Nella versione finale del dl Agosto tornano i poteri all’Autorità per bloccare operazioni sgradite: ora il Tesoro valuta un’offerta a LSE.
Il cosiddetto “decreto agosto” ieri sera è uscito dagli uffici nebbiosi del Tesoro e oggi dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale (otto giorni dopo la sua approvazione formale in Consiglio dei ministri). Il testo che Il Fatto ha potuto visionare, rispetto a quello degli ultimi giorni, contiene però una novità non da poco: viene effettivamente ampliato il potere concesso a Consob, l’autorità che vigila sui mercati, di impedire operazioni sgradite su Borsa Italiana Spa. In sostanza, il diritto di chiedere informazioni su eventuali passaggi di quote rilevanti della società (o della società che la controlla) e, se del caso, intervenire fermando tutto.
Questi maggiori poteri, seppure in capo ad Autorità simili in altri Paesi europei, erano spariti dalle bozze degli ultimi giorni, ma evidentemente la pressione di un pezzo della maggioranza (5 Stelle in testa) ha riportato le cose al punto di partenza. Non una novità da poco se, come riporta (non smentita) Milano Finanza, il governo ha rotto gli indugi sulla questione Borsa Italiana e – in una prossima riunione tra Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (ma dovrebbe esserci anche il sottosegretario Riccardo Fraccaro, il cui staff ha curato il dossier fin dall’inizio) – darà il via libera a un’offerta alla London Stock Exchange per rilevare Piazza Affari e tutto quel che contiene.
La situazione è complessa e va spiegata. Privatizzata nel 1998, Borsa Italiana fu ceduta alla società che gestisce anche la piazza londinese (LSE appunto) nel 2007 garantendo una plusvalenza miliardaria alle banche e agli intermediari finanziari che l’avevano rilevata dallo Stato. La nostra Borsa non è un mercato enorme, ma è una società efficiente che produce utili nelle sue varie divisioni (particolarmente rilevante in questo contesto è Mts, cioè la piattaforma su cui vengono intermediati i titoli di Stato italiani). Problema: LSE vuole fondersi col gigante dei dati Refinitiv, la cui controllata Tradeweb sarebbe un doppione di Mts. Per aggirare i limiti dell’Antitrust europea e fare cassa, i londinesi sono costretti a cedere Borsa Italiana: la vicenda ha subito una brusca accelerazione in questi ultimi giorni, tanto che LSE – e i suoi advisor Goldman Sachs e Morgan Stanley – hanno avviato l’asta e si aspettano le prime offerte entro venerdì 21 agosto e quelle vincolanti per settembre.
E qui torniamo al ruolo del governo italiano. Piazza Affari, e in particolare Mts, possono essere considerate asset strategici: sicuramente interessati all’acquisto sono Euronext (che riunisce alcune Borse europee a partire da Parigi) e i tedeschi di Deutsche Börse, ora si aggiunge pure il governo italiano non si sa bene in che forma e se in alleanza coi francesi.
Il dossier è infatti da mesi sulle scrivanie del governo e si arriva a questa accelerazione senza le idee chiare. Il piano sponsorizzato in primo luogo dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, prevede che Borsa Italiana finisca in Euronext, ma con l’ingresso nell’azionariato di Cdp all’8% (la stessa quota che nella società ha già la Cassa depositi francese).
Il problema è che Euronext non ha i soldi per fare da sola un’operazione che costa almeno 3,3 miliardi (le servirebbe un aumento di capitale) e ha già dimostrato nel recente passato di non gradire le aste troppo competitive (ha lasciato agli svizzeri di Six la Borsa di Madrid per non rilanciare).
E qui arrivano i nuovi poteri concessi a Consob, che sostanzialmente ne ampliano il potere negoziale nel caso di un cambio di azionariato di Borsa Spa (o persino della sua controllante). Di fatto Consob deve ricevere preventiva comunicazione da parte di qualunque operazione superiore al 10% del capitale su LSE o Borsa Spa ed entro 90 giorni persino opporsi alla chiusura dell’affare: in ipotesi, non solo la vendita di Borsa Italiana, ma persino la fusione tra LSE e Refinitiv potrebbe essere ostacolata da questa modifica normativa (in odore di violazione delle norme europee).
È evidente insomma che chi volesse partecipare all’asta per Piazza Affari– con una tale spada di Damocle sulla testa e il contestuale interesse dello Stato a entrare nell’azionariato – non lo farà senza un preventivo accordo col governo italiano: la cosa non farà piacere a Londra perché rischia di abbassare il prezzo di vendita (o almeno non farlo alzare). Ora resta da capire come vogliono muoversi Conte e soci.