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sabato 11 marzo 2017

Due storie, una sola morale. - Carlo Bertani




Quando mio fratello mi racconta una storia, sto sempre ad ascoltarlo attentamente perché raramente non ha un senso profondo: ha la capacità di vedere oltre gli eventi, come se una vicenda apparentemente banale – nella sua mente – andasse ad incasellarsi in un disegno universale. 
Per questa ragione lui non scrive, ma fa delle vignette che sono più taglienti di una lama di Damasco, e spesso qualche politico si è lamentato della sua “troppa” bravura.
Così, una sera come un’altra, mi racconta che è andato a comprare le sigarette, nella stessa tabaccheria dove vado io. 
Il negozio in oggetto ha vicino un piccolo slargo, che dovrebbe servire come fermata dell’autobus, ma è sempre occupato da automobili dei clienti che vanno a comprare le sigarette: un continuo via vai.
Proprio di fronte, ci sono due posteggi riservati: uno per i disabili e l’altro per la sosta carico/scarico di merci. Mentre il secondo, talvolta, è “invaso” (per breve tempo) da comuni automobili, quello per i disabili è “sacro” e sempre sgombro. Anche perché i vigili non scherzano.

Arriva, dunque, al negozio e posteggia l’auto nel solito slargo che i vigili tollerano che sia invaso, a patto di non lasciarci la macchina per più dei minuti che servono per andare alla rivendita. Mentre arriva, nota che un’auto dei Carabinieri s’è piazzata nel posteggio dei disabili: magari un’urgenza, roba importante, avranno i loro motivi…
Subito dopo, giunge l’auto di un disabile che, costernato, vede che il posteggio è occupato: scende e, claudicando vistosamente, chiede al Carabiniere sull’auto se può spostarsi. Apriti cielo! Il militare scende e lo investe con un diluvio d’improperi: ma cosa vuole? Se ne vada! Noi stiamo facendo il nostro dovere! Forza, via! Circolare!

Bah, meglio lasciarli ai loro diverbi…entra in tabaccheria (che ha, ovviamente, le infernali macchinette da gioco) e, appena entrato, nota subito l’altro Carabiniere: tranquillamente di fronte ad una slot-machine, che infila soldi e tira la leva. C’è coda, e deve aspettare qualche minuto che lo servano: il Carabiniere – mio fratello nota sempre tutto – è tranquillo come un angelo, non tradisce la minima emozione mentre infila soldi, osserva lo schermo, tira la leva.
Compra le sigarette ed esce: il Carabiniere continua a giocare mentre il disabile è fermo con l’auto nello slargo (è una zona a forte traffico, nemmeno pensare di trovare un posto “normale”), l’altro Carabiniere è risalito in macchina. Se ne va, e la scena che lascia è questa.

La sera, a letto, apro un vecchio libro di Sepulveda: “Il generale e il giudice” che non avevo mai letto. Diciamo subito che non è il meglio che l’ottimo scrittore cileno ha pubblicato, ma c’è una spiegazione: è stato scritto mentre Pinochet era stato fermato a Londra giacché il giudice spagnolo Garzòn lo aveva incriminato per i suoi delitti. Ovvio che, per Sepulveda, la vicenda dell’aguzzino poi tornato libero in Cile – fu, ancora una volta, la Camera dei Lord ad esprimersi contro la sua estradizione in Spagna, con l’apporto decisivo di Margareth Tatcher – scatenò dapprima speranze, poi una rabbia feroce. Si può capire.

Si tratta, ovviamente, di vicende cilene; ci sono, però, alcuni paragrafi che mi hanno colpito, come – ne sono certo – non m’avrebbero toccato profondamente, diciamo…10-15 anni fa. Vi propongo alcuni estratti:

“Il grande pericolo per la stabilità politica e la pace sociale del Cile si chiama “modello economico neoliberista”, si chiama “darwinismo economico”, si chiama “cultura del ‘si salvi chi può’”…proporre una riforma costituzionale che restituisca ai cittadini il diritto d’eleggere liberamente i loro parlamentari, affrancandoli dall’odiosa tutela dei senatori designati a vita…finché non si saprà quando e come è morto, chi è stato il suo assassino…la ferita rimarrà aperta ed è compito degli uomini onesti tenerla aperta e pulita, perché quella ferita è la nostra memoria storica.”

Il Cile, dopo il golpe del 11 Settembre 1973, ebbe una democrazia “sotto tutela” militare, finché Pinochet sedette come senatore a vita: una riforma da lui voluta e fatta approvare dal Parlamento sotto la minaccia delle armi. Dall’epoca, poco è cambiato: le antiche formazioni politiche cilene – una specie di DC e le sinistre – si sono prontamente adattate al “nuovo” che avanzava, ossia un simulacro di democrazia. Rimane l’enorme masso, pesantissimo, di dare un nome ed un volto certo agli assassini, a coloro che fecero la mattanza dell’11 Settembre 1973 e nei mesi seguenti. Il Cile, tanto per capire ciò che afferma Sepulveda sui temi economici, è la nazione al mondo con il più alto indice di Gini, ossia la terra dove c’è più sperequazione nella distribuzione della ricchezza.
Torniamo in Italia.

Marco Biagi è correttamente individuato come colui che stabilì le basi dell’odierna giurisprudenza del lavoro: poco importa se, col trascorrere del tempo, si è andati ben oltre il suo pensiero. La “rottura” dei tradizionali “contrappesi” fra mondo del lavoro e capitale, in giurisprudenza, prese il “La” proprio dal suo pensiero: quando si rompono certi principi – il valore dei contratti nazionali, le tutele del lavoratore, ecc – si è imboccata una china che non ha fine. Per ora siamo giunti alla legalizzazione del lavoro nero – tramite i voucher – domani s’arriverà alla schiavitù (mascherata), che in certi ambienti (caporalato in agricoltura, soprattutto nel Sud) già viene usata, dapprima con gli immigrati, oggi anche con gli italiani.
Il 9 Dicembre 2002 Biagi viene ucciso dalle Brigate Rosse.

Poi, inizia una strana stagione, nella quale i morti ammazzati fioccano dal calendario. Federico Aldrovandi viene ucciso il 25 Settembre del 2005: seguono gli altri.
Riccardo Rasman, Giulio Comuzzi, Manuel Eliantonio, Marcello Lonzi, Stefano Cucchi, Aldo Bianzino, Stefano Consiglio, Gabriele Sandri, Stefano Frapporti, Simone La Penna, Katiuscia Favero, Aldo Scardella, Giuliano Dragutinovic, Riccardo Boccaletti…e, senz’altro, sfuggono alla triste conta altri nomi.

Così, i latino-americani hanno i desaparecidos, noi gli ammazzati: cambiano le proporzioni (e sono molto diverse le società dove i fatti avvengono) ma non si può che constatare un fatto evidente: qualcuno ha conferito alle forze dell’ordine la licenza di uccidere e la conseguente impunità.
Qui, c’è un parallelismo impressionante fra le madri (ora nonne) di Plaça de Mayo ed i parenti delle vittime italiane: la stessa protervia, lo stesso disgusto che si prova di fronte al palleggiamento delle responsabilità, la medesima sordità nell’applicazione di leggi chiare e semplici, i mille tentativi di affossare, insabbiare, deviare verità inconfutabili. Un essere umano viene preso in consegna dalle forze dell’ordine – che hanno il compito di proteggerlo fino al giusto processo (se viene rilevato un reato) ossia il principio stabilito con l’Habeas Corpus inglese del 1679 – e ne esce cadavere.

Le caserme, le prigioni, od altro ancora – allora – ci ricordano la tristemente famosa Escuela de Mecánica de la Armada (ESMA) di Buenos Aires, dove i detenuti venivano torturati, uccisi, o gettati dagli aerei in Atlantico.
E non mancano neppure in Italia i personaggi – veramente squalificati e squalificanti – che proteggono in Parlamento questi assassini: il figlio di Pinochet ebbe a dire, di fronte alle madri degli “scomparsi” “Mio padre uccise solo delle bestie”, che non è molto diverso dai tanti sproloqui di un Giovanardi qualunque in Parlamento.

Torno a ricordare che le modalità sono state molto diverse: oltretutto, gli eccidi in Latino America sono avvenuti in epoca pre-Internet, che consentiva più garanzie di farla franca, di far trascorrere molto tempo fra gli eccidi e le giuste proteste, mentre oggi – cito solo un caso – poche ore dopo l’uccisione di Gabriele Sandri tutta l’Italia ne era a conoscenza.
Ma, nella cultura di Internet, se vuoi far dilagare la paura e chiarire chi ha il potere d’ucciderti senza pagare il fio, non servono migliaia di morti: ne bastano pochi, poiché il concetto si diffonde rapidamente.
Cosa vogliono ottenere con questa strategia?

La paura, soltanto il terrore verso la divisa, che si materializza in uno sparare nel mucchio – di là delle appartenenze politiche – per aumentare il senso di strapotere di chi ci governa. In altre parole, se a qualcuno saltasse in testa di ribellarsi, ecco pronto il trattamento che vi riserveremo, senza sconti. Abbiamo anche chi ci difende in Parlamento.
Così nasce il disprezzo per l’altro, per la popolazione, che si materializza per la banale questione di un disabile che ha diritto a quel parcheggio, mentre dall’altra parte – per formazione – ci si sente autorizzati a spregiare qualsiasi diritto, nel nome di una divisa che rappresenta la collettività. Chiaramente una percezione distorta che è stata inculcata, ma così è: siamo solo “forza lavoro”, “risorse umane”, e poi vai a sostenere che le parole non sono pietre!
Vi chiederete chi sono i mandanti.

Nel 1997 Marco Biagi è nominato Rappresentante del Governo italiano nel Comitato per l'occupazione e il mercato del lavoro dell'Unione europea, dunque si pongono le basi per stravolgere l’impianto di diritti e doveri che regnava dagli anni ’50 e, soprattutto, si mettono in discussione le conquiste dei lavoratori dei decenni seguenti.
Il liberismo, per avviare la fase di globalizzazione – ossia investo dove costa di meno (o ci sono meno diritti) e vendo dove voglio – ha bisogno di un terreno tranquillo, senza scossoni sociali. L’Italia, non dimentichiamo, è la nazione europea che più ha avuto organizzazioni terroristiche: è un sorvegliato speciale.
E poi c’è l’annosa questione della democrazia parlamentare: può convivere con il turbo-capitalismo? No di certo.
Ecco, allora, che – al pari dei cileni – anche noi abbiamo ricevuto il nostro Parlamento di “senatori nominati” e non c’è verso di scalzarli (come si vede nei sondaggi) perché l’uso della giustizia ad orologeria colpisce ora l’uno ora l’altro, secondo la bisogna. Al resto, pensa l’immobilismo dei “senatori” stessi: e chi gliela farà mai fare una legge elettorale dove si scelgano delle persone e non dei vuoti “Logo”?

Il M5S – grande speranza degli italiani – è diventato il primo partito, ma si troverà di fronte gli altri 2/3 dei parlamentari, che si coalizzeranno nel nome dell’Europa: visto quante ammuine stanno già compiendo? D’altro canto, il non voler stringere alleanze, li condanna ad un imperituro isolamento dal quale non riescono ad uscire.
Il compito del M5S è quello d’attrarre lo scontento di larghi strati di popolazione, ma finisce tutta lì: non ho mai sentito nessuno, da quella parte, chiedere con forza l’abolizione delle mille leggi sul lavoro e la previdenza emanate dai vari governi liberisti e fortemente europeizzati.

Scusate, ma qui mi voglio togliere un sassolino che mi fa “calciare” male…ma Roma, non ha due stadi di grandi dimensioni? Uno dei quali versa in stato d’abbandono? Perché il Comune non stipula un contratto con le due società, una all’Olimpico ed una al Flaminio, trovate un accordo fra le due società, metteteci i soldi voi e restaurateli come volete. Non vorrete mica dirmi che l’Olimpico è uno stadio inagibile?!? Al Comune, rimarrebbero i diritti per gli altri sport.
Ma in questa Italia, che non trova i soldi per gli ospedali e le scuole, dovete proprio buttare i soldi (perché ce li mettono, eccome!) per costruire un altro stadio?!?

Nel 2013, interruppi la lunga stagione dell’astensionismo e votai il M5S: perché? Poiché, anche se non ti sembra il modo di far politica, concedere una prova è giusto. Ma dovetti subito ricredermi.
Ancora una volta, chiedo a Beppe Grillo di raccontare perché, poco prima delle consultazioni per formare il governo, si recò a Roma, ma la prima visita fu per l’ambasciatore statunitense.
Io, prima di tornare a votare il M5S, desidero due cose:
-sapere perché decise la visita;
-sapere, a grandi linee, quale fu il tono del colloquio.

In un movimento dove “uno vale uno” la chiarezza deve essere specchiata, altrimenti non servono torrenti di parole e mille rassicurazioni il giorno. La gente, Beppe, deve crederti, altrimenti avremo tanti Renzi o Gentiloni per i secoli a venire, nell’attesa del fatidico 51%.

mercoledì 25 marzo 2015

Ufo, John Podesta, gli scienziati e la minaccia dell’invasione extraterrestre. - Vladimiro Bibolotti



Nella comunità scientifica è tornato l’incubo di un altro tipo di invasione: la guerra dei mondi. Negli ultimi convegni o documenti prodotti dalle varie comunità accademiche è ripreso il dibattito sui rischi di estendere i sistemi di comunicazione Internet nello spazio
Non è mistero che il sogno di Mr. Cerf, co-creatore del programma Tcp/Ip, il protocollo Internet per intenderci, è portare il web a livello interplanetario per le future imprese di esplorazioni spaziali e più avanti di colonizzazione di Marte e della Luna
Intanto gli scienziati del Seti (Search for Extraterrestrial Intelligence) per oltre mezzo secolo all’ascolto di eventuali segnali “intelligenti” provenienti da qualche galassia, tramite i radiotelescopi come quello di Arecibo, hanno riproposto la possibilità di inviare in maniera attiva, messaggi agli eventuali extraterrestri per rivelare la nostra presenza. 
Un programma come quello proposto di Internet nello spazio, permetterebbe ad eventuali visitatori, di studiarci in anticipo, magari attraverso lo studio dei nostri costumi attraverso Wikipedia.
Nell’ultima sessione della Aas (La American Association for the Advancement of Science), il prof. Douglas Wakoch, costatando che dopo 50 anni non avendo ricevuto messaggi, occorreva trasformare il Seti in Active seti, cioè inviare messaggi per farci notare, soprattutto ad esso con la scoperta di migliaia di pianeti Extrasolari di tipo terrestre
Ciò ha nuovamente animato il parere di alcuni scienziati come già negli anni ’70 fece il Premio Nobel Martin Ryle, che metteva in guardia dall’inviare messaggi a civiltà magari malvagie, pronte a sottometterci o peggio annientarci. 

Dello stesso parere il più noto Steven Hawking, letteralmente terrorizzato dall’arrivo degli alieni, poiché con la loro tecnologia dunque avanzatissima, faremo secondo lui, la fine degli indigeni con l’arrivo di Cristoforo Colombo
Ne emerge un quadro sconcertante. 
Nei vari simposi accademici, sia di tipo scientifico che economico, l’incubo di un annientamento del nostro pianeta per colpa di malvagi Et è ormai quasi una costante.
Per gli astrofisici e per il Seti la convinzione dell’esistenza di extraterrestri è un dato statisticamente accettato, ma non il fenomeno degli Ufo
Parere condiviso anche dal direttore dellaSpecola Vaticana Funes
Ma allora con quale mezzi potremmo essere invasi se non da dischi volanti, come nella cinematografia hollywoodiana? 
Gli Ufo intesi come astronavi extraterrestri non possono concettualmente coesistere per le “attuali” nostre conoscenze scientifiche e per le primitive tecnologie per viaggiare nello spazio e per le convinzioni della fisica nostrana. 
Eppure come afferma il Prof. Paul Davies e Wagner e prima di lui Carl Sagan, non si esclude che in un passato remoto qualcuno ci abbia visitato e magari abbia creato colonie sulla Luna e su qualche asteroide invitando la Nasa ad un attento monitoraggio del lato oscuro del suolo lunare.
E qui nasce una evidente contraddizione più che un dubbio. 
Ma se gli Ufo non possono esistere, come sarebbero giunti tali invasori? 
E se ne erano capaci migliaia di anni fa, perché negarle oggi? 
Oppure qualcuno sa che le cose non stanno come sembrano e affermato. 
Ricordiamo le dichiarazioni del Primo Canadese, Paul Hellier o del ex Presidente russo Medvedev (anche se qualcuno pensa ad uno scherzo mediatico), a cui si aggiunge ultimissima e con maggior clamore quella recentissima di John Podesta consigliere del Presidente Obama, già capo gabinetto di Bill Clinton che, proprio in questi giorni, tramite Twitter ha dichiarato che il suo più grande cruccio sia stato quello di non essere riuscito a far svelare la verità sugli Ufo e sugli incontri con gli Extraterrestri.
Incontri dunque, non contatti radio. 
Incontri sul nostro pianeta con civiltà extraterrestri giunte presumibilmente a bordo di dischi volanti o…Ufo!
Aggiornamento del 19 febbraio 2015 ore 15:15
Chiuso l’account twitter di John Podesta
Al suo posto compare quello di un certo Brian Deese Senior Advisor to President Obama. Questo episodio fa sospettare ma senza gridare al complotto, che forse le recenti dichiarazioni di Podesta, possono avere dato fastidio in certi ambienti. 
John Podesta non è un consigliere qualunque, già Capo di Gabinetto della Casa Bianca di Bill Clinton e ovviamente esperto nella comunicazione, dovrebbe diventare infatti  l’uomo di punta dello staff di Hillary Clinton, probabile candidata alla Casa Bianca, peraltro anch’essa appassionata come il marito Bill, della tematica ufologica (Rockefeller Initiative Documents – Paradigm Research Group). 
Allora perché fare autogol e screditarsi con dichiarazioni forti, da chi conosce bene il mestiere e l’arma della comunicazione digitale?  Forse lo scopriremo nei giorni a venire.

domenica 7 settembre 2014

L'intervento di Casaleggio a Cernobbio.



Intervento di Gianroberto Casaleggio al Forum Ambrosetti, Cernobbio, 6 settembre 2014. Guarda il video

Introduzione
Un ringraziamento a Ambrosetti, che ha rinnovato l’invito dello scorso anno. Il tema che affronterò oggi sarà in termini generali l’economia di internet, di cui la scuola, che viene ribattezzata spesso la "scuola del futuro", è una componente. Partiamo dalla situazione in cui si trova l’Italia, per quanto riguarda l’innovazione e indirettamente, poi, anche la scuola.
La banda larga in Italia
Un articolo di pochi giorni fa di Stella, in prima pagina sul Corriere della Sera, parlava della velocità di download e quindi di scaricamento di dati dalla rete e la nostra posizione nel mondo come velocità, siamo al novantottesimo posto, dopo la Grecia e davanti al Kenya. In questi anni abbiamo fatto dei passi da gambero, nel 2010 eravamo al settantesimo posto, nel dicembre 2012 ottantaquattresimo, con i nostri 8,51 megabyte al secondo siamo ultimi tra i paesi del G8, penultimo è il Canada, che però ha tre volte la nostra velocità. Il turismo in Europa dipende per un quarto dal Web, però cresce fino al 39 % nel Regno Unito e in Italia scende al 17%.Il web è un creatore di posti di lavoro, in Italia sono 6 volte più degli addetti del settore della Chimica, e si tratta di ben 700 mila posti. Eppure di fronte a un quadro così, stando alle bozze dello sblocca Italia vengono limitati gli aiuti per l’estensione della banda larga. Nell’ultimo Report del World Economic Forum è stata valutata la competitività delle nazioni. In questo rapporto, che è disponibile in rete per chi lo vuole cercare, l’Italia è posizionata al 49° posto, prima del Kazakistan e dopo la Lituania. Secondo l’OECD nei paesi più industrializzati la media della penetrazione è del 26%, mentre l’Italia è al 22%. Molti altri paesi hanno risultato estremamente più lusinghiero. Per ogni 10% di incremento della banda larga è stimato che ci sia una crescita dell’1,21% del prodotto interno lordo. Vediamo anche nell’ambito delle borse internazionali, negli ultimi 10 anni la crescita dei mercati è stata per il Nasdaq, che è il mercato tecnologico americano, dell’8,72%, per il Dow Jones più o meno la metà, il 4,91%, la crescita delle prime 500 società listate è stata di 5,75%. Quindi investire in tecnologia, in innovazione, non solo fa crescere il Pil, ma anche le industrie e le società, oltre a creare occupazione. Negli ultimi 10 anni si sono affacciati nel mondo della tecnologia e delle grandi imprese un po’ tutte le nazioni del mondo, non soltanto quelle tradizionali degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, dalla Cina al Giappone, alla Russia, alla stessa Argentina, nuovi player importanti italiani invece non risultano.
Il Monopoli e l'economia di Internet
Per esporre i principali trend e i modelli a cui ispirarsi per lo sviluppo delle organizzazioni delle società online ho utilizzato il gioco del Monopoli, a cui molti di voi avranno giocato e probabilmente anche vinto, se oggi si trovano qua. Il tabellone che ho utilizzato è quello in lingua inglese, noi siamo abituati a quello italiano, che riporta le vie e le piazze di Milano, in quanto fu importato e tradotto negli anni 30, quando il fascismo proibiva l’utilizzo di lingue straniere. Il gioco poi è stato cambiato ancora dopo la guerra, perché alcune vie erano legate all’epoca del fascismo, come Via del Fascio.
La Disintermediazione
Quindi a questo punto partiamo con il gioco e andiamo alla casella di partenza, il Go, lanciamo i dadi, arriviamo alla casella della disintermediazione. In internet questa è in sintesi l’eliminazione di intermediari senza valore aggiunto, presenti in qualunque processo, in una organizzazione sia produttiva che di altra natura. Il produttore o erogatore di servizi si interfaccia quindi direttamente con il cliente comprendendone i bisogni e il cliente diventa in sostanza l’unico punto di riferimento. Quali sono le opportunità? La riduzione dei costi, legati al taglio dei processi di intermediazione inutili. Come rischio, viceversa, la scomparsa dell’intero settore in cui uno è presente. Il caso che voglio presentarvi è quello delle poste, in particolare due riferimenti, quello delle poste statunitensi, US Postal Service, che spedivano 200 miliardi di lettere nel 2000, tredici anni dopo 160 miliardi di lettere, con però una perdita di 16 miliardi di dollari. Con questa tendenza è certa la scomparsa della Posta cartacea negli Stati Uniti. In Canada hanno già anticipato questo fenomeno. Le poste canadesi hanno deciso di non inviare più lettere cartacee entro 5 anni, questa decisione comporta già una un taglio di otto mila impiegati all’interno delle poste canadesi. Questo fenomeno è mondiale, ogni anno il 4% della posta tradizionale diminuisce e quindi vuole dire che chi è nel settore postale deve tenerne conto e deve ristrutturare i suoi costi e i suoi ricavi.
Altrimenti si ritrova a non avere più un mercato di riferimento e neanche la società!
La Free economy
La free economy è in sostanza come fare profitto dando qualcosa per nulla, quindi regalandolo.
Alcuni modelli legati alla free economy si sono già affermati, fanno parte della nostra quotidianità, con un grande successo. Il primo che cito oggi è "Direct Cross Subsidy", in cui si regala al fine di creare un mercato puntando a soddisfare la domanda conseguente, per esempio l’uso gratuito di una applicazione o la fruizione base di un gioco, come avviene con Angry Birds.
C’è poi l’Advertising Supported, dove la pubblicità e lo sponsorship sovvenzionano servizi informativi gratuiti o motori di ricerca come Google.
Il Freemium, dove un numero limitato di paganti sovvenziona tutti gli altri. Viene regalato un bene o un servizio nelle sue funzionalità base e si richiede un pagamento per accedere al servizio completo. Un esempio è Flickr per la gestione delle proprie fotografie.
L’ultimo è la Gift economy, l’economia del dono, in cui si riceve una donazione in cambio della propria attività, è attuata online da molte società a scopo benefico e artisti indipendenti che in cambio poi pubblicano gratuitamente i loro brani musicali o anche altro materiale artistico.
L’esempio più importante è Wikipedia, l’enciclopedia online, che non fa pubblicità e vive soltanto di donazioni.
Chris Anderson, divenuto famoso per “La coda lunga”, un libro di qualche anno fa, ha affermato che il modello del free dovrebbe essere sempre valutato in qualunque business online.
Secondo Anderson esistono due economie, quella degli atomi, dove il prezzo dei beni tende a aumentare nel tempo, con meccanismi inflattivi e la Bit Economy dove i prezzi tendono, viceversa, a diminuire. Quindi con meccanismi deflattivi, andando anche verso lo zero.
Globalizzazione
La definizione che dà l’OECD della globalizzazione legata a internet è la seguente: "Internet sta modificando la società, facilita l’interconnettività tra le persone e l’informazione, con un impatto molto importante sulla società, economia, cultura."
In nessun altro momento della storia una comunicazione globale e l’accesso a una informazione di questa natura è stato così pervasivo. Con la globalizzazione non esistono più frontiere, internet non ha barriere, internet può essere considerato un mercato globale, a cui chiunque abbia idee e capitali, ma soprattutto idee, può accedere immediatamente. Nella Globalizzazione chi non partecipa è tagliato fuori, non si può pensare a un mercato domestico, ormai, ma solo a un mercato planetario, per quanto riguarda i servizi prodotti online.
Un fenomeno legato alla globalizzazione è la cosiddetta aggregazione preferenziale, che è una delle regole della rete descritta in “Linked”, un famoso libro del matematico Barabasi. Nel libro sostanzialmente si afferma che un nodo, ad esempio un’azienda, in funzione delle sue qualità tende a attrarre immediatamente altri nodi di qualità, legati al mercato, in un tempo molto breve, e escludendo tutti gli altri nodi. Questo è avvenuto per esempio con il motore di ricerca Google. 12 anni fa i motori di ricerca erano diversi e tutti molto utilizzati, oggi chiunque faccia una ricerca di solito si affida solo a Google, gli altri sono scomparsi. Il rete il numero due difficilmente sopravvive, sopravvive solo il numero uno. 
Un esempio del cambiamento dovuto alla globalizzazione è la Kodak rispetto a Instagram.
Kodak impiegava fino a 140 mila persone, poi dopo la bancarotta avvenuta nel febbraio 2012 ha cessato la produzione di materiale fotografico. Instagram, che opera nello stesso settore, nel 2012 con solo 13 impiegati è stata comprata per un miliardo di dollari da Facebook. La globalizzazione non è delocalizzazione, quindi non è spostare un processo produttivo dove il costo del lavoro è inferiore, sostanzialmente diffondendo lo schiavismo, ma è legata a due fattori, che sono la network efficiency, cioè la capacità di creare valore aggiunto collegandosi a altre società per la creazione del valore complessivo del proprio servizio e del proprio prodotto, in modo continuo, quindi continuando a scegliere sempre il nodo, la società con la maggiore qualità e poi la cosiddetta income inequality, cioè la partecipazione di massa alla creazione del valore, come è avvenuto per i social, come per facebook e per twitter , in cui il vero valore sono i contenuti di milioni di persone che ogni giorno pubblicano materiali.
Internet sta diventando un fenomeno sempre più globale, quindi non confinato agli Stati Uniti e questo emerge dalla crescita continua di internet user nelle nazioni più disparate, dal 2008 al 2012 la crescita soltanto in Cina di internet user è stata di 264 milioni, in India di 88 milioni. Ed alla fine del 2012 la Cina aveva il doppio di internet user rispetto agli Stati Uniti. Tra le prime 15 nazioni del mondo per crescita dal 2008 al 2012 nonostante compaiano nazioni come l’Egitto e la Colombia, che si potrebbe pensare siano agli ultimi posti come crescita, non compare l’Italia.
Sempre nell’ambito della globalizzazione c’è il fenomeno emergente dei Big Data, quindi la continua crescita di dati disponibili per poter prendere delle decisioni di qualunque genere sui mercati o più in generale anche di natura sociale o politica.
Il 90% dei dati esistenti nel mondo oggi è stato creato negli ultimi due anni.
Nel 2020 ci saranno 50 volte più dati di quelli disponibili del 2010, secondo il MIT la produttività e quindi la competitività delle società, che saranno in grado di analizzare i dati, sarà 5 o 6 volte più grande delle società che viceversa non avranno questa capacità.
Il Mobile
La velocità attraverso cui il mobile internet sta diffondendosi è senza precedenti nella storia della tecnologia. Il Mobile internet si è iniziato a diffondere a metà degli anni 2000, verso il 2005 – 2006. Il traffico mobile, sul totale del traffico internet è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, dallo 0,9% nel 2008 al 10% nel 2012, attorno al 19% per il 2013 e si stima il 28% nel 2014.
Data la sua velocità di diffusione se una società riesce a definire un modello di business per il mobile, che non ha nulla a che fare con i modelli di business precedenti, quelli legati al desktop e al PC, ha un immediato ritorno in termini di ROI. Se viceversa rimane fuori da questo mercato, che diventerà nel tempo il mercato di riferimento nella rete, potrebbe essere emarginato e quindi non essere più in grado di competere. Negli Stati Uniti, nel 2013, durante il giorno del ringraziamento il 16,5% delle vendite online è stato effettuato attraverso device mobile.
L'E-commerce
L’e-commerce è sostanzialmente la vendita di prodotti o servizi attraverso internet. Uno dei vantaggi dell’e-commerce è la possibilità di aprire nuovi mercati che possono essere sia domestici sia esteri. Esiste contemporaneamente il rischio che player internazionali possono entrare in Italia con i loro prodotti e quindi fare concorrenza alle aziende italiane. Un altro dato legato alla crescita dell’e-commerce. Nell’ultimo Natale, in Gran Bretagna, le transazioni online hanno raggiunto i 4,7 miliardi di sterline, di cui il 10% attraverso il mobile.Si stima che saranno 4 volte maggiori nel 2017. Casaleggio Associati ogni anno produce una ricerca sull’e-commerce in Italia, che viene presentata alla Camera di Commercio di Milano ad aprile. Dall’ultima ricerca, ho estratto alcuni dati.
L’e-commerce in Italia dal 2004 al 2013, è un settore in costante crescita con qualche rallentamento negli ultimi due anni, ma quasi sempre con una crescita a due cifre che ha raggiunto i 22,3 miliardi di Euro e che è in totale controtendenza rispetto agli altri mercati, o al Pil in regressione allo 0,2.
Attraverso l’e-commerce l’Italia può vendere all’estero i suoi prodotti e i suoi servizi. In particolare nell’ambito del turismo e nell’ambito dei prodotti di qualità agro alimentari.
La maggiore parte delle vendite fatte da aziende italiane riguarda l’Europa, quindi la Francia, la Germania, la Svizzera, Inghilterra, seguita dagli Stati Uniti e dalla Russia. E poi dal Giappone e dalla Cina, che possono avere tassi di incremento molto superiori rispetto a quello attuale.
L’e-commerce sta crescendo in modo esplosivo in tutto il mondo: 1000 miliardi di dollari di ricavi sono stati sorpassati nel 2012, nel 2013 sono stati 1300 miliardi di dollari. Passiamo ora all’ultimo, ma non meno importante, passo di questo giro del monopoli, che è legato alla scuola del futuro.
La Scuola del futuro
Secondo David Houle, un futurista, l’educazione universitaria avrà una fortissima trasformazione nei prossimi anni, da qui al 2020, e il modello applicato fino a oggi, che ha 500 anni di vita cambierà di più nei prossimi 10 anni di quanto non sia cambiato negli ultimi 100. Alcuni dati su quello che sta avvenendo oggi nell’ambito della educazione dei college universitari negli Stati Uniti. Il valore dell’apprendimento online, il 51% dei presidi ha dichiarato che i corsi online hanno lo stesso valore dei corsi in aula, quelli tradizionali. Il 77% dei presidi dei college ha dichiarato che le loro istituzioni oggi offrono corsi online. Complessivamente l’89% dei college pubblici e delle università statunitensi oggi offrono classi online. Il 23% dei laureati ha partecipato a una classe online, ma questa percentuale raddoppia al 46%, per coloro che si sono laureati negli ultimi 10 anni. Tra tutti coloro che hanno partecipato a una classe online il 39% valuta il valore della classe online equivalente a quello del corso tenuto in una classe tradizionale.
Il futuro dell’apprendimento online, i presidi dei college prevedono una crescita sostanziale dell’online learning, il 15% afferma che gli attuali studenti che devono ancora conseguire la laurea stanno partecipando a una classe online, e il 50% prevede che entro 10 anni la maggiore parte degli studenti studierà attraverso classi online. Per quanto riguarda i testi digitali il 62% dei presidi, dei college, ipotizza cheentro 10 anni più della metà dei testi di studio saranno completamente digitali. 
Un esempio del cambiamento che sta avvenendo è il portale EDX, creato dall’MIT e dalla Harvard University nel maggio 2012. EDX ospita corsi universitari per una grande varietà di discipline, accessibili a chiunque, quindi a un’utenza mondiale, senza costi di nessun tipo.
EDX è una iniziativa no profit e funziona con software open source e quindi non legato a proprietà private. 
Al 22 luglio del 2014 EDX ha raggiunto i 2,5 milioni di utenti che partecipano a 215 corsi online.
Una testimonianza negativa è quella dei fondi UE, la commissione europea ha criticato il piano dell’Italia per l’utilizzo di 41 miliardi, in particolare per mancanza di strategia su agenda digitale, mancato contrasto dell’abbandono scolastico e il calo significativo dei fondi per l’innovazione.
Dei 41 miliardi di euro stanziati, solo 1,3 miliardi sono stati riservati allo sviluppo digitale.
L’aumento della diffusione della tecnologia, dell’innovazione delle reti, al livello mondiale sta portando alla scarsità di risorse che possono essere utilizzate nell’ambito delle aziende degli stati e delle organizzazioni, il futuro quindi sarà una competizione globale per le persone dotate di skill tecnologici per lo sviluppo delle singole nazioni, nell’ambito della tecnologia, dell’innovazione, cosa che sta già avvenendo negli Stati Uniti, con programmi mirati alla attrazione di ingegneri informatici e persone con forti competenze tecnologiche per supplire alla cronica mancanza di risorse in questo settore. La stessa cosa avverrà anche nel resto del mondo e ovviamente avverrà anche in Italia, che dovrà preoccuparsi di attrarre talenti tecnologici per il proprio sviluppo. Qui ho citato due date, legate a due episodi, per farvi capire la differenza di velocità che c’è stata e c’è purtroppo, tra noi e il resto del mondo.
Nel 1998 mi trovavo a Denver, sono entrato in una biblioteca, c’era un grande salone con da una parte i libri cartacei, che nessuno però utilizzava e dall’altra parte invece c’era una lunghissima serie di banchi con dei bambini che accedevano a internet seguiti da delle insegnanti che li aiutavano a navigare. Negli anni 2000 mi è capitato di sentire storie di ingegneri che frequentavano i politecnici i quali per accedere ai computer desktop, PC, dovevano chiedere le chiavi, perché la stanza in cui erano situati era a accesso limitato.
Conclusioni
Cioè quali sono le conclusioni che potremmo trarne? E quali azioni intraprendere?
La prima è lo sviluppo di startup tecnologiche finanziate dallo stato e da privati per creare un tessuto di aziende in questo settore, in Italia. Poi la creazione di aree per lo sviluppo tecnologico sul modello della Bay Area di San Francisco, la nascita o la rinascita, perché in Italia ci sono stati grandi gruppi come l’Olivetti, che avevano un valore mondiale, per la rinascita di un player internazionale italiano, che possa competere al livello mondiale, nell’ambito tecnologico e informatico, integrato con il settore pubblico. L’attrazione di persone con skill tecnologici in Italia dall’estero, anche facendo rientrare per studenti che si sono recati poi all’estero per mancanza di prospettive in Italia, laureati in discipline scientifiche.
Incentivi per attrarre società innovative in Italia, che oggi viceversa sono disincentivate dall’alto livello di tassazione e dalla burocrazia. Leggi a favore dello sviluppo delle nuove tecnologie, al contrario della protezione delle lobby e dello status quo come avviene oggi. Uno di questi esempi è legato alla fiscalità degli e-book, che sono tassati per il 22%, contro i libri cartacei, tassati per il 4 per cento. E poi l’introduzione, con un piano almeno triennale delle scuole digitali in Italia. Grazie per la vostra attenzione." 
Gianroberto Casaleggio.

giovedì 5 dicembre 2013

48 ore per fermare l'assalto di Berlusconi a Internet.



Se non agiamo nelle prossime 48 ore, Berlusconi potrebbe conquistare un controllo spaventoso sui media. Cacciato dal Parlamento, questo è il suo disperato tentativo di rimanere attaccato al potere, ma la nostra comunità ha contribuito a bloccare questa enorme minaccia in passato e possiamo farcela di nuovo. 

In questo momento, lontana dai titoli dei giornali, l’autorità che regola i media sta per adottare nuove regole che darebbero a Berlusconi e Mediaset poteri senza precedenti di censurare qualsiasi video, articolo o post su Facebook: di fatto verrebbe imposto un bavaglio anche a siti come Repubblica e perfino Avaaz. Ma quelli che si candidano ad essere i nuovi leader del PD possono fermare questo assalto se ci mettiamo subito in moto per convincerli che le loro azioni avranno un impatto sui risultati alle primarie di domenica. 

Facciamo partire subito una mobilitazione-flash chiedendo a Renzi, Cuperlo e Civati di prendere posizione contro questa enorme minaccia di censura: facciamogli sapere che ci aspettiamo che difendano la nostra libertà di espressione. Firma questa petizione urgente per fermare il nuovo regolamento-censura su Internet e condividila con tutti: non appena raggiungeremo 100mila firme Avaaz occuperà con enormi striscioni i comizi finali dei candidati finché li costringeremo ad agire.


http://www.avaaz.org/it/italy_internet_censorship_c/?rc=fb&pv=41

Nel dubbio, io ho firmato.

giovedì 11 ottobre 2012

Facebook non paga le tasse: è l'antisocial network. L'Independent gli fa le pulci.

Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg

ROMA - «Antisocial network». Il titolo scelto dall'Independent per denunciare la gestione fiscale del padre di tutti i social network non lascia adito a dubbi. Facebook, stando ai dati pubblicati dal quotidiano britannico, avrebbe infatti pagato solo 238mila sterline di tasse per le sue attività nel Regno Unito a fronte d'introiti pari a 175 milioni. 

Il trucchetto utilizzato è del tutto legale ed è per altro prassi comune per i colossi dell'era 2.0 come Apple, Google e Amazon: esportare i profitti in Irlanda, dove si trova il quartier generale di Facebook per l'Europa (Amazon, dal canto suo, ha scelto invece il Lussemburgo). La cifra di 175 milioni di sterline è stata fornita dalla società di analisi indipendente Enders Analysis mentre i dati fiscali del gigante da 1 miliardo di utenti sono stati reperiti attraverso visure camerali. «È immorale che queste società di successo non paghino le tasse nei paesi in cui sono basate e fanno profitti», ha detto all'Independent John Mann, deputato laburista e membro della commissione parlamentare del Tesoro. «Traggono immensi benefici dall'infrastruttura internet del nostro Paese ma non fanno nulla per contribuire». 

Facebook non ha voluto commentare sulla stima degli affari condotti nel Regno Unito e attraverso un portavoce ha commentato: «Come è normale che sia per un'azienda presente in decine di nazioni sparse per il mondo, compiliamo report sulle nostre attività locali; queste informazioni però non rispecchiano necessariamente le performance globali quindi sarebbe un errore tirare delle conclusioni sulla base di questi report».


http://www.ilmessaggero.it/tecnologia/hitech/facebook_evade_tasse_independent_antisocial_zuckerberg/notizie/224911.shtml