Visualizzazione post con etichetta Salvatore Buzzi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Salvatore Buzzi. Mostra tutti i post

mercoledì 16 marzo 2016

Mafia Capitale, il caso Sacrofano: paese regno di Carminati, guidato dall’ex ras del Msi e impossibile da sciogliere. - Marco Pasciuti

Mafia Capitale, il caso Sacrofano: paese regno di Carminati, guidato dall’ex ras del Msi e impossibile da sciogliere

A 15 mesi dallo scoppio dello scandalo e a 14 mesi dall'avvio dell'iter di commissariamento, il governo non ha ancora deciso il destino del comune alle porte di Roma, per i magistrati base operativa del clan del "cecato". Alfano parla di un nuovo "monitoraggio", ma in municipio nessuno sa nulla e lo scorso agosto il prefetto Gabrielli aveva annunciato che ne avrebbe chiesto lo scioglimento. Risultato: i sospetti non sono stati fugati e il sindaco Tommaso Luzzi, nato e cresciuto politicamente nella destra romana e indagato per associazione mafiosa, rimane al suo posto.


E’ tutto coperto da segreto
Secretata la relazione della commissione di accesso, secretata anche quella del prefetto Gabrielli. Il ministro dell’Interno ha annunciato ieri che nel comune è stato “attivato un gruppo di esperti per un costante monitoraggio”, ma in municipio non ne sanno nulla. Intanto è passato oltre un anno dal 2 gennaio 2015, giorno in cui vennero nominati i commissari chiamati a stabilire se a Sacrofano, 7mila anime sulla via Flaminia, c’era la mafia. Quella stessa Mafia Capitale capeggiata da Massimo Carminati, che a Sacrofano aveva residenza e base operativa, capace secondo i pm di piazzale Clodio di infiltrare il Campidoglio e le amministrazioni pubbliche di Roma e provincia. Quattordici mesi senza che nessuno abbia detto una parola chiara sulla questione, passati i quali Tommaso Luzzi, il sindaco indagato per associazione di stampo mafioso, è ancora al suo posto.
Tutto comincia la mattina del 2 dicembre 2014, quando scoppia lo scandalo di Mafia Capitale che investe, oltre a Roma, 4 comuni della provincia: Castelnuovo di Porto, Morlupo, Sant’Oreste e, appunto, Sacrofano. La macchina dei controlli si mette subito in moto: per Sacrofano la commissione di accesso agli atti viene nominata dal prefetto Giuseppe Pecoraro il 2 gennaio 2015, si insedia l’8 gennaio, conclude i propri lavori l’8 luglio e invia la propria relazione al nuovo prefetto Franco Gabrielli. Il quale, il 19 agosto 2015, nel corso della riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza, annuncia che avrebbe sottoposto al Viminale la proposta di scioglimento per infiltrazioni mafiose solo nel caso di Sacrofano.
Sulla faccenda cade una coltre di silenzio che dura mesi, poi il 26 gennaio 2016 il prefetto cambia idea: “Con riferimento alle commissioni d’accesso nei 4 comuni toccati dall’inchiesta del Mondo di mezzo, l’attività si è conclusa – spiega quel giorno in audizione in commissione Antimafia – su Sacrofano ci sono alcuni interventi su alcuni dirigenti. Non si è ritenuto di sciogliere nessuna delle assemblee dei 4 comuni”. Quali sono gli interventi? Vengono rimossi la responsabile dell’ufficio urbanistico e uno dei dirigenti dell’ufficio raccolta rifiuti. Provvedimenti ritenuti insufficienti da Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia, che nella stessa sede avanza una richiesta precisa: Morlupo e Sacrofano “sono realtà che necessitano di un monitoraggio dal quale si possa prevedere la nomina di nuove commissioni d’accesso”. In particolare a Sacrofano “il monitoraggio deve esser particolarmente penetrante e potrebbe portare ad ulteriori approfondimenti“.
Solo 24 ore dopo, il 27 gennaio, il maresciallo capo del Ros Roberta Cipolla viene ascoltata come testimone nell’aula bunker del tribunale di Roma in cui si celebra il processo a Mafia Capitale. E fa da contraltare alle parole di Gabrielli confermando i legami tra Carminati e Luzzi: a fare da collante tra i due – spiega il maresciallo – è Giuseppe Ietto, imprenditore che il gip definisce “colluso” perché “partecipa all’associazione mettendo a disposizione le proprie imprese e attività economiche nel settore della ristorazione”. 
Detto l’ingegnere, Ietto aiuta Carminati a organizzare una cena di fine campagna elettorale per Luzzi. “Vonno fatto pesce, famo pesce, volemo fa’ de carne, famo de carne. (…) Per Tommaso la faccio de lusso”, spiegava il cecato a Gaglianone il 6 maggio 2013, due settimane prima della cena imbandita in piazza il 24 maggio, a due giorni dalle elezioni.
Passano altri due mesi di silenzio e il 15 marzo il ministro Alfano spiega in Antimafia: “E’ stato attivato su mia precisa indicazione, presso la prefettura di Roma, un gruppo di esperti per un costante monitoraggio dei comuni di S. Oreste, Sacrofano e Morlupo. Queste tre amministrazioni verranno controllate negli ambiti più sensibili fino al mese di dicembre prossimo e anche oltre, se sarà necessaria una proroga della misura”.
A Sacrofano nessuno sa nulla. “Qui non risulta – spiega aIlFattoQuotidiano.it Gianluigi Barone, consigliere comunale diSacrofano Progetto Comune – a noi non è stato comunicato l’insediamento né l’inizio dei lavori di alcun gruppo di esperti”. Altra singolarità: per Sant’Oreste e Morlupo i procedimenti erano stati dichiarati dallo stesso Viminale conclusi da tempo. Lo si legge sul sito del ministero, nell’apposita sezione, intitolata “Insussistenza dei presupposti per lo scioglimento degli enti locali per condizionamento mafioso, dove vengono pubblicati i decreti con i quali – in base all’articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali che regola l’iter di commissariamento – il ministero certifica la fine dei procedimenti: sul procedimento relativo a Sant’Oreste il Viminale aveva messo una pietra sopra l’11 novembre 2015, quello in carico al comune di Morlupo era stato dichiarato concluso il 28 ottobre
Per avere un’idea più chiara bisognerebbe leggere le relazioni della commissione d’accesso e del prefetto, ma non si può.  “Noi abbiamo chiesto di leggere la relazione del prefetto attraverso una richiesta di accesso agli atti – spiega ancora Barone – ma il 12 ottobre 2015 ci è stato risposto che il procedimento era ancora secretato perché in fase istruttoria”. Impossibile conoscere anche la data in cui la prefettura ha inviato la relazione al Viminale: alla nostra richiesta, il ministero ha risposto con il silenzio.
Il comma 5 dell’articolo 143, poi, prevede che in casi come questo “in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 (collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ndr) con decreto del Ministro dell’interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente”. Ma il ministero non è obbligato a pubblicare il decreto e anche sulle motivazioni per le quali il Viminale ha deciso per il supplemento di indagine è sceso il silenzio. Morale della favola: a 15 mesi dallo scoppio di Mafia Capitale e a 14 mesi dall’avvio dell’iter di commissariamento per mafia, i sospetti non sono stati fugati e il sindaco di Sacrofano Tommaso Luzzi, indagato per associazione mafiosa, rimane al suo posto.
Eppure “la legge ha una logica ben precisa – spiega Giulio Marotta, responsabile dell’Osservatorio di Avviso Pubblico, la rete degli enti locali contro le mafie – quando ci sono dei gravi sospetti sull’esistenza di possibili infiltrazioni mafiose in un’amministrazione pubblica, bisogna prendere una decisione in tempi brevi“. “Il procedimento dell’art. 143 – continua Marotta – è estremamente scadenzato: la commissione di accesso ha tre mesi, rinnovabili per altri tre mesi, per indagare e inviare la sua relazione al prefetto; quest’ultimo ha 45 giorni per inviare la sua relazione al ministero; il governo poi ha 3 mesi per decidere, qualunque sia la decisione finale, scioglimento oppure archiviazione. Lo scopo della legge è chiaro: occorre acquisire celermente tutti gli elementi utili e poi informare l’opinione pubblica e gli elettori sulle responsabilità accertate e su tutte le misure utili a ripristinare la legalità, evitando che un’amministrazione su cui pende un sospetto di infiltrazione mafiosa rimanga sottoposta a tale sospetto troppo a lungo“. Troppo tardi.
SACROFANO, LA TERRAZZA DALLA QUALE CARMINATI COMANDAVA SU ROMA
I pm di Roma non hanno dubbi: Sacrofano era il quartier generale della cupola. Lì, in via Monte Cappelletto 12, c’è la villa in cui viveva Carminati; lì ha la sua ditta Agostino Gaglianone, costruttore, braccio operativo del Nero nel settore del mattone, arrestato pure lui per associazione di stampo mafioso; lì viveva Riccardo Brugia, braccio militare del sodalizio; lì è domiciliato anche Cristiano Guarnera, altro ras del cemento cui la Guardia di Finanza ha sequestrato beni per 100 milioni di euro. Ma fino al 30 novembre 2014 era stato un paesino come tanti. Tutto cambiò quella mattina, quando i carabinieri bloccarono una Smart in una stradina di campagna e fecero scendere l’uomo alla guida: per una volta impaurito, Carminati, uno dei quattro re di Roma, alzò le mani e scese dalla macchina. Quel giorno si cominciò a capire che Sacrofano, 7mila abitanti sulla via Flaminia, era la terrazza dalla quale l’imperatore comandava su Roma.
Per comandare servono i luogotenenti. Nel 2013 Tommaso Luzzi è presidente e amministratore delegato di Astral, società che gestisce la viabilità della regione Lazio. A gennaio i rapporti con la cupola si fanno più stretti, quando Salvatore Buzzi fa assumere nelle sue cooperative alcune persone di Sacrofano su richiesta del sindaco. Risultato: “6 segnalati, 4 assunti, 1 ha rinunciato, 1 inadeguata”. Ben presto a Carminati serve che Luzzi diventi sindaco a Sacrofano. Così si mette a disposizione per organizzare con Gaglianone una bella cena di fine campagna elettorale: “Tu metti il locale, io metto il catering“. “Perché Tommaso a me – raccontava Carminati al figlio Andrea il 4 maggio 2013 in un bar di Vigna Stelluti – me serve lì in zona da noi come sindaco”. “La settimana prossima – continua – vieni a cena con me. Quella sera verrà forse anche Gramazio. Luca c’ha trent’anni e fa il capogruppo alla Regione. Il padre è senatore”.
Il trentenne è Luca Gramazio, figlio del senatore Domenico: alla Pisana è capogruppo del Pdl. “Gramazio aveva sostenuto la candidatura a sindaco del Luzzi – si legge nell’ordinanza del dicembre 2014 – ma la politica amministrativa del sindaco di Sacrofano appariva, nelle parole dei sodali, ampiamente vincolata alle decisioni intraprese dall’organizzazione”. Cosa spingeva Luzzi, effettivamente eletto il 27 maggio 2013, a obbedire a Carminati? “Gramazio – continuano gli inquirenti – in Consiglio regionale era anche membro della Commissione Bilancio, pertanto, nelle condizioni di influire sulla disposizione di fondi da assegnare agli enti localiUna “capacità coercitiva dell’organizzazione” esemplificata come meglio non si potrebbe dallo stesso Carminati: Luzzi “non può fare nulla – domanda in via retorica il boss a Gaglianone il 18 aprile 2014 – perché i soldi vengono dalla Regione, se lui non fa quello che dimo noi, Luca (Gramazio, ndrgli blocca tutto“.
LUZZI, LE RADICI NELLA DESTRA ROMANA E IL GRUPPO STORICO DI ALLEANZA NAZIONALE
Un humus politico e umano, quello della destra romana, in cui si muovono diversi protagonisti dell’inchiesta di Mafia Capitale – da Gianni Alemanno a Carlo Pucci, fino a Luca Gramazio – figlio del senatore Domenico cui Luzzi è “da sempre al fianco“, si legge sul sito del comune di Sacrofano – a processo per associazione mafiosa. “Il 19 ottobre 2015 Luzzi ha organizzato una manifestazione a sostegno dell’amministrazione comunale – continua Barone – da Roma sono venuti il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri e il senatore Domenico Gramazio, padre di Luca”. Amici “di tante battaglie”, come scriveva Gasparri in un tweet del 24 maggio 2013, il giorno della cena organizzata da Carminati e 3 giorni prima che Luzzi venisse eletto sindaco, in una manifestazione a sostegno dell’amico. Un’amicizia pluridecennale, un rapporto che si perde nella storia della destra romana per Luzzi, che vanta un passato illustre nel Movimento Sociale Italiano: dal 1975 al 2001, segretario politico (“il più giovane d’Italia”) del circolo Appio Latino Metronio, prima sede nella capitale del Msi dal 1947, poi membro del gruppo storico di Alleanza Nazionale con i vari Gianfranco Fini, Francesco Storace, Domenico Gramazio, Altero Matteoli, lo stesso Gasparri. E poi una vita nel consiglio della Regione Lazio, di cui diventerà vice-presidente, sotto le insegne di An.
IL COMMISSARIAMENTO? UNA QUESTIONE POLITICA
Diversi i  processi nel curriculum di Luzzi, da ultimo lo scandalo Mafia Capitale. “Perché rimuovere due dirigenti non indagati e lasciare al suo posto il sindaco indagato?”, domanda ancora Barone. La questione è di natura politica: secondo il comma 7 dell’articolo 143 del Tuel, “nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento o l’adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5, il Ministro dell’interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione del prefetto, emana comunque un decreto di conclusione del procedimento in cui dà conto degli esiti dell’attività di accertamento”. Cosa che il Viminale non ha fatto, perché il procedimento non è concluso.
Quindi il ministero si trova di fronte a due alternative, entrambe così rischiose da dover essere evitate: “Se il governo commissaria Sacrofano – conclude Barone – e quindi stabilisce che nel paese regno di Carminati c’è un sodalizio mafioso, saranno in molti quelli che si domanderanno per quale motivo l’assemblea comunale di Roma non è stata sciolta, come ha già fatto lo stesso Luzzi. D’altra parte, mettere nero su bianco che a Sacrofano la mafia non c’è e che tutto è stato risolto con la rimozione di due dirigenti è pericoloso per Alfano: se, infatti, Carminati e soci venissero condannati nel processo, il ministro verrebbe sbugiardato. Meglio quindi lasciare tutto a bagnomaria”. Ovvero non fare nulla, rimandare ogni intervento e attendere l’esito del processo.

lunedì 9 novembre 2015

Vaticano, l’hotel di lusso ceduto alla coop ciellina di due arrestati di Mafia capitale. - Andrea Palladino

Vaticano, l’hotel di lusso ceduto alla coop ciellina di due arrestati di Mafia capitale

La strana storia Arciconfraternita del SS. Sacramento e San Trifone: da un lato la rete di centri convenzionati per l'accoglienza dei profughi, dall'altra un albergo "per pellegrini" da cento camere. Finita poi nelle mani di Tiziano Zuccolo e Francesco Ferrara, uomini della galassia Buzzi coinvolti nell'inchiesta di Pignatone. Che prima avevano affittato il ramo d'azienda a soli 2mila euro al mese. L'intervento del Vicariato.

C’è un brutto grattacapo per il vescovo ausiliario di Roma Agostino Vallini. Una sorta di incubo che lo insegue dal 2 dicembre del 2014, quando tra le mille pagine dell’ordinanza di custodia cautelare di Mafia Capitale appare il nome dell’Arciconfraternita del SS. Sacramento e San Trifone. Un nome altisonante che a Roma per anni coincideva con una rete di centri di assistenza per profughi, minori in difficoltà e anziani non autosufficienti. Un’opera buona, insomma. Meno noto era l’altro business dell’ente ecclesiastico. Un albergo a tre stelle, con una centinaio di camere, tutte con frigobar, televisione e collegamento internet, a due passi dall’abbazia Tre Fontane, zona Eur. Struttura che finirà, per una cifra appena simbolica, ad una società di due personaggi ben noti del processo Mafia Capitale.
Quando scoppia l’inchiesta sul “mondo di mezzo” descritto da Carminati, sui giornali finiscono i nomi di Tiziano Zuccolo e Francesco Ferrara, imprenditori romani cresciuti all’interno dell’Arciconfraternita, a loro volta in rapporti stretti con la galassia Buzzi. “Non c’entriamo nulla”, spiegò a inizio dicembre il cardinal Agostino Vallini. Anzi: “Nel mese di  marzo del 2010 ho ordinato  una visita canonica all’Arciconfraternita per procedere a una ricognizione della vita associativa”. Insomma, la Chiesa già vigilava. Tiziano Zuccolo e Francesco Ferrara sei mesi dopo il comunicato di Vallini finiscono agli arresti nell’ambito del secondo troncone dell’indagine. Dall’Arciconfraternita i due erano passati alle coop bianche, area Comunione e Liberazione. Il cardinal Vallini di quella Arciconfraternita non ne ha più parlato. Eppure i punti ancora oscuri della vicenda e i passaggi societari tutti da chiarire sono tantissimi.
L’albergo dell’Eur. A due passi dal parco degli eucalipti del quartiere Eur di Roma c’è una struttura alberghiera degna di nota. Secondo il sito ha un centinaio di stanze, una sala riunioni da 80 posti, con un affaccio su una delle zone verdi più pregiate del quartiere. Sulla carta è una “casa di ferie”, una struttura ecclesiastica destinata ai pellegrini. In realtà basta chiamare per capire subito che è un albergo a tutti gli effetti: “Una doppia? Ottanta euro a notte, in camera con bagno, frigobar e internet”. Su Tripadvisor le recensioni sono in gran parte entusiastiche: “La location è fantastica, sia all’interno della struttura che nel parco che la circonda”. L’intero complesso è parte dei beni dell’Arciconfraternita, l’ente ecclesiastico legato al Vicariato di Roma. O almeno, lo era fino a cinque anni fa. E qui c’è un passaggio chiave, che ilfattoquotidiano.it ha ricostruito.
E’ lo stesso cardinal Vallini a dirci di aver ordinato una visita canonica – ovvero una forma di commissariamento – nel marzo del 2010. Vede che le cose non vanno come dovrebbero e come primo atto la confraternita cede quell’albergo. A chi? Qualche anno prima a Roma si era costituita la società Ft 2000 srl, che firma come affittuario l’atto di cessione. I soci sono due nomi ben noti alle cronache giudiziarie di Mafia Capitale: lo stesso Tiziano Zuccolo e Francesco Ferrara. Se Zuccolo era stato amministratore dell’Arciconfraternita fino al 2008, Ferrara lo sostituisce subito dopo, e firma per l’ente ecclesiastico l’atto notarile di affitto per otto anni dell’albero alla FT 2000. Insomma il tutto finisce ad una società controllata dagli stessi amministratori della Confraternita. Consultando l’atto di affitto – firmato il sei dicembre 2010, nove mesi dopo il commissariamento voluto dal Cardinal Vallini – si scopre anche il prezzo decisamente fuori mercato della cessione. Duemila euro al mese. Ovvero il prezzo che a Roma si paga normalmente per un negoziato in semi periferia.
Quanto vale un rifugiato? Nel 2012 c’è un secondo intervento del vicariato romano. Questa volta l’arciconfraternita deve cedere la parte più ricca e consistente del patrimonio: una lunga serie di convenzioni con Roma capitale e con il governo per la gestione dei rifugiati. E’ quel business che per Buzzi vale più del traffico di stupefacenti, che a Roma è stato in buona parte preso in mano dal gruppo finito all’interno dell’inchiesta su Mafia Capitale. L’atto notarile viene firmato nell’ottobre del 2012 con l’espressa autorizzazione del cancelliere del Vicariato di Roma. Il compratore è questa volta la cooperativa Domus caritatis, che tre anni dopo finirà al centro di uno dei due filoni dell’inchiesta del procura guidata da Giuseppe Pignatone, con Zuccolo e Ferrara protagonisti. Il “ramo d’azienda” ceduto dall’arciconfraternita è consistente: diversi asili per minori stranieri, la gestione del centro polifunzionale da 400 posti per rifugiati e richiedenti asilo di via Boccea (con relativi ampliamenti che aggiungono ulteriori 600 posti), il servizio di prima accoglienza per richiedenti asilo a Fiumicino, più una lunga serie di altri servizi convenzionati. Un’attività che mostrava all’epoca un attivo e che quindi non costava nulla al vicariato romano: il tutto era finanziato dal comune di Roma e dai fondi per l’emergenza rifugiati.
Il pacchetto nel 2012 passa dunque alla Domus Caritatis, cooperativa che gravita nell’area di Comunione e liberazione. Quanto valgono quelle convenzioni? L’intero pacchetto viene pagato, secondo l’atto notarile che ilfattoquotidiano.it ha consultato, 464mila euro. Ovvero la differenza tra attivo e passivo al 30 giugno 2012, secondo i conti allegati all’atto di cessione del ramo d’azienda. Ma una cifra decisamente ben lontana dal giro d’affari che le convezioni permettevano. E se l’albergo era in fondo una questione tra privati, quella cessione di convenzioni pubbliche forse avrebbe dovuto attirare l’attenzione di qualcuno. Di certo del cardinal Vallini, per sua stessa ammissione decisamente preoccupato per quello che avveniva all’interno della confraternita.
Oggi la questione è tutt’altro che chiusa. Se in camera di commercio l’Arciconfraternita risulta cessata alla fine del 2014, per il Vicariato di Roma in realtà l’ente ecclesiastico è commissariato. A scrutare carte e conti il cardinal Vallini ha chiamato un collega decisamente esperto, monsignor Liberio Andreatta, da molti anni responsabile del colosso del turismo religioso “Opera romana pellegrinaggi”. Mario Guarino nel suo libro uscito lo scorso anno, “Vaticash”, lo pone in cima alla classifica dei religiosi decisamente ricchi, con un patrimonio personale di svariate centinaia di ettari di terreni, coltivati a uliveti, frutteti, boschi da taglio e castagneti, sparsi tra la Maremma e le campagne di Treviso. Chissà quanto valuterà quell’albergo all’Eur affittato a duemila euro alla società di Zuccolo e Ferrara.

Roma Capitale, Buzzi e Carminati regnavano sulla città anche con Marino. - Enrico Fierro e Valeria Pacelli

Roma Capitale, Buzzi e Carminati regnavano sulla città anche con Marino

Secondo la relazione dei prefetti tenuta segreta il Comune andava sciolto per mafia: “L’esercizio dei poteri di indirizzo politico e di gestione amministrativa degli organi di Roma Capitale – scrivono – è stato fortemente condizionato da una associazione di stampo mafioso”. 

Dalla lettura della Relazione si ritiene che vi siano i presupposti richiesti dalla normativa” per lo scioglimento dei Comuni per mafia. Il Comune di Roma Capitale poteva e doveva essere sciolto e commissariato per mafia. Perché Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, i presunti vertici dell’organizzazione Mafia Capitale, avevano e hanno in mano politici, di governo e di opposizione, tecnici, manager, capi dei dipartimenti, dell’amministrazione Alemanno e di quella Marino. E non sono solo i nomi emersi nelle inchieste della Procura di Roma.
Ci sono anche altri, non indagati, al loro servizio. È questa la conclusione dei prefetti della Commissione di accesso che per mesi hanno scandagliato il livello di penetrazione della mafia nel Comune. Si poteva e si doveva mandare a casa sindaco, giunta e consiglio. Ma per mafia. Non fu fatto nonostante il lavoro certosino dei prefetti e la loro analisi spietata. “L’esercizio dei poteri di indirizzo politico e di gestione amministrativa degli organi di Roma Capitale – scrivono – è stato fortemente condizionato da una associazione di stampo mafioso”. Non è la mafia che spara, siamo di fronte “a una più sottile strategia che vede una forma di inquinamento della vita amministrativa di Roma Capitale attraverso l’occulta, ma poi non tanto, regia di Carminati e Buzzi, con l’inserimento di propri uomini negli organi di gestione”.
Buzzi e Carminati comandavano ai tempi di Alemanno e anche dopo, con Marino. “La mancanza di percezione del contagio mafioso – scrivono i prefetti – ha fatto sì che questo non abbia risparmiato neanche l’azione del sindaco Marino, che non sempre è riuscito ad opporsi”. Ignazio Marino ha commesso l’errore di sottovalutare la corruzione e non identificarla come “veicolo del contagio mafioso”. I capi di Mafia Capitale erano tranquilli: “Se Marino resta sindaco per altri tre anni e mezzo col mio amico capogruppo ci mangiamo Roma”. Continuità perfetta, “grazie a una trama corruttiva cui hanno aderito membri dell’assemblea e della giunta”.
 “Ho le spalle al muro, vogliono Ozzimo”
Un esempio. Rita Cutini è assessore alle Politiche sociali, terreno di caccia del presunto sodalizio. Mafia Capitale chiede la sua testa. Al suo posto vuole Daniele Ozzimo, Pd, ora imputato in Mafia Capitale. Sentita dai prefetti della Commissione, la Cutini racconta di essere stata convocata il 1° dicembre 2014 (alla vigilia dell’operazione Mondo di Mezzo) e di aver ricevuto la notizia della sua sostituzione. “Ho le spalle al muro”, le dice il sindaco. E quando i prefetti sentono Marino, la sorpresa: “Il nome di Ozzimo mi è stato imposto dal Pd”. È vero, notano i prefetti, che l’assessore Cutini è stata poi sostituita dalla Danese e non da Ozzimo, ma solo a causa delle dimissioni volontarie di quest’ultimo: in caso contrario il sodalizio sarebbe avrebbe avuto persone di fiducia sia al vertice amministrativo che a quello politico del settore che controlla la spesa sociale di Roma Capitale”. Così “i principi di democraticità di Roma Capitale erano fortemente compromessi”.
Ma non sono solo le complicità vecchie e nuove, nere e rosse, di cui per anni godono Buzzi e Carminati, a renderli padroni della Capitale. “È il profondo stato di degrado dell’istituzione incapace di opporre una efficace resistenza”. Il risultato è una amministrazione “inquinata, i cui atti gestionali presentano gravi deviazioni rispetto al canone normativo, dando vita ad una costante mala gestio, ad una continua violazione delle procedure di legge, con aggravio di costi e pesanti inefficienze”. La “mafia silente”, tanto “evoluta” da costruire un sistema “reticolare e a raggiera”, faceva man bassa di appalti e servizi. Sconvolgente il quadro offerto dai prefetti sul ricorso frequente a procedure non aperte, affidamenti diretti spesso non usando in modo corretto le procedure di somma urgenza”.
Sempre lo stesso copione. Con la novità delle proroghe alle stesse ditte o cooperative, “dette prolungamenti tecnici, nozione che non è dato riscontrare nel codice dei contratti”. La forza di Mafia Capitale sta in quello che i prefetti chiamano il loro “capitale istituzionale”. L’area grigia. Accanto agli uomini arrestati o indagati, “ve ne sono altri i cui legami con il sodalizio non sono meno forti per essere indiretti”. I prefetti fanno i nomi, non sono indagati ma “collocati in posizioni più sfumate, ma che comunque sono connotati da tratti anomali, che assumono significatività a causa della loro particolare vicinanza a Buzzi e ai suoi interessi”.Erica Battaglia (Pd), Luca Giansanti (Lista Marino),Annamaria Proietti Cesaretti (Sel), tutti legati al sistema cooperativo, tutti in conflitto di interessi con la funzione di consiglieri comunali.
 Si indaga sui fondi della Regione a Ostia.
C’è anche una radiografia del ruolo di Gianni Alemanno, l’ex sindaco. “La sua relazione col sistema Buzzi Carminati è stabile”, il suo ruolo di consigliere comunale di opposizione gli ha consentito di continuare a fare gli interessi di Mafia Capitale. Processone o processetto, quello a Mafia Capitale. Si vedrà. Per il momento spuntano altre carte. Tra i documenti depositati dai pm c’è un’informativa sui fondi della Regione Lazio, guidata da Zingaretti, sul litorale laziale. È l’analisi dei flussi finanziari destinati a opere nel Municipio X, a Ostia.

mercoledì 10 dicembre 2014

Mafia Capitale, Buzzi a Carminati: “Grillo ha distrutto il Pd, noi non ci stiamo più”. - Antonio Massari

Mafia Capitale, Buzzi a Carminati: “Grillo ha distrutto il Pd, noi non ci stiamo più”

Nell'aprile 2013 il capo delle cooperative rosse di Roma confidava all'ex Nar la propria preoccupazione per il cambio di clima politico nella Capitale e il 7 novembre era alla cena di finanziamento del Partito Democratico organizzata dal premier Matteo Renzi: per un tavolo ha speso 10mila euro.


L’affare non era soltanto gestire i campi rom. Il sistema doveva funzionare. Ovunque. E quindi era importante avere gli uomini giusti nei posti giusti. Ed è proprio parlando di uomini giusti nei posti giusto che Salvatore Buzzi, patron delle cooperative rosse che a Roma s’aggiudicavano appalti su appalti, si lascia andare a uno sfogo imbarazzante per il Partito Democratico. Uno sfogo tanto più significativo se pensiamo che lo rivolge al boss della Mafia Capitale, suo compare in affari, il “cecato” Massimo Carminati: “Il problema è che non ci stiamo più noi … una cosa incredibile… Grillo è riuscito a distruggere il Pd“.
È l’aprile 2013 e gli uomini di Mafia Capitale rivelano d’avere un problema: l’ascesa del Movimento 5 stelle. Lo ammettono parlando dell’ultima nomina andata in porto, quella di Giovanni Friscon, alla municipalizzata romana Ama spa. Buzzi, intercettato dal Ros dei Carabinieri, lo definisce un “uomo nostro” e il 17 aprile esulta al telefono con il suo collaboratore Carlo Maria Guarany, anch’egli arrestato nella retata di Mafia Capitale: “La prima è che venerdì il nostro Fiscon farà il direttore generaledi Ama al posto di Commini, nuovo A.D. (…) quindi sarà lui il numero uno … e vai!!!“, esulta il numero uno della “29 giugno”. Ma è parlando con Carminati il 22 aprile che la soddisfazione per la nomina e l’interesse della banda ad avere un uomo gradito in Ama emergono ancora più eloquente: “Venerdi stavi da Alemanno …”, domanda Carminati a Buzzi, che gli risponde: “Stavo da Berlusconi, venerdì”. “Da Berlusconi il cantante….”, scherza Carminati. E aggiunge: “Sei contento de Fiscon, sì?”. “Sì, ammazza”, risponde Buzzi. “È perfetto“, conclude Carminati.
Ma avere Fiscon a curare i loro affari all’Ama a Carminati e soci non basta. E’ il clima che sta nascendo a non lasciarli tranquilli: alle elezioni politiche di febbraio il M5S aveva scardinato il sostanziale bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra conquistando il 25,5% e a maggio i romani sarebbero tornati alle urne per eleggere il loro nuovo sindaco. I vertici della Mafia Capitale avvertono come anche a Roma l’aria stia cambiando. “Er problema è un altro – conclude Buzzi – er problema è che non ce stamo più noi, semo … (inc). .. una cosa incredibile. Grillo è riuscito a distruggere il Pd“. E il Pd, per il sistema criminoso ipotizzato dagli inquirenti, è fondamentale. Non è un caso che Salvatore Buzzi, il 7 novembre scorso, abbia partecipato alla cena di finanziamento del Pd organizzata da Matteo Renzi, investendo 10mila euro per ottenere un tavolo. “A Buzzi – sostiene il suo braccio destro nella cooperativa 29 giugno, che non risulta indagato – Renzi è sempre piaciuto per il suo piglio decisionista”.
Finora, secondo quanto emerge dalle carte, l’unico punto di contatto tra il movimento e l’organizzazione è rappresentato da Matteo Calvio, che figura tra gli arrestati. “Da ieri sono diventato un membro dei Movimento 5 stelle. Stiamo aprendo presso le zone Infernetto, Acilia, Ostia uno studio dove daremo vita a questo movimento di Beppe Grillo. Chiunque fosse interessato ci contatti su Fb”, scriveva su Facebook il 9 giugno 2012 Calvi, che secondo gli investigatori è uno dei picchiatori preferiti da Carminati per l’attività di recupero crediti. “Calvio è totalmente estraneo alla mia persona e a tutto il gruppo municipale Cinque stelle”, smentiva il 5 dicembre Paolo Ferrara, portavoce del Movimento del X Municipio di Roma. Poco dopo, in seguito ad una verifica sugli elenchi ufficiali, arrivava la posizione dei vertici: “Matteo Calvio non risulta iscritto, né hai mai ricoperto alcun incarico all’interno del M5s”.
L’equazione tra la distruzione del Pd e il “non ci stiamo più noi”, per gli interessi degli uomini di Mafia Capitale, proprio mentre discutono delle nomine nelle aziende municipalizzate, non è importante soltanto dal punto di vista investigativo: risulta imbarazzante sotto l’aspetto politico. Eppure, nonostante le promesse di un mese fa, quando Renzi annunciava che i partecipanti alle cene di finanziamento del partito sarebbero stati resi pubblici, non v’è ancora traccia dell’elenco dei commensali. Di certo sappiamo che Buzzi c’era, giusto qualche settimana prima d’essere arrestato, e che a quel tavolo sedeva anche un altro socio della cooperativa, Carlo Maria Guarany.

giovedì 4 dicembre 2014

Ancora intercettazioni su Mafia Capitale, il modus operandi di Carminati sul Campidoglio.


Mafia Capitale: la malavita di larghe intese. - Marco Lillo



Ci sono intercettazioni che restano nella storia criminale di un paese. Il “mondo di mezzo” evocato da Massimo Carminati entra di diritto nella top ten assieme a grandi classici come “i furbetti del quartierino”.
Il mondo di mezzo, secondo il boss arrestato come capo di Mafia Capitale, è il luogo in cui “tutto si mischia nel mezzo perché la persona che sta nel sovramondo (politico o imprenditore, ndr) ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non può fare nessuno”.
Sarebbe consolante dire che la terra di mezzo in cui sono fioriti 37 arresti è la destra romana. Invece in quel luogo si mischiano non solo i destini di Gianni Alemanno, un sindaco che sembrava volere diventare premier, e Massimo Carminati, condannato per un furto inquietante di miliardi e segreti nel Palazzo di Giustizia e coinvolto (ma sempre assolto) nei fatti più inquietanti della storia d’Italia: dall’omicidio del giornalista Mino Pecorelli al depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna. No. Nella terra di mezzo si mischiano destra e sinistra, oltre che sovramondo e sottomondo. La “Mafia Capitale” guidata da Carminati secondo i magistrati aveva a libro paga anche politici di primo piano del Pd.
Nella terra di mezzo, il boss che ha ispirato il “Nero” di Romanzo criminale, il “fasciomafioso” Carminati ha come braccio destro un criminale svelto di mano, Riccardo Brugia, e come “braccio sinistro” il re delle cooperative sociali Salvatore Buzzi: già condannato per omicidio e poi riabilitato. Buzzi “il rosso” si vanta di pagare tutti e di dare 5 mila euro al mese all’ex vice capo gabinetto del sindaco Veltroni, poi nominato capo della Polizia provinciale, Luca Odevaine, anche lui indagato.
La notizia non è quindi Carminati, ma Buzzi: un ex detenuto simbolo della resurrezione dal carcere che presiede un impero da 50 milioni. Con la sua cooperativa aderente alla Lega delle coop rosse, già guidata dal ministro Giuliano Poletti, fa soldi nel business dei campi nomadi e dell’assistenza ai rifugiati e poi divide col “nero”. A maggio Buzzi chiudeva così la sua relazione all’assemblea della Cooperativa 29 giugno: “Un augurio di buon lavoro al ministro Poletti, nostro ex Presidente nazionale che più volte ha partecipato alle nostre assemblee; al governo Renzi, affinché possa realizzare tutte le riforme che si è posto come obiettivo, l’unico modo per salvare il nostro Paese”. 
La terra di mezzo non ha confini netti. Non è la destra, non è Roma: è l’Italia.