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venerdì 9 gennaio 2015
Tiziano Renzi, lo Stato paga i debiti del padre del premier Matteo Renzi. - Davide Vecchi
A saldare i debiti del padre ci pensa il governo del figlio.
Debiti, tra l’altro, concessi da una banca guidata da un fedelissimo del figlio, già in società con il fratello del cognato, a sua volta socio in un’altra azienda di famiglia riconducibile alla madre. Cose che capitano in casa Renzi. La vicenda è complessa e gli intrecci sono molti, come gli attori coinvolti.
Tutto ruota attorno alla Chil post, la società di Tiziano Renzi, dichiarata fallita nel marzo 2013 e sulla quale la Procura di Genova ha aperto un fascicolo iscrivendo nel registro degli indagati il padre del premier con l’accusa di bancarotta fraudolenta. Secondo i magistrati liguri, Tiziano avrebbe ceduto la parte sana dell’azienda alla Eventi 6 intestata alla moglie, Laura Bovoli, società che all’epoca dei fatti aveva tra i propri soci anche Alessandro Conticini, fratello di Andrea, marito di Matilde Renzi, sorella del premier e a sua volta socia nella Eventi 6.
ALLA CHIL POST rimangono così solo i debiti tra cui un mutuo di 496.717,65 euro stipulato nel luglio 2009 con il Credito Cooperativo di Pontassieve. Una cifra sostanziosa, concessa con un mutuo chirografario: senza accensione di ipoteche, quindi, ma solo basato sulle garanzie. La banca è guidata da Matteo Spanò, grande amico e sostenitore del premier. Nel 2005, Spanò era stato nominato direttore generale della Florence Multimedia, società della Provincia di Firenze creata dal neoeletto Renzi per la comunicazione e poi finita nel mirino della Corte dei conti che ha inizialmente ipotizzato un danno erariale di 10 milioni di euro.
Non solo. Spanò era anche socio di Conticini nella Dot Media, società che ha ricevuto appalti diretti dal Comune, negli anni in cui Renzi è stato sindaco, e da altre controllate come la Firenze Parcheggi guidata dal fidatissimo Marco Carrai. Dot Media oggi cura fra l’altro la campagna elettorale dell’eurodeputata Alessandra Moretti candidata alla presidenza della Regione Veneto.
Diventato presidente della banca, Spanò elargisce il prestito alla Chil post di Tiziano Renzi che per ottenerlo riceve la copertura a garanzia del fondo per le piccole e medie imprese da Fidi Toscana spa della Regione guidata da Enrico Rossi e partecipata anche da Provincia e Comune di Firenze oltre alla Cassa di Risparmio nel cui board siede Carrai.
Fidi Toscana delibera la copertura dell’80% e il 13 agosto 2009 la banca versa i soldi alla Chil. I ratei vengono regolarmente pagati per due anni. Poi la società, nel frattempo svuotata della parte sana e poi ceduta ad altri titolari (ora indagati assieme a Tiziano Renzi), non rispetta più i versamenti e dichiara il fallimento. Così nell’estate 2013, la banca, ammessa al passivo dal Tribunale fallimentare di Genova, si rivolge a Fidi ottenendo il versamento di 263.114,70 euro, l’80% dell’esposizione complessiva.
E la vicenda potrebbe chiudersi qui. Invece, il 18 giugno 2014, il ministero dell’Economia delibera di rifondare Fidi di 236.803,23 euro e liquida la somma il 30 ottobre successivo attraverso il Fondo centrale di garanzia. E così il debito contratto dal padre di Renzi è stato coperto dallo Stato.
“La perdita sofferta sull’operazione per noi è stata di 26 mila euro”, afferma Gabriella Gori, alla guida di Fidi da appena una settimana. Si è insediata il 29 dicembre a seguito delle dimissioni di Leonardo Zamparella costretto dal Cda a lasciare l’incarico perché condannato in primo grado a 2 anni e 4 mesi per concorso in bancarotta come vicedirettore vicario del settore leasing e factoring di Monte dei Paschi. Il cambio al timone è stato determinante per avere accesso alle informazioni sulla Chil a seguito delle richieste formulate in merito dal consigliere regionale Giovanni Donzelli, oggi candidato presidente della Toscana per Fratelli d’Italia. Le risposte sono arrivate il 30 dicembre: Gori ha redatto un documento in cui riassume l’intera vicenda, con la specifica dei versamenti da parte del Tesoro. Per carità: tutto secondo protocollo, nulla di illecito.
IERI, DONZELLI assieme ad altri due consiglieri di minoranza, Paolo Marcheschi e Marina Staccioli, ha presentato un’interrogazione al governatore Rossi per chiedere spiegazioni. “Ci appare a dir poco indecente che i debiti creati dall’azienda di famiglia del premier siano stati pagati con soldi pubblici concessi in un momento in cui la crisi porta un imprenditore al suicidio ogni cinque giorni e in un Paese in cui l’accesso al credito è una delle maggiori difficoltà, insieme alla pressione fiscale, che riscontrano le aziende”, dice Donzelli. Da Rossi, prosegue, “vorremmo sapere perché la gestione dei fondi è stata affidata a Fidi senza alcuna gara, se e come ha valutato la domanda presentata da Chil, se la garanzia non deve essere revocata in caso di modifiche aziendali che trasformano radicalmente la società come è avvenuto alla Chil e, infine, se reputa corretto ed etico il comportamento della famiglia Renzi”. Secondo Donzelli “non dovrebbe essere prerogativa della Regione pagare, tramite fidi, i debiti dell’azienda di famiglia del presidente del Consiglio e del segretario del partito di maggioranza. E men che meno prerogativa dello Stato”.
Il Fatto Quotidiano del 8 Gennaio 2015
http://www.huffingtonpost.it/2015/01/08/tiziano-renzi-stato-paga-debiti-padre-premier_n_6434368.html
giovedì 17 ottobre 2013
Slot: una pagina vergognosa per Letta e il Pd. - Riccardo Bonacina
A fine agosto ne avevo scritto dicendo: "Questo no! Questo non è possibile! Sto parlando del decreto sull'Imu presentato ieri sera da Letta, Alfano e Saccomanni. E Mi riferisco al fatto che tra le voci a copertura dell'abolizione della prima rata Imu ci siano 600 milioni per una sanatoria prevista ai concessionari delle slot machine.
È un'indecenza", commentavo (per leggere l'articolo con dettagli della sanatoria ecco il link). Ma siccome al peggio non c'è mai fine, martedì la notizia di un ulteriore sconto di 100 milioni ai signori delle slot. Cosa volete che vi dica oggi? Per evitare parolacce e improperi ai nostri governanti vediamo di spiegare l'ennesimo orrore stando ai fatti.
Allora. La proposta di sanatoria contenuta nel decreto Imu, chiedeva di chiudere un contenzioso risalente al 2007 (contestati 98 miliardi di evasione) con una cifra del 25% di quanto la Corte dei Conti chiedeva ai concessionari slot, 2,5 miliardi di multa. Martedì un emendamento del governo, presentato in Aula alla Camera, sul Decreto Imu chiede di abbassare ulteriormente la percentuale al 20%.. Coloro che pagano subito il 20% del danno quantificato nella sentenza di primo grado potranno così chiudere subito il proprio contenzioso davanti alla Corte dei Conti.
Se i dieci concessionari decidessero di aderire, prosegue questa sarebbe la ripartizione con le multe rimodulate al 20%: Bplus 179 milioni, Cirsa Italia 24 milioni, Sisal Slot 49 milioni, Gtech 20 milioni, Gmatica 30 milioni, Codere 23 milioni, HBG 40 milioni, Gamenet 47 milioni, Cogetech 51 milioni e Snai 42 milioni. Per un totale, invece di 600 milioni di soli 500.
Una vera vergogna e la prova del nove della nullità della politica incapace di tenere a bada gli appetiti dell'industria più rampante d'Italia, quella dell'azzardo legale. La terza industria italiana!
Una politica che non riesce a stabilizzare una misura primaria e necessaria come il 5 per mille alle realtà non profit (questione, guarda un po' di 100 milioni), si inchina a imprese che come Gtech nel 2012 hanno realizzato super profitti, Gtech, ha avuto ricavi (netti di imposte indirette come il Preu) pari a 3 mld di euro, ebitda al 34% pari a 1 mld di euro e utile operativo pari al 17% (!) .
Una politica degna di questo nome avrebbe proposto una sanatoria corrispondente al 75-80% della multa e se le concessionarie non avessero aderito, si sarebbe automaticamente previsto di innalzare il Preu (questo avremmo voluto vedere scritto nell'emendamento di un governo serio), un sostituto di imposta (tassa unica sul gioco), tasse che non si vedono nei bilanci delle concessionarie perché è tassazione alla fonte ( New slot: 12,7 % Poker e simili online: 20% Giochi di abilità online 3%). Essendo tassa sostitutiva: il Preu assorbe ogni altra imposizione indiretta, quindi non pagano neppure l'Iva!
Invece, il governo Letta ha abbassato ancora un po' i propri pantaloni. E con lui anche il Parlamento che ha dato l'ok all'emendamento. Da segnalare, nel capitolo "Vergogna", il fatto che su 297 deputati del Pd solo 8 hanno votato no all'emendamento disobbedendo all'indicazione del Gruppo Parlamentare (Epifani che schifo, però!). Ecco i loro nomi in rigoroso ordine alfabetico: Lorenzo Basso, Bobba Luigi, Bragantini Paola, Cani Emanuele, Coppola Paola, Donati Marco, Senaldi Angelo, Tullio Mario.
Qualcuno, poi ha deciso di uscire dall'Aula per non prendere parte al voto, non sentendosi di andare contro l'indicazione del Gruppo Parlamentare ma neppure di dire sì all'emendamento della vergogna.
Ma l'arcano è presto spiegato:
La lobby del gioco e i soldi al pensatoio di Letta. - Ilario Lombardo
Roma - Tutto è incominciato con il servizio delle Iene sulle lobby che, secondo un collaboratore di un senatore, pagano alcuni parlamentari per fare pressioni e modificare le leggi in Commissione. Un assist perfetto, colto al volo dal Movimento 5 Stelle, che oggi si presenterà nell’aula di Palazzo Madama per denunciare «anni di intrecci di interessi tra la politica e la lobby del gioco». A leggere l’interrogazione sarà Giovanni Endrizzi, il senatore veneto che al Sert di Rovigo si occupa delle patologie generate dalla dipendenza dall’azzardo.
Il M5S chiederà l’attenzione del Parlamento soprattutto su un nome : Enrico Letta. Proprio il premier che nel 2011, quando era semplice deputato Pd, ha ricevuto una finanziamento come sponsor per il suo think tank VeDrò, da parte di Lottomatica e Sisal, due multinazionali dell’azzardo, la seconda dal 2010 presieduta dall’ex ministro di Prodi, Augusto Fantozzi. La cifra del contributo si aggira intorno ai 20 mila euro.
mercoledì 31 ottobre 2012
Napolitano non riceve Berlusconi: inaffidabile. Semmai vedrà Alfano, dopo Casini (oggi) e Bersani (forse domani)
Stavolta Giorgio Napolitano non lo riceve. Il presidente della Repubblica non ci sta a finire dentro la tela intricatissima che Silvio Berlusconi pare voler tessere intorno al governo Monti, magari per stritolarlo. L'incontro al Colle era stato chiesto dal Cavaliere, prima della conferenza stampa di villa Gernetto. E sarebbe potuto avvenire domenica scorsa, come se fosse quasi una prosecuzione dell'incontro che Berlusconi aveva avuto con il premier a Palazzo Chigi martedì scorso, quando aveva indossato i panni della colomba offrendo a Monti la guida dei moderati, e dicendosi pronto al passo indietro per favorirla. Così non è stato. Perché nel frattempo è venuto a cadere il format che avrebbe potuto garantire quella prosecuzione. Sabato scorso, infatti, all'indomani della condanna di primo grado per il processo Mediatrade, il Cavaliere ha mostrato l'altro volto, quello arrabbiato, antimontiano, antieuropeista, tutto tranne che moderato e rassicurante sulla tenuta dell'esecutivo dei tecnici. È tornato falco, arrivando a un passo dalla rottura.
Un furore che ha messo in bilico non solo il governo ma anche la stessa chance per Berlusconi di incontrare il capo dello Stato. E così, raccontano a palazzo Grazioli, l’appuntamento al Quirinale è slittato a data da destinarsi, di certo non questa settimana. Tanto che Berlusconi ha confermato il suo viaggio a Malindi – partirà domani – e oggi ha approfittato del pomeriggio libero per un salto a Montecatini, ufficialmente per qualche visita di controllo, in realtà per una misteriosa visita personale. Sia come sia, col Colle è tornato il grande freddo che si percepiva lo scorso novembre. Perché è chiara la base della discussione che Berlusconi vorrebbe intavolare. I suoi lo spiegano senza tante perifrasi. Semplicemente vorrebbe intavolare una trattativa “politica” sul suo destino: cessazione delle ostilità su Monti in cambio di una tregua giudiziaria. O comunque in cambio di un sostegno di fronte a quella che ritiene una ingiusta persecuzione. L’ex premier avrebbe già voluto l’attesa sentenza della corte costituzionale sul processo Mediaset. E voleva che il Csm spedisse gli ispettori nella procura di Milano per il processo Ruby. Terreni che giudica di “influenza” del capo dello Stato.
Per Napolitano lo stile negoziale dell’ex premier non è una novità. La novità stavolta è che non è obbligato a riceverlo come quando era inquilino di palazzo Chigi. E in fondo il segretario del Pdl si chiama Angelino Alfano. È lui che parla con Monti di questioni politiche, e si confronta anche con gli altri leader della strana maggioranza: prima o poi, trapela dal Colle, qualcosa di definitivo dovrà dirla anche lui in un incontro a quattr’occhi con il capo dello Stato, senza l’ingombrante presenza di Berlusconi. Proprio la linea attendista del Quirinale ha consentito alle colombe di evitare l’incidente. Oggi, per esempio, al buffet organizzato al Quirinale per i 150 anni della Corte dei Conti, Napolitano ha avuto uno scambio di vedute con Gianni Letta e anche con il presidente del Senato, Renato Schifani. Entrambi gli hanno garantito che non ci saranno ripercussioni sull’esecutivo, che è stata una “sparata” determinata da tante ragioni, compresa l’amarezza per la sentenza, ma che non ci saranno conseguenze sull’esecutivo.
Ma la sensazione è che ormai più nessuno riesca a offrire le garanzie necessarie su Berlusconi. Di lui non ci si fida. Nessuno tra i suoi è disposto a rassicurare su quella che sarà la sua linea futura e al Colle non possono che prendere atto della facilità con cui l’ex premier cambia idea. Nel giro di pochi giorni, come è successo la settimana scorsa, quando da martedì a sabato è passato dalla linea Monti bis alla linea anti-Monti. Tutte le incertezze dell’ex premier sul da farsi sono perfettamente percepite al Colle, filtrano attraverso l’umore dei berlusconiani più moderati, quelli che mantengono i contatti con la presidenza della Repubblica.
Nell’agenda del capo dello Stato per il momento non c’è alcun incontro con il Cavaliere. Ci vorrà del tempo per arrivarci. Troppo fresca la burrasca di sabato. Ora al Colle ci tengono a non finire risucchiati in un ennesimo gioco di affermazioni e smentite, che mettono a repentaglio la credibilità internazionale italiana in vista del voto del 2013. Che avverrà al completamento naturale della legislatura e non prima, ha rimarcato anche oggi il capo dello Stato, richiamando i partiti ad una ulteriore “assunzione di responsabilità” nei confronti del governo e degli obblighi europei imposti dalla crisi ed esortandoli a riformare la legge elettorale. Su quest’ultima, il tempo di attesa al Colle scade a fine novembre, suppergiù.
Nel senso che il presidente della Repubblica aspetta di vedere cosa riesce a licenziare il Senato, dove proprio oggi in commissione per un solo voto non è passato un emendamento dei Radicali che proponeva il doppio turno alla francese ribaltando il testo Malan approvato giorni fa. Per dire di quanto il dibattito sia in alto mare. Comunque, dal testo che verrà licenziato da Palazzo Madama si capirà molto, sarà subito evidente se si tratterà di una proposta destinata a morire al passaggio a Montecitorio. A quel punto, potrebbe scattare il messaggio del capo dello Stato alle Camere per chiedere la riforma del sistema di voto. Non che questa sia la bacchetta magica, al Colle lo sanno, ma il capo dello Stato userà tutti mezzi che può per insistere affinché non si vada al voto con il Porcellum.
Intanto oggi Napolitano ha ricevuto al Colle Pier Ferdinando Casini. Si tratta, fanno sapere, dell’inizio di un nuovo giro di orizzonte con i leader della strana maggioranza su quanto rimane da fare fino alla fine della legislatura, oltre alla legge elettorale, anche l’estensione dei controlli sull’uso delle risorse finanziarie pubbliche. Forse già domani mattina il capo dello Stato potrebbe ricevere il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che tra l’altro oggi ha avuto un colloquio alla Camera con il leader dell’Udc: ufficialmente, hanno parlato di emendamenti comuni alla legge di stabilità; ufficiosamente, la chiacchierata testimonia un riavvicinamento da parte di Casini verso il Pd, alla luce dell’antimontismo di Berlusconi e della vittoria con Crocetta in Sicilia. Casini, Bersani: non resta che Alfano. Prima o poi, al Colle attendono anche lui, sempre che voglia pronunciarsi sul percorso indicato da qui alla scadenza naturale della legislatura. Lui, ma non Berlusconi.
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