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venerdì 13 agosto 2021

Pmi e brevetti, in arrivo bonus fino a 140mila euro: come fare domanda. - Roberto Lenzi

 

Al via i nuovi bandi 2021 per la concessione delle agevolazioni Brevetti+, Disegni+ e Marchi+

Al via i nuovi bandi 2021 per la concessione delle misure agevolative denominate Brevetti+, Disegni+ e Marchi+.

Le nuove versioni dei bandi contengono alcune novità rispetto al passato in relazione ai requisiti di accesso e alle agevolazioni concedibili. Per le misure Disegni+ e Marchi+, gestite da Unioncamere, è stata introdotta una nuova procedura telematica di presentazione delle domande che li ha uniformati a quella di Brevetti+ gestita da Invitalia. L’obiettivo è quello di semplificare l’accesso per le imprese richiedenti.

Le domande di contributo potranno essere presentate dal 28 settembre 2021 per Brevetti+, dal 12 ottobre 2021 per Disegni+ dal 19 ottobre per Marchi+.

In favore delle tre misure, con il decreto direttoriale di programmazione delle risorse, sono stati messi a disposizione per il 2021 38 milioni, di cui 23 milioni per Brevetti+, 12 milioni per Disegni+ e 3 milioni d per Marchi+. 

Le versioni integrali dei tre bandi sono scaricabili dal sito del ministero dello Sviluppo economico.

Brevetti +

Possono presentare domanda sul bando brevetti le Pmi, anche di nuova costituzione, aventi sede legale ed operativa in Italia.
Devono essere titolari di un brevetto per invenzione industriale concesso in Italia successivamente al 1° luglio 2017 ovvero titolari di una licenza esclusiva trascritta all’Uibm di un brevetto per invenzione industriale concesso in Italia successivamente al 1° gennaio 2017.

In alternativa, possono essere titolari di una domanda nazionale di brevetto per invenzione industriale depositata successivamente al 1° gennaio 2017 con un rapporto di ricerca con esito “non negativo” ovvero titolari di una domanda di brevetto europeo o di una domanda internazionale di brevetto depositata dopo il 1° gennaio 2017, con il relativo rapporto di ricerca con esito “non negativo”, che rivendichi la priorità di una precedente domanda nazionale di brevetto.

Il contributo per il bando sui brevetti è finalizzato all’acquisto di servizi specialistici correlati e strettamente connessi alla valorizzazione economica del brevetto e funzionali alla sua introduzione nel processo produttivo ed organizzativo dell’impresa proponente, al fine di accrescere la capacità competitiva della stessa.

Sono ammissibili i costi relativi a servizi. Questi devono riguardare la progettazione, ingegnerizzazione e industrializzazione, gli studi di fattibilità, l’ingegnerizzazione del prototipo; possono essere relativi anche all’organizzazione e sviluppo o riguardare il trasferimento tecnologico. Ai fini dell’ammissibilità, il progetto non può basarsi su un unico servizio. Nel progetto deve essere presente almeno un servizio relativo alla progettazione che deve prevedere costi pari almeno al 60% del costo totale.

Il bando sui brevetti prevede la concessione di un’agevolazione in conto capitale, nel rispetto della regola del “de minimis”, fino a 140mila euro. L’ agevolazione non può superare l’80% dei costi ammissibili e non è cumulabile con altre agevolazioni concesse al soggetto beneficiario, anche a titolo di de minimis, laddove riferite alle stesse spese e/o agli stessi costi. È invece cumulabile con la garanzia rilasciata dal Fondo di garanzia per le Pmi di cui all’articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 662/96, sull’eventuale finanziamento bancario ottenuto dall’impresa beneficiaria per la copertura finanziaria della parte del piano dei servizi non assistita dal contributo.Al via il bonus terme, come funziona la app per controllare i green pass, i nuovi bersagli degli hacker.

Disegni +

Disegni+2021 mira a sostenere la capacità innovativa e competitiva delle Pmi per rafforzarne la competitività sui mercati nazionale e internazionale. Le agevolazioni sono finalizzate all’acquisto di servizi specialistici esterni volti alla valorizzazione di un disegno o modello per la sua messa in produzione o per la sua offerta sul mercato. È prevista la concessione di un’agevolazione in conto capitale, nel rispetto della regola del de minimis, del valore massimo di 60mila euro per impresa.

Marchi+

Il contributo del bando Marchi+ è concesso per la registrazione dei marchi e per usufruire di servizi nello stesso ambito. Il bando prevede un prospetto puntuale suddiviso per voci di spesa ammissibili. L’importo massimo ottenibile per ogni marchio è di 6mila euro.

IlSole24Ore

giovedì 19 novembre 2020

Se deve essere battaglia... - Massimo Erbetti

 

Se deve essere battaglia..
Se deve essere una battaglia, che lo sia veramente, se deve essere un aiuto ai nostri imprenditori, che lo sia veramente e non facciamo gli ipocriti, perché non basta lavarsi la coscienza con le belle parole. Non compriamo su amazon...giusto giustissimo...ma allora io vorrei sapere perché il tuo libro ce lo vendi su amazon? E perché ci vendi le magliette del tuo partito? E poi forse sarebbe anche il caso di chiedersi quante aziende italiane vendono su Amazon no?
Nel 2019 oltre 14.000, nel 2018 erano 12.000 e nel 2017 10.000 piccole e medie imprese italiane che vendevano su Amazon e superano i 500 milioni di euro di vendite all'estero. Una crescita di 2.000 l'anno, circa il 20%.
Se deve essere una battaglia, che lo sia veramente...basta fumo negli occhi.....cominciamo a non andare più nei centri commerciali...molti sono di proprietà di aziende estere...non compriamo più nei supermercati esteri...aiutiamo i piccoli commercianti, ma aiutiamoli davvero e non prendiamoli in giro, perché non è propio il momento.
E comunque il tipo di cui parlavo sopra non è l'unico che dice di comprare italiano..c'è anche la sua amica Giorgia Meloni...fatevi un giro su amazon e digitate il suo nome...oltre le solite magliette di partito, troverete qualcosa di molto interessante...troverete una bella Skill...la descrizione è più o meno questa:
"Questo articolo è disponibile solo per i dispositivi con integrazione Alexa e dev'essere abilitato usando l'App Alexa, disponibile gratuitamente. Se non la possiedi ancora, puoi scaricarla usando il pulsante Scarica qui sotto.
Scarica l'App Alexa
“Alexa, apri patriota italiana”
Informazioni di questa Skill
Descrizione:
Giorgia Meloni presidente di Fratelli d'Italia, leader della destra in Italia. Il personaggio politico più in ascesa nel gradimento del popolo italiano, merito della sua coerenza e chiarezza.
Come funziona? Attiva la Skill ed ascoltala chiedendo:
Alexa, apri patriota italiana."
....Capito cari amici? Non comprate su amazon...però loro i loro affari ce li fanno eccome se ce li fanno.
Ah dimenticavo, non c'è solo quella di Giorgia, ma anche quella di quell'altro...chissa se questi due possono metterla gratuitamente su amazon, o se devono dargli dei soldi?...Se deve essere una battaglia...che lo sia veramente...non è il momento di prendere in giro nessuno.

https://www.facebook.com/photo?fbid=10218751857693191&set=a.2888902147289

giovedì 1 maggio 2014

UN INFILTRATO NEL MIGLIORE DEI MONDI: AMAZON, LO SFRUTTAMENTO CON IL SORRISO. - SAMIR HASSAN

amazon

Intervista. «En Amazonie. Un infiltrato nel migliore dei mondi»: il giornalista e scrittore Jean-Baptiste Malet racconta le tremende condizioni lavorative del gigante del commercio online che ha provato sulla sua stessa pelle. «Percorrevo oltre 20km a notte tra gli enormi scaffali».

La logi­stica è dive­nuto il set­tore pro­dut­tivo più stra­te­gico per il pro­fitto delle grandi mul­ti­na­zio­nali. La mobi­lità del capi­tale, non solo nella sua acce­zione finan­zia­ria ma nei ter­mini di tra­sporto su gomma, è il campo in cui si sta gio­cando la nuova par­tita degli imperi eco­no­mici. Rispetto alle forme clas­si­che del lavoro, così come le abbiamo cono­sciute nella seconda metà del secolo scorso, oggi la pro­du­zione viene costan­te­mente delo­ca­liz­zata: infrange con­fini e assolda nuovi schiavi del mer­cato, caval­cando ine­so­ra­bile verso est. Ato­mizza, aliena e sfrutta. Nono­stante i sor­risi dei mana­ger, le favole sull’economia buona ma malata e l’accattivante sim­pa­tia di cui sem­brano godere oggi alcune nuove potenze com­mer­ciali.

Come Ama­zon. «Il sor­riso sulle sca­tole di Ama­zon non è certo quello di chi ci lavora, nono­stante uno dei must dell’azienda sia pro­prio quello di inse­rire i suoi dipen­denti in una socia­lità arti­fi­ciale, fatta di regole, codici e senso di appar­te­nenza: la solita lita­nia dell’essere una “grande fami­glia”».

Ama­zon non è però solo un’azienda: «è un sistema di pro­du­zione unico», afferma Jean-Baptiste Malet, gio­vane repor­ter fran­cese in Ita­lia per pre­sen­tare il suo libro En Ama­zo­nie. Un infil­trato nel “migliore dei mondi” (Kogoi Edi­zioni).
L’incontro è avve­nuto durante la fiera della pic­cola edi­toria a Roma. Oggetto dell’intervista è stato l’universo cono­sciuto durante la sua inchie­sta: una pre­ziosa testi­mo­nianza rico­struita dopo essersi fatto assu­mere (tra­mite agen­zia inte­ri­nale) dal colosso dell’«e-commerce» durante le festi­vità nata­li­zie dello scorso anno.

«Sono stati 3 mesi molto intensi. Facevo il pic­ker nel turno di notte, 8 ore con due pause da 20 minuti; per­cor­revo oltre 20km a notte tra gli enormi scaf­fali dell’han­gar di Mon­té­li­mar, nel dipar­ti­mento della Drôme. Ma il pro­blema reale non era solo la stan­chezza. Era riu­scire a man­te­nere i livelli di pro­dut­ti­vità richiesti».

Inu­tile dire che il libro di Malet, iro­nia della sorte, si trova anche su Ama­zon. Nulla di strano a pen­sarci bene: l’economia glo­bale inghiotte ogni pro­dotto, anche quelli che la cri­ti­cano. Para­fra­sando Hum­ph­rey Bogart nella cele­bre pel­li­cola di Richard Brooks L’ultima minac­cia, «è il capi­ta­li­smo, bel­lezza. Il capi­ta­li­smo! E tu non puoi farci niente. Niente».
Ama­zon si com­piace di offrire la pos­si­bi­lità ai suoi utenti di acqui­stare como­da­mente con pochi click. Cosa c’è die­tro lo schermo? Un’organizzazione del lavoro altret­tanto digitalizzata?
Il sito di Ama­zon è il fiore all’occhiello del pro­getto. Quello che è dif­fi­cile com­pren­dere dall’interfaccia è che quella è l’unica com­po­nente infor­ma­tiz­zata. Lo stoc­cag­gio, il carico e l’imballaggio di ogni pro­dotto è affi­dato alla fatica di chi ci lavora: mani che spo­stano, brac­cia che alzano e gambe che tra­spor­tano. Nes­suna crea­zione robo­tica.
Nei suoi sta­bi­li­menti il mas­simo dell’informatica pre­sente sono i tor­nelli dove si tim­bra il pro­prio badge, i car­relli e i ripe­ti­tori wifi che ci fis­sano dalle alte scaf­fa­la­ture su cui viene sti­pata la merce. Cam­mi­nando in un han­gar di Ama­zon ci si accorge che l’unica mac­china com­plessa che ci lavora è l’uomo.
Ama­zon viene pre­sen­tato come un nuovo modello pro­dut­tivo. È così?
Ama­zon uti­lizza in modo nuovo vec­chi modelli di gestione della pro­du­zione, tipici del XX secolo. Ma i poli indu­striali del Nove­cento, sep­pur legati a un’idea di mas­si­miz­za­zione del pro­fitto, per­met­te­vano ai dipen­denti un’autonomia rela­zio­nale, un’autogestione dei rap­porti per­so­nali. In Ama­zon que­sto non accade, anzi; c’è un forte con­trollo, inva­sivo, sia rispetto ai rap­porti per­so­nali che alla per­for­mance lavo­ra­tiva dei dipen­denti. Per­sino ai mana­ger non è richie­sta la loro effet­tiva pro­fes­sio­na­lità, la loro spe­ci­fica com­pe­tenza, ma uno sforzo con­giunto per con­trol­lare i livelli di pro­dut­ti­vità dei lavo­ra­tori subor­di­nati. Il lavoro e le intel­li­genze delle per­sone ven­gono sacri­fi­cati sull’altare della pro­dut­ti­vità e del con­trollo di que­sta pro­dut­ti­vità. Da que­sto punto di vista Ama­zon ha cam­biato la tra­di­zio­nale forma del lavoro.
Ma il punto forte di Ama­zon è la pre­ca­rietà dif­fusa. Inol­tre, apre i suoi sta­bi­li­menti in zone logi­sti­ca­mente ben ser­vite, ovvero è neces­sa­rio essere in pros­si­mità di una rete stra­dale efficiente. La zona indi­vi­duata deve inol­tre regi­strare un alto tasso di disoc­cu­pa­zione. Mag­giore è il tasso di disoc­cu­pa­zione, mag­giore è la con­cor­renza tra i lavo­ra­tori e minore il sala­rio di base. Infine, come le altre grandi mul­ti­na­zio­nali, sfrutta la bolla finan­zia­ria che ha ter­re­mo­tato l’economia glo­bale. Nei primi anni Ama­zon non gene­rava pro­fitti di rilievo, poi­ché si carat­te­riz­zava come inter­me­dia­rio di com­mer­cio e non come pro­dut­tore. Nono­stante ciò gli squali della finanza scel­sero di inve­stire sulle sue azioni.
Per­ché?
Il motivo è che anno dopo anno, spe­di­zione dopo spe­di­zione, il sistema Ama­zon stava distrug­gendo il pic­colo com­mer­cio indipendente.
Un esem­pio, dun­que, della «distru­zione crea­trice» cara a Schumpeter?
Sì. Chi inve­stiva sulle azioni di Ama­zon sapeva che una nuova eco­no­mia come quella avrebbe fago­ci­tato le reti com­mer­ciali di pros­si­mità nel giro di pochi anni, il che avrebbe per­messo all’impresa di Jeff Bezos di ope­rare, in un futuro molto pros­simo, in con­di­zione di asso­luto mono­po­lio.
Senza la Borsa, senza Wall Street, senza gli spe­cu­la­tori finan­ziari, Ama­zon sarebbe fal­lita nel giro di pochi anni.
Nella tua inchie­sta parli di un accu­rato mec­ca­ni­smo di con­trollo (che arriva a disporre anche di nume­rosi vigi­lan­tes) teso a svi­lup­pare nei lavo­ra­tori la con­vin­zione di essere ele­menti inter pares della fami­glia Amazon.…
È così. Il sistema di inte­gra­zione stu­diato da Ama­zon, e rias­sunto nel motto «work hard, have fun, make history» (lavora duro, sarai pre­miato, stai facendo la sto­ria), si muove lungo un dop­pio bina­rio. Da un lato il cosid­detto have fun, ovvero la pos­si­bi­lità per l’azienda di orga­niz­zare gra­tui­ta­mente la vita sociale dei dipen­denti den­tro lo sta­bi­li­mento, ren­dendo vana, inu­tile e costosa la pos­si­bi­lità di autor­ga­niz­zarla fuori dall’han­gar. Non tutti i lavo­ra­tori ne sono amma­liati, ma tutti usu­frui­scono di que­ste tro­vate: regali durante le festi­vità, spet­ta­coli, ini­zia­tive a sor­presa all’uscita dal turno, con­corsi interni e rico­no­sci­menti pub­blici per la bra­vura lavo­ra­tiva. Tutti orpelli che devono sal­dare la fedeltà del lavo­ra­tore all’azienda, spin­gen­dolo a dare il mas­simo in ter­mini di pro­dut­ti­vità. D‘altro canto, se non dovesse bastare la sud­di­tanza psi­co­lo­gica a «pla­smare» il lavo­ra­tore, la pre­senza del con­trollo diviene tan­gi­bile, mate­ria­liz­zan­dosi nelle per­qui­si­zioni cam­pio­na­rie ai lavo­ra­tori (per pos­si­bile tac­cheg­gio!), nell’essere trat­tato con sprez­zante fred­dezza dalla vigi­lanza, nel sen­tirsi pen­dere sul capo la spada di Damo­cle del con­trollo aziendale.
Quale com­po­si­zione sociale lavora tra gli scaffali?
In Fran­cia, dove ci sono 4 sta­bi­li­menti, ho avuto modo di cono­scere solo quanto avve­niva in quello di Mon­té­li­mar. In gene­rale posso dire che la situa­zione fran­cese è assai dif­fe­rente ad esem­pio da quella tede­sca, per­ché non c’è un cri­te­rio d’assunzione iden­tico per i diversi paesi. Men­tre in Ger­ma­nia lavo­rano in mag­gio­ranza gio­vani di diverse nazio­na­lità (per lo più greci, spa­gnoli, por­to­ghesi e tur­chi) e c’è una forte richie­sta di mano­do­pera (9 sta­bi­li­menti), in Fran­cia la mag­gior parte dei lavo­ra­tori sono gio­vani fran­cesi che hanno tra i 25 e i 30 anni. In par­ti­co­lare, per ciò che con­cerne lo sta­bi­li­mento di Mon­té­li­mar, i migranti sono pochi (e per lo più magh­re­bini); forse anche per­ché la zona della Drôme non ha un’economia così fio­rente e, tro­van­dosi nel cuore della Fran­cia, non è un pas­sag­gio tran­si­to­rio dei flussi migratori. 

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13300

giovedì 19 dicembre 2013

A che punto è la “web tax”.

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Durante il suo primo discorso da segretario all’Assemblea nazionale del Partito Democratico, Matteo Renzi ha criticato la cosiddetta “web tax”, un nuovo sistema di tassazione per le società attive su Internet approvata la settimana scorsa in commissione tra gli emendamenti della legge di stabilità, che dovrà essere votata dal Parlamento entro la fine dell’anno. L’iniziativa è partita da alcuni parlamentari del PD e per questo Renzi ha detto che “abbiamo infilato un problema peggio dell’altro” sul tema dell’innovazione e che argomenti come una nuova tassazione delle società su Internet debba essere affrontata in sede europea e non da un singolo stato.
La prima proposta
Di una tassa per le aziende online – specificamente indirizzata a quelle più grandi ed estere come Google, Facebook e Amazon – si parla da diverse settimane. Francesco Boccia, deputato del PD e presidente della commissione Bilancio della Camera, è stato tra i primi a proporre una “web tax” con un disegno di legge presentato lo scorso 4 ottobre. In seguito, dopo un primo accantonamento, la sua proposta è stata trasformata in un emendamento alla legge di stabilità da parte di Edoardo Fanucci (PD), che ha ricevuto in commissione Bilancio l’appoggio di Sinistra Ecologia Libertà e di Südtiroler Volkspartei, portando alla sua approvazione e al conseguente inserimento nella legge.
Le aziende online e le tasse
I promotori della “web tax” ritengono che debbano essere cambiate le regole per le società online perché quelle attuali consentono loro di registrare i loro ricavi presso un’altra società del gruppo, che spesso ha sede in un paese con una tassazione più favorevole rispetto a quella italiana. Amazon, per esempio, ha sede legale in Lussemburgo per le sue attività in Europa, mentre Facebook e Google registrano i loro ricavi in Irlanda, dove c’è una imposta sul reddito delle imprese molto favorevole. Si stima che nel 2012 Facebook abbia pagato all’Agenzia delle Entrate circa 192 mila euro, mentre Google – che è più presente con personale e attività in Italia – circa 1,8 milioni di euro a fronte di decine di milioni ricavati grazie alle inserzioni pubblicitarie o nel caso di Amazon con le vendite dirette di prodotti. È bene comunque ricordare che queste società non fanno nulla di illegittimo e sfruttano le regole del mercato unico europeo, che permettono alle società di lavorare e operare in tutti i paesi dell’Unione Europea senza dover aprire una sede legale in ciascuno di questi.
Che cosa prevede la “web tax”
Gli emendamenti approvati alla fine della settimana scorsa introducono l’obbligo di possedere una partita IVA italiana per tutte le società che acquistano e vendono pubblicità e servizi come quelli legati al commercio elettronico. I pagamenti dei ricavi derivanti dai servizi pubblicitari online dovranno essere inoltre tracciabili. Nella pratica, significa che una pubblicità da mostrare su un sito dovrà essere venduta solo da imprese registrate con partita IVA in Italia, evitando in questo modo che il nostro paese sia scavalcato nella compravendita pubblicitaria. Le pubblicità online sono spesso acquistate e vendute all’estero, con meccanismi che tagliano fuori il fisco italiano, che non può rilevare le transazioni né tassarle.
La “web tax” prevede inoltre nuovi sistemi per valutare il reddito delle società controllate italiane legato alla pubblicità online e i loro rapporti con le “aziende madre” straniere. Nell’emendamento si dice che per fare pubblicità su Internet una controllata italiana affronta costi bassi sia per quanto riguarda l’organizzazione sia per lo scarso numero di impiegati. Elementi che devono essere tenuti in considerazione per determinare reddito e successiva tassazione, dice la proposta.
Critiche
L’approvazione degli emendamenti sulla “web tax” su iniziativa del PD è stata criticata da diversi membri dello stesso partito. A metà della scorsa settimana i deputati PD Giampaolo Galli e Marco Causi avevano ottenuto l’accantonamento della proposta, ricordando che sarebbe andata contro le regole dell’Unione Europea sul mercato unico e contro quelle dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Il timore è che le nuove norme possano essere bocciate dopo il loro inserimento nel bilancio dello Stato e che quindi ci possa poi essere un buco, dovuto all’impossibilità di riscuotere la “web tax”.
Molte critiche alla proposta sono state formulate anche all’estero da diverse organizzazioni e giornali. La rivista statunitense Forbes ha pubblicato un duro articolo ricordando che l’obbligo di partita IVA italiana è “senza dubbio” in contrasto rispetto a quanto prevede la legge europea: sarebbe illegale fin dalla sua approvazione e costerebbe una sanzione all’Italia. Secondo altri una “web tax” terrebbe lontani gli investitori stranieri e renderebbe molto più complicata la gestione della pubblicità a livello globale, con conseguenze gravi per le aziende italiane che promuovono all’estero su Internet i loro prodotti.
Quanto
Nelle ultime settimane sono circolate cifre molto diverse tra loro su quanto potrebbe fruttare al fisco la “web tax”. C’è chi ha parlato di poche decine di milioni di euro, chi di qualche centinaio e chi si è spinto come Boccia a immaginare un miliardo di euro, cifra che però è in contraddizione con le stime sui ricavi complessivi della pubblicità digitale in Italia, tra i 700-800 milioni di euro all’anno. Il problema è che non è possibile fare una stima affidabile di quanto denaro porterebbe la “web tax”, né quale sarebbe l’entità del suo impatto sul settore.
Francesco Boccia
Nonostante le numerose critiche e lo stesso invito del segretario del suo partito a rivedere il provvedimento, il deputato Francesco Boccia continua a sostenere la necessità di arrivare all’applicazione di una “web tax”. In una intervista pubblicata oggi dal Tempo, spiega che “stiamo assistendo alla più grande emorragia finanziaria della storia del capitalismo”. Alla domanda sull’incompatibilità delle nuove regole con quelle previste dalle leggi europee ammette che il Trattato di Roma prevede la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone aggiungendo però che “all’epoca Internet non esisteva” (ammettendo però così l’incompatibilità della norma che propone con i trattati in vigore).
Boccia, infine, sostiene che le grandi aziende estere di Internet “in Italia non hanno mai investito un euro”. In realtà alcune delle più importanti hanno investito diverse risorse nel nostro paese. Due esempi: Google Italia ha la propria sede a Milano e ha alle sue dipendenze quasi 150 persone, che si occupano principalmente dei servizi pubblicitari che a loro volta producono un importante indotto per centinaia di aziende; Amazon ha costruito e gestisce due centri per la distribuzione delle sue merci a Castel San Giovanni (Piacenza) e prevede a pieno regime di impiegare oltre 1000 persone, cui si aggiungono i 150 del centro assistenza clienti di Cagliari, che diventeranno 500 entro i prossimi cinque anni.
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