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giovedì 1 dicembre 2022

Trovata la chiave dell’intelligenza dei polpi, è la stessa degli esseri umani.

  I polpi, dal punto di vista evolutivo, rappresentano un caso unico: possiedono sia un grande cervello centrale, sia un sistema nervoso periferico (Fonte: Nir Friedman)


È nel vasto repertorio di piccole molecole di Rna nel tessuto nervoso.


È stata finalmente trovata la probabile chiave della grande intelligenza di polpi, calamari e seppie, ed è una caratteristica che hanno incredibilmente in comune con gli esseri umani: si tratta del vasto repertorio, osservato all’interno del tessuto nervoso, di piccole molecole di Rna, il parente a singola elica del Dna implicato in vari ruoli biologici di codifica, decodifica, regolazione ed espressione dei geni.

La scoperta, pubblicata sulla rivista Science Advances e guidata dal Centro tedesco Max Delbrück, rende questi molluschi un’eccezione unica tra gli animali invertebrati, che possono ricordare informazioni, riconoscere le persone e forse perfino sognare.

Mentre i vertebrati, in particolare primati e altri mammiferi, hanno sviluppato cervelli grandi e complessi con diverse capacità cognitive, gli invertebrati non l’hanno fatto. Con un'eccezione: i cefalopodi, cioè quei molluschi marini che comprendono polpi, calamari e seppie.

I polpi in particolare, dal punto di vista evolutivo, rappresentano un caso unico: possiedono sia un grande cervello centrale, sia un sistema nervoso periferico, che è in grado di agire in maniera indipendente.

I ricercatori si sono a lungo chiesti il perché di questa stranezza e ora il gruppo guidato da Nikolaus Rajewsky potrebbe aver trovato la risposta: le piccole molecole di Rna note come microRna. Queste strutture influenzano in particolare la produzione di proteine e in alcuni cefalopodi se ne è evoluta una grande varietà, quasi quante le centinaia prodotte dal Dna umano: “È la terza più grande espansione delle famiglie di microRna nel mondo animale e la più grande al di fuori dei vertebrati”, commenta Rajewsky. “Per dare un’idea del livello di questa espansione, altri molluschi come le ostriche hanno acquisito solo cinque nuove famiglie di microRna da quando si sono separate dall’antenato comune che hanno condiviso con i polpi – aggiunge il ricercatore – mentre questi ultimi hanno evoluto 90 nuove famiglie”.

sabato 27 marzo 2021

Geni 'zombie' si accendono nel cervello dopo la morte.

I geni 'zombie' si accendono dopo la morte nelle cellule della glia (fonte: Gerry Shaw, Wikipedia, CC BY-SA 3.0)

Scoperta utile per studi su disturbi neurologici come l'Alzheimer.

Esistono dei geni 'zombie' che si accendono nel cervello dopo la morte: si trovano nelle cellule gliali, vere e proprie 'spazzine' che nelle ore immediatamente successive al decesso rimangono attive e si ingigantiscono per ripulire i danni indotti nel sistema nervoso. Lo hanno scoperto i ricercatori dell'Università dell'Illinois a Chicago grazie a uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports: i risultati serviranno a rileggere con nuovi occhi tutte le ricerche condotte finora su tessuti cerebrali post-mortem per sviluppare nuove terapie contro disturbi neurologici come autismo, schizofrenia e Alzheimer.

“In genere questi studi partono dal presupposto che nel cervello si fermi tutto quando il cuore cessa di battere, ma non è così”, spiega il neurologo Jeffrey Loeb. “I nostri risultati serviranno a interpretare le ricerche sui tessuti cerebrali umani, semplicemente perché finora non avevamo quantificato i cambiamenti che avvengono” dopo la morte.

I ricercatori hanno infatti osservato che l'espressione dei geni nei tessuti cerebrali 'freschi' (cioè prelevati da pazienti vivi durante interventi neurochirurgici) non corrisponde a quella rilevata nei tessuti post-mortem. Lo si è visto simulando in laboratorio la morte di tessuti cerebrali freschi, mantenuti per 24 ore a temperatura ambiente. I dati dimostrano che l'80% dei geni rimane stabile per 24 ore: tra questi ci sono anche i geni necessari alle funzioni base delle cellule. Altri geni, tipici dei neuroni e coinvolti in processi come la memoria (perciò importanti per gli studi su disturbi come l'Alzheimer), tendono invece a degradare in poche ore. Allo stesso tempo aumenta l'attività di un terzo gruppo di geni 'zombie' espressi soprattutto nelle cellule gliali. I cambiamenti post-mortem culminano a 12 ore dal decesso.

“Questi dati – precisa Loeb - non vogliono dire che bisogna buttare le ricerche condotte sui tessuti umani, ma solo che bisogna tenere conto di questi cambiamenti genetici e cellulari, oltre a ridurre il più possibile l'intervallo post-mortem per ridurre l'ammontare di questi cambiamenti”.

ANSA

martedì 24 novembre 2020

Universo è sorprendentemente simile al cervello umano, ecco le incredibili somiglianze.

 

Il cervello umano può essere paragonato all’universo grazie a varie somiglianze e caratteristiche abbastanza simili secondo un nuovo interessante studio apparso sulla rivista Frontiers of Physics. Non si tratta della prima volta che si paragona il cervello umano all’universo ma probabilmente è la prima volta che questa somiglianza viene studiata in maniera analitica ed approfondita con tanto di studio scientifico revisionato.

Somiglianze tra rete di galassie e rete neuronale.

I ricercatori Franco Vazza, un astrofisico dell’Università di Bologna, e Alberto Feletti, un neurochirurgo dell’Università di Verona, hanno analizzato in particolare le somiglianze che occorrono tra la rete di neuroni del cervello degli esseri umani e la rete e delle galassie, con i suoi vari ammassi sempre più grandi e dei intricati.
In uno studio che è una sorta di incrocio tra astronomia e neurobiologia, i ricercatori propongono diverse caratteristiche che in effetti fanno assomigliare la rete galattica dell’universo osservabile e la rete neuronale dei nostri cervelli sorprendentemente simili.

Numero di galassie in universo osservabile e di neuroni simile.

I ricercatori stimano, secondo quanto mostrato dalle ultime ricerche, che il cervello umano contenga circa 69 miliardi di neuroni. D’altro canto l’universo osservabile sembra contenere un quantitativo relativamente simile, circa un centinaio di miliardi, di galassie.

Molta della massa in filamenti.

All’interno di tutti e due i sistemi, solo il 30 per cento delle loro masse è fatto da galassie e da neuroni. Molta della massa è infatti collocata in lunghi filamenti che collegano galassie e neuroni.

Somiglianza tra l’acqua nel cervello e l’energia oscura.

Infine c’è una somiglianza tra l’acqua nel cervello e l’energia oscura nell’universo osservabile: in entrambi i sistemi 70 per cento della distribuzione della massa/energia appartiene a componenti che sembrano avere un ruolo passivo.

Simulazioni.

I ricercatori non si sono limitati certo a rilevare queste somiglianze. Hanno effettuato anche delle simulazioni confrontando quelle fatte con reti di galassie e quelle eseguite con sezioni della corteccia cerebrale e del cervelletto per capire le fluttuazioni della materia e come quest’ultima si diffonde su scale così enormemente diverse.

Densità spettrale.

Come spiega lo stesso Vazza, lui e colleghi hanno misurato la densità spettrale di tutti e due i sistemi con una tecnica che in astronomia si usa per analizzare la distribuzione delle galassie nello spazio: “La nostra analisi ha mostrato che la distribuzione della fluttuazione all’interno della rete neuronale del cervelletto su una scala da 1 micrometro a 0,1 millimetri segue la stessa progressione della distribuzione della materia nella rete cosmica ma, ovviamente, su una scala più ampia che va da 5 da milioni a 500 milioni di anni luce”.

Numero medio delle connessioni di ciascun nodo.

Infine due ricercatori hanno trovato somiglianze anche per quanto riguarda il numero medio delle connessioni di ciascun nodo (uno nuovo rappresenta una galassia oppure un neurone) e per quanto riguarda la tendenza a sviluppare un numero maggiore di connessioni nei nodi centrali e più rilevanti della rete.
Anche in questo caso i parametri strutturali mostravano delle somiglianze sorprendenti, come spiega Feletti. Somiglianze che sembrano suggerire che in entrambi i sistemi la connettività delle reti si evolve in base a principi fisici che devono essere simili.

https://notiziescientifiche.it/universo-e-sorprendentemente-simile-al-cervello-umano-ecco-le-incredibili-somiglianze/?fbclid=IwAR2RkXwdVXHvCZ3V_uvbllmPh7Qx0bI6f_X6BeoD6cZam5xIidEpTHsXido

mercoledì 12 luglio 2017

Come la povertà colpisce il cervello.


A Dhaka, un bambino subisce l'elettroencefalografia per misurare l'attività cerebrale elettrica.

Alla fine degli anni '60, un team di ricercatori ha iniziato a proporre un supplemento nutrizionale alle famiglie con bambini piccoli in Guatemala rurale. Esaminavano l'ipotesi che la fornitura di proteine ​​sufficienti nei primi anni di vita ridurrebbe l'incidenza della crescita stentata.
Lo ha fatto. I bambini che hanno ricevuto integratori sono cresciuti da 1 a 2 centimetri più alti di quelli di un gruppo di controllo. Ma i benefici non si sono fermati lì. I bambini che hanno ricevuto un'alimentazione aggiuntiva hanno superato i test di lettura e di conoscenza degli adolescenti e quando i ricercatori sono tornati nei primi anni 2000, le donne che avevano ricevuto i supplementi nei primi tre anni di vita avevano completato più anni di scolarizzazione e gli uomini avevano più Redditi 1 .
"Se non ci fossero stati questi follow-up, questo studio probabilmente sarebbe stato in gran parte dimenticato", afferma Reynaldo Martorell, specialista in nutrizione materna e infantile presso la Emory University di Atlanta, Georgia, che ha condotto gli studi di follow-up. Al contrario, afferma, i risultati hanno fatto pensare agli istituti finanziari come la Banca Mondiale di pensare agli interventi nutrizionali precoci come investimenti a lungo termine per la salute umana.
Dalla ricerca guatemalteca, studi in tutto il mondo - in Brasile, Perù, Giamaica, Filippine, Kenya e Zimbabwe - hanno associato una crescita povera o stupefatta nei bambini piccoli con risultati più bassi dei test cognitivi e risultati peggiori della scuola 2 .
Un quadro emerso lentamente che essere troppo breve all'inizio della vita è un segno di condizioni avverse, come la dieta povera e gli attacchi regolari di malattia diarroica, e un predittore per i deficit intellettuali e la mortalità. Ma non tutta la crescita stupefatta, che riguarda circa 160 milioni di bambini in tutto il mondo, è collegata a questi cattivi risultati. Ora, i ricercatori stanno cercando di scorporare i legami tra crescita e sviluppo neurologico. È la cattiva alimentazione da solo il colpevole? Che cosa circa negligenza emotiva, malattie infettive o altre sfide?
Shahria Hafiz Kakon è in prima linea cercando di rispondere a queste domande nelle baraccopoli di Dhaka, in Bangladesh, dove circa il 40% dei bambini ha stentato la crescita a due anni. Come medico al Centro internazionale per la ricerca sulle malattie della diarrea, Bangladesh (icddr, b) a Dhaka, conduce il primo studio di immagini cerebrali dei bambini con una crescita stupefatta. "È un'idea molto nuova in Bangladesh per studiare immagini cerebrali", dice Kakon.
La ricerca è innovativa anche per altri aspetti. Finanziato dalla Fondazione Bill & Melinda Gates a Seattle, Washington, è uno dei primi studi a studiare come i cervelli dei neonati e dei bambini del mondo in via di sviluppo rispondano alle avversità. E promette di fornire importanti informazioni basilari sullo sviluppo della prima infanzia e sulle prestazioni cognitive.
Kakon ei suoi colleghi hanno eseguito test di risonanza magnetica (MRI) su bambini di due e tre mesi e hanno individuato regioni del cervello che sono più piccole in bambini con una crescita stentata rispetto ad altri. Usano anche altri test, come l'elettroencefalografia (EEG).
"L'imaging del cervello potrebbe potenzialmente essere molto utile" come un modo per vedere cosa sta succedendo nei cervelli di questi bambini, afferma Benjamin Crookston, scienziato della salute presso l'Università Brigham Young di Provo, Utah, che ha condotto studi in Perù e altri -come paesi che hanno segnalato un legame tra la povera crescita e gli indebiti cognitivi.

L'ombra lunga di stordimento

Nel 2006 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha segnalato un ampio studio per misurare le altezze e i pesi dei bambini tra la nascita e l'età di cinque anni in Brasile, Ghana, India, Norvegia, Oman e Stati Uniti 3 . I risultati hanno mostrato che i bambini sani e ben nutriti in tutto il mondo seguono una traiettoria di crescita molto simile e ha stabilito parametri di riferimento per la crescita atipica. La crescita stupefatta, l'OMS ha deciso, è definito come due deviazioni standard al di sotto dell'altezza media per una determinata età. Una simile differenza può sembrare sottile. A 6 mesi di età, una ragazza sarebbe considerata una crescita stupefacente se fosse lunga 61 centimetri, anche se quella è inferiore a 5 centimetri di media.
I parametri di riferimento hanno contribuito a sensibilizzare la consapevolezza della stordimento.In molti paesi, oltre il 30% dei bambini sotto i cinque anni incontrano la definizione; In Bangladesh, India, Guatemala e Nigeria, oltre il 40%. Nel 2012, il crescente consenso sugli effetti della stordimento ha motivato l'OMS a impegnarsi a ridurre il numero di bambini sotto i cinque anni con una crescita stupefatta del 40% entro il 2025.
Anche mentre i funzionari hanno iniziato ad agire, i ricercatori hanno capito che c'erano gravi lacune nei protocolli per individuare i problemi legati alla stordimento. Molti studi dello sviluppo del cervello si sono basati su test di memoria, di discorso e di altre funzioni cognitive che non sono adatte a bambini molto piccoli. "I neonati non hanno molto di un repertorio comportamentale", dice Michael Georgieff, pediatra e psicologo infantile presso l'Università del Minnesota a Minneapolis. E se i genitori e i medici devono aspettare i bambini a scuola per notare le differenze, sarà probabilmente troppo tardi per intervenire.
È qui che si inserisce l'opera di Kakon. A 1,63 metri, non è alta per gli standard occidentali, ma alla piccola clinica a Daka dove lavora, torna su gran parte dei suoi colleghi. Una mattina recente era con una madre che la aveva telefonata nel bel mezzo della notte: il figlio della donna aveva una febbre. Prima di esaminare il ragazzo, Kakon chiese a sua madre come era la famiglia e come stava facendo a scuola, come di solito fa. Molti genitori chiamano Kakon apa - una parola bengalese per la grande sorella.
Circa cinque anni fa, la Fondazione Gates è diventata interessata a seguire lo sviluppo del cervello nei bambini che vivono con avversità, in particolare la crescita stupefatta e la scarsa nutrizione. La fondazione aveva studiato le risposte dei bambini ai vaccini presso la clinica di Kakon. L'alto tasso di stordimento, insieme ai legami forti con i partecipanti della squadra, ha concluso l'affare.
Per ottenere lo studio fuori terra, la fondazione ha collegato la squadra di Dhaka con Charles Nelson, neuroscienziato pediatrico all'ospedale di Boston e alla Harvard Medical School di Massachusetts. Aveva esperienza nella formazione del cervello - e nelle avversità infantili. Nel 2000, ha iniziato uno studio che segue lo sviluppo cerebrale di bambini che erano cresciuti in orfanotrofi rumeni. Anche se alimentato e riparato, i bambini non avevano quasi alcuna stimolazione, contatti sociali o sostegno emotivo. Molti hanno sperimentato problemi cognitivi a lungo termine.
Il lavoro di Nelson ha rivelato che i cervelli degli orfani portano segni di trascuratezza. Le MRI mostrarono che all'età di otto anni avevano delle regioni più piccole di materia grigia e bianca associate all'attenzione e alla lingua rispetto ai bambini allevati dalle loro famiglie biologiche 4 . Alcuni bambini che si erano trasferiti dagli orfanotrofi in case di cura come i neonati erano risparmiati alcuni dei deficit 5 .
I bambini dello studio di Dhaka hanno un'educazione completamente diversa. Sono circondati da attrazioni, suoni e famiglie estese che spesso vivono insieme in quartieri stretti. È il "contrario dei bambini che si trovano in un presepe, fissando un soffitto bianco tutto il giorno", dice Nelson.
Ma i bambini del Bangladesh si occupano di nutrizione e sanità inadeguati. E i ricercatori non avevano esplorato gli impatti di tali condizioni nello sviluppo cerebrale. Ci sono studi di immagini cerebrali dei bambini che crescono in povertà - che, come la stordimento, potrebbero rappresentare un proxy per un'alimentazione inadeguata 6 . Ma questi si sono concentrati soprattutto sulle aree ad alto reddito, come gli Stati Uniti, l'Europa e l'Australia. Non importa quanto i bambini poveri ci sono, la maggior parte hanno alcuni cibi nutrienti, acqua pulita e idraulica, dice Nelson. Coloro che si trovano nelle baraccopoli di Dhaka vivono e giocano nei pressi di canali aperti di acque reflue. "Ci sono molti altri ragazzi come i bambini di Dhaka in tutto il mondo", dice. "E non sapevamo niente di loro da un livello di cervello".

I segni delle avversità.

Entro il 2015, la squadra di Nelson ei ricercatori del Bangladesh hanno trasformato l'umile clinica di Dhaka in un laboratorio di ultima generazione. Per la loro apparecchiatura EEG, dovevano trovare una stanza senza fili nelle pareti e senza unità di condizionamento d'aria, entrambe le quali potrebbero interferire con la capacità del dispositivo di rilevare attività nel cervello.
I ricercatori hanno inoltre istituito una stanza per la spettroscopia funzionale vicino ad infrarossi (fNIRS), in cui i bambini indossano una fascia di sensori che misurano il flusso sanguigno nel cervello. La tecnica fornisce informazioni sull'attività cerebrale simile a quella della risonanza magnetica funzionale, ma non richiede una grande macchina ei bambini non devono rimanere immobilizzati. FNIRS è stato utilizzato nei neonati dalla fine degli anni '90, e sta ora guadagnando trazione nelle impostazioni a basso reddito.
I ricercatori eseguono anche MRI, in un ospedale vicino alla clinica. Finora, hanno scansionato 12 neonati di età compresa tra 2 e 3 mesi con una crescita stentata. Simili agli orfani rumeni e ai bambini che crescono nella povertà nei paesi sottosviluppati, questi bambini hanno avuto più piccoli volumi di materia grigia che un gruppo di 20 neonati non storditi. È "notevolmente male", dice Nelson, per vedere queste differenze in una tale giovane età. È difficile dire quali regioni siano colpite in questi bambini, ma con meno materia grigia è stato associato a peggiori punteggi sui test di lingua e di memoria visiva a sei mesi.
Circa 130 bambini nello studio di Dhaka avevano test fNIRS a 36 mesi di età, ei ricercatori hanno visto modelli distinti di attività cerebrale in quelli con stunting e altre avversità. Più i bambini erano più corti, più l'attività cerebrale avevano in risposta alle immagini e ai suoni di stimoli non sociali, come i camion. I bambini più alti risposero più agli stimoli sociali, come i volti delle donne. Ciò potrebbe suggerire ritardi nel processo con cui le regioni del cervello diventano specializzate per determinati compiti, dice Nelson.
L'EEG ha rilevato un'attività elettrica più forte tra i bambini con una crescita stupefatta, insieme ad una gamma di onde cerebrali che riflettono la risoluzione dei problemi e la comunicazione tra regioni del cervello. Questa è stata una sorpresa per i ricercatori, perché gli studi in orfani e bambini poveri hanno generalmente trovato un'attività attenuata 7 . La discrepanza potrebbe essere correlata ai diversi tipi di avversità che i bambini di Dhaka si trovano ad affrontare, inclusa l'insicurezza alimentare, le infezioni e le madri con un alto tasso di depressione.
Il team di Nelson sta cercando di spiegare quali forme di avversità sembrano essere le più responsabili delle differenze nell'attività cerebrale tra i bambini Dhaka. I segnali elettrici aumentati nelle prove EEG sono fortemente legati agli aumenti dei marcatori infiammatori nel sangue, che probabilmente riflettono una maggiore esposizione agli agenti patogeni intestinali.
Se questo accade quando vengono testati più bambini, potrebbe indicare l'importanza di migliorare la sanità e ridurre le infezioni gastrointestinali. O la depressione materna potrebbe risultare fortemente legata allo sviluppo del cervello, in questo caso l'aiuto alle madri potrebbe essere altrettanto importante per assicurarsi che i loro bambini abbiano una buona nutrizione. "Non sappiamo ancora le risposte", dice Nelson.
I partecipanti testati a 36 mesi sono attualmente di circa 5 anni e la squadra si prepara a prendere alcune misure di follow-up. Questi daranno un'idea se i bambini abbiano continuato o meno sulla stessa traiettoria di sviluppo del cervello, dice Nelson. I ricercatori forniranno anche i quinquenni IQ e test di prontezza della scuola per valutare se le misure precedenti avessero predittivo le prestazioni scolastiche.

Una linea di base migliore

Una delle sfide di questi studi è che i ricercatori stanno ancora cercando di capire quale sia il normale sviluppo del cervello. Alcuni anni prima dello studio del Dhaka, una squadra di ricercatori inglesi e gambiani si impegnava a fare test EEG e fNIRS sui bambini della Gambia rurale nei primi due anni di vita. Sono stati finanziati anche dalla Fondazione Gates.
Simili allo studio di Dhaka, i ricercatori stanno esaminando come lo sviluppo del cervello è correlato a una serie di misure, tra cui l'alimentazione e l'interazione parent-child. Ma lungo la strada, stanno cercando di definire una traiettoria standard di funzione cerebrale per i bambini 8 .
C'è una grande spinta alla Fondazione Gates e agli Istituti Nazionali di Salute americani per annodare quel quadro del normale sviluppo del cervello, afferma Daniel Marks, neuroscienziato pediatrico presso l'Oregon Health & Science University di Portland e un consulente per la fondazione. "È solo un riflesso dell'urgenza del problema", dice.
Una delle speranze per lo studio di Dhaka e la motivazione per il finanziamento è che scoprirà modelli distinti nei cervelli dei bambini che prevedono i risultati deboli dopo la vita e possono essere usati per vedere se gli interventi stanno funzionando, dice Jeff Murray , Un vice direttore delle scoperte e delle scienze traduzionali presso la Fondazione Gates.
Tali interventi dovranno probabilmente includere l'alimentazione, dice Martorell. Lui ei suoi colleghi stanno facendo un altro studio di follow-up degli abitanti del Guatemala per vedere se coloro che hanno ottenuto integratori proteici prima dell'età di 7 hanno tassi più bassi di malattie cardiache e diabete 40 anni dopo. Ma solo la nutrizione è improbabile che sia sufficiente - per prevenire lo stordimento o per promuovere lo sviluppo cognitivo normale, dice Martorell. Finora gli interventi nutrizionali più riusciti hanno contribuito a superare circa un terzo del deficit tipico dell'altezza. E tali programmi possono essere molto costosi; Nello studio di Guatemala, ad esempio, i ricercatori hanno eseguito centri speciali per fornire supplementi.
Tuttavia, i ricercatori stanno cercando di migliorare gli interventi. Un gruppo coinvolto nello studio vaccino in Bangladesh sta progettando di testare integratori in donne in gravidanza nella speranza di aumentare il peso alla nascita dei bambini e mantenere la loro crescita in pista nei primi due anni di vita. Tahmeed Ahmed, direttore senior della nutrizione e dei servizi clinici del centro di ricerca sulle malattie della diarrea, sta pianificando un processo di cibi come banane e ceci, per cercare di promuovere la crescita di batteri buoni nel Bangladeshi dai 12 ai 18 mesi. Una comunità batterica sana potrebbe rendere l'intestino meno vulnerabile alle infezioni che interferiscono con l'assorbimento dei nutrienti e che aumentano l'infiammazione nel corpo.
In fin dei conti, non si tratta di se i bambini hanno stunted crescita o anche che cosa il loro cervello assomigliano. Si tratta di ciò che le loro vite sono come quando invecchiano. Studi come quello di Dhaka si sforzano di determinare se gli interventi stanno lavorando prima e non più tardi. "Se dovete aspettare fino a quando i ragazzi sono di 25 anni per vedere se sono impiegati," dice Murray, "potrebbe prendere 25 anni per fare ogni studio".
(Tradotto da google)

domenica 11 ottobre 2015

Ricreato in provetta un cervello invecchiato.


Il tessuto del cervello invecchiato riprodotto in laboratorio (fonte: Salk Institute)

Da neuroni ottenuti riprogrammando cellule della pelle.


Ricreato in provetta un 'cervello' invecchiato. Per la prima volta si è riusciti a coltivare e invecchiare in laboratorio dei neuroni umani ricavati dalla pelle. Il risultato, merito del lavoro dei ricercatori del Salk Institute e descritto sulla rivista Cell Stem Cell, è un eccezionale banco di prova per studiare malattie neurodegenerative legate all'invecchiamento, come Alzheimer e Parkinson, e per sperimentare farmaci. 

La particolarità di questa tecnica è che i neuroni ricavati hanno caratteristiche genetiche che riflettono l'età del paziente. ''Per la prima volta abbiamo dimostrato che non solo l'identità genetica specifica di una persona, ma anche i segni legati all'invecchiamento possono essere studiati in laboratorio su neuroni umani viventi'', osserva Fred Gage, coordinatore dello studio. Finora infatti chi si è occupato di invecchiamento si è affidato a moscerini, vermi e topi. 
Più recentemente si è riusciti a prendere delle cellule dai pazienti e a riprogrammarle, trasformandole in cellule staminali pluripotenti (ipsc), che possono essere propagate per generare cellule cerebrali in numero sufficiente per sperimentazioni. Ma il problema di queste cellule è che somigliano a quelle caratteristiche primi stadi dello sviluppo embrionale, e quindi l'età vera del paziente viene azzerata, lasciando dei neuroni ringiovaniti. 

In questo caso invece i ricercatori hanno prelevato le cellule della pelle di 19 persone di età compresa fra 1 a 89 anni e le hanno riprogrammate per trasformarle in neuroni. Quindi hanno confrontato i neuroni così ottenuti con quelli prelevati da autopsie. Il confronto ha permesso di individuare le caratteristiche dei neuroni delle persone più anziane. La stessa tecnica, secondo i ricercatori, potrebbe essere utilizzata per studiare i cambiamenti indotti dall'invecchiamento in altri tessuti, come quelli di fegato e cuore.


http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/biotech/2015/10/09/ricreato-in-provetta-un-cervello-invecchiato_727ce3fc-f616-49df-aa4f-198406755bfe.html?idPhoto=1

venerdì 20 febbraio 2015

Cos’è il Brain Project di Obama. - Giulietto Chiesa

Sarà qualcosa di analogo al “Progetto Genoma” e produrrà frutti altrettanto copiosi di quelli che inondarono la genetica e le borse valori dell’Occidente. In un campo, tuttavia, del tutto diverso. Si chiamerà infatti “Brain Project” (Brain, per semplicità, per Brain Research Through Advancing Innovative Neurotechnologies) e dovrà produrre un gigantesco balzo in avanti della conoscenza del funzionamento del cervello umano, consentendo di vedere da vicino, dall’interno, come l’individuo percepisce il mondo esterno e quell’altro mondo che gli è proprio, il luogo dove confluiscono i miliardi e miliardi di informazioni che vengono dai miliardi e miliardi di cellule del corpo umano. Che è – quest’ultima parte – all’incirca il 98% di tutta l’attività cerebrale.
Il Brain si propone di sapere da dove nascono – e come – pensieri, sensazioni, sentimenti, ricordi. Fin dove si spinge la coscienza, dove sconfina nell’inconscio. Anzi, di più, cos’è la coscienza. E dove si trova.
Mai ci si era proposti un compito così immenso. Tanto che, con le idee e le tecnologie di ieri, lo si sarebbe definito, sic et simpliciter, impossibile.
Ma non finisce qui. Così sarebbe solo un esercizio calligrafico di bravura scientifica: qualcosa per confermare ancora una volta a noi stessi quanto siamo bravi a dominare la Natura, quanto siamo prometeici, quanto ci piacciono le sfide. No, nei tempi della fine dell’abbondanza, queste soddisfazioni costano – e possono rendere – assai. Non ci s’imbarca in un’avventura di queste dimensioni se non si pensa di poterne trarre un vantaggio. Tanti vantaggi. Il primo dei quali è immediatamente economico, sebbene ve ne siano molti, da sbandierare, e altri di cui è bene parlare sottovoce, almeno per il momento. Non è una corporation quella che si propone una tale cornucopia di obiettivi: è l’America in persona, quella che impugna la fiaccola della libertà. E’ lo Stato che ha dominato il XX secolo quello che rilancia la posta di una partita che non è più certo di poter vincere nel XXI. Certo, gli Stati Uniti, in quanto Stato, impersonano possenti interessi di dominio che non sono solo statuali. Ma sono questi interessi a dettare la rotta. Il Brain è il loro prolungamento. Forse un protrarsi fatale, vedremo.
Ma quello che appare evidente, fin da subito, è che si tratta di un progetto pazzescamente realizzabile. Qualcuno, assai bene informato, afferma che è già in fase di realizzazione, alla chetichella, da non poco tempo (James Martin, “The Meaning of the XXI Century”). Già decine di laboratori, negli Stati Uniti e altrove, sono impegnati a studiare il collegamento tra l’intelligenza umana e l’intelligenza artificiale. Cioè a trasferire capacità umane  - come la visione, la comprensione dei linguaggi, gli stessi processi decisionali che caratterizzano il cervello umano – nelle “macchine di calcolo”. E viceversa.
Attenzione, perché il viceversa è proprio la novità del Brain: significa letteralmente trasferire nel cervello umano alcune delle capacità non umane di elaborazione di quantità sterminate di dati, e anche di trasferire almeno in parte, le velocità superumane di realizzazione di tali elaborazioni.  E l’idea di stabilire una connessione tra due intelligenze qualitativamente diverse, inconfrontabili, ma che hanno elementi basilari di funzionamento comuni. Tra questi, in primo luogo, il linguaggio binario. E’ qui che la tecnologia è l’elemento determinante. Prima non c’era, adesso c’è. Cosa ne verrà fuori non lo sa nessuno. Ci affacciamo su un altro abisso inesplorato, guardando il quale, dal luogo in cui ci troviamo, si possono intravvedere ombre inquietanti. Tant’è che lo stesso Obama si è sentito in bisogno – annunciando il progetto – di informare il pubblico che verrà istituita una qualche “commissione etica” con l’incarico di studiare le ripercussioni che una tale esplorazione potrà implicare. Sappiamo che le commissioni etiche hanno scarse munizioni a disposizione contro i possenti interessi di cui stiamo parlando. Dunque cerchiamo di restare nel campo del realismo. I rischi sono enormi.
Il Brain è dunque una vera e propria “nuova frontiera”, destinata in ogni caso a proiettare Barack Obama nella rosa dei presidenti americani che hanno fatto la storia del futuro. Eppure, quando il lancio è stato effettuato, nel marzo 2013, il clamore, curiosamente, è stato contenuto in poche righe. Il che c’induce a dare un’occhiata più ravvicinata alla faccenda, che vada oltre le poche cose fino ad ora rese note, e anche ai primi 100 milioni di dollari stanziati per il 2014. Com’era da attendersi, gli obiettivi che sono stati messi in primo piano concernono le potenziali – per altro gigantesche – applicazioni mediche. Tutte buone. Potremo affrontare la cura dell’Alzheimer, insieme a tutte le innumerevoli malattie mentali che hanno afflitto l’Uomo nella storia, più quelle nuove, che affliggono l’uomo contemporaneo occidentale e che occupano molti dei suoi pensieri: schizofrenia, autismo e così via. Il Brain ci libererà dunque da molti mali. Come non applaudire? Di fronte a queste virtù taumaturgiche addizionali tutte le altre faccende passano in secondo piano. Le affronteremo quando si presenteranno concretamente. Perché fasciarci la testa in anticipo? E’ un procedimento obliterativo assai simile a quello che accompagnò la creazione della prima bomba atomica. I vantaggi erano lì, visibili, sottomano. Come non approfittarne? Il principio di precauzione venne dopo, quando già Hiroshima e Nagasaki – indubbi vantaggi dell’epoca – si erano realizzati e avevano cambiato la storia del mondo. E, come sappiamo, ancora oggi il principio di precauzione funziona assai poco e male. Basta pensare a Fukushima. Eppure si va avanti a tutto gas.
Quanto sia il gas che sta cominciando a bruciare per avviare il Brain lo si intuisce sfogliando l’elenco dei soggetti principali che lo faranno muovere. C’è tutto il Gotha del Potere, della scienza, della forza: agenzie federali, a cominciare da quelle militari; fondazioni private; corporations; università; interi teams di neuro-scienziati e di nano-scienziati, e – non c’era dubbio – il Pentagono in prima persona, essendo a tutti nota la sua sollecitudine verso non solo la salute mentale degli americani ma quella di tutti i sette miliardi d’individui del pianeta Terra. I primi indirizzi sono già stati indicati: Istituto Nazionale per la Salute (Nhi),  l’Agenzia della Difesa per i progetti avanzati di ricerca (Darpa), La Fondazione Nazionale della scienza (Nsf), L’istituto di ricerche mediche Howard Hughes, l’Istituto Allen per la scienza del cervello. Il “dream team” che è stato formato per cominciare è guidato da Cori Bargmann dell’Università Rockfeller e da William Newsome, dell’Università di Stanford.
Dunque proviamo a riassumere i pregi del Brain: salute e prolungamento della vita umana, di quella attiva in particolare; sviluppo di numerose tecnologie del tutto nuove in diverse direzioni; investimento a grande potenziale di resa. Dalle cifre che si metteranno in campo si desume che potrebbe essere anche un rilancio in grande stile dell’economia americana. Non a caso si è parlato fin da subito di qualcosa di simile al decennale “Progetto Genoma” (Hgp, Human Genome Project), che fu accompagnato da un investimento pubblico di circa $300 milioni annui. Che, moltiplicato per dieci, fa $ 3 trilioni. Brain andrà molto oltre. Secondo George M. Church, biologo molecolare già impegnato nell’Hgp, già adesso cifre di quest’ordine di grandezza si spendono nello studio delle neuroscienze e delle nanotecnologie (International Herald Tribune, 18 febbraio 2013).  Presumibilmente il Brain andrà ben oltre. Proviamo a moltiplicare per quattro, o cinque. In fondo Ben Bernanke tira fuori dal nulla circa 85 miliardi di dollari al mese. Nulla impedisce che si possa moltiplicare per cinque gl’investimenti in BRAIN, magari senza dirci niente. Lo stesso Obama, nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione, ha fatto un calcolo fantasmagorico: ogni dollaro investito nel Hgp ne ha fruttato 140. Se il “Progetto Genoma” ha creato profitti per $800 miliardi, proviamo a immaginare cosa potrebbe significare, per l’economia Usa, un Brain che potesse contare su 10 trilioni di $ di investimenti. Cifre che fanno sognare banchieri e politici, ancora più convinti che lo sviluppo possa continuare a essere “infinito”, nella realtà come lo è nelle loro teste. Il campo di sfruttamento più redditizio sarà quello dei 100 miliardi di neuroni del nostro cervello: territorio di ripopolamento dove si troveranno miliardi di limoni da spremere, costi quello che costi.
Mappare il cervello: lo si può fare oggi, senza aprirlo. Analogia con l’immensità degli spazi cosmici. Siamo oggi in grado di conoscere la composizione chimica di una stella distante 100 anni luce, o di un satellite di Giove, senza esserci mai andati. Addirittura senza avere neppure la speranza che qualcuno possa mai andarci, nei secoli dei secoli. Lo sappiamo dall’analisi spettroscopica. Oggi la biologia sintetica ci consente di entrare nel cervello con intere flotte di nano-astronavi capaci di raccogliere (e trasmettere all’esterno) l’attività delle cellule neuronali.
Tutto bene, tutto meraviglioso. Ma viene alla mente quello che scriveva Edgar Morin, nei “Sette Saperi”: “la genetica e la manipolazione molecolare del cervello umano permetteranno normalizzazioni e standardizzazioni finora mai riuscite con gl’indottrinamenti e le propagande sulla specie umana”. Come ci insegna Snowden (ma quanti se ne sono resi conto?), chi è in grado di spiare nei segreti (in questo caso della natura), è anche in condizioni di controllare i comportamenti (in questo caso dell’Uomo).  Scriveva John Markoff, autore dell’articolo già citato di IHT – ma solo nelle ultime cinque righe – che “gli scienziati individuano un insieme di complessi temi etici, che includono la privacy, la possibilità di leggere i pensieri e perfino una cosa che oggi riguarda la fantascienza, cioè il controllo delle menti”. Si sbagliava. Già oggi decine di centri di ricerca sono impegnati – scriveva ancora IHT il 5 aprile 2013 (Clair Cain Miller) “a leggere nelle nostre menti”, per sapere in anticipo cosa desidereremo, come possiamo comprare, dove andremo, come ci comporteremo. Lo fanno con l’intelligenza artificiale, con i motori di ricerca. Ora proviamo a immaginare un cervello artificiale che copia perfettamente un cervello umano. E poi proviamo a immaginare di poter mettere in relazione, via wifi, i due “strumenti”. E avremo un altro Uomo. Ci siamo già. E quest’uomo non ci sarà amico, perché sarà o pazzo o smisuratamente più forte di noi. L’unica cosa certa è che non sarà nessuno di noi.
Immagino gli entusiasmi degli “scienziati ebeti” che sono stati formati per credere ciecamente nel risultato immediato di ciò che creano, ma che sono incapaci di vederne le ripercussioni. E capiremo che siamo nelle dirette vicinanze del “sogno di Frankenstein”. Immagino anche gli entusiasmi degli adoratori della Rete: che bello averla direttamente connessa con il proprio cervello! Che meraviglia dilatare istantaneamente il proprio sguardo a tutto Youtube!
Dato il livello culturale e intellettuale medio dei “cittadini di Matrix”, cioè dei cittadini del Mercato, cioè ancora degli “scienziati ebeti”, e dei non meno ebeti economisti, si può scommettere che non esiteranno ad applaudire ogni aggeggio che porti vantaggio economico. Gli diranno che è utile alla salute, o alla tasca, farsi mettere qualche capsula da qualche parte. O farsi fare una “benefica” vaccinazione. Sarà una centrale trasmittente e ricevente, ma che importa ai cittadini di Google?
Ultima avvertenza, speciale per i più ottimisti: stiamo parlando non di un futuro remoto. Il Brain ci dice che, tra dieci anni, più o meno, questo futuro sarà presente. Ma tutto questo è in via di realizzazione in un contesto “disturbante”, “quando non esiste nessuna certezza riguardo chi utilizzerà questi strumenti; quando nessuno può prevedere gli effetti di medio e lungo periodo; quando il tutto si realizza in condizioni di laceranti squilibri di ricchezza, di reddito, di forza e di potere tra aree del mondo, tra Stati, popoli, civiltà, culture. Saranno i più ricchi, e i meglio armati, ad avere nelle mani  strumenti che verranno usati per accrescere il loro dominio sugli altri. Il tutto in condizioni di impressionanti sperequazioni sociali e di penuria assoluta di beni.  E non dimentichiamo che gli apprendisti stregoni sono i “masters of the Universe”, cioè la scimmia al comando. Prepariamoci all’atterraggio.