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mercoledì 31 luglio 2019

Facebook rischia di chiudere, ha contro i giovani (e Soros). - Massimo Bordin



Ci sono almeno 3 indizi che portano verso un’inaspettata chiusura del più grande social media del mondo. Il primo è quello di cui tutti parlano oggi: un ipermegamultone che si aggiunge alle rogne pregresse di Zuckerberg; ben presto la politica dovrà mettere mano alla faccenda con una manovra antitrust, anche e soprattutto in vista delle elezioni americane del 3 novembre. C’è chi, come business insider, scommette sulla chiusura di Facebook e parla di una operazione in grande stile che il governo post-Trump dovrà attuare. La vicenda di Cambridge Analytica è a tutti nota, e ora si è aggiunta solo l’indiscrezione per la cifra da pagare a seguito di violazione della privacy: cinque miliardi di dollari. La più elevata mai imposta dalla Federal Trade Commission contro un’azienda di tecnologia. Attenzione, non sarebbe certo la prima volta che accade qualcosa del genere ad un’azienda di grandi dimensioni. E penso alla compagnia petrolifera Standard Oil, fondata da Rockefeller nel 1870 e smembrata per decreto nel 1911 dall’antitrust americana.
A detta degli espertoni, questo è il più grande rischio che oggi corre Facebook, perché uno smembramento comporterebbe cambiamenti epocali, tali da snaturare l’idea stessa del “faccialibro” per come esso nacque nell’ormai preistorico 2004. Il secondo indizio allieterà senza dubbio i gusti dei complottisti – di gran lunga la categoria umana che preferisco e della quale mi vanto di far parte, nonostante il neologismo sia demenziale e colpisca scorrettamente tutti quelli che propongono dei dubbi. Si tratta di Soros, amici. Eh già, il vecchio volpone dell’economia globalista da qualche tempo attacca Facebook senza remore. «Affermano che distribuiscono solamente informazioni – ha affermato il capitalista ungherese – ma in realtà sono quasi distributori monopolisti, e questo li rende servizi pubblici. Dovrebbero pertanto essere soggetti a regolamentazioni più stringenti mirate a preservare la competizione, l’innovazione e un accesso universale, leale ed aperto». Soros ha poi paragonato Facebook e Google ai casinò, che «progettano deliberatamente la dipendenza ai servizi che forniscono».
Ma qual è la ragione di questo attacco? Non lo sappiamo, ma da buon complottista ipotizzo che Facebook abbia dato voce a tutti, minando così le cristalline certezze provenienti dai media tradizionali. Insomma, Soros finanzia i liberal sparsi per il mondo, ma chi contesta i liberal è “fuori controllo” grazie a internet. A mio avviso è evidente che lui odi la Rete. Ad esempio, il vegliardo spende una vagonata di soldi per far salire al potere la Hillary Clinton, eppoi la Rete aiuta la visibilità di Donald Trump. Inaccettabile per un lobbysta che si rispetti! Ma è il terzo indizio quello che mi induce a ritenere Facebook avviata al tramonto o ad un profondo rimescolamenteo delle (sue) carte. Il social, infatti, ha dei picchi di utenza che ben presto saranno ridimensionati dal fatto che i millennials non si iscrivono più a questo tipo di social. In altre parole, la disaffezione dei giovani costringerà Zuckerberg alla chiusura in modo molto più determinante delle decisioni dell’Antitrust.
Ve lo ricordate Myspace? E SecondLife? Tutta bella roba caduta in disuso per assenza di grano, altro che antitrust! Com’è noto, infatti, le nuove generazioni preferiscono Instagram (sempre di proprietà di Zuckerberg) dove praticamente non si parla di politica (e Soros qui non sbrocca, guardacaso), o Tinder, la nuova Bibbia per i segaioli impenitenti. Insomma, immagini taroccate e app per rimorchiare potranno continuare, Facebook rischia invece grosso. Se non cambia pelle. Dovesse accadere, comunque, non tutto il male viene per nuocere. Chi è noiosamente e ampollosamente affezionato ai “discorsi lunghi” potrà infatti tornare ai vecchi cari blog (ehehehe), ai forum, oppure alle nuove app come Telegram, società di messaggistica e canali in stile blog informativi che ha sede nel Regno Unito, ma che è stata fondata dall’imprenditore russo Pavel Durov. Con un cognome così direi che il rischio smembramento è quanto mai remoto.
(Massimo Bordin, “Facebook verrà chiuso”, dal blog “Micidial” del 29 luglio 2019)

venerdì 26 gennaio 2018

George Soros contro Facebook e Google: "Pericolose per la democrazia, ma i loro giorni sono contati".

BLOOMBERG VIA GETTY IMAGES
George Soros, billionaire and founder of Soros Fund Management LLC, speaks at an event on day three of the World Economic Forum (WEF) in Davos, Switzerland, on Thursday, Jan. 25, 2018. World leaders, influential executives, bankers and policy makers attend the 48th annual meeting of the World Economic Forum in Davos from Jan. 23 - 26. Photographer: Simon Dawson/Bloomberg via Getty Images

Il finanziere a Davos attacca Trump: "Un pericolo per il mondo, ma è un fenomeno passeggero che sparirà nel 2020 o anche prima".


George Soros contro i giganti del web. Il finanziere attacca senza giri di parole Google e Facebook, soddisfatto dell'arrivo - almeno in Europa - di regole e tasse che frenano il loro strapotere. "I gruppi dei social media sfruttano il contesto sociale, tolgono autonomia di pensiero e inducono dipendenza", evitando al tempo stesso ogni responsabilità su quello che viene divulgato tramite le loro reti, ha detto a Davos al World economic forum.
Secondo Soros, Facebook e Google sono diventati monopoli che sono un ostacolo stesso all'innovazione da cui sono nati. Ora "influenzano il modo in cui le persone pensano e si comportano, senza che le persone se ne accorgono" e questo può avere gravi conseguenze per la democrazia, particolarmente sull'integrità delle elezioni. "La loro straordinaria redditività è in gran parte funzione del fatto che evitano responsabilità per i contenuti - che non pagano - delle loro piattaforme", ha continuato Soros. Le social media companies "ingannano i loro utenti manipolando la loro attenzione e dirigendola verso i loro obiettivi commerciali, provocando deliberatamente la dipendenza ai servizi che forniscono, il che è molto pericoloso soprattutto per gli adolescenti". Ma non è solo questo: "nella nostra era digitale le social media companies stanno inducendo le persone ad abbandonare la loro autonomia. E le persone senza libertà di pensiero possono essere manipolate con facilità. È un pericolo attuale e ha già svolto un ruolo importante nelle elezioni presidenziali americane".
Per fortuna, aggiunge ancora Soros, "Davos è un buon posto per annunciare che i loro giorni sono contati: sono in arrivo tasse e regole e la commissaria Ue alla Concorrenza Vestager sarà la loro nemesi".
Altro obiettivo di George Soros è Donald Trump. "Penso che l'amministrazione Trump sia un pericolo per il mondo. Ma la considero un fenomeno passeggero che sparirà nel 2020 o anche prima", ha detto il finanziere. "Riconosco che Trump ha motivato i suoi sostenitori in modo brillante, ma per ogni fan ha anche creato un numero maggiore di oppositori che hanno motivazioni ugualmente forti. Alle elezioni di mid-term di quest'anno mi aspetto una netta vittoria dei democratici", aggiunto Soros il finanziere e filantropo di origine ungherese.
...disse l'uomo più potente della terra che NON conosceva il significato della parola democrazia... I mass media invece, secondo il suo parere, non tolgono autonomia di pensiero, non inducono indipendenza? E che dire delle persone senza libertà di pensiero, è meglio manipolarle attraverso i mass media asserviti al suo potere?

giovedì 19 dicembre 2013

A che punto è la “web tax”.

web-tax-forbes
Durante il suo primo discorso da segretario all’Assemblea nazionale del Partito Democratico, Matteo Renzi ha criticato la cosiddetta “web tax”, un nuovo sistema di tassazione per le società attive su Internet approvata la settimana scorsa in commissione tra gli emendamenti della legge di stabilità, che dovrà essere votata dal Parlamento entro la fine dell’anno. L’iniziativa è partita da alcuni parlamentari del PD e per questo Renzi ha detto che “abbiamo infilato un problema peggio dell’altro” sul tema dell’innovazione e che argomenti come una nuova tassazione delle società su Internet debba essere affrontata in sede europea e non da un singolo stato.
La prima proposta
Di una tassa per le aziende online – specificamente indirizzata a quelle più grandi ed estere come Google, Facebook e Amazon – si parla da diverse settimane. Francesco Boccia, deputato del PD e presidente della commissione Bilancio della Camera, è stato tra i primi a proporre una “web tax” con un disegno di legge presentato lo scorso 4 ottobre. In seguito, dopo un primo accantonamento, la sua proposta è stata trasformata in un emendamento alla legge di stabilità da parte di Edoardo Fanucci (PD), che ha ricevuto in commissione Bilancio l’appoggio di Sinistra Ecologia Libertà e di Südtiroler Volkspartei, portando alla sua approvazione e al conseguente inserimento nella legge.
Le aziende online e le tasse
I promotori della “web tax” ritengono che debbano essere cambiate le regole per le società online perché quelle attuali consentono loro di registrare i loro ricavi presso un’altra società del gruppo, che spesso ha sede in un paese con una tassazione più favorevole rispetto a quella italiana. Amazon, per esempio, ha sede legale in Lussemburgo per le sue attività in Europa, mentre Facebook e Google registrano i loro ricavi in Irlanda, dove c’è una imposta sul reddito delle imprese molto favorevole. Si stima che nel 2012 Facebook abbia pagato all’Agenzia delle Entrate circa 192 mila euro, mentre Google – che è più presente con personale e attività in Italia – circa 1,8 milioni di euro a fronte di decine di milioni ricavati grazie alle inserzioni pubblicitarie o nel caso di Amazon con le vendite dirette di prodotti. È bene comunque ricordare che queste società non fanno nulla di illegittimo e sfruttano le regole del mercato unico europeo, che permettono alle società di lavorare e operare in tutti i paesi dell’Unione Europea senza dover aprire una sede legale in ciascuno di questi.
Che cosa prevede la “web tax”
Gli emendamenti approvati alla fine della settimana scorsa introducono l’obbligo di possedere una partita IVA italiana per tutte le società che acquistano e vendono pubblicità e servizi come quelli legati al commercio elettronico. I pagamenti dei ricavi derivanti dai servizi pubblicitari online dovranno essere inoltre tracciabili. Nella pratica, significa che una pubblicità da mostrare su un sito dovrà essere venduta solo da imprese registrate con partita IVA in Italia, evitando in questo modo che il nostro paese sia scavalcato nella compravendita pubblicitaria. Le pubblicità online sono spesso acquistate e vendute all’estero, con meccanismi che tagliano fuori il fisco italiano, che non può rilevare le transazioni né tassarle.
La “web tax” prevede inoltre nuovi sistemi per valutare il reddito delle società controllate italiane legato alla pubblicità online e i loro rapporti con le “aziende madre” straniere. Nell’emendamento si dice che per fare pubblicità su Internet una controllata italiana affronta costi bassi sia per quanto riguarda l’organizzazione sia per lo scarso numero di impiegati. Elementi che devono essere tenuti in considerazione per determinare reddito e successiva tassazione, dice la proposta.
Critiche
L’approvazione degli emendamenti sulla “web tax” su iniziativa del PD è stata criticata da diversi membri dello stesso partito. A metà della scorsa settimana i deputati PD Giampaolo Galli e Marco Causi avevano ottenuto l’accantonamento della proposta, ricordando che sarebbe andata contro le regole dell’Unione Europea sul mercato unico e contro quelle dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Il timore è che le nuove norme possano essere bocciate dopo il loro inserimento nel bilancio dello Stato e che quindi ci possa poi essere un buco, dovuto all’impossibilità di riscuotere la “web tax”.
Molte critiche alla proposta sono state formulate anche all’estero da diverse organizzazioni e giornali. La rivista statunitense Forbes ha pubblicato un duro articolo ricordando che l’obbligo di partita IVA italiana è “senza dubbio” in contrasto rispetto a quanto prevede la legge europea: sarebbe illegale fin dalla sua approvazione e costerebbe una sanzione all’Italia. Secondo altri una “web tax” terrebbe lontani gli investitori stranieri e renderebbe molto più complicata la gestione della pubblicità a livello globale, con conseguenze gravi per le aziende italiane che promuovono all’estero su Internet i loro prodotti.
Quanto
Nelle ultime settimane sono circolate cifre molto diverse tra loro su quanto potrebbe fruttare al fisco la “web tax”. C’è chi ha parlato di poche decine di milioni di euro, chi di qualche centinaio e chi si è spinto come Boccia a immaginare un miliardo di euro, cifra che però è in contraddizione con le stime sui ricavi complessivi della pubblicità digitale in Italia, tra i 700-800 milioni di euro all’anno. Il problema è che non è possibile fare una stima affidabile di quanto denaro porterebbe la “web tax”, né quale sarebbe l’entità del suo impatto sul settore.
Francesco Boccia
Nonostante le numerose critiche e lo stesso invito del segretario del suo partito a rivedere il provvedimento, il deputato Francesco Boccia continua a sostenere la necessità di arrivare all’applicazione di una “web tax”. In una intervista pubblicata oggi dal Tempo, spiega che “stiamo assistendo alla più grande emorragia finanziaria della storia del capitalismo”. Alla domanda sull’incompatibilità delle nuove regole con quelle previste dalle leggi europee ammette che il Trattato di Roma prevede la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone aggiungendo però che “all’epoca Internet non esisteva” (ammettendo però così l’incompatibilità della norma che propone con i trattati in vigore).
Boccia, infine, sostiene che le grandi aziende estere di Internet “in Italia non hanno mai investito un euro”. In realtà alcune delle più importanti hanno investito diverse risorse nel nostro paese. Due esempi: Google Italia ha la propria sede a Milano e ha alle sue dipendenze quasi 150 persone, che si occupano principalmente dei servizi pubblicitari che a loro volta producono un importante indotto per centinaia di aziende; Amazon ha costruito e gestisce due centri per la distribuzione delle sue merci a Castel San Giovanni (Piacenza) e prevede a pieno regime di impiegare oltre 1000 persone, cui si aggiungono i 150 del centro assistenza clienti di Cagliari, che diventeranno 500 entro i prossimi cinque anni.
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sabato 9 novembre 2013

Come e perché Facebook sta “fregando” utenti e clienti.

Come e perché Facebook sta “fregando” utenti e clienti
Eh si: questa volta Facebook ha sul serio superato ogni limite. Con le ultime, disastrose modifiche apportate all’Edge Rank (l’algoritmo che decide quali post far visualizzare sulla newsfeed degli iscritti), il social network più famoso al mondo ha letteralmente tagliato le gambe a tutti i gestori di pagine fan e, al contempo, ha chiuso ogni utente in una sorta di recinto virtuale dove l’interazione con i propri contatti è sempre più ristretta, ripetitiva e limitata. Anche se come sempre i responsabili negano gli effetti devastanti delle ultime modifiche (come di consueto applicate senza preavviso ed in maniera unilaterale), di fatto il social in blu si è trasformato in una sorta di condominio virtuale dove, se hai 4500 amici e sei iscritto a 300 pagine fan, ti ritrovi nella newsfeed praticamente sempre gli stessi contenuti, a volte addirittura ripetuti in loop. Controllate voi stessi sulle vostre rispettive home: vi capiterà di scorgere quasi esclusivamente i post di amici con i quali interagite spesso, anche più volte nel giro di pochi minuti. Oppure vedrete post vecchi di giorni comparire in alto solo perché hanno collezionato tanti “mi piace” ed altrettante condivisioni e commenti o sono di quelli a pagamento.
In estrema sintesi, da un po’ di tempo Facebook ha deciso di stuprare la propria natura, ciò che lo ha reso tanto diffuso e soprattutto rivoluzionario. Come? Modificando l’algoritmo che decreta quanta visibilità concedere ai contenuti condivisi dai suoi utenti. Se un tempo c’era grande alternanza, eterogeneità e possibilità di scoperta del nuovo, oggi ci si ritrova in maniera sempre più stringente ad essere profilati e poi automaticamente “indirizzati” verso un range molto limitato di amici e contenuti. Questo perché la nuova regola è semplice quanto stupida: se tizio interagisce abbastanza con determinate pagine e contatti, allora vedrà i post di tali pagine e tali contatti comparire sulla sua newsfeed sempre più spesso. Se però smette, allora le pagine e i contatti “trascurati”, vengono inesorabilmente oscurati. La home di chi vi scrive, ad esempio, è praticamente priva di ogni contenuto postato dalle centinaia di pagine fan alle quali sono iscritto e mi rimanda gli aggiornamenti di stato, i post e le interazioni delle solite 30-40 persone (a dispetto delle oltre 4500 che ho tra i contatti) che più si confrontano con me, lasciando commenti e like ai contenuti che posto. Spesso mi capita addirittura di scorgere lo stesso aggiornamento di stato dello stesso amico più di una volta lungo la stessa time line e questo soprattutto sui dispositivi mobiie (dove l’effetto dell’algoritmo è ancora peggiore).
Qualcuno a questo punto potrà osservare che tutto sommato è meglio così: indirizzati verso qualcosa che ci interessa e verso le persone con le quali chiacchieriamo con più piacere e frequenza, potremo fare pulizia tra contatti e contenuti superflui. Peccato, però, che in questo modo si precluda agli iscritti l’attività senza dubbio più interessante e utile del social in blu e cioè la scoperta anche casuale di pensieri e persone, quel meraviglioso caos di stimoli disparati che tanto manca a chi, come il sottoscritto, usa Facebook dalla fine del 2006. E peccato, soprattutto, che con simili algoritmi si censuri di fatto coloro che si occupano di fare informazione senza tramutarsi in una sorta di prostitute dei click e dell’interazione. Senza, cioè, farsi ossessionare dal numero di like, condivisioni e mi piace ottenuti dai post diffusi attraverso le proprie pagine ed i propri profili personali. Insomma: non parliamo di adolescenti intenti a postare frasi stucchevoli ed immagini glitterose ma di giornali online e professionisti della comunicazione che devono diffondere contenuti di un certo tipo, non per forza virali o “viralizzabili” per venire incontro ai capriccio di mister Facebook e dei suoi utenti più nevrotici e superficiali.
Ma l’aspetto più clamoroso ed odioso, riguarda i cosiddetti “promoted post” e cioè quei contenuti che vengono promossi pagando cifre anche molto alte. Neppure in quel caso, infatti, il nuovo algoritmo assicura un risultato certo e chiaro in termini di visibilità ed efficacia. Come confermato dai test noi effettuati nelle ultime settimane e stando a quanto confermano anche le riviste specializzate, l’utente-cliente può anche pagare 200 euro nella speranza di raggiungere un numero più elevato di fan o, in alternativa, potrà “acquistare” nuovi fan promuovendo la propria pagina. Tuttavia, per quel contenuto a pagamento, varrà la stessa regola utilizzata per tutti gli altri post e cioè: poche interazioni, poca visibilità concessa. Se nessuno regala like, commenti e condivisioni, quel contenuto che avete pagato per vedere diffuso, magari anche oggettivamente interessante, verrà automaticamente oscurato dall’algoritmo. Allo stesso modo, quindi, anche se compriamo spendendo cifre esorbitantanti 100.000 nuovi fan per la nostra bella pagina, solo un numero esiguo di questi ultimi visualizzerà i nostri post, tutti gli altri saranno letteralmente tenuti in ostaggio dall’Edge Rank di ultima generazione e rimarranno “parcheggiati” potenzialmente in eterno in zone d’ombra (la nostra pagina più grande ha oltre 350.000 iscritti e post visualizzati da 80 persone). Di fatto, questo significa vendere fumo e dare zero possibilità di recesso e/o reclamo ai consumatori. Non solo: se pagate e la vostra campagna inizia proprio durante uno dei non pochi aggiornamenti/problemi tecnici riscontrati dal social, nessuno vi rimborserà la cifra sborsata. E il servizio clienti? Meglio non considerarlo visto che risponde una volta su dieci, se siete particolrmente fortunati ed insistenti. I blocchi ingiustificati di account e la rimozione altrettanto arbitraria ed imprevedibile dei contenuti postati? Idem (nessuno ci ha ad esempio spiegato come mai, un nostro articolo sulla psoriasi, sia stato segnalato da qualche utente bontempone, rimosso da tutte le pagine sulle quali era stato diffuso e, cosa ancora più grave, abbia causato il blocco di un mese a tutti gli account amministratori). Facebook si è quotato in borsa, ha avuto un disperato bisogno di tramutare i suoi iscritti in prodotti da vendere e clienti da spremere ma non ha saputo offrire alcuno strumento professionale e chi lo utilizza, appunto, per lavoro e non solo per condividere foto con frasi da baci perugina e video di gattini fuffolosi o patetici sfoghi autoreferenziali. Chi lavora e mantiene aziende e dipendenti grazie all’utilizzo professionale dei social network, deve ovviamente anche essere pronto a pagare per tale utilizzo che possiamo definire commerciale. Ma poi, coloro che offrono il servizio, devono garantire trasparenza, assistenza ed una policy decisamente più affidabile e partecipativa. Non è possibile, per chi gestisce portali d’informazione, svegliarsi un mattino, ritrovarsi con un calo di traffico pari al 50% ed essere obbligato ad investire decine di migliaia di euro praticamente al buio per mantenere un trend che prima veniva garantito gratuitamente. E non è possibile che le autorità garanti del caso dormano e non si decidano ad intervenire in maniera ferma nei confronti di questi giganti senza volto che spesso, troppo spesso, si comportano da vere e proprie divinità digitali che in nessun caso devono dar conto delle proprie azioni (o non azioni). Se ti “puniscono” tu puoi solo pregare inviando una mail o una segnalazione e sperare che qualcuno, prima o poi, risponda.
Con questo editoriale, YOUng spera di poter ricevere il supporto di altre realtà editoriali medio-grandi e di numerosi professionisti di settore per portare avanti una protesta comune e chiedere a Facebook Italia un tavolo di confronto con le aziende che, da anni, lavorano incessantemente ed indirettamente anche per il social network che le ospita, mantenendolo attivo e vivo. In merito agli utenti, è decisamente odioso il relegarli a semplici prodotti da profilare e poi rivendere, privandoli di fatto della possibilità di un’interazione più ampia e di una selezione meno rigida e ripetitiva dei contenuti visualizzati nella propria newsfeed. Che il social resti social e non si tramuti in asocial-truffa-network.

domenica 21 luglio 2013

Facebook compra l'azienda del genio italiano che il nostro Paese ha respinto.

     Mark Zuckerberg, fondatore e azionista di maggioranza di Facebook (Reuters)

Il colosso Usa acquista la «Monoidics» di Dino Distefano, siciliano a Londra: «Fa il miglior software di debugging».

LONDRA - L’Italia entra nel «cervello» di Facebook. Parliamo del suo cervello tecnologico, dei suoi software, dei suoi algoritmi. Ed il merito di questo passaggio, di questa «conquista» (enfatizzando un po’) è di Dino Distefano il genio informatico che viene dalla provincia catanese (è di Biancavilla) ma è poi migrato a Londra perché per lui nelle università italiane non c’era posto.
L’ACQUISIZIONE – Cominciamo con l’ultimo capitolo della sua storia. Facebook ha comperato la «Monoidics», la start up che lo stesso ricercatore quarantenne, oggi docente alla Queen Mary University, ha fondato coi suoi amici e colleghi (Cristiano Calcagno un altro italiano, poi Peter O’Hearn e il coreano Hongseak Yang). E’ un team affiatato di scienziati che ha stabilito il suo quartier generale nell’East londinese, nella «Silicon Valley» londinese.
IL PROGRAMMA – Dino Distefano, che partendo dall’ «età della pietra» come ha sempre confessato, cioè dalla passione adolescenziale per il Commodore, è arrivato a guadagnarsi nel novembre scorso il premio più prestigioso della Royal Society, ha inventato e brevettato il «software dei software», ovvero quella «medicina» che consente di monitorare preventivamente i sistemi tecnologici, correggendo in tempo gli errori e impedendone il default.
MONOIDICS – Il «software dei software», chiamato Infer, ha da subito attirato le attenzioni di grandi multinazionali del settore aerospaziale e automobilistico (ad esempio Airbus e Mitsubishi lo hanno adottato per rilevare i difetti dell’elettronica sui velivoli prima dell’accensione dei motori e degli impianti di frenata). Ora il colpo grosso.
FACEBOOK – Il colosso dei social network ha proposto alla Monoidcs l’accordo: vi compriamo, entrate e lavorate per noi nella nostra sede di Londra. Il motivo lo spiegano gli stessi responsabili di Facebook: «Monoidics produce il migliore software di analisi di altri software, in grado di identificare ed eliminare i bug. Ed è ciò che noi intendiamo utilizzare per le nostre applicazioni destinate ai dispositivi mobili».
LE CONSEGUENZE - In pratica, Facebook vuole eliminare i difetti riscontrati nella digitazione e nella consultazione del social network attraverso i cellulari e i tablet. Per farlo ha valutato e ha scelto: l’intero team dello scienziato Dino Distefano entra nella società di Mark Zuckerberg (i contenuti economici non sono ancora noti). Così in Facebook scorrerà sangue italiano, anche se di nostre eccellenze costrette alla fuga.

martedì 16 ottobre 2012

Ecco di che cosa parla il nuovo premio nobel per l'economia Alvin Roth. - Sergio Di Cori Modigliani



Falsità, deliri narcisisti, faziosità, come necessaria premessa introduttiva nel presentare al pubblico italiano il pensiero del premio nobel per l’economia  2012, Alvin Roth.
Falsità, deliri narcisisti, faziosità: questo, attualmente, è lo stato dell’arte in questo cielo d’autunno italiano, in rete, su facebook, nel dibattito squallido della società civile italiana.
A differenza del 2011 quando, fondamentalmente, sui social networks c’era una spaccatura frontale tra i grandi sostenitori di Berlusconi & co. e i fieri oppositori democratici del cavaliere, oggi si è andati a finire nel buco culturale prodotto dalla TMM (Trappola Mediatica Montiana), laddove si alligna la mala pianta del pensiero unico omologato, che produce falsità, disinformazione e alterazione della realtà.  A quei tempi (era un anno fa ma sembra davvero un’altra epoca, e infatti lo era) lo schieramento di ambo le parti sembrava compatto al proprio interno, e un qualunque osservatore avrebbe addirittura potuto pensare che i partecipanti di entrambe le fazioni stessero usando delle argomentazioni razionali, logiche, ben strutturate. Da una parte avevamo coloro i quali un giorno sì e un giorno no spiegavano come l’Italia stesse andando a meraviglia, come non esistesse nessuna crisi, come non ci fosse alcun problema sociale e come il paese stesse crescendo alla grande con i conti a posto, un’economia lanciata verso il progresso, e una battaglia contro la criminalità organizzata che era stata vinta  (basterebbe citare tra questi Roberto Maroni e Giulio Tremonti, tanto per nominare i primi che mi sono venuti in mente, gli stessi che, oggi, sono alla guida trionfante della cosiddetta opposizione a Mario Monti e ogni giorno spiegano agli italiani, malati cronici di Alzheimer socio-politico.culturale, come stanno le cose e che cosa sia necessario fare per rimettere le cose a posto. Intendendo qui per “rimettere a posto”, l’attuazione di un apparente cambiamento epocale il cui fine consiste nel mantenere intatto lo status quo: gli stessi che hanno devastato e distrutto la nazione sono coloro che oggi si propongono come la nuova alternativa (campo dei moderati indignati) proprio perché sono i migliori garanti del non cambiamento.
Dall’altra parte, invece, nello schieramento opposto, la totale mancanza di idee mista a un livello inaudito di corruzione esistenziale, aveva ideato la strategia cibernetica del nemico satanizzato, per cui veniva giustificato ogni obbrobrio, qualsivoglia nefandezza, qualunque esempio privato di corruttela, ma soprattutto ogni privilegio derivante da rendita (sia finanziaria o politica o mediatica) a condizione che si dicesse sempre la frasetta magica “Berlusconi deve fare un passo indietro”, passepartout salvifico che avrebbe, magicamente, salvato la nazione, il paese, le esistenze individuali di ogni cittadino.
Poi si è verificato il miracolo tanto atteso.
Berlusconi ha fatto un passo indietro ed è venuta fuori la novità: Mario Monti.
Dopo un mesetto, preso atto che non soltanto non sarebbe cambiato nulla ma che la situazione sarebbe peggiorata inevitabilmente, allora il nemico satanizzato è diventato Mario Monti in coppia con Mario Draghi. In tal modo, l’intero campo della destra e dei moderati poteva godere di un impensabile salvacondotto verso la promozione sociale, politica e culturale, perché avevano la possibilità di far passare il discorso antagonista creando l’epica populista dell’identificazione in Monti come principale responsabile del dissesto italiota. Questo fatto, automaticamente – e in maniera subliminale perversa - consentiva ai responsabili della distruzione nazionale di potersi presentare come i nuovi antagonisti salvatori, mettendoli al riparo da qualunque tipo di recriminazione, dando quindi la stura a un totale consociativismo e a una totale falsificazione della realtà. (valga come esempio utile per tutti la scelta della Lega Nord di votare contro l’arresto dell’onorevole Cosentino, allo stesso tempo presentandolo ai propri gonzi votanti come esempio di lotta per i diritti civili, dato che il vero nemico era Mario Monti e l’Europa).
La cosiddetta opposizione si comportava nello stesso identico modo. Valga per tutti l’impossibilità di far cadere la Regione Lombardia per il rifiuto di Penati a dimettersi o la dichiarazione dell’esangue Fassina del PD dell’aprile 2012 “deve essere chiaro a tutti che la nostra posizione riguardo la politica di Mario Monti corre su un binario parallelo molto chiaro: appoggiamo in parlamento il governo, ma si tratta di un appoggio puramente tattico; strategicamente lo combattiamo e ci opponiamo”.
Questo stato di caos e confusione ha prodotto una specie di melma dove i codici si sono mescolati, dove il Senso è stato abolito, e dove è stato gonfiato, alimentato, e annaffiato il peggior aspetto dell’etnia italiana:  il tifo religioso.
L’euro non si tocca, aboliamo l’euro, salviamo le banche, fermiamo le banche, al rigore non c’è alternativa, al rigore c’è un’unica alternativa (la mia o quella del mio gruppo o setta di appartenenza), ecco i nomi dei veri poteri forti, i poteri forti non esistono, ecc.,ecc. La nuova particolarità di questa situazione (come avviene sempre nelle situazioni di “caos al basso” quando non esiste nessun programma culturalmente solido a livello strutturale) è stata quella di creare nuovi accorpamenti non più nel nome delle proprie idee, dei propri bisogni reali, delle autentiche esigenze di cambiamento, bensì di aggregati retorici di una nuova ideologia anti-ideologica, completamente priva di argomentazioni ponderate, sorretta da visioni apocalittiche di stampo complottista (a ciascuno il proprio Totem) sostenuta dalla cupola mediatica asservita che ha ben costruito la nuova religione italiota adatta ai tempi: il tecnicismo economico e la mercatizzazione dell’immaginario collettivo nazionale. E così, gli italiani – come collettivo- da furiosi sostenitori del Berlusca o validi moralisti che ne denunciavano gli squallidi festini, si sono trasformati nelle due uniche categorie socialmente accettabili: economisti e aspiranti economisti.
Il trionfo di Mario Monti.
Non è certo un caso che i due libri più importanti (regolarmente usciti, pubblicato da ottime case editrici, ben distribuiti e offerti a tutti) siano caduti nel totale silenzio collettivo.
La vera censura, oggi, consiste nel silenzio delle masse.
La vera censura, oggi, consiste nella mancanza di curiosità intellettuale.
I due libri, usciti entrambi nel tardo 2011, non a caso (il che li rendeva entrambi utilissimi strumenti) erano stati scritti da uno dei più grandi psichiatri italiani con almeno 40 anni di esperienza nell’affrontare il disagio psichico sociale collettivo (il settentrionale Prof. Vittorino Andreoli “Il danaro in testa” Rizzoli editore di Milano) e da un eccellente sociologo, competente esperto nell’analisi dei sistemi sociali complessi (il meridionale Prof. Franco Cassano “L’umiltà del male” Laterza editore di Bari). Due testi davvero utili, entrambi però con una terribile aggravante: non parlavano né di economia né di monete, né di spread né di sovranità, né di finanza né di teorie economiche salvavita. Parlavano dell’esistenza autentica, nostra.
Ma gli italiani se n’erano andati da un’altra parte: ad azzuffarsi con la bava alla bocca nel nome di teorie economiche, di teorie monetarie, di teorie finanziarie, di tecniche economiche, tecniche finanziarie, tecniche di mercato: il cavallo di battaglia dell’oligarchia finanziaria planetaria.
La massa ha pertanto assorbito il principio pubblicitario marketing di berlusconiana memoria e l’ha fatto proprio. Ormai Berlusconi e i suoi avevano vinto nell’immaginario collettivo inconscio (questo vuol dire avere il denaro in testa) e il Male, qui inteso come manipolazione subdola di coscienze fragili, perché troppo esposte per la mancanza di strumenti culturali, ha potuto con tranquillità incunearsi abbattendo ogni principio etico, ogni sbarramento culturale, ogni opposizione politica (questo vuol dire che il Male è sempre umile) trovando un humus fecondo nella nuova religione sociale del nostro tempo italiano. Con enorme soddisfazione della criminalità organizzata che vedeva finalmente spostato il pericoloso baricentro dalla lotta contro le mafie alla lotta contro “entità astratte multiformi” (la BCE, le banche, i colossi finanziari, i superpoteri, quelli dietro a, ecc.). La lotta contro entità astratte è una meraviglia da sempre auspicata dai  mafiosi. Loro temono la lotta contro i criminali in carne e ossa, la lotta contro associazioni criminali reali (magari una modesta srl.), la lotta contro gruppi criminali piccoli e anonimi e, ciò che temono più di ogni altra cosa in assoluto è la manifestazione che esiste lo Stato di Diritto e il rispetto della Legge: il loro unico nemico temuto.
E così, il montismo è diventato la prosecuzione del berlusconismo nella sua variante tecnocratica di obnubilamento delle coscienze, appiattendo una realtà che è stata trasformata nella clownerie attuale: la corrida degli economisti e l’affanno narcisista di chi li rincorre sventolando teorie economiche.
Nel nome di questa pappa si è costruito un nuovo fronte del pensiero unico omologato. Al posto dei glutei a go go della valletta di turno ben sostenuta dai politici sono venuti fuori economisti esperti nella vita delle persone. La gente, poveretta, ignara dell’andamento delle cose, è passata così dal gossip idiota e avvilente all’incorporazione del Sé come numero, aliquota, grafico in percentuale, incorporando poco a poco un’idea mercatista della vita basata sul principio religioso di totale asservimento acritico di questa o quella teoria economica. E la depressione sociale ha cominciato a dilagare perché il Numero ha sostituito l’Essenza Umana. La “teoria” ha sostituito la “narrativa esistenziale”. Casalinghe,  disoccupati, pensionati senza più ambizioni, giovani sbandati ai quali nessuno offre una bussola di riferimento autentico basata sulla comprensione psico-sociale dell’esistenza, manigoldi di varia razza, marpioni provinciali, furbi neolitici riciclati alla meno peggio come neo-profeti della nuova moda montiana, hanno messo in piedi questo autentico delirio che ha dilagato sul web in tutte le salse possibili e immaginabili.
Non esiste nessun paese d’occidente in cui gli economisti abbiano assunto un ruolo dominante nel dibattito così come è avvenuto in Italia. Seguendo le campagne elettorali in Olanda, Venezuela, Irlanda, Usa, nazioni molto diverse tra di loro, ho assistito a scontri, confronti, dibattiti, polemiche, zuffe, diatribe, legate tutti a temi (alcuni di natura locale) che si riferivano alla autentica posta in gioco: lo scontro sociale in atto tra le forze progressiste che mettono al centro del proprio programma “l’idea di Essere Umano” e le forze della conservazione oligarchica che mettono, invece, al centro del proprio programma “l’idea astratta” (che sia la Nazione, la Sovranità, il Debito Pubblico, la Moneta, il Popolo, la Teoria, è irrilevante; ciò che conta è spingere gli accorpamenti fuori dal contesto esistenziale degli individui). Gli italiani non parlano più di sé, usano ormai slogan religiosi che si rifanno a presupposte teorie economiche (e il sistema gongola), discutono di astrazioni giuridiche (e la criminalità organizzata gongola) e vivono di falsità nate sull’onda di esplosioni narcisiste. Siamo finiti dentro a un delirio pericoloso.
Ma c’è una novità.
E il ministro degli interni Anna Maria Cancellieri lo sa benissimo e ce lo ha pure detto.
E’ la persona (come essere umano) più attendibile e –per nostra fortuna- fra le più per bene dell’attuale governo in carica.
La novità consiste nel fatto che, finalmente, i militanti sbugiardano il direttivo.
I militanti della Lega Nord impongono con la forza ai propri dirigenti la linea del partito.
Il Falso degli ultimi due giorni consiste in ciò che la cupola mediatica asservita ha definito “la Lega Nord stacca la spina”. Non è vero. E’ Falso. E’ vero il contrario.
Le cose sono andate nel seguente modo: sei ore dopo l’avvenuto arresto dell’assessore alla casa della regione Lombardia, Roberto Maroni da bravo marpione al silicio ha capito subito che per lui era scattata la possibilità di sostituire Formigoni, in modo tale da poter proseguire in totale tranquillità “la gestione della regione Lombardia esattamente come prima”. Hanno convocato una riunione immediata tra Alfano, Berlusconi, Maroni, Formigoni che è durata cinque ore all’incirca, alla fine della quale hanno trovato un accordo totale. Formigoni, uomo politicamente abile, ha accettato diverse concessioni: ha capito il momentaccio. Finita la riunione, il management leghista se n’è ritornato a casa felice leccandosi i baffi all’idea della quantità di posti, aziende, appalti, sarebbero passate nelle loro mani nel nuovo governo. E qui si è verificato un fatto inatteso quanto importante. Ad eccezione di uno sparuto gruppo dei consueti cinici opportunisti, la base leghista ha dato la sua opinione. Migliaia e migliaia di e-mail, telefonate, sms, centinaia di fax hanno comunicato agli esterrefatti Maroni e Salvini che non volevano nessun accordo. Per tutta la notte deve essersi abbattuta sulla Lega Nord una gigantesca ondata di indignazione (la brava gente che ha votato per la Lega Nord pensando di essere rappresentata) al punto tale da costringere Maroni a dover comunicare alla Cancellieri ciò che stava accadendo, costringendola ad avvertire Monti e Berlusconi. Le fonti sono attendibili perché vengono dal basso, dal territorio leghista lombardo. Alle sei del mattino si era creata una situazione per cui un alto numero di persone aveva spiegato che si sarebbero presentate davanti alla Regione Lombardia e avrebbero occupato la sede del consiglio regionale. Alla fine, il management della Lega ha ceduto e all’alba hanno cambiato posizione in preda a uno stato di totale disperazione, perché la maggior parte di quei messaggi chiariva anche che non avrebbero mai più votato di nuovo per loro. E così, Matteo Salvini annuncia in pubblico, sorprendendo Formigoni (poche ore dopo l’accordo) che non c’è più nessun accordo, tradendo il patto sancito poche ore prima. Allo stesso tempo, chiedendo elezioni ad aprile per risparmiare 50 milioni di euro. Tre ore dopo la Cancellieri dichiara “tenendo presente l’attuale situazione devo affermare che siamo in una vera tangentopoli, anzi, è molto peggio di quella del 1992, per via della crisi”. Ma la Cancellieri sa benissimo che anche nel 1992 c’era la crisi, e se vogliamo fare i conti della spesa, la crisi economica italiana del 1992/1993 era almeno dieci volte peggio di quella di oggi. Basti pensare (dedicato agli amanti dell’economia finanziaria) che nel 1993 lo spread tra bpt italiani e tedeschi (oggi è intorno ai 360 punti) aveva raggiunto la cifra di 780 e l’Italia stava sull’orlo del default (ma nessuno lo diceva ufficialmente); ce lo ha spiegato dieci anni dopo, con precisione, dati, documenti e notizie, una fonte attendibilissima, il prof. Giuliano Amato, il quale veramente sa tutto perché lui fu chiamato a metterci una pezza immediata subito. Tra l’altro riuscendoci. Adesso vedremo come andrà a finire. Perché Formigoni si sente tradito (e ha ragione) e siccome è molto più forte di tutti, sa benissimo che se si va alle elezioni subito la Lega Nord perde tutto il proprio bacino elettorale e lui può rivincere, anche se si fa un partito da solo. Perché se Formigoni parla (cosa che non accadrà mai) non soltanto cade la Lombardia, ma crolla l’occidente, dato che la sua organizzazione, la memento domini, è stata diligentemente al servizio della famiglia Bush per tutto il periodo di inizio millennio, realizzando per conto terzi una serie di operazioni finanziarie di dubbia provenienza. Come è stato raccontato a suo tempo nel 2004 dal New York Times e in Italia dall’abile giornalista investigativo Gianni Barbacetto. Staremo a vedere come andrà a finire.
La vera notizia non è quella che ci hanno dato i media. La vera notizia è un’altra:, così descritta nel mio quotidiano politico surrealista: “La Lega Nord chiude l’accordo con Formigoni e il Celeste passa il bastone del comando. La base dei militanti insorge e minaccia la segreteria costringendo addirittura il prefetto ad intervenire. E così, Maroni e Salvini si arrendono all’evidenza ma chiedono tempo: hanno bisogno di almeno sei mesi per ricucire lo strappo con i loro elettori inferociti. Formigoni non ci sta. Vuole la rivincita. E la rivuole subito”.
Tra qualche giorno in Italia ci saranno i raduni della economy new age, quella che è diventata la religione mediatica dei social networks, la Modern Money Theory, denominata la MMT. Centinaia di bravi ragazzi, persone in buona fede, in cerca di una bussola, di un faro culturale, di una prospettiva esistenziale, andranno ad ascoltare la voce di chi offrirà loro ciò che viene presentato come “la teoria economica salvavite”. A spiegare il tutto ci sarà anche Warren Mosley. Chi è questo signor Mosley? Un minatore disoccupato delle Asturie? Un economista geniale? Un reduce della guerra dell’Iraq? Macchè. Si tratta di un vero e proprio sciacallo dei nostri tempi. Una persona che ha alle spalle 35 anni di attività come speculatore finanziario a Wall Street, che ha trascorso l’intera sua vita con l’ossessione di accatastare danaro, di ammassarlo, facendo anche fallire imprese, provocando licenziamenti, rovinando esistenze, animato soprattutto dalla sua bulimia di danaro. Attualmente è responsabile di uno dei più importanti “hedge fund investment” del mondo. Questo signore proviene dal mondo della finanza speculativa internazionale che sta distruggendo la vita sul pianeta e verrà in Italia a spiegare ai giovani la nuova religione del momento, cosiddetta “Teoria salva.vite” così definita dal neo-guru dell’economia (sezione aspiranti economisti) Paolo Barnard, record da guinness dei primati della  stampa internazionale: fino a quindici giorni fa ignorava che la Calabria fosse una regione in cui le istituzioni sono infiltrate e forse controllate dalla ‘ndrangheta.
Non c’è da stupirsi, quindi, se nelle pagine dei seguaci della nuova teoria religiosa economica, si siano versate poche parole sul prof. Alvin Roth.
Che è davvero tutta un’altra pasta.
Due giorni fa gli è stato attribuito il premio Nobel 2012 per l’economia, coronando la sua giusta e meritata ambizione (Warren Mosley ha come ambizione quella di entrare in joint venture con Goldman Sachs, ma per il momento ancora non ci è riuscito; ci ha provato qualche anno fa ma gli è andata male, ma questa è tutta un’altra storia).
Sono un progressista, caratterialmente ottimista, e padre di tre ragazzi.
Inevitabilmente sono portato a credere che tra 100 anni l’umanità starà molto ma molto meglio di adesso, magari dopo aver sofferto una gigantesca mattanza planetaria.
E, nei documenti storici di quell’epoca, nel 2112, qualunque sia il medium high tech che allora useranno, a differenza del 99% degli economisti attuali di cui non rimarrà memoria alcuna, a Roth verrà dedicato uno speciale e corposo capitolo.
Alvin Roth è giustamente considerato, attualmente, come il più grande rivoluzionario nel campo della teoria socio-economica della società. Le sue analisi, i suoi testi, i suoi corsi, i suoi libri, ma ciò che conta più di ogni altra cosa in assoluto, il suo curriculum vitae, sono una testimonianza palpabile della gigantesca differenza tra un rivoluzionario e un qualunque professore di teorie economiche. Ha diverse lauree e quella in economia non è la prima. Nasce come ingegnere, poi economista. Ma il suo obiettivo consiste nell’ideare “soluzioni per la gente, dispositivi applicativi dell’ingegneristica di insiemi, che consenta di costruire delle alternative valide, immediate, efficaci ed efficienti, per risolvere i problemi basici della popolazione urbana: l’abitazione, la socializzazione, l’istruzione, la sanità, al fine di modificare in meglio la qualità della propria esistenza”.
La sua svolta avviene quando incontra – teoricamente prima e poi anche nella vita vera- le analisi matematiche di un altro grande genio scienziato, il matematico John Nash (forse avrete visto il film “a beautiful mind” in cui si raccontava la sua storia di disagiato psichico, essendo lui un vero schizofrenico) e usando i modelli matematici messi a disposizione da Nash formula una nuova costruzione di “teoria dei giochi” basandosi sull’applicazione “anche di modelli altri, come ad esempio quelli dell’alta Cultura europea e della filosofia, basti per tutti l’indimenticabile testo dell’olandese  Huizinga”. Lui non si occupa di macroeconomia, bensì di microeconomia “perché lì si decide la vita degli individui e quindi è lì che bisogna operare, affrontare i problemi e risolverli: se sapete gestire una famiglia con successo di tutti i componenti, da lì sarà poi davvero facile estendere il modello a tutta la società fino alla vetta”!. Si occupa attivamente del territorio dove è cresciuto, il quartiere povero del Bronx, nello stato di New York, dove grazie alle sue consulenze risolve il problema dell’affidamento delle case popolari per conto del comune attraverso la costituzione di una “nuova formulazione di socialità economica basata sulla costituzione di forme di assemblearismo condominiale, attraverso l’ideazione di nuove forme minime di aggregazione socio-economiche per trasformare degli anonimi alveari in luoghi di ristoro psico-sociale per gli esseri umani che li abitano, creando delle zone di produzione di beni e servizi concentrici a circuito chiuso, che partono dal condominio e arrivano al condominio, sulla base dell’applicazione anche del concetto basico di bilancio sociale, in modo tale da far emergere nei componenti abitanti nel condominio l’idea base di comunità di singoli per l’insieme e non più entità anonime astratte e incomunicabili”.
Inventa anche un modello matematico che serve a pianificare nuovi modelli strategici nella gestione dei trapianti, molto attivo soprattutto nella sezione trapianti renali, che oggi, in Usa, portano il suo nome.
Al centro del modello economico da lui inventato c’è la coppia: “Mi sono chiesto: che cos’è che fa nascere la fedeltà nel rapporto tra un uomo e una donna all’interno di questa fortissima unità economico-.esistenziale-emotiva che è una coppia di esseri che decidono di convivere? Sarebbe possibile ricavarne un modello? Un parametro? Un punto di riferimento da applicare poi al sociale?”. E lo ha fatto.
Ma il punto principale della sua teoria consiste “nell’intervento per la modificazione del comportamento esistenziale” da cui la sua nomea di “inventore ed ideatore dell’economia esistenziale”.
Alvin Roth ha posto al centro dei suoi trentennali studi l’Essere Umano, con le sue contraddizioni, i suoi bisogni, i suoi desideri autentici. Si avvale e si è avvalso sempre della collaborazione di sociologi, filosofi, psichiatri, artisti, per elaborare dei modelli teorici che vengono poi sottoposti immediatamente a una prova sul campo. “L’economia non è una scienza esatta come la fisica o la matematica. Io non ho bisogno di alcuna prova per sapere che Isaac Newton o Galileo Galilei avevano ragione. Così come, se so leggere un’equazione, mi rendo conto che anche Einstein aveva ragione. Non ho bisogno di nessuna prova, di nessuna verifica. L’economia è diversa. Una teoria economica, per me, non ha alcun valore se non ho la possibilità di verificare nel sociale la sua esattezza concreta. Questa nozione rende l’economia una non-scienza. A meno che non si avvalga del principio teorico –che è ciò che io formulo- di una immediata verifica sul campo di ogni teoria, qualunque essa sia, per controllare, verificare e identificare il funzionamento nella prassi esistenziale. A me non interessa né è mai interessata la ricerca pura teorica accademica. Perché a me interessa la vita delle persone e valutare, sulla base dei miei studi e ricerche, come fare ad aiutarle per migliorare la qualità di vita delle loro esistenze”.
I suoi corsi accademici hanno una particolarità unica: quando lo studente finisce il corso, la sua vita è cambiata, nel senso letterale del termine. In California, il prof. Alvin Roth è un’icona vivente e non c’è stata alcuna sorpresa sul conferimento del nobel. E’ stata una semplice conferma.
“Ai miei studenti insegno modelli economici al fine di aiutarli a comprendere i meccanismi funzionanti  della società, sapere come funziona il meccanismo, per poi applicare le nuove nozioni alla propria esistenza, avendo sempre come fine la realizzazione delle proprie ambizioni, perché se non si realizzano i propri sogni nella propria vita non è possibile poi mettersi al servizio della collettività ed essere credibili. Chiedo sempre, all’inizio del corso, ai miei studenti: qual è il tuo sogno? E poco a poco vediamo di riuscire a costruire per ogni singolo studente un microcosmo economico per lui funzionale, psicologicamente adatto, ecologicamente sostenibile, perché la chiave sta nel costruire dei modelli individualmente sostenibili da persone diverse, mutuando la logica della teoria dei giochi, sia lineari che complessi. Il più antico e complesso sistema psico-economico mai inventato dalla specie umana sul pianeta, presente in tutte le culture, è il gioco di coppia. Ha funzionato. Grazie all’estensione di quel gioco è stata costruita la civiltà. Perché non costruirne sopra un  modello di economia sociale applicabile a ogni aspetto della vita?”
Se andate in rete, andate sul suo sito personale e andate a vedere la presentazione del corso universitario ai suoi studenti (una cinquantina di pagine) potrete avere un ottimo saggio e assaggio della sua teoria.
Il nobel al prof. Alvin Roth mi sembra davvero un’ottima notizia.
Senz’altro aiuterà Obama questa sera nel suo scontro con Romney, decisivo ai fini elettorali. E’ una mia personalissima connessione, intendiamoci, sorretta come sempre dall’ottimismo della volontà. Perché oggi, in tutti gli Usa si parlerà di lui e delle sue teorie e quindi di come l’economia debba essere messa sempre al servizio degli esseri umani e non gli esseri umani assoggettati a una teoria economica, come vuole Mario Monti e i neo-profeti della MMT, non a caso entrambi d’accordo sull’assunto dittatoriale di base “non esiste alternativa: o noi o il baratro”.
Quando il prof. Alvin Roth se ne andava in giro nel sociale a sperimentare e verificare nuove forme di alternativa esistenziale per gli umani, lo speculatore finanziario Warren Mosley era dentro Wall Street ad ammassare dollari nella finanza speculativa.
Per me, tutto ciò conta.
Perché, alla fine dei conti, la verità di ciò che noi diciamo e propaghiamo, risiede sempre nella unicità individuale delle scelte esistenziali che abbiamo fatto: dimmi come hai vissuto e ti dirò chi sei.
All’ingresso dell’università di Nanterre, a Parigi, nella facoltà di filosofia, nel maggio del 1968 c’era una gigantesca frase scritta sul muro laterale, che sintetizzava l’epoca:
“La cultura è come la marmellata, meno la si ha e più la si spalma”.
A me, la fetta di pane con la marmellata che oggi mi propongono, non piace affatto.
Preferisco le brioches.

giovedì 11 ottobre 2012

Facebook non paga le tasse: è l'antisocial network. L'Independent gli fa le pulci.

Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg

ROMA - «Antisocial network». Il titolo scelto dall'Independent per denunciare la gestione fiscale del padre di tutti i social network non lascia adito a dubbi. Facebook, stando ai dati pubblicati dal quotidiano britannico, avrebbe infatti pagato solo 238mila sterline di tasse per le sue attività nel Regno Unito a fronte d'introiti pari a 175 milioni. 

Il trucchetto utilizzato è del tutto legale ed è per altro prassi comune per i colossi dell'era 2.0 come Apple, Google e Amazon: esportare i profitti in Irlanda, dove si trova il quartier generale di Facebook per l'Europa (Amazon, dal canto suo, ha scelto invece il Lussemburgo). La cifra di 175 milioni di sterline è stata fornita dalla società di analisi indipendente Enders Analysis mentre i dati fiscali del gigante da 1 miliardo di utenti sono stati reperiti attraverso visure camerali. «È immorale che queste società di successo non paghino le tasse nei paesi in cui sono basate e fanno profitti», ha detto all'Independent John Mann, deputato laburista e membro della commissione parlamentare del Tesoro. «Traggono immensi benefici dall'infrastruttura internet del nostro Paese ma non fanno nulla per contribuire». 

Facebook non ha voluto commentare sulla stima degli affari condotti nel Regno Unito e attraverso un portavoce ha commentato: «Come è normale che sia per un'azienda presente in decine di nazioni sparse per il mondo, compiliamo report sulle nostre attività locali; queste informazioni però non rispecchiano necessariamente le performance globali quindi sarebbe un errore tirare delle conclusioni sulla base di questi report».


http://www.ilmessaggero.it/tecnologia/hitech/facebook_evade_tasse_independent_antisocial_zuckerberg/notizie/224911.shtml