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martedì 10 marzo 2020

La Settimana del Blog #102.



di Beppe Grillo – Eccoci qui, stiamo attraversando un periodo davvero difficile, siamo dinnanzi ad un evento globale, un evento che ci fa capire come siamo tutti collegati, come solo una singola città sperduta in un angolo del mondo possa influenzare l’intero pianeta.
Ma possiamo anche capire che lo stesso vale per le rivoluzioni, per le scoperte, per i cambiamenti. Ogni settimana proprio qui riassumiamo quello che ci ha più colpito, le scoperte che ci hanno fatto sobbalzare, quelle che a breve sconvolgeranno positivamente il mondo, dandogli lo scossa che gli serve.
Ed infatti abbiamo iniziato con la notizia di una nuova via per trattare le patologie tumorali, chiamata “il proiettile magico”. Ecco di cosa si tratta.
Abbiamo poi parlato della pelle artificiale sviluppata da un team di ricercatori per consentire ai robot di provare dolore. Questo potrebbe portare i robot a mostrare e provare empatia per noi esseri umani. Ecco il video e i possibili sviluppi.
Poi ci siamo occupati di un problema poco noto, il business delle colonnine elettriche. Si paga tanto, devi scappare di corsa e non si ha nessun servizio. Ecco, il quadro attuale, leggete qui!
É arrivata la notizia che la Svezia sta testando la sua moneta virtuale. Una vera e propria valuta elettronica nazionale lanciata dalla banca centrale svedese che utilizza la tecnologia blockchain. Ecco cosa sta succedendo.
Poi Google ha lanciato uno strumento per capire quali immagini sono dei fake e quali no. Ecco come funziona.
Godetevi “Guardians of Life”, un corto con Joaquin Phoenix che lancia un messaggio chiaro: in questo momento storico, i guardiani della nostra terra sono i popoli indigeni, che rischiano la propria vita in nome del nostro pianeta. Se non lo avete visto, guardatelo!
Ed un’altra notizia allarmante in ambito ambientale: la metà delle spiagge del mondo potrebbe scomparire entro il 2100. Ecco il recente studio.
Ci siamo occupati anche della resistenza agli antibiotici. Una nuova scoperta ci da finalmente un’alternativa. Leggete qui.
Abbiamo concluso questa settimana pubblicando la sintesi del report Keep It On, dell’associazione Access Now, che si batte per un internet gratuito e libero per tutti. In questo rapporto Access Now rivela che i governi di tutto il mondo bloccano sempre di più l’accesso ad Internet, spesso per reprimere il dissenso, ancor di più durante le proteste o le elezioni. Ecco i dati allarmanti.

Come sempre vi auguro una piacevole domenica e vi lascio con questo scritto di Albert Einstein:
“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.
La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura.
È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera se stesso senza essere ‘Superato’.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e da più valore ai problemi che alle soluzioni.
La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza.
L’inconveniente delle persone e delle Nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita.
Senza la crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c’è merito.
È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lieve brezze.
Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo, invece, lavoriamo duro.
Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa,
che è la tragedia di non voler lottare per superarla.”

venerdì 26 gennaio 2018

George Soros contro Facebook e Google: "Pericolose per la democrazia, ma i loro giorni sono contati".

BLOOMBERG VIA GETTY IMAGES
George Soros, billionaire and founder of Soros Fund Management LLC, speaks at an event on day three of the World Economic Forum (WEF) in Davos, Switzerland, on Thursday, Jan. 25, 2018. World leaders, influential executives, bankers and policy makers attend the 48th annual meeting of the World Economic Forum in Davos from Jan. 23 - 26. Photographer: Simon Dawson/Bloomberg via Getty Images

Il finanziere a Davos attacca Trump: "Un pericolo per il mondo, ma è un fenomeno passeggero che sparirà nel 2020 o anche prima".


George Soros contro i giganti del web. Il finanziere attacca senza giri di parole Google e Facebook, soddisfatto dell'arrivo - almeno in Europa - di regole e tasse che frenano il loro strapotere. "I gruppi dei social media sfruttano il contesto sociale, tolgono autonomia di pensiero e inducono dipendenza", evitando al tempo stesso ogni responsabilità su quello che viene divulgato tramite le loro reti, ha detto a Davos al World economic forum.
Secondo Soros, Facebook e Google sono diventati monopoli che sono un ostacolo stesso all'innovazione da cui sono nati. Ora "influenzano il modo in cui le persone pensano e si comportano, senza che le persone se ne accorgono" e questo può avere gravi conseguenze per la democrazia, particolarmente sull'integrità delle elezioni. "La loro straordinaria redditività è in gran parte funzione del fatto che evitano responsabilità per i contenuti - che non pagano - delle loro piattaforme", ha continuato Soros. Le social media companies "ingannano i loro utenti manipolando la loro attenzione e dirigendola verso i loro obiettivi commerciali, provocando deliberatamente la dipendenza ai servizi che forniscono, il che è molto pericoloso soprattutto per gli adolescenti". Ma non è solo questo: "nella nostra era digitale le social media companies stanno inducendo le persone ad abbandonare la loro autonomia. E le persone senza libertà di pensiero possono essere manipolate con facilità. È un pericolo attuale e ha già svolto un ruolo importante nelle elezioni presidenziali americane".
Per fortuna, aggiunge ancora Soros, "Davos è un buon posto per annunciare che i loro giorni sono contati: sono in arrivo tasse e regole e la commissaria Ue alla Concorrenza Vestager sarà la loro nemesi".
Altro obiettivo di George Soros è Donald Trump. "Penso che l'amministrazione Trump sia un pericolo per il mondo. Ma la considero un fenomeno passeggero che sparirà nel 2020 o anche prima", ha detto il finanziere. "Riconosco che Trump ha motivato i suoi sostenitori in modo brillante, ma per ogni fan ha anche creato un numero maggiore di oppositori che hanno motivazioni ugualmente forti. Alle elezioni di mid-term di quest'anno mi aspetto una netta vittoria dei democratici", aggiunto Soros il finanziere e filantropo di origine ungherese.
...disse l'uomo più potente della terra che NON conosceva il significato della parola democrazia... I mass media invece, secondo il suo parere, non tolgono autonomia di pensiero, non inducono indipendenza? E che dire delle persone senza libertà di pensiero, è meglio manipolarle attraverso i mass media asserviti al suo potere?

venerdì 20 febbraio 2015

Cos’è il Brain Project di Obama. - Giulietto Chiesa

Sarà qualcosa di analogo al “Progetto Genoma” e produrrà frutti altrettanto copiosi di quelli che inondarono la genetica e le borse valori dell’Occidente. In un campo, tuttavia, del tutto diverso. Si chiamerà infatti “Brain Project” (Brain, per semplicità, per Brain Research Through Advancing Innovative Neurotechnologies) e dovrà produrre un gigantesco balzo in avanti della conoscenza del funzionamento del cervello umano, consentendo di vedere da vicino, dall’interno, come l’individuo percepisce il mondo esterno e quell’altro mondo che gli è proprio, il luogo dove confluiscono i miliardi e miliardi di informazioni che vengono dai miliardi e miliardi di cellule del corpo umano. Che è – quest’ultima parte – all’incirca il 98% di tutta l’attività cerebrale.
Il Brain si propone di sapere da dove nascono – e come – pensieri, sensazioni, sentimenti, ricordi. Fin dove si spinge la coscienza, dove sconfina nell’inconscio. Anzi, di più, cos’è la coscienza. E dove si trova.
Mai ci si era proposti un compito così immenso. Tanto che, con le idee e le tecnologie di ieri, lo si sarebbe definito, sic et simpliciter, impossibile.
Ma non finisce qui. Così sarebbe solo un esercizio calligrafico di bravura scientifica: qualcosa per confermare ancora una volta a noi stessi quanto siamo bravi a dominare la Natura, quanto siamo prometeici, quanto ci piacciono le sfide. No, nei tempi della fine dell’abbondanza, queste soddisfazioni costano – e possono rendere – assai. Non ci s’imbarca in un’avventura di queste dimensioni se non si pensa di poterne trarre un vantaggio. Tanti vantaggi. Il primo dei quali è immediatamente economico, sebbene ve ne siano molti, da sbandierare, e altri di cui è bene parlare sottovoce, almeno per il momento. Non è una corporation quella che si propone una tale cornucopia di obiettivi: è l’America in persona, quella che impugna la fiaccola della libertà. E’ lo Stato che ha dominato il XX secolo quello che rilancia la posta di una partita che non è più certo di poter vincere nel XXI. Certo, gli Stati Uniti, in quanto Stato, impersonano possenti interessi di dominio che non sono solo statuali. Ma sono questi interessi a dettare la rotta. Il Brain è il loro prolungamento. Forse un protrarsi fatale, vedremo.
Ma quello che appare evidente, fin da subito, è che si tratta di un progetto pazzescamente realizzabile. Qualcuno, assai bene informato, afferma che è già in fase di realizzazione, alla chetichella, da non poco tempo (James Martin, “The Meaning of the XXI Century”). Già decine di laboratori, negli Stati Uniti e altrove, sono impegnati a studiare il collegamento tra l’intelligenza umana e l’intelligenza artificiale. Cioè a trasferire capacità umane  - come la visione, la comprensione dei linguaggi, gli stessi processi decisionali che caratterizzano il cervello umano – nelle “macchine di calcolo”. E viceversa.
Attenzione, perché il viceversa è proprio la novità del Brain: significa letteralmente trasferire nel cervello umano alcune delle capacità non umane di elaborazione di quantità sterminate di dati, e anche di trasferire almeno in parte, le velocità superumane di realizzazione di tali elaborazioni.  E l’idea di stabilire una connessione tra due intelligenze qualitativamente diverse, inconfrontabili, ma che hanno elementi basilari di funzionamento comuni. Tra questi, in primo luogo, il linguaggio binario. E’ qui che la tecnologia è l’elemento determinante. Prima non c’era, adesso c’è. Cosa ne verrà fuori non lo sa nessuno. Ci affacciamo su un altro abisso inesplorato, guardando il quale, dal luogo in cui ci troviamo, si possono intravvedere ombre inquietanti. Tant’è che lo stesso Obama si è sentito in bisogno – annunciando il progetto – di informare il pubblico che verrà istituita una qualche “commissione etica” con l’incarico di studiare le ripercussioni che una tale esplorazione potrà implicare. Sappiamo che le commissioni etiche hanno scarse munizioni a disposizione contro i possenti interessi di cui stiamo parlando. Dunque cerchiamo di restare nel campo del realismo. I rischi sono enormi.
Il Brain è dunque una vera e propria “nuova frontiera”, destinata in ogni caso a proiettare Barack Obama nella rosa dei presidenti americani che hanno fatto la storia del futuro. Eppure, quando il lancio è stato effettuato, nel marzo 2013, il clamore, curiosamente, è stato contenuto in poche righe. Il che c’induce a dare un’occhiata più ravvicinata alla faccenda, che vada oltre le poche cose fino ad ora rese note, e anche ai primi 100 milioni di dollari stanziati per il 2014. Com’era da attendersi, gli obiettivi che sono stati messi in primo piano concernono le potenziali – per altro gigantesche – applicazioni mediche. Tutte buone. Potremo affrontare la cura dell’Alzheimer, insieme a tutte le innumerevoli malattie mentali che hanno afflitto l’Uomo nella storia, più quelle nuove, che affliggono l’uomo contemporaneo occidentale e che occupano molti dei suoi pensieri: schizofrenia, autismo e così via. Il Brain ci libererà dunque da molti mali. Come non applaudire? Di fronte a queste virtù taumaturgiche addizionali tutte le altre faccende passano in secondo piano. Le affronteremo quando si presenteranno concretamente. Perché fasciarci la testa in anticipo? E’ un procedimento obliterativo assai simile a quello che accompagnò la creazione della prima bomba atomica. I vantaggi erano lì, visibili, sottomano. Come non approfittarne? Il principio di precauzione venne dopo, quando già Hiroshima e Nagasaki – indubbi vantaggi dell’epoca – si erano realizzati e avevano cambiato la storia del mondo. E, come sappiamo, ancora oggi il principio di precauzione funziona assai poco e male. Basta pensare a Fukushima. Eppure si va avanti a tutto gas.
Quanto sia il gas che sta cominciando a bruciare per avviare il Brain lo si intuisce sfogliando l’elenco dei soggetti principali che lo faranno muovere. C’è tutto il Gotha del Potere, della scienza, della forza: agenzie federali, a cominciare da quelle militari; fondazioni private; corporations; università; interi teams di neuro-scienziati e di nano-scienziati, e – non c’era dubbio – il Pentagono in prima persona, essendo a tutti nota la sua sollecitudine verso non solo la salute mentale degli americani ma quella di tutti i sette miliardi d’individui del pianeta Terra. I primi indirizzi sono già stati indicati: Istituto Nazionale per la Salute (Nhi),  l’Agenzia della Difesa per i progetti avanzati di ricerca (Darpa), La Fondazione Nazionale della scienza (Nsf), L’istituto di ricerche mediche Howard Hughes, l’Istituto Allen per la scienza del cervello. Il “dream team” che è stato formato per cominciare è guidato da Cori Bargmann dell’Università Rockfeller e da William Newsome, dell’Università di Stanford.
Dunque proviamo a riassumere i pregi del Brain: salute e prolungamento della vita umana, di quella attiva in particolare; sviluppo di numerose tecnologie del tutto nuove in diverse direzioni; investimento a grande potenziale di resa. Dalle cifre che si metteranno in campo si desume che potrebbe essere anche un rilancio in grande stile dell’economia americana. Non a caso si è parlato fin da subito di qualcosa di simile al decennale “Progetto Genoma” (Hgp, Human Genome Project), che fu accompagnato da un investimento pubblico di circa $300 milioni annui. Che, moltiplicato per dieci, fa $ 3 trilioni. Brain andrà molto oltre. Secondo George M. Church, biologo molecolare già impegnato nell’Hgp, già adesso cifre di quest’ordine di grandezza si spendono nello studio delle neuroscienze e delle nanotecnologie (International Herald Tribune, 18 febbraio 2013).  Presumibilmente il Brain andrà ben oltre. Proviamo a moltiplicare per quattro, o cinque. In fondo Ben Bernanke tira fuori dal nulla circa 85 miliardi di dollari al mese. Nulla impedisce che si possa moltiplicare per cinque gl’investimenti in BRAIN, magari senza dirci niente. Lo stesso Obama, nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione, ha fatto un calcolo fantasmagorico: ogni dollaro investito nel Hgp ne ha fruttato 140. Se il “Progetto Genoma” ha creato profitti per $800 miliardi, proviamo a immaginare cosa potrebbe significare, per l’economia Usa, un Brain che potesse contare su 10 trilioni di $ di investimenti. Cifre che fanno sognare banchieri e politici, ancora più convinti che lo sviluppo possa continuare a essere “infinito”, nella realtà come lo è nelle loro teste. Il campo di sfruttamento più redditizio sarà quello dei 100 miliardi di neuroni del nostro cervello: territorio di ripopolamento dove si troveranno miliardi di limoni da spremere, costi quello che costi.
Mappare il cervello: lo si può fare oggi, senza aprirlo. Analogia con l’immensità degli spazi cosmici. Siamo oggi in grado di conoscere la composizione chimica di una stella distante 100 anni luce, o di un satellite di Giove, senza esserci mai andati. Addirittura senza avere neppure la speranza che qualcuno possa mai andarci, nei secoli dei secoli. Lo sappiamo dall’analisi spettroscopica. Oggi la biologia sintetica ci consente di entrare nel cervello con intere flotte di nano-astronavi capaci di raccogliere (e trasmettere all’esterno) l’attività delle cellule neuronali.
Tutto bene, tutto meraviglioso. Ma viene alla mente quello che scriveva Edgar Morin, nei “Sette Saperi”: “la genetica e la manipolazione molecolare del cervello umano permetteranno normalizzazioni e standardizzazioni finora mai riuscite con gl’indottrinamenti e le propagande sulla specie umana”. Come ci insegna Snowden (ma quanti se ne sono resi conto?), chi è in grado di spiare nei segreti (in questo caso della natura), è anche in condizioni di controllare i comportamenti (in questo caso dell’Uomo).  Scriveva John Markoff, autore dell’articolo già citato di IHT – ma solo nelle ultime cinque righe – che “gli scienziati individuano un insieme di complessi temi etici, che includono la privacy, la possibilità di leggere i pensieri e perfino una cosa che oggi riguarda la fantascienza, cioè il controllo delle menti”. Si sbagliava. Già oggi decine di centri di ricerca sono impegnati – scriveva ancora IHT il 5 aprile 2013 (Clair Cain Miller) “a leggere nelle nostre menti”, per sapere in anticipo cosa desidereremo, come possiamo comprare, dove andremo, come ci comporteremo. Lo fanno con l’intelligenza artificiale, con i motori di ricerca. Ora proviamo a immaginare un cervello artificiale che copia perfettamente un cervello umano. E poi proviamo a immaginare di poter mettere in relazione, via wifi, i due “strumenti”. E avremo un altro Uomo. Ci siamo già. E quest’uomo non ci sarà amico, perché sarà o pazzo o smisuratamente più forte di noi. L’unica cosa certa è che non sarà nessuno di noi.
Immagino gli entusiasmi degli “scienziati ebeti” che sono stati formati per credere ciecamente nel risultato immediato di ciò che creano, ma che sono incapaci di vederne le ripercussioni. E capiremo che siamo nelle dirette vicinanze del “sogno di Frankenstein”. Immagino anche gli entusiasmi degli adoratori della Rete: che bello averla direttamente connessa con il proprio cervello! Che meraviglia dilatare istantaneamente il proprio sguardo a tutto Youtube!
Dato il livello culturale e intellettuale medio dei “cittadini di Matrix”, cioè dei cittadini del Mercato, cioè ancora degli “scienziati ebeti”, e dei non meno ebeti economisti, si può scommettere che non esiteranno ad applaudire ogni aggeggio che porti vantaggio economico. Gli diranno che è utile alla salute, o alla tasca, farsi mettere qualche capsula da qualche parte. O farsi fare una “benefica” vaccinazione. Sarà una centrale trasmittente e ricevente, ma che importa ai cittadini di Google?
Ultima avvertenza, speciale per i più ottimisti: stiamo parlando non di un futuro remoto. Il Brain ci dice che, tra dieci anni, più o meno, questo futuro sarà presente. Ma tutto questo è in via di realizzazione in un contesto “disturbante”, “quando non esiste nessuna certezza riguardo chi utilizzerà questi strumenti; quando nessuno può prevedere gli effetti di medio e lungo periodo; quando il tutto si realizza in condizioni di laceranti squilibri di ricchezza, di reddito, di forza e di potere tra aree del mondo, tra Stati, popoli, civiltà, culture. Saranno i più ricchi, e i meglio armati, ad avere nelle mani  strumenti che verranno usati per accrescere il loro dominio sugli altri. Il tutto in condizioni di impressionanti sperequazioni sociali e di penuria assoluta di beni.  E non dimentichiamo che gli apprendisti stregoni sono i “masters of the Universe”, cioè la scimmia al comando. Prepariamoci all’atterraggio. 

giovedì 19 dicembre 2013

A che punto è la “web tax”.

web-tax-forbes
Durante il suo primo discorso da segretario all’Assemblea nazionale del Partito Democratico, Matteo Renzi ha criticato la cosiddetta “web tax”, un nuovo sistema di tassazione per le società attive su Internet approvata la settimana scorsa in commissione tra gli emendamenti della legge di stabilità, che dovrà essere votata dal Parlamento entro la fine dell’anno. L’iniziativa è partita da alcuni parlamentari del PD e per questo Renzi ha detto che “abbiamo infilato un problema peggio dell’altro” sul tema dell’innovazione e che argomenti come una nuova tassazione delle società su Internet debba essere affrontata in sede europea e non da un singolo stato.
La prima proposta
Di una tassa per le aziende online – specificamente indirizzata a quelle più grandi ed estere come Google, Facebook e Amazon – si parla da diverse settimane. Francesco Boccia, deputato del PD e presidente della commissione Bilancio della Camera, è stato tra i primi a proporre una “web tax” con un disegno di legge presentato lo scorso 4 ottobre. In seguito, dopo un primo accantonamento, la sua proposta è stata trasformata in un emendamento alla legge di stabilità da parte di Edoardo Fanucci (PD), che ha ricevuto in commissione Bilancio l’appoggio di Sinistra Ecologia Libertà e di Südtiroler Volkspartei, portando alla sua approvazione e al conseguente inserimento nella legge.
Le aziende online e le tasse
I promotori della “web tax” ritengono che debbano essere cambiate le regole per le società online perché quelle attuali consentono loro di registrare i loro ricavi presso un’altra società del gruppo, che spesso ha sede in un paese con una tassazione più favorevole rispetto a quella italiana. Amazon, per esempio, ha sede legale in Lussemburgo per le sue attività in Europa, mentre Facebook e Google registrano i loro ricavi in Irlanda, dove c’è una imposta sul reddito delle imprese molto favorevole. Si stima che nel 2012 Facebook abbia pagato all’Agenzia delle Entrate circa 192 mila euro, mentre Google – che è più presente con personale e attività in Italia – circa 1,8 milioni di euro a fronte di decine di milioni ricavati grazie alle inserzioni pubblicitarie o nel caso di Amazon con le vendite dirette di prodotti. È bene comunque ricordare che queste società non fanno nulla di illegittimo e sfruttano le regole del mercato unico europeo, che permettono alle società di lavorare e operare in tutti i paesi dell’Unione Europea senza dover aprire una sede legale in ciascuno di questi.
Che cosa prevede la “web tax”
Gli emendamenti approvati alla fine della settimana scorsa introducono l’obbligo di possedere una partita IVA italiana per tutte le società che acquistano e vendono pubblicità e servizi come quelli legati al commercio elettronico. I pagamenti dei ricavi derivanti dai servizi pubblicitari online dovranno essere inoltre tracciabili. Nella pratica, significa che una pubblicità da mostrare su un sito dovrà essere venduta solo da imprese registrate con partita IVA in Italia, evitando in questo modo che il nostro paese sia scavalcato nella compravendita pubblicitaria. Le pubblicità online sono spesso acquistate e vendute all’estero, con meccanismi che tagliano fuori il fisco italiano, che non può rilevare le transazioni né tassarle.
La “web tax” prevede inoltre nuovi sistemi per valutare il reddito delle società controllate italiane legato alla pubblicità online e i loro rapporti con le “aziende madre” straniere. Nell’emendamento si dice che per fare pubblicità su Internet una controllata italiana affronta costi bassi sia per quanto riguarda l’organizzazione sia per lo scarso numero di impiegati. Elementi che devono essere tenuti in considerazione per determinare reddito e successiva tassazione, dice la proposta.
Critiche
L’approvazione degli emendamenti sulla “web tax” su iniziativa del PD è stata criticata da diversi membri dello stesso partito. A metà della scorsa settimana i deputati PD Giampaolo Galli e Marco Causi avevano ottenuto l’accantonamento della proposta, ricordando che sarebbe andata contro le regole dell’Unione Europea sul mercato unico e contro quelle dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Il timore è che le nuove norme possano essere bocciate dopo il loro inserimento nel bilancio dello Stato e che quindi ci possa poi essere un buco, dovuto all’impossibilità di riscuotere la “web tax”.
Molte critiche alla proposta sono state formulate anche all’estero da diverse organizzazioni e giornali. La rivista statunitense Forbes ha pubblicato un duro articolo ricordando che l’obbligo di partita IVA italiana è “senza dubbio” in contrasto rispetto a quanto prevede la legge europea: sarebbe illegale fin dalla sua approvazione e costerebbe una sanzione all’Italia. Secondo altri una “web tax” terrebbe lontani gli investitori stranieri e renderebbe molto più complicata la gestione della pubblicità a livello globale, con conseguenze gravi per le aziende italiane che promuovono all’estero su Internet i loro prodotti.
Quanto
Nelle ultime settimane sono circolate cifre molto diverse tra loro su quanto potrebbe fruttare al fisco la “web tax”. C’è chi ha parlato di poche decine di milioni di euro, chi di qualche centinaio e chi si è spinto come Boccia a immaginare un miliardo di euro, cifra che però è in contraddizione con le stime sui ricavi complessivi della pubblicità digitale in Italia, tra i 700-800 milioni di euro all’anno. Il problema è che non è possibile fare una stima affidabile di quanto denaro porterebbe la “web tax”, né quale sarebbe l’entità del suo impatto sul settore.
Francesco Boccia
Nonostante le numerose critiche e lo stesso invito del segretario del suo partito a rivedere il provvedimento, il deputato Francesco Boccia continua a sostenere la necessità di arrivare all’applicazione di una “web tax”. In una intervista pubblicata oggi dal Tempo, spiega che “stiamo assistendo alla più grande emorragia finanziaria della storia del capitalismo”. Alla domanda sull’incompatibilità delle nuove regole con quelle previste dalle leggi europee ammette che il Trattato di Roma prevede la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone aggiungendo però che “all’epoca Internet non esisteva” (ammettendo però così l’incompatibilità della norma che propone con i trattati in vigore).
Boccia, infine, sostiene che le grandi aziende estere di Internet “in Italia non hanno mai investito un euro”. In realtà alcune delle più importanti hanno investito diverse risorse nel nostro paese. Due esempi: Google Italia ha la propria sede a Milano e ha alle sue dipendenze quasi 150 persone, che si occupano principalmente dei servizi pubblicitari che a loro volta producono un importante indotto per centinaia di aziende; Amazon ha costruito e gestisce due centri per la distribuzione delle sue merci a Castel San Giovanni (Piacenza) e prevede a pieno regime di impiegare oltre 1000 persone, cui si aggiungono i 150 del centro assistenza clienti di Cagliari, che diventeranno 500 entro i prossimi cinque anni.
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mercoledì 24 aprile 2013

Google è in prima linea per la creazione di energie rinnovabili. - Emanuele Boncimino

Post image for Google è in prima linea per la creazione di energie rinnovabili.

A Mountain View tengono alla salute del pianeta; sebbene possa sembrare una trovata pubblicitaria, gli investimenti nel campo delle rinnovabili sono arrivati a quasi un miliardo di dollari. I primi accorgimenti derivano dalla creazione di impianti eolici nelle vicinanze dei data center così come l’installazione dei pannelli solari vicino alle sedi amministrative. Questo però è nulla se non si riescono a coinvolgere anche i partner, così Google ha deciso di rendere disponibili le alternative verdi a chi ne faccia richiesta. Per l’occasione è stato creato un documento che riassume i modi e gli obbiettivi che Larry Page e soci perseguono.

La realizzazione di questi piani è giunta a compimento con lo sviluppo del data center di Lenoir. Il progetto è stato accompagnato da un programma di Duke Energy, produttore di energia elettrica, che rifornirà le grandi società alla ricerca di energia verde. L’operazione dovrebbe completarsi in circa tre mesi.
La scelta di bigG e delle compagnie che decideranno di seguire questa strada ha delle ripercussioni su larga scala: la fornitura di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili potrà arrivare anche a soggetti che non hanno le abilità o le risorse per accedervi. 
Anche in questo caso ci sono alcuni ostacoli da affrontare: le strutture deputate alla creazione di elettricità devono essere realizzate dalle società ed in molti casi una commissione statale deve approvare i progetti. Non meno importante è la programmazione che si deve fare nel calcolo tra costi e benefici per la realizzazione dell’impianto.