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sabato 16 novembre 2019

Pulizia nelle scuole, dal 2020 stop agli appalti: i lavoratori saranno assunti dallo Stato. Ma il bando non c’è ancora e qualcuno resterà fuori. - Lorenzo Vendemiale

Pulizia nelle scuole, dal 2020 stop agli appalti: i lavoratori saranno assunti dallo Stato. Ma il bando non c’è ancora e qualcuno resterà fuori

La decisione risale allo scorso anno. Ma solo a ottobre, dieci mesi dopo, il governo ha varato il decreto che autorizza il concorso. Secondo gli ultimi dati, i posti a bando saranno 11.263 ma gli ex-Lsu sono di più: 16.019. Alcuni posti saranno spezzati in contratti part-time. Più serio l’ostacolo dei requisiti: 10 anni di servizio continuativo, licenza media, fedina penale pulita.
Primo gennaio 2020: finisce l’era delle coopinizia quelle delle pulizie “internalizzate”. Le scuole italiane non saranno più curate da ditte esterne ma sempre dagli stessi lavoratori che diventeranno dipendenti statali. Il ministero li assumerà tutti (o quasi?), per pulire direttamente gli istituti, magari risparmiare qualche milione, sicuramente mettere fine a un sistema di appalti e subappalti sanzionato dall’Antitrust. Una rivoluzione su cui, dai lavoratori ai sindacati, dalla politica alle scuole, sono tutti d’accordo, tranne ovviamente le coop. Il problema è che a poche settimane dalla partenza non è stato fatto quasi nulla: il concorso per stabilizzare i lavoratori è stato approvato ma non ancora bandito (figuriamoci espletato). Soprattutto, non sono stati risolti i nodi sulla platea dei beneficiari: i lavoratori coinvolti sono 16mila, i posti in palio solo 11mila. E poi c’è il problema dei requisiti minimi: qualcuno rischia di rimanere fuori. Intanto le ditte, sul piede di guerra, hanno già avviato le procedure di licenziamento per tutti. Un bel pasticcio, che alla fine potrebbe concludersi con una proroga.
LA SVOLTA DEL 2018: INTERNALIZZARE GLI EX-LSU – Parliamo degli ex lavoratori socialmente utili (Lsu), disoccupaticassaintegrati o impiegati degli appalti storici che a fine anni ‘90 il governo Prodi aveva pianificato di stabilizzare negli enti locali per la pulizia delle scuole, salvo poi dirottarli nelle cooperative quando si decise di privatizzare il servizio. Da allora una quota dell’organico Ata è stata “accantonata” per dare un impiego a queste persone, in quelle scuole (circa 4mila) che per la pulizia non si servono di personale interno. Sono circa 16mila in tutta Italia, oltre il 50% al Sud, con una forte concentrazione in Campania. L’esternalizzazione ha funzionato, soprattutto perché lo Stato ci ha messo centinaia di milioni ogni anno, quelli delle gare Consip. E quando non bastava, rabboccava con altri finanziamenti (anche il famoso progetto “Scuole belle” lanciato da Matteo Renzi non era altro che una maniera per garantire il livello occupazionale degli ex Lsu). La multa dell’Antitrust nel 2016 ha però mostrato tutte le storture del sistema. E l’anno scorso il governo gialloverde, su spinta del M5S, ha deciso di fare quello di cui si discuteva da anni: togliere il servizio alle coop e più o meno con gli stessi soldi assumere i lavoratori.
I NODI IRRISOLTI: 5MILA POSTI IN MENO E I REQUISITI – Il provvedimento fu approvato nella manovra a fine 2018. Solo a ottobre, dieci mesi dopo, il governo ha varato il decreto che autorizza il concorso (per titoli, senza prove: quasi una formalità). Ancora non è stato bandito. Colpa di lungaggini tecniche ma anche di qualche problema sostanziale. I nodi sono essenzialmente due. Il primo è la differenza tra il numero di posti e quello dei lavoratori: secondo gli ultimi dati, i posti a bando saranno 11.263 ma gli ex-Lsu sono di più, esattamente 16.019, perché molti di loro lavorano part-time. Cosa ne sarà dei 4.756 di troppo? In questo caso il problema potrebbe già contenere la soluzione, almeno parziale: in sede provinciale alcuni posti saranno spezzati in contratti part-time. Più serio l’ostacolo dei requisiti fissati dal decreto: 10 anni di servizio continuativolicenza mediafedina penale pulita. Considerando la storia degli ex-Lsu (e il fatto che a volte le ditte li facevano lavorare con contratti a tempo determinato), qualcuno resterà fuori di sicuro: quanti di preciso non si sa, perché numeri ancora non ce ne sono. Le ditte non li hanno (o non li vogliono dare), mentre le procedure di licenziamento sono già state avviate: non collaborano insomma, ma era difficile aspettarsi il contrario da chi perderà un business milionario. Al passaggio di consegne, però, manca poco più di un mese.
CORSA CONTRO IL TEMPO (E RISCHIO PROROGA) – Il Consiglio superiore per l’istruzione (Cspi) ha appena dato parere favorevole al decreto che autorizza il concorso, a condizione però di garantire il mantenimento occupazionale e reddituale di tutti i lavoratori. Per farlo bisogna capire esattamente chi e quanti resteranno fuori, e trovare una soluzione: alcuni potrebbero essere accompagnati alla pensione, altri magari impiegati in altri ministeri (per cui potrebbe essere aperto un tavolo inter-istituzionale). Per fare tutto però serve tempo. Al Miur continuano ad essere ottimisti e a sostenere che si lavora per chiudere la pratica entro il 31 dicembre: il concorso è stato ulteriormente semplificato, non appena ultimato i lavoratori potranno entrare in servizio. Qualcun altro, però, suggerisce che sarebbe più saggio disporre una proroga, affidare le pulizie alle ditte ancora per i primi mesi del 2020 e rinviare la rivoluzione al prossimo anno scolastico, in modo che anche le scuole possano essere più preparate al nuovo sistema.

mercoledì 10 dicembre 2014

Mafia Capitale, Buzzi a Carminati: “Grillo ha distrutto il Pd, noi non ci stiamo più”. - Antonio Massari

Mafia Capitale, Buzzi a Carminati: “Grillo ha distrutto il Pd, noi non ci stiamo più”

Nell'aprile 2013 il capo delle cooperative rosse di Roma confidava all'ex Nar la propria preoccupazione per il cambio di clima politico nella Capitale e il 7 novembre era alla cena di finanziamento del Partito Democratico organizzata dal premier Matteo Renzi: per un tavolo ha speso 10mila euro.


L’affare non era soltanto gestire i campi rom. Il sistema doveva funzionare. Ovunque. E quindi era importante avere gli uomini giusti nei posti giusti. Ed è proprio parlando di uomini giusti nei posti giusto che Salvatore Buzzi, patron delle cooperative rosse che a Roma s’aggiudicavano appalti su appalti, si lascia andare a uno sfogo imbarazzante per il Partito Democratico. Uno sfogo tanto più significativo se pensiamo che lo rivolge al boss della Mafia Capitale, suo compare in affari, il “cecato” Massimo Carminati: “Il problema è che non ci stiamo più noi … una cosa incredibile… Grillo è riuscito a distruggere il Pd“.
È l’aprile 2013 e gli uomini di Mafia Capitale rivelano d’avere un problema: l’ascesa del Movimento 5 stelle. Lo ammettono parlando dell’ultima nomina andata in porto, quella di Giovanni Friscon, alla municipalizzata romana Ama spa. Buzzi, intercettato dal Ros dei Carabinieri, lo definisce un “uomo nostro” e il 17 aprile esulta al telefono con il suo collaboratore Carlo Maria Guarany, anch’egli arrestato nella retata di Mafia Capitale: “La prima è che venerdì il nostro Fiscon farà il direttore generaledi Ama al posto di Commini, nuovo A.D. (…) quindi sarà lui il numero uno … e vai!!!“, esulta il numero uno della “29 giugno”. Ma è parlando con Carminati il 22 aprile che la soddisfazione per la nomina e l’interesse della banda ad avere un uomo gradito in Ama emergono ancora più eloquente: “Venerdi stavi da Alemanno …”, domanda Carminati a Buzzi, che gli risponde: “Stavo da Berlusconi, venerdì”. “Da Berlusconi il cantante….”, scherza Carminati. E aggiunge: “Sei contento de Fiscon, sì?”. “Sì, ammazza”, risponde Buzzi. “È perfetto“, conclude Carminati.
Ma avere Fiscon a curare i loro affari all’Ama a Carminati e soci non basta. E’ il clima che sta nascendo a non lasciarli tranquilli: alle elezioni politiche di febbraio il M5S aveva scardinato il sostanziale bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra conquistando il 25,5% e a maggio i romani sarebbero tornati alle urne per eleggere il loro nuovo sindaco. I vertici della Mafia Capitale avvertono come anche a Roma l’aria stia cambiando. “Er problema è un altro – conclude Buzzi – er problema è che non ce stamo più noi, semo … (inc). .. una cosa incredibile. Grillo è riuscito a distruggere il Pd“. E il Pd, per il sistema criminoso ipotizzato dagli inquirenti, è fondamentale. Non è un caso che Salvatore Buzzi, il 7 novembre scorso, abbia partecipato alla cena di finanziamento del Pd organizzata da Matteo Renzi, investendo 10mila euro per ottenere un tavolo. “A Buzzi – sostiene il suo braccio destro nella cooperativa 29 giugno, che non risulta indagato – Renzi è sempre piaciuto per il suo piglio decisionista”.
Finora, secondo quanto emerge dalle carte, l’unico punto di contatto tra il movimento e l’organizzazione è rappresentato da Matteo Calvio, che figura tra gli arrestati. “Da ieri sono diventato un membro dei Movimento 5 stelle. Stiamo aprendo presso le zone Infernetto, Acilia, Ostia uno studio dove daremo vita a questo movimento di Beppe Grillo. Chiunque fosse interessato ci contatti su Fb”, scriveva su Facebook il 9 giugno 2012 Calvi, che secondo gli investigatori è uno dei picchiatori preferiti da Carminati per l’attività di recupero crediti. “Calvio è totalmente estraneo alla mia persona e a tutto il gruppo municipale Cinque stelle”, smentiva il 5 dicembre Paolo Ferrara, portavoce del Movimento del X Municipio di Roma. Poco dopo, in seguito ad una verifica sugli elenchi ufficiali, arrivava la posizione dei vertici: “Matteo Calvio non risulta iscritto, né hai mai ricoperto alcun incarico all’interno del M5s”.
L’equazione tra la distruzione del Pd e il “non ci stiamo più noi”, per gli interessi degli uomini di Mafia Capitale, proprio mentre discutono delle nomine nelle aziende municipalizzate, non è importante soltanto dal punto di vista investigativo: risulta imbarazzante sotto l’aspetto politico. Eppure, nonostante le promesse di un mese fa, quando Renzi annunciava che i partecipanti alle cene di finanziamento del partito sarebbero stati resi pubblici, non v’è ancora traccia dell’elenco dei commensali. Di certo sappiamo che Buzzi c’era, giusto qualche settimana prima d’essere arrestato, e che a quel tavolo sedeva anche un altro socio della cooperativa, Carlo Maria Guarany.

sabato 22 febbraio 2014

Governo Renzi auto-rottamato, fatto fuori Gratteri restano solo lobby e gattopardi. - Peter Gomez

Nel 1994 era stato Cesare Previti, l’avvocato degli affari sporchi di Silvio Berlusconi, a entrare al Quirinale come Guardasigilli in pectore e a uscire degradato. Sull’onda dell’indignazione suscitata dalla scoperta di Tangentopoli, il Colle aveva detto no. E Previti era finito alla Difesa. Oggi, nel mondo alla rovescia dei ladri e della Casta, a venir depennato all’ultimo momento dalla lista ministri, è Nicola Gratteri, stimato magistrato antimafia, la cui colpa principale è quella di aver sognato di poter far funzionare la giustizia anche in Italia . Gratteri resterà in Calabria. E per la gioia della ‘ndrangheta, delle consorterie politico-mafiose e dell’Eterno Presidente, Giorgio Napolitano, in via Arenula ci finisce l’ex ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, celebre per aver chiesto l’abolizione dell’ergastolo e proposto l’abrogazione dell’obbligatorietà dell‘azione penale.
È il segno più evidente di come il rottamatore Matteo Renzi prosegua imperterrito nella distruttiva opera di auto-rottamazione e di demolizione del sogno di cambiamento che aveva rappresentato per molti italiani. Una stolta manovra iniziata con il tradimento e il successivo brutale accoltellamento politico del mediocre Enrico Letta, a cui il nuovo premier aveva più volte pubblicamente e bugiardamente assicurato lealtà.
Certo, sull’esclusione all’ultimo minuto di Gratteri in molti vedono le impronte digitali di Napolitano. Il presidente del secondo paese più corrotto d’Europa, noto per aver lesinato solo i moniti in materia di legalità della politica, ovviamente esclude ogni responsabilità. Resta però da spiegare come mai, stando a quello che risulta per certo a Il Fatto Quotidiano, al magistrato fosse stato assicurato il dicastero solo pochi minuti prima della salita di Renzi al Colle. E perché Napolitano, pubblicamente, abbia poi tenuto a precisare – con una sorta di excusatio non petita – che tra lui e Renzi non era avvenuto nessun “braccio di ferro” sulla lista dei ministri.
Nelle prossime ore le notizie su quello che è esattamente accaduto durante il lunghissimo faccia a faccia tra il neopremier e l’ottuagenario capo dello Stato, non mancheranno. Non c’è invece bisogno di retroscena per capire tutto il resto. Bastano i curricula dei ministri più importanti.
Nella lista spiccano i nomi dell’esponente di Confindustria e della Commissione trilaterale, Federica Guidi (Sviluppo economico), quello del presidente della Lega cooperative, Giuliano Poletti, dell’ex delfino di Berlusconi, Angelino Alfano (Interno), e del ciellino Maurizio Lupi (Infrastutture). Mentre all’Economia ci finisce Pier Carlo Padoan, capo economista dell’Ocse e ex presidente della Fondazione italiani europei di Massimo D’Alema, e alle Politiche Agricole, Maurizio Martina, già pupillo di Filippo Penati, l’ex presidente della provincia di Milano sotto processo per le tangenti di Sesto San Giovanni.
Il fatto che Renzi sia riuscito a mettere insieme una squadra formata al 50 per cento da donne, che l’età media dell’esecutivo sia piuttosto bassa, non servirà al premier per cancellare negli elettori la sensazione di trovarsi di fronte a un consiglio dei ministri espressione di quelle lobby da più parti ritenute responsabili del degrado del Paese. È infatti più che ragionevole dubitare che il suo obamiano programma di governo (“una riforma al mese”) possa essere messo in atto da una compagine del genere. Perché questo non è un dream team, ma solo una galleria di errori e orrori.
Così già oggi sappiamo che ha vinto il Gattopardo#lavoltabuona può attendere.