dal secondo dopoguerra, attraverso un’odissea paradossale che passa dal PCI, PDS, DS fino al PD renziano, un partito sfacciatamente neoliberista.
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Un potere accumulatosi nel tempo anche grazie allo stretto intreccio tra cooperative rosse e bianche, supermercati Coop, Arciconfraternita della Misericordia, clero progressista e banche locali. Un potere che inizia molto prima di Renzi, che spicca il volo proprio grazie alla promessa di rottamare una classe politica invischiata in affari con la famiglia Ligresti o garante della nomina di Mussari a MPS, uomo molto vicino a D’Alema. Insomma il sistema piovra del PD toscano ha progressivamente allargato i tentacoli sul territorio italiano fino ad arrivare a Palazzo Chigi. Ma niente paura, molto meglio parlare di terrorismo e della sindaca Raggi.
Semplicemente perché i mezzi di distrazione di massa orientano le opinioni dell’elettorato verso notizie irrilevanti rispetto all’agenda dettata dall’establishment finanziario, e dunque la gestione truffaldina del potere avviene sotto gli occhi di tutti i cittadini spettatori, senza che questi però se ne possano accorgere, perché quello che non serve alle élites deve essere taciuto e oscurato.
La corruzione politica del paese dunque non è un problema minimamente marginale rispetto alla sudditanza europea e alla perdita di senso dello stato, dato che sono le tre componenti necessarie per la conduzione a buon fine del processo di dissoluzione della sovranità politica italiana in quell’organismo sovraordinato che si chiama Unione Europea.
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Del resto il giglio, le fleur-de-lys, è una figura ambivalente della simbologia araldica (informazione di sanpap) … a partire dal Medioevo  divenne l’emblema della regalità, ma dietro l’immagine stilizzata del fiore cela l’ombra di un rospo o di una rana, abitanti della palude, che sguazzano volentieri tra il fango … come tra il fango dell’ipocrisia e della truffa sguazzano i componenti del giglio putrido del renzismo italiano.

giovedì 19 dicembre 2013

A che punto è la “web tax”.

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Durante il suo primo discorso da segretario all’Assemblea nazionale del Partito Democratico, Matteo Renzi ha criticato la cosiddetta “web tax”, un nuovo sistema di tassazione per le società attive su Internet approvata la settimana scorsa in commissione tra gli emendamenti della legge di stabilità, che dovrà essere votata dal Parlamento entro la fine dell’anno. L’iniziativa è partita da alcuni parlamentari del PD e per questo Renzi ha detto che “abbiamo infilato un problema peggio dell’altro” sul tema dell’innovazione e che argomenti come una nuova tassazione delle società su Internet debba essere affrontata in sede europea e non da un singolo stato.
La prima proposta
Di una tassa per le aziende online – specificamente indirizzata a quelle più grandi ed estere come Google, Facebook e Amazon – si parla da diverse settimane. Francesco Boccia, deputato del PD e presidente della commissione Bilancio della Camera, è stato tra i primi a proporre una “web tax” con un disegno di legge presentato lo scorso 4 ottobre. In seguito, dopo un primo accantonamento, la sua proposta è stata trasformata in un emendamento alla legge di stabilità da parte di Edoardo Fanucci (PD), che ha ricevuto in commissione Bilancio l’appoggio di Sinistra Ecologia Libertà e di Südtiroler Volkspartei, portando alla sua approvazione e al conseguente inserimento nella legge.
Le aziende online e le tasse
I promotori della “web tax” ritengono che debbano essere cambiate le regole per le società online perché quelle attuali consentono loro di registrare i loro ricavi presso un’altra società del gruppo, che spesso ha sede in un paese con una tassazione più favorevole rispetto a quella italiana. Amazon, per esempio, ha sede legale in Lussemburgo per le sue attività in Europa, mentre Facebook e Google registrano i loro ricavi in Irlanda, dove c’è una imposta sul reddito delle imprese molto favorevole. Si stima che nel 2012 Facebook abbia pagato all’Agenzia delle Entrate circa 192 mila euro, mentre Google – che è più presente con personale e attività in Italia – circa 1,8 milioni di euro a fronte di decine di milioni ricavati grazie alle inserzioni pubblicitarie o nel caso di Amazon con le vendite dirette di prodotti. È bene comunque ricordare che queste società non fanno nulla di illegittimo e sfruttano le regole del mercato unico europeo, che permettono alle società di lavorare e operare in tutti i paesi dell’Unione Europea senza dover aprire una sede legale in ciascuno di questi.
Che cosa prevede la “web tax”
Gli emendamenti approvati alla fine della settimana scorsa introducono l’obbligo di possedere una partita IVA italiana per tutte le società che acquistano e vendono pubblicità e servizi come quelli legati al commercio elettronico. I pagamenti dei ricavi derivanti dai servizi pubblicitari online dovranno essere inoltre tracciabili. Nella pratica, significa che una pubblicità da mostrare su un sito dovrà essere venduta solo da imprese registrate con partita IVA in Italia, evitando in questo modo che il nostro paese sia scavalcato nella compravendita pubblicitaria. Le pubblicità online sono spesso acquistate e vendute all’estero, con meccanismi che tagliano fuori il fisco italiano, che non può rilevare le transazioni né tassarle.
La “web tax” prevede inoltre nuovi sistemi per valutare il reddito delle società controllate italiane legato alla pubblicità online e i loro rapporti con le “aziende madre” straniere. Nell’emendamento si dice che per fare pubblicità su Internet una controllata italiana affronta costi bassi sia per quanto riguarda l’organizzazione sia per lo scarso numero di impiegati. Elementi che devono essere tenuti in considerazione per determinare reddito e successiva tassazione, dice la proposta.
Critiche
L’approvazione degli emendamenti sulla “web tax” su iniziativa del PD è stata criticata da diversi membri dello stesso partito. A metà della scorsa settimana i deputati PD Giampaolo Galli e Marco Causi avevano ottenuto l’accantonamento della proposta, ricordando che sarebbe andata contro le regole dell’Unione Europea sul mercato unico e contro quelle dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Il timore è che le nuove norme possano essere bocciate dopo il loro inserimento nel bilancio dello Stato e che quindi ci possa poi essere un buco, dovuto all’impossibilità di riscuotere la “web tax”.
Molte critiche alla proposta sono state formulate anche all’estero da diverse organizzazioni e giornali. La rivista statunitense Forbes ha pubblicato un duro articolo ricordando che l’obbligo di partita IVA italiana è “senza dubbio” in contrasto rispetto a quanto prevede la legge europea: sarebbe illegale fin dalla sua approvazione e costerebbe una sanzione all’Italia. Secondo altri una “web tax” terrebbe lontani gli investitori stranieri e renderebbe molto più complicata la gestione della pubblicità a livello globale, con conseguenze gravi per le aziende italiane che promuovono all’estero su Internet i loro prodotti.
Quanto
Nelle ultime settimane sono circolate cifre molto diverse tra loro su quanto potrebbe fruttare al fisco la “web tax”. C’è chi ha parlato di poche decine di milioni di euro, chi di qualche centinaio e chi si è spinto come Boccia a immaginare un miliardo di euro, cifra che però è in contraddizione con le stime sui ricavi complessivi della pubblicità digitale in Italia, tra i 700-800 milioni di euro all’anno. Il problema è che non è possibile fare una stima affidabile di quanto denaro porterebbe la “web tax”, né quale sarebbe l’entità del suo impatto sul settore.
Francesco Boccia
Nonostante le numerose critiche e lo stesso invito del segretario del suo partito a rivedere il provvedimento, il deputato Francesco Boccia continua a sostenere la necessità di arrivare all’applicazione di una “web tax”. In una intervista pubblicata oggi dal Tempo, spiega che “stiamo assistendo alla più grande emorragia finanziaria della storia del capitalismo”. Alla domanda sull’incompatibilità delle nuove regole con quelle previste dalle leggi europee ammette che il Trattato di Roma prevede la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone aggiungendo però che “all’epoca Internet non esisteva” (ammettendo però così l’incompatibilità della norma che propone con i trattati in vigore).
Boccia, infine, sostiene che le grandi aziende estere di Internet “in Italia non hanno mai investito un euro”. In realtà alcune delle più importanti hanno investito diverse risorse nel nostro paese. Due esempi: Google Italia ha la propria sede a Milano e ha alle sue dipendenze quasi 150 persone, che si occupano principalmente dei servizi pubblicitari che a loro volta producono un importante indotto per centinaia di aziende; Amazon ha costruito e gestisce due centri per la distribuzione delle sue merci a Castel San Giovanni (Piacenza) e prevede a pieno regime di impiegare oltre 1000 persone, cui si aggiungono i 150 del centro assistenza clienti di Cagliari, che diventeranno 500 entro i prossimi cinque anni.
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giovedì 17 ottobre 2013

Slot: una pagina vergognosa per Letta e il Pd. - Riccardo Bonacina

A fine agosto ne avevo scritto dicendo: "Questo no! Questo non è possibile! Sto parlando del decreto sull'Imu presentato ieri sera da Letta, Alfano e Saccomanni. E Mi riferisco al fatto che tra le voci a copertura dell'abolizione della prima rata Imu ci siano 600 milioni per una sanatoria prevista ai concessionari delle slot machine.
È un'indecenza", commentavo (per leggere l'articolo con dettagli della sanatoria ecco il link). Ma siccome al peggio non c'è mai fine, martedì la notizia di un ulteriore sconto di 100 milioni ai signori delle slot. Cosa volete che vi dica oggi? Per evitare parolacce e improperi ai nostri governanti vediamo di spiegare l'ennesimo orrore stando ai fatti.
Allora. La proposta di sanatoria contenuta nel decreto Imu, chiedeva di chiudere un contenzioso risalente al 2007 (contestati 98 miliardi di evasione) con una cifra del 25% di quanto la Corte dei Conti chiedeva ai concessionari slot, 2,5 miliardi di multa. Martedì un emendamento del governo, presentato in Aula alla Camera, sul Decreto Imu chiede di abbassare ulteriormente la percentuale al 20%.. Coloro che pagano subito il 20% del danno quantificato nella sentenza di primo grado potranno così chiudere subito il proprio contenzioso davanti alla Corte dei Conti.
Se i dieci concessionari decidessero di aderire, prosegue questa sarebbe la ripartizione con le multe rimodulate al 20%: Bplus 179 milioni, Cirsa Italia 24 milioni, Sisal Slot 49 milioni, Gtech 20 milioni, Gmatica 30 milioni, Codere 23 milioni, HBG 40 milioni, Gamenet 47 milioni, Cogetech 51 milioni e Snai 42 milioni. Per un totale, invece di 600 milioni di soli 500.
Una vera vergogna e la prova del nove della nullità della politica incapace di tenere a bada gli appetiti dell'industria più rampante d'Italia, quella dell'azzardo legale. La terza industria italiana!
Una politica che non riesce a stabilizzare una misura primaria e necessaria come il 5 per mille alle realtà non profit (questione, guarda un po' di 100 milioni), si inchina a imprese che come Gtech nel 2012 hanno realizzato super profitti, Gtech, ha avuto ricavi (netti di imposte indirette come il Preu) pari a 3 mld di euro, ebitda al 34% pari a 1 mld di euro e utile operativo pari al 17% (!) .
Una politica degna di questo nome avrebbe proposto una sanatoria corrispondente al 75-80% della multa e se le concessionarie non avessero aderito, si sarebbe automaticamente previsto di innalzare il Preu (questo avremmo voluto vedere scritto nell'emendamento di un governo serio), un sostituto di imposta (tassa unica sul gioco), tasse che non si vedono nei bilanci delle concessionarie perché è tassazione alla fonte ( New slot: 12,7 % Poker e simili online: 20% Giochi di abilità online 3%). Essendo tassa sostitutiva: il Preu assorbe ogni altra imposizione indiretta, quindi non pagano neppure l'Iva!
Invece, il governo Letta ha abbassato ancora un po' i propri pantaloni. E con lui anche il Parlamento che ha dato l'ok all'emendamento. Da segnalare, nel capitolo "Vergogna", il fatto che su 297 deputati del Pd solo 8 hanno votato no all'emendamento disobbedendo all'indicazione del Gruppo Parlamentare (Epifani che schifo, però!). Ecco i loro nomi in rigoroso ordine alfabetico: Lorenzo Basso, Bobba Luigi, Bragantini Paola, Cani Emanuele, Coppola Paola, Donati Marco, Senaldi Angelo, Tullio Mario.
Qualcuno, poi ha deciso di uscire dall'Aula per non prendere parte al voto, non sentendosi di andare contro l'indicazione del Gruppo Parlamentare ma neppure di dire sì all'emendamento della vergogna.
Ma l'arcano è presto spiegato:
La lobby del gioco e i soldi al pensatoio di Letta. - Ilario Lombardo

Il premier Enrico Letta


Roma - Tutto è incominciato con il servizio delle Iene sulle lobby che, secondo un collaboratore di un senatore, pagano alcuni parlamentari per fare pressioni e modificare le leggi in Commissione. Un assist perfetto, colto al volo dal Movimento 5 Stelle, che oggi si presenterà nell’aula di Palazzo Madama per denunciare «anni di intrecci di interessi tra la politica e la lobby del gioco». A leggere l’interrogazione sarà Giovanni Endrizzi, il senatore veneto che al Sert di Rovigo si occupa delle patologie generate dalla dipendenza dall’azzardo.
Il M5S chiederà l’attenzione del Parlamento soprattutto su un nome : Enrico Letta. Proprio il premier che nel 2011, quando era semplice deputato Pd, ha ricevuto una finanziamento come sponsor per il suo think tank VeDrò, da parte di Lottomatica e Sisal, due multinazionali dell’azzardo, la seconda dal 2010 presieduta dall’ex ministro di Prodi, Augusto Fantozzi. La cifra del contributo si aggira intorno ai 20 mila euro.

mercoledì 10 aprile 2013

Il Pd in Friuli si fa rimborsare le adozioni a distanza.


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Il Partito Democratico, in Friuli Venezia Giulia, sembra si sia fatto rimborsare dalla Regione anche le adozioni a distanza. E’ scandalo per l’inchiesta del pubblico ministero Federico Frezza che ha spulciato le spese rimborsate al Pd nel 2011 trovando addirittura una richiesta per delle adozioni a distanza.
Lunga la lista dei rimborsi contestati e di dubbia utilità politica come i dieci biglietti di teatro comprati a maggio e gli otto biglietti comprati ad ottobre per un totale di quasi 400 euro oppure i 160 euro per una cornice di argento, 337 euro per un seggiolone per bambini e circa 800 euro per cesti natalizi.
Ma le fatture non finiscono. Si scoprono due cene e un pernottamento a Polignano a Mare, pranzi e cene a Natale e San Silvestro, casalinghi, pelletteria, abbigliamento, profumi e cristalleria. Singolare anche la spesa di 130 euro in un colorificio, 55 euro per “calzature”, quattro scontrini di una macelleria, 55 euro per un giubbotto.
Gran parte dei prodotti, sembra emergere dagli interrogatori e dalle memorie difensive, sono doni di rappresentanza per terzi. “Quanto alle spese dei singoli consiglieri – spiega Gianfranco Moretton, consigliere regionale del Pd – io non intervenivo. I consiglieri consegnavano le ricevute all’impiegata che non esercitava alcun controllo e rimborsava la spesa. Se ci fosse stata qualche spesa abnorme credo che l’impiegata sarebbe venuta a dirmelo e avremmo bloccato il rimborso, ma in concreto non è mai accaduto. Io non guardavo gli scontrini, non ritenevo fosse mio compito controllare scontrini e ricevute”.
Per le adozioni? “Le adozioni a distanza – spiega Luca Ponti, avvocato di Moretton – sono le destinazioni finali di risorse a una congregazione di suore di via Treppo a Udine. Erano loro a stabilire come utilizzare i soldi. Sono azioni solidaristiche tipiche espressioni del gruppo sul territorio”. Insomma, beneficenza con i soldi dei contribuenti.

venerdì 12 ottobre 2012

Campania, indagine su 38 assunti all’Astir “a loro insaputa”. - Vincenzo Iurillo


'Sono stato assunto a mia insaputa' Napoli, inchiesta su lavoro e politica

L’inchiesta della Procura di Napoli sulle assunzioni compiute dalla spa pubblica che si occupa di bonifiche due giorni prima delle elezioni regionali del 2010. Contratti biennali, rescissi in anticipo dalla giunta Caldoro. Dai verbali storie di colloqui mai avvenuti. Indagato ex assessore della giunta Bassolino.

Assunti a loro insaputa. Senza aver sostenuto un colloquio. Senza ricordare di aver presentato domanda. Un paio di indagati hanno farfugliato risposte di questo tenore alle domande degli inquirenti. Il posto di lavoro come la vincita di una lotteria senza nemmeno procurarsi il biglietto. Inverosimile? E’ agli atti di un’inchiesta sulle assunzioni a chiamata diretta in un carrozzone nato con la giunta di Antonio Bassolino, l’Astir spa, società a capitale interamente pubblico della Regione Campania che si occupa di bonifiche ambientali. La segue il pm di Napoli Giancarlo Novelli, il magistrato che sta facendo le pulci alle spese senza rendiconto del consiglio regionale della Campania.
Le indagini si focalizzano su 38 contratti a tempo determinato biennale (la giunta Caldoro li interromperà nel luglio 2011, con un anno di anticipo). Contratti deliberati violando il patto di stabilità della Regione e avviati due giorni prima delle elezioni del 2010. Circostanza che non appare una coincidenza, se associata al fatto che l’assessore regionale che coprì politicamente l’operazione, Corrado Gabriele, è risultato tra i primi eletti in consiglio nel Pd, partito in cui era appena confluito dopo una decennale militanza in Rifondazione Comunista. Non sono formalizzate accuse di voto di scambio, ma Gabriele è indagato per abuso d’ufficio insieme ai beneficiari delle assunzioni e all’ex amministratore unico della spa, Domenico Semplice, per cinque anni sindaco Ds di Caivano (Napoli), per una vicenda che è uno spaccato illuminante di come si dispensano posti di lavoro nelle aziende controllate dalla politica e foraggiate coi soldi nostri.
Appunto. Come si arrivava a lavorare per l’Astir? Concorso? Procedura ad evidenza pubblica? Nulla di tutto questo, secondo le indagini della Procura che ha contestato un reato grave, la violazione del principio costituzionale di imparzialità e trasparenza dell’attività della Pubblica amministrazione. Indovinare il momento in cui l’Astir aveva bisogno di personale era un segreto accessibile – pare – solo agli smanettoni del computer o a qualche fortunato di cui parleremo in seguito. Convocati nel settembre 2011 davanti a un ufficiale dei carabinieri per spiegare in che modo avevano appreso che l’azienda pubblica assumeva, gli assunti dell’infornata pre-elettorale hanno detto quasi tutti la stessa cosa: avrebbero letto un annuncio sul sito Internet dell’Astir (cosa ben diversa da un bando pubblico) e inviato un curriculum. Poi hanno ricevuto il telegramma di convocazione, hanno fatto un corso di formazione in un palazzone del quartiere di Poggioreale, e alla fine si sono infilati una tuta blu e sono andati in giro per cantieri e strade statali per effettuare lavori di ripulitura e di bonifica. Qualcuno ha fatto un colloquio, qualcun altro no. Sono persone dalle storie più disparate: operai edili, cuochi, idraulici, un geometra che ha appena chiuso lo studio “perché le cose non andavano bene”, bidelli, segretari di scuole private in difficoltà. Quasi tutti senza competenze specifiche nel settore ambientale, ma che hanno bisogno di uno stipendio e si industriano per ottenere un posto qualsiasi per arrivare a fine mese. Uno di loro dice di aver saputo che l’Astir cercava personale perché glielo avevano detto alcuni dipendenti che si erano fermati a bere un caffè al bar che frequentava. Un altro ha sul groppone una condanna di quattro mesi: faceva parte di una lista di disoccupati organizzati che per protesta aveva occupato gli uffici dell’assessore Gabriele, titolare della delega al Lavoro. Viene assunto anche lui nonostante l’Astir richiedesse tra la documentazione necessaria il certificato penale e dei carichi pendenti.
La musica cambia negli interrogatori dell’ottobre successivo. Per i quali si fanno vivi i pm titolari di alcune inchieste parallele confluite poi nel fascicolo di Novelli. Viene sentito il figlio di un ex consigliere provinciale. Dice di non ricordarsi in che modo ha saputo che l’Astir assumeva. Ha dimenticato di aver sottoscritto la scheda-colloquio, rinvenuta dagli inquirenti in una precedente perquisizione degli uffici della società, che dovrebbe essere l’unica traccia di una presunta ‘selezione’. In sostanza l’uomo non sa spiegare il percorso tramite il quale si è ritrovato a lavorare con una busta paga di circa 1500 euro al mese. Una canzone simile a quella cantata dal cugino di un importante sindacalista. Tutto il contrario dell’intraprendenza rivelata a verbale da una signora abbastanza famosa negli ambienti politici napoletani per avere sconfitto in una tornata elettorale interna al Pd Bassolino in persona.
La signora dice subito di essere una militante democratica e di aver chiesto in giro ad amici e compagni di partito di segnalarle opportunità di impiego. Quando ha saputo che l’Astir stava avviando procedure di stabilizzazione degli ex lsu, si è fatta avanti: “In questi casi c’è bisogno anche di personale amministrativo, ho pensato”. Ma mette le mani avanti, giura che nessuno l’ha raccomandata, e che anzi Semplice, pur conoscendola da anni e presenziando al colloquio, l’aveva invitata a cercare un posto altrove. In ogni caso, viene assunta anche lei. Per modo di dire, perché i contratti dovevano durare due anni e invece verranno interrotti a metà per iniziativa del Governatore Caldoro, preoccupato per lo sforamento dei conti, stroncando sul nascere le speranze dei 38 dipendenti che speravano di entrare nel circuito dei rinnovi che è il preludio della stabilizzazione a tempo indeterminato.
Era accaduto in passato e poteva accadere in futuro. La delibera di Caldoro fu accompagnata da numerose polemiche e spaccò il Pd tra favorevoli e contrari. Il capogruppo Peppe Russo, schierato coi primi, ha denunciato di aver ricevuto minacce. E’ stato sentito come testimone nell’ambito dell’inchiesta di Novelli. Nel fascicolo c’è una sua intervista a Il Mattino in cui reputa giusti i tagli. C’è pure un comunicato del maggio 2010 di un assessore regionale del nuovo corso, Marcello Taglialatela. L’esponente del Pdl parla espressamente di “clientele”: “Tali assunzioni, perfezionate nei giorni immediatamente successivi alle elezioni regionali alle quali concorreva lo stesso assessore Gabriele, ma il cui iter era stato certamente avviato in data antecedente alla tornata elettorale, appaiono potenzialmente ispirate dalla volontà dello stesso assessore di conseguire un vantaggio in termini elettorali”. Gabriele lo ha querelato. Ma sotto inchiesta è finito lui.