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venerdì 27 febbraio 2015

Napoli, indagato senatore di Gal: “Ricevute false per rimborsi sanitari”.

Napoli, indagato senatore di Gal: “Ricevute false per rimborsi sanitari”

Antonio Milo intercettato al telefono nell'inchiesta su un centro di fisioterapia "fantasma" scherzava: "Le fatture me le vuoi fare o ti devo denunciare?". Sotto accusa anche un ex parlamentare Pdl, Marco Pugliese.

“Le fatture me le vuoi dare o devo parlare con Tremonti?”. “E le fatture me le vuoi fare, o ti devo denunciare alla Guardia di Finanza?”. A rivolgersi così al titolare di un centro di fisioterapia “fantasma” è il senatore Antonio Milo. Ma il tono non è perentorio né minaccioso, di chi sta reclamando il rispetto delle regole, bensì scherzoso, lasciando intendere che si tratta solo di una finzione perché le prestazioni per le quali si sollecita la ricevuta non sono state mai eseguite e quei pezzi di carta servono solo per ottenere indebitamente il rimborso del servizio sanitario nazionale (assistenza integrativa dei parlamentari). Questo il convincimento dei magistrati della procura di Napoliche hanno indagato Milo e un altro ex parlamentare, il deputato del Pdl Marco Pugliese, per falso e truffa nell’ambito dell’inchiesta sul centro Fisiodomus di Casavatore (Napoli), una struttura che al momento della richiesta di rilascio delle fatture già non era più attivo da tempo. Ma era stata trasformata – così emerge dall’inchiesta – in una sorta di fabbrica di certificati fasulli. Milo è considerato un “cosentiniano“: è iscritto al gruppo Grandi autonomie e libertà, che in alcune occasioni da opposizione è diventata stampella della maggioranza di governo.
Questo lo scenario disegnato dai pm Henry John Woodcock,Celeste CarranoGiuseppina Loreto e dal procuratore aggiunto Alfonso D’Avino che hanno chiesto e ottenuto oggi l’emissione di ordinanze di custodia per i responsabili della struttura e per l’ex sindaco di Casavatore. Nell’ordinanza di custodia, firmata dal gip Amelia Primavera, si quantifica la presunta truffa ai danni del servizio sanitario: 3960 euro a Pugliese (per prestazioni in favore suo e della madre) e 9160 a Milo (in favore suo, di due figli e della moglie). I fatti contestati si riferiscono a un arco di tempo che va dal 2010 al 2012, quando Milo e Pugliese erano deputati.

martedì 9 dicembre 2014

Mafia Roma, l’uomo di Zingaretti a Gramazio indagato: ‘Rispettami alle urne’. - Marco Pasciuti

Mafia Roma, l’uomo di Zingaretti a Gramazio indagato: ‘Rispettami alle urne’

Il 20 febbraio 2013, a pochi giorni dal voto, Michele Baldi, capogruppo alla Regione Lazio nella lista del governatore e non indagato, chiese al consigliere di Forza Italia accusato di brogli elettorali: "Glie dici alla tua rete di scrutatori de rispettamme?". Pochi giorni prima l'esponente del centrodestra era stato intercettato mentre parlava di "inserimenti" nelle urne.


E’ il 20 febbraio 2013. “Glie dici alla tua rete di scrutatori de rispettamme?”, domanda Michele Baldi, capogruppo della Lista Zingaretti alla Regione Lazio, non indagato. “Cento per centostai tranquillo, certo che sì… “, risponde Luca Gramazio, consigliere di Forza Italia iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di associazione mafiosa. L’intercettazione ha destato l’attenzione degli inquirenti che hanno svelato l’intreccio tra il potere romano e la Mafia Capitale perché solo pochi giorni prima lo stesso Gramazio aveva spiegato a un conoscente: “Finite le operazioni di voto i … le urne vanno in alcune … in alcune sedi (…) non si tratta della classica operazione di … di controllo delle schede … inc … quello c’abbiamo ancora il tempo per fa’ degli inserimenti“. Dichiarazioni che fanno pensare agli inquirenti della Procura di Roma che Gramazio e la “cupola” volessero truccare l’esito del voto.
E’ il 2 febbraio 2013, mancano 22 giorni alle elezioni: il 24 e il 25 successivi si sarebbe votato per rinnovare il consiglio regionale del Lazio spazzato via dallo scandalo FioritoGramazio, candidato alla Pisana con l’allora Popolo delle Libertà, telefona a Simone Foglio, eletto poi nelle liste del Pdl nell’VIII municipio di Roma ed estraneo all’inchiesta, e in attesa che questi risponda parla con una persona presente nella stanza: “Finite le operazioni di voto i … le urne vanno in alcune … in alcune sedi dove vengono .. .inc … nate, contate, tutto, non si tratta della classica operazione di … di controllo delle schede … inc … quello c’abbiamo ancora il tempo per fa’ degli inserimenti“. La persona in attesa al telefono risponde, ma Gramazio, rivolto alla terza persona, aggiunge: “… ce provo, se stiamo in tempo la metto“. Le parole di Gramazio sono prese sul serio al punto che i pm ipotizzano l’utilizzo per fini illeciti delle schede elettorali che normalmente vengono stampate in maggior numero rispetto al numero degli elettori e scrivono alla Prefettura per avere l’elenco delle tipografie romane incaricate dalla Zecca di Stato di stamparle.
La richiesta di Baldi emerge da una richiesta di decreto di intercettazione in via d’urgenza inoltrata il 23 febbraio dai carabinieri del Ros. A un capo del telefono il 20 febbraio c’è il solito Gramazio, all’altro c’è Michele Baldi, capogruppo della lista Zingaretti in Regione, che non compare nella lista degli indagati. “Oh, ma io mi aspettavo che tu mi mandassi un po’ de voti, visto che so’ stato ‘a fortuna tua – esordisce Baldi –  tu lo sai che io so stato a fortuna tua o no? … “. In virtù di questo presunto credito, Baldi avanza la sua richiesta: “Io a te! non a papà (il senatore Domenico Gramazio, ndr), a te! … te posso chiedere un favore da … leale?”. Alla risposta affermativa di Gramazio (“certo che sì”) il capogruppo di Zingaretti continuava: “Glie dici alla tua rete di scrutatori de rispettamme?”. Inequivocabile la risposta dell’esponente Pdl: “Cento per centostai tranquillo, certo che sì… “. Michele proseguiva: “ma, ehmmm … tu che sei un uomo d’onore … perché veramente so che invece le voci non … e quindi insomma ecco, se tu me fai rispettare te ne sono grato”. E il futuro capogruppo di Forza Italia, eletto con oltre 18 mila voti, tornava ad assicurare: “Assolutamente sì“. Una conversazione ritenuta importante dagli inquirenti, al punto da rubricarla sotto il titolo “Emergenze investigative” nella richiesta inoltrata alla Procura: “Dal momento che Luca Gramazio si sposterà in continuazione tra i seggi elettorali per seguire l’esito delle consultazioni elettorali, ed allo scopo pertanto di monitorarlo nei suoi movimenti e negli incontri che effettuerà nel corso delle operazioni di scrutinio, si richiede l’emissione di un decreto di intercettazione in via d’urgenza”.
Il cursus honorum di Baldi è un monumento alla trasversalità politica. Così gli inquirenti lo descrivono nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere 37 persone: “Eletto nel consiglio regionale del Lazio il 26/02/2013, ha militato prima in Alleanza Nazionale, poi in Forza Italia, fondando la civica “Movimento per Roma”. Approdato infine nel centrosinistra, primo nella lista che porta il nome di Zingaretti, eletto e capogruppo della stessa in consiglio regionale”. Nel frattempo si è anche presentato alle elezioni comunali nel 2008 con la lista “Per Roma Baldi sindaco” che conquistava lo 0,8% e alle Regionali del 2010 con la lista “Movimento per Roma e per il Lazio, presidente Baldi”. Una corsa segnata da un inconveniente: agli inizi di marzo circa 1.400 firme false, alcune anche corrispondenti a persone decedute, a sostegno della presentazione della lista elettorale collegata a Baldi vennero scoperte dalla Digos di Latina. Il capogruppo Pd compare anche in un altro capitolo dell’inchiesta su Mafia Capitale. Baldi viene tirato in ballo da Giovanni Quarzo, indagato per associazione mafiosa, che domanda a Fabrizio Testa se Baldi fosse in grado di “controllare” Cosimo Dinoi nel gruppo misto durante le manovre che portarono Quarzo a diventare presidente della Commissione Trasparenza del Comune di Roma.
Ora la posizione di Gramazio junior si aggrava: accusato di associazione di tipo mafioso, corruzione aggravata e illecito finanziamento, il consigliere regionale di FI compare anche nel capitolo che riguarda i reati “in materia elettorale al fine di incidere sul risultato delle elezioni”. La memoria corre ad un fatto strano che accadde proprio nei giorni delle ultime Regionali, quando una nota urgente inviata dagli inquirenti al pm Paolo Ielo segnalava il pericolo che le schede regolarmente compilate dagli elettori venissero sostituite con altre evidentemente preconfezionate. Il 24 febbraio gli scrutatori del seggio 608 di Roma si accorsero che mancava uno scatolone con 550 schede  e chiesero che venissero sostituite.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/09/mafia-roma-luomo-zingaretti-gramazio-indagato-rispettami-alle-urne/1258136/

Alla luce degli ultimi avvenimenti sorge il sospetto che oltre a pilotare le elezioni politiche, pilotino anche le cadute di governo per sovvertirne i vertici.
Le loro menti sono più che diaboliche, quindi, tutto è possibile.

sabato 30 novembre 2013

Palazzo Grazioli, il condomino Berlusconi non paga l’affitto a FI. E cerca casa. - Carlo Tecce

Palazzo Grazioli, il condomino Berlusconi non paga l’affitto a FI. E cerca casa


Negli ultimi sette mesi non è stato pagato il canone delle sale occupate dal parlamentino del Pdl. Il tesoriere smorza le polemiche: "Abbiamo sforato di qualche giorno". Ma il padrone di casa li denuncia per morosità.

Non è senatore neanche a casa sua. Il decaduto Silvio Berlusconi lo sfrattano pure dal “parlamentino” di palazzo Grazioli, un emiciclo di legno intagliato che ha ospitato memorabili conferenze stampa, riunioni plenarie e simulazioni di governo. Perché il conte Emo Capodilista, ereditario assieme a Saverio (detto Lallo) Caravita di Sirignano, ha denunciato il defunto Pdl per morosità: abusivi, non pagano l’affitto da sette mesi, occupano l’aula di un finto Montecitorio, l’ex redazione del Mattinale (primo Piano) compreso l’ufficio di Paolo Bonaiuti e spergiurano di aver disdetto il contratto. E poi il fatidico 27 novembre dopo le fatidiche 17:42 e 30 secondi, il sofferente Berlusconi ha radunato le truppe di Forza Italia proprio nel “parlamentino”. Il tribunale civile di Roma dovrà valutare il danno.
Tra scissioni e riesumazioni, il tesoriere ha bloccato i bonifici: “Quanto sono pignoli, sciocchezze!”, assicura Maurizio Bianconi, toscano, cassiere. E l’avvocato (e deputato) Ignazio Abrignani, costretto a negoziare spiccioli, non vuole passare per taccagno: “Vi posso anticipare che l’accordo è vicino. Non capiamo l’azione di Capodilista. Abbiamo sforato di pochi giorni…”. D’un colpo, l’impunità di Silvio da Arcore evapora.
Ora va scoperto il Cavaliere parsimonioso, che non vuole saldare arretrati di un partito gestito da un tale Angelino Alfano e che la fidanzata Francesca Pascale ha iniziato al risparmio casalingo: inaccettabili i fagiolini a 80 euro per un chilogrammo. E così Berlusconi ha spedito l’architetto Gianni Gamondi in missione per le residenze più blasonate di Roma: caccia alla nuova magione, riservata, immune ai fotografi e ai giornalisti.
LA SCARSA PASSIONE per il giardinaggio di Francesca e Mariarosaria Rossi, senatrice e badante, ha scosso il pigro Silvio. L’episodio viene ricordato come determinante. Le virtù di palazzo Grazioli impongono che i fiori siano cambiati quasi ogni settimana, sempre freschi, impettiti, in salute. Per limare un piccolo spreco, Francesca e Mariarosaria ordinano pacchi di gerani di plastica, talmente ben truccati che il botulino è roba da dilettanti, e i commessi li sistemano nel cortile: la furia dei vicini, fra principi senza regno e duchi senza ducati, non va scritta perché andrebbe ascoltata. Evitato un trauma al barboncino Dudù, molto amico di un pari taglia di Saverio Caravita di Sirignano, Pascale era pronta al trasloco, a liberare anche il piano nobile con balcone su via del Plebiscito dove Berlusconi ha un paio di uffici e segretarie, tre sale da pranzo e dieci camere da letto. Addio Palazzo Grazioli, addio ricordi con Gianpi Tarantini e Patrizia D’Addario e con gli ex illustri coinquilini: il dalemiano Claudio Velardi e la tivù dalemiana, Red.
CALMA, IL CAVALIERE ha predicato calma. Perché il fidatissimo Gamondi, scultore di ville berlusconiane da Antigua a Lampedusa sino a Villa Certosa, non ha trovato il pezzo giusto più che il prezzo: adesso ha occhi solo per Palazzo Taverna. Per un po’ di pigrizia, raccontano gli amici di Fininvest, Silvio s’è fatto sfuggire il Pecci-Blunt, il palazzo con lo sguardo al Campidoglio. Dove Denis Verdini, anni fa, riuniva avventurieri e (Marcello Dell’Utri) per cercare di arrivare alla Consulta chiamata a decidere sul prezioso Lodo Alfano. Ma il Cavaliere, forse, avrà preferito ignorare quei mattoni pregiati e storici che sanno di sconfitta. Le ispezioni di Gamondi vanno avanti, piano: il decaduto non vuole abbandonare la Capitale, anche se non vuole più confondere politica e Pascale: “Per gli incontri di Forza Italia – rivela soddisfatto Abrignani – il presidente ci ha più volte consigliato di vederci nella sede di San Lorenzo in Lucina. Io sono felice perché l’ho scelta io. Ha apprezzato molto: è comoda, elegante, ma non di lusso; grande, ma non enorme; organizzata, ma non dispersiva. E dunque non andremo più a Grazioli”. 
Ovvio, non pagate da sette mesi… “Sì, mi sembra un’analisi corretta”, aggiunge Abrignani. Per i servizi sociali o i domiciliari, anche su suggerimento di Francesca, Berlusconi ha indicato Roma. Il prossimo palazzo dovrà avere un cancello molto imponente, numerose entrate, più verde (chissà se sintetico) e, soprattutto, tanta erba per Dudù. Dismesso da senatore e dismesso il “parlamentino”, il Cavaliere parsimonioso ricomincia da Roma 2.

mercoledì 11 settembre 2013

Vittorio Feltri: “Salvate il soldato Silvio Berlusconi da questi schizofrenici del Pdl”. - Beatrice Borromeo


L'editorialista de Il Giornale, intervistato da il Fatto Quotidiano, commenta la situazione del Cavaliere: "E' in uno stato psicologico confusionale ed è comprensibile. Un giorno sostiene una cosa e il giorno dopo un'altra: è proprio nel pallone".

Così Vittorio Feltri, impietoso, spiega gli ultimi passi falsi del Pdl: gaffes di uomini maldestri che da anni sfruttano il capo e che anche oggi, mentre cala il sipario sul ventennio berlusconiano, si dimenano disordinatamente. Privi non solo di un piano, ma pure di un’idea: “Sa perché nessuno capisce la strategia del Pdl? Perché non c’è! E se c’è è scritta in cinese”.
Eppure Berlusconi paga caro i suoi avvocati e consiglieri.Ma è il comportamento del centrodestra in generale a essere schizofrenico. Da sempre. Non sono mai riusciti a legiferare in modo non dico intelligente, ma nemmeno conveniente.
Pensa alla legge Severino votata anche dal Pdl?Non solo: hanno pure avallato la legge che riguarda i minori, che poi è servita a condannare Berlusconi nel processo Ruby.
Persino l’affannata relazione di Augello in giunta, ha finito per essere controproducente.La verità è che non ci ho capito niente. Qualsiasi cosa facciano Augello o gli esponenti di maggior spicco, si fa per dire, del Pdl, è inutile. Qui non c’è piu niente da fare, la soluzione non c’è. Sono piccoli tentativi per allungare il brodo che non porteranno a nulla.
Le sono piaciuti gli striscioni nelle spiagge a sostegno di B.?Non so chi abbia ideato queste cose, ma non servono a niente. Proprio come le manifestazioni, o certe dichiarazioni esplosive. Bisogna realizzare che siamo di fronte a una condanna de-fi-ni-ti-va.
Hanno anche provato a umanizzarlo, con le foto abbracciato a Dudù il cane.Mah, non voglio fare il pesce in barile ma proprio non capisco come queste mosse possano giovare. Sarà che, da bergamasco, sono un po’ tardo: non afferro .
C‘è malafede o incompetenza?Il problema è che lui comunque non ascolta. Siamo al punto in cui ha ragione l’ultimo che parla. Berlusconi è in uno stato psicologico confusionale, ed è comprensibile. Un giorno sostiene una cosa e il giorno dopo un’altra: è proprio nel pallone. E non perché sia scemo, ma perché la situazione è talmente incasinata che non se ne esce.
Motivo in più perché qualcuno gli dia una mano.Solo che lui si circonda di accondiscendenti a sua disposizione a prescindere dal loro valore e dalla loro sincerità. Anche se alla fine gli stanno pure sulle balle.
Può sempre contare sui figli.Forse sì. Ma a parte loro c’è solo gente che gli vuole male, che pensa solo a se stessa e a spremerlo fino all’ultimo, a proprio esclusivo vantaggio. Oramai è tardi, non c’è più niente da fare. Doveva pensarci prima, ma troppa presunzione, dovuta anche ai suoi successi, ha creato un eccesso di fiducia. Che produce gran stupidaggini.
Però, ripeto, per svicolare da queste situazioni esistono i principi del foro.Io che non sono né avvocato né cancelliere gli ho detto subito l’unica via d’uscita:’Hai il passaporto,vattene’. Se deve fuggire un impiegato dell’Enel ha qualche difficoltà, ma un signore come lui avrebbe fatto la bella vita.
Se vuole scappare per la verità è ancora in tempo.Eh, ma senza passaporto non sarebbe carino.
Ma neanche col passaporto.Ma non sarebbe stato un reato.
Secondo lei c’è chi spera nell’uscita di scena del capo?Se il Pdl fosse un partito vero, organizzato, compatto, gli Alfano e i Lupi farebbero appello agli elettori: ‘Noi resisteremo, vi rappresenteremo’. Invece sono molto divisi e ciascuno pensa al proprio posticino. Si attaccano ancora a Berlusconi senza capire che ormai è fuori gioco.
E nessuno, magari sopravvalutandosi, pensa davvero di poterne prendere il posto?Sicuramente sì, però poi mi vengono in mente i volti dei cosiddetti personaggi di spicco e mi cascano le braccia.
Magari loro si guardano meno allo specchio.Non puoi impedire alla gente di sognare. Ma siamo in campo onirico.

giovedì 5 settembre 2013

Ior, nell’archivio di Gotti Tedeschi trattative segrete tra Vaticano e Pdl.

Vaticano


Da Alfano a Tremonti, così si mettevano d'accordo sulle leggi. Agli atti delle procure scambi su leggi, Ici Chiesa, nomine Rai e San Raffaele fra i massimi rappresentanti di Santa Sede e Cei negli anni di Ratzinger e i vertici del centrodestra durante il governo Berlusconi e Monti.

Trattative segrete tra Vaticano e Pdl nell’archivio segreto dell’ex presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi. Lo dimostrano migliaia di email, lettere e raccomandazioni fra i massimi rappresentanti di Santa Sede e Cei negli anni del Pontificato Ratzinger e i vertici del Pdl durante i governi Berlusconi e Monti. Un archivio agli atti di tre Procure: Napoli, Roma e Busto Arsizio che indagano sulla banca del Vaticano e il suo ex numero uno, licenziato dal Cardinal Bertone poco prima dell’inizio di Vatileaks.
Nelle 40mila pagine di corrispondenza, riportate da diversi quotidiani italiani, si va dalle lettere dell’ex sottosegretario Alfredo Mantovano, che a monsignor Angelo Bagnasco chiedeva suggerimenti per la stesura della legge sul testamento biologico, alle contrattazioni con la Cei, sollecitate dall’allora ministro Giulio Tremonti, per risolvere il problema dell’Ici. E ancora le lettere di raccomandazione, come quella per la nomina di Lorenza Lei a dg della Rai. Sul testamento biologico il 6 febbraio 2011 Alfredo Mantovano scrive a Gotti: “Caro Ettore, perdonami, ma sulla questione del testamento biologico vi è necessità che dalla Cei vi sia qualche segnale”, chiedendo una “valutazione” sulla lettera scritta a Bagnasco.
In merito all’Ici, il 30 settembre 2011 Gotti invia al cardinale Bertone un documento “riservato e confidenziale di sintesi del problema Ici” e specifica che la memoria “mi è stata suggerita riservatamente dal ministro Tremonti”. Sottolinea il rischio che la Comunità europea, dopo aver avviato “una procedura contro lo Stato italiano per aiuti di Stato non accettabili alla Chiesa Cattolica”, potrebbe imporre “il recupero delle imposte non pagate dal 2005”. E suggerisce “tre strade percorribili: abolire le agevolazioni Ici (Tremonti non lo farà mai); difendere la normativa passata (strada non percorribile); modificare la vecchia norma. Il tempo disponibile per interloquire – prosegue – è molto limitato. Il responsabile Cei che finora si è occupato della procedura è monsignor Rivella. Ci viene suggerito di incoraggiarlo ad accelerare un tavolo di discussione conclusiva dopo aver chiarito la volontà dei vertici della Santa Sede”.
Sul fronte delle raccomandazioni, l’11 marzo 2011 Gotti scrive a Bertone e suggerisce di “interloquire con la Lega”, che “vuole contare in Rai”, per sostenere la candidatura di Lorenza Lei a dg. “Risulta che la dottoressa Lei avrebbe in un paio di occasioni sussurrato che il cardinal Bertone ha ricevuto assicurazioni da Berlusconi sulla sua nomina. Queste dichiarazioni hanno però provocato una certa opposizione interna ed esterna a detta designazione Oltretevere”. Quanto al San Raffaele, poco prima del terremoto giudiziario Gotti scrive a padre Georg: “Il professore Giovanni Maria Flick, in qualità di consigliere di amministrazione della Fondazione San Raffaele, da tempo esprime disagio verso la gestione dell’attuale processo. Questo disagio lo ha anche più volte esternato senza esito”. Padre Georg risponde subito, ma l’appuntamento viene rinviato.

martedì 16 luglio 2013

Caso Ablyazov, kazaki & cazzari. - Marco Travaglio


Ora ci spiegano che, sul ruolo dei ministri Alfano e Bonino nello scandalo kazako, bisogna attendere fiduciosi il rapporto del capo della Polizia appena nominato dal vicepremier e ministro Alfano a nome del governo Letta per conto del Quirinale. Come se il nuovo capo della Polizia potesse mai sbugiardare il superiore da cui dipende e mettere in crisi il governo che l’ha nominato.
Suvvia, sono altre le indagini imparziali che andrebbero fatte. Ci vorrebbe una Procura indipendente dalla politica, quale purtroppo non è mai stata, almeno nei suoi vertici, quella di Roma, che in questi casi si è sempre mossa come una pròtesi del governo di turno.
 
Quindi lasciamo stare le indagini e limitiamoci alle poche cose chiare fin da ora. Se la polizia italiana ha cinto d’assedio con 40 uomini armati fino ai denti il villino di Casal Palocco per sgominare la temibile gang formata da Alma e Aluà, moglie e figlia (6 anni) del dissidente Ablyazov, e spedirle fermo posta nelle grinfie del regime kazako, è per un solo motivo: il dittatore Nazarbayev, che ne reclamava le teste e le ha prontamente ottenute, è uno dei tanti compari d’anello di Berlusconi in giro per il mondo.
 
Da quando Berlusconi è il padrone d’Italia, il nostro Paese viene sistematicamente prostituito ora a questo ora a quel governo straniero, in spregio alla sovranità nazionale, alla Costituzione e alle leggi ordinarie. I compari stranieri ordinano, lui esegue, il funzionario di turno obbedisce e viene promosso, così non parla. Un ingranaggio perfettamente oliato che viaggia col pilota automatico, sul modello Ruby-Questura di Milano. La filiera di comando è tutta privata. Governo e Parlamento non vengono neppure interpellati o, se qualche ministro sa qualcosa, è preventivamente autorizzato a fare il fesso per non andare in guerra, casomai venga beccato. Tanto si decide tutto fra Arcore, Villa Certosa e Palazzo Grazioli. Sia quando lui sta a Palazzo Chigi, sia quando ci mette un altro, tipo il nipote di Letta.
Era già accaduto col sequestro di Abu Omar per compiacere Bush (solo che lì una Procura indipendente c’era, Milano, e Napolitano dovette coprire le tracce graziando in tutta fretta il colonnello Usa condannato e latitante).
Ora, per carità, è giusto chiedere le dimissioni di Alfano e Bonino, per evitare che volino i soliti stracci e cadano le solite teste di legno: se i due ministri sapevano, devono andarsene perché complici; se non sapevano, devono andarsene a maggior ragione perché fessi. Ma è ipocrita anche prendersela solo con loro. La Bonino è uno dei personaggi politici più sopravvalutati del secolo: difende i diritti umani a distanza di migliaia di chilometri, ma in casa nostra e dei nostri alleati non ha mai mosso un dito (tipo su Abu Omar e su Guantanamo). Alfano basta guardarlo per sospettare che non sappia neppure dov’è il Kazakistan e per capire che conta ancor meno di Frattini, che già contava come il due a briscola: è l’attaccapanni di B. ed è persino possibile che i caporioni della polizia, ricevuto l’ordine dal governo dell’amico kazako, abbiano deciso di non ragguagliarlo sui dettagli del blitz. Tanto non avrebbe capito ma si sarebbe adeguato, visto che non comanda neppure a casa sua.
Il conto però va presentato a chi ha nominato Alfano vicepremier e ministro dell’Interno e la Bonino ministro degli Esteri. Cioè a chi tre mesi fa decise di riportare al governo B. nascosto dietro alcuni prestanome. E poi iniziò a tartufeggiare sul Pdl buono (Alfano, Lupi e Quagliariello) e il Pdl cattivo (Santanchè, Brunetta e Nitto Palma). Il Pdl è uno solo e si chiama Berlusconi, con tutto il cucuzzaro dei Putin, Nazarbayev, Erdogan & C. Per questo l’antiberlusconismo, anche a prescindere dai processi, è un valore. Chi – dai terzisti al Pd – lo accomuna al berlusconismo e invoca la “pacificazione” dopo la “guerra dei vent’anni”, non ha alcun diritto di scandalizzarsi né di lamentarsi per gli effetti collaterali dell’inciucio. Inclusi i sequestri di donne e bambine. Avete voluto pacificarvi con lui? Adesso ciucciatevelo.
Alma racconta: 'Credevo volessero ucciderci'


Il blitz nel memoriale rilasciato al Financial Times - Michele Esposito


ROMA, 14 LUG - L'irruzione in casa a mezzanotte. Le offese e le botte. La paura di essere uccisa. La partenza per Astana dopo tre giorni da incubo. Tutto in un racconto di 18 pagine che Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhta Ablyazov espulsa lo scorso 31 maggio dall'Italia, ha consegnato al Financial Times, che lo ha poi tradotto e pubblicato. Il memoriale è datato 22 giugno, è dettagliato, crudo, scritto in prima persona. Una ricostruzione che la Questura di Roma smentisce. "La signora Alma Shalabayeva - si legge in una nota diffusa in serata - non ha subito alcun tipo di maltrattamento nel corso dell'operazione di polizia giudiziaria del 29 maggio". Il caso, che da giorni vede il governo italiano nella bufera, rischia così di alimentare ulteriormente l'eco internazionale. In casa, oltre ad Alma e alla figlioletta Alua, c'erano Venera - sorella maggiore di Alma - il marito Bolat e la loro figlia e una coppia di ucraini che si occupava della villa di Casal Palocco e viveva in una dependance. L'irruzione avviene a mezzanotte, tra il 28 e il 29 maggio. A entrare in casa sono "30-35" persone, una "ventina" sono invece appostate all'esterno.
"Erano vestiti di nero. Alcuni di loro avevano catene d'oro al collo, molti avevano la barba, uno una capigliatura punk con una cresta", racconta la donna nel lungo documento. "Non avevano nessun segno esterno da cui si potesse capire che erano poliziotti e militari. Ma tutti avevano delle pistole e parlavano tra loro in italiano", spiega ancora Alma che sottolinea più volte come nessuno parlasse o comprendesse bene l'inglese. L'atteggiamento, tuttavia, sembrava quello dei "gangster". Alma, consapevole di essere la moglie del leader dell'opposizione kazako e ancora ignara dell'identità di chi ha fatto irruzione, non rivela la sua identità. All'inizio dice di essere russa, ma ciò non accontenta i suoi interlocutori. "Continuavano a gridarmi in italiano. Non capivo esattamente cosa dicessero. L'unica cosa che ho potuto distinguere in questa serie di offese fu 'Puttana russa'", scrive la kazaka secondo la quale "sembrava che cercassero qualcosa o qualcuno. Avevo una sola sensazione in quel momento: erano venuti ad ucciderci senza un processo, un'indagine, senza che nessuno lo avrebbe mai saputo". Lo shock è forte anche perché il cognato Bolat ad un certo punto viene portato in una stanza da dove esce con "un occhio rosso e gonfio, un labbro rotto, una ferita al naso. Disse che lo avevano pestato". A tutti viene intimato di consegnare i documenti. Alma non mostra il suo passaporto kazako ma "un passaporto diplomatico" rilasciato dalla Repubblica Centrafricana nell'aprile 2010.
Nel frattempo i tre kazaki chiedono insistentemente di un avvocato e un interprete, ma non ottengono nulla. La casa viene perquisita superficialmente ma nella macchina fotografica di Alma vengono trovate foto che la ritraggono con Ablyazov. Dopo circa tre ore Alma e Venera vengono portate via, prima in una stazione di polizia "nel centro di Roma" poi in un ufficio immigrazione "nel Sud-Est" della capitale. Lì Alma rimane circa 15 ore, senza bere o mangiare. Stremata e rassicurata dal fatto che stava avendo a che fare con la polizia italiana, decide di confessare la sua storia. A un gruppo di 12 persone e a quello che sembra il dirigente dell'ufficio racconta che il Kazakistan "è governato da un dittatore da più di 20 anni al potere e di come Nazarbayev elimina i leader dell'opposizione". Spera in un cambio di atteggiamento, ma così non è. La donna viene portata al Cie di Ponte Galeria, dove può parlare con un avvocato e un interprete. In qualche modo, mettono in contatto la donna con l'ambasciata del Kazakistan a Roma. "Ma io non potevo contare sull'aiuto dell'ambasciata", recita il suo memoriale. Il 31 maggio pomeriggio Alma viene portata a Ciampino, le fanno firmare dei documenti e, insieme alla figlia, viene condotta su un "lussuoso" jet privato ad Astana. Le dicono che il suo passaporto centrafricano è "contraffatto". Lei nega, fino all'ultimo chiede "asilo politico". "E' troppo tardi", le rispondono e - scrive la donna - la sensazione è che tutti eseguissero dei compiti già dettagliatamente assegnati "dall'alto".

mercoledì 26 giugno 2013

F35: mozione Pd piace a Sel e M5S, ma non al Pdl che prepara alternativa. - Enrico Piovesana.



F35: mozione Pd piace a Sel e M5S, ma non al Pdl che prepara alternativa

Non c'è la richiesta di sospensione del programma, ma quella di "non procedere" ad alcuna fase di acquisizione dei cacciabombardieri senza che il Parlamento si sia espresso nel merito ai sensi della legge 244 del 2012. Dopo una difficile trattativa che aveva portato il Pd sull'orlo della spaccatura, il testo è stato approvato dall'assemblea del gruppo democratico alla Camera.

Alla fine il Pd ha partorito la sua mozione sugli F35: non c’è la richiesta di sospensione del programma, ma quella di “non procedere” ad alcuna fase di acquisizione dei cacciabombardieri senza che il Parlamento si sia espresso nel merito ai sensi della legge 244 del 2012. Dopo una difficile trattativa che aveva portato il Pd sull’orlo della spaccatura, il testo è stato approvato stamane dall’assemblea del gruppo democratico alla Camera quasi all’unanimità: solo quattro contrari e sei astenuti su un totale di 292 deputati.
Non è quello che voleva l’ala ‘pacifista’ del Pd, ma a nessuno sfugge che, tenuto conto della situazione, si tratti comunque di un buon risultato. “Sapendo da dove eravamo partiti e qual è la situazione data, è un risultato importante che tutto il gruppo Pd sia arrivato a questa posizione – commenta l’onorevole Gero Grassi, vicepresidente dei deputati Pd della corrente fioroniana. “Per chi come me è profondamente contrario all’acquisto degli F-35, oggi e domani, e vorrebbe una generale riduzione delle spese militari, rappresenta motivo di grande soddisfazione essere riusciti a portane il Pd a un equilibrio molto più avanzato rispetto al punto di partenza”. 
Un giudizio positivo arriva anche dall’onorevole Giulio Marcon di Sel, primo firmatario della mozione per la cancellazione del programma F-35: “Se rimarrà questa la mozione di maggioranza, sarebbe un piccolo passo avanti perché, grazie alle campagne delle associazioni e alla pressione della nostra opposizione parlamentare, sarebbe la prima volta che il Parlamento decide di sospendere non il programma ma almeno l’acquisto e ragionarci sopra per sei mesi con un’indagine conoscitiva. Noi voteremo comunque la nostra di mozione, ma se il testo della mozione Pd rimarrà così com’è potremmo anche valutare, insieme al M5S, la strada dell’astensione”, consentendo quindi l’approvazione del provvedimento di sospensione e l’avvio dell’indagine conoscitiva.
L’esito finale però potrebbero essere tutt’altro. Il capogruppo Pd Roberto Speranza sta trattando con gli altri partiti di governo, Pdl e Scelta Civica, per arrivare a una larga intesa su un testo condiviso da tutta la maggioranza e non sgradito all’esecutivo: un testo ulteriormente annacquato perderebbe qualsiasi sostegno, anche indiretto, da parte di Sel e M5S. Per l’onorevole Gian Piero Scanu, ‘padre’ e primo firmatario della mozione Pd, questo rischio non esiste: “Non verrà modificata neanche una virgola e io mi auguro vivamente che l’intelligenza politica di Sel e 5 stelle, che ne dispongono in grande quantità, venga fatta valere, sennò è un peccato”.
Il Pdl, dal canto suo, è restio ad accettare qualsiasi forma di stop al programma di acquisizione degli F-35, tanto che Brunetta e Cicu hanno già pronta una mozione alternativa che non sospende nulla e rimette tutto alla valutazione delle commissioni prevista dalla legge 244: una richiesta che potrebbe passare con i voti non solo di Scelta Civica ma anche di una nutrita pattuglia di deputati Pd. Scanu esclude nuove spaccature, dicendo che “tutto il Pd sosterrà la nostra mozione”, ma l’esperienza invita alla cautela. 
“L’eventuale approvazione della mozione Brunetta-Cicu significherebbe la prosecuzione del programma F-35 – commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo – perché il meccanismo della legge 244 non prevede una bocciatura parlamentare definitiva dei programmi di armamento della Difesa, ma solo un veto temporaneo che può facilmente essere aggirato dalla Difesa ripresentando lo stesso programma fino alla sua approvazione da una commissione più compiacente, magari di diversa composizione politica. Per questo noi continuiamo a dire che l’unica soluzione è la cancellazione del programma, come da anni chiede la società civile: non dimentichiamo che è solo grazie a questa mobilitazione dal basso se finalmente oggi si discute di F-35 in Parlamento”.

domenica 23 giugno 2013

VITA DA PARLAMENTARE.



Lei è la deputata PDL Gabriella Giammanco. L'altro giorno, avvertita di una imminente seduta mattutina alla Camera, ha esclamato: "Ma mi devono montare lo scaldabagno."

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Debbono averle detto che fare la parlamentare del Pdl non le avrebbe comportato alcun impegno e che era come aver ottenuto un posto a tempo determinato e a part time molto ben remunerato.

giovedì 13 giugno 2013

E se il movimento si facesse un proprio referendum interno, lanciando la "stagione della glasnost italica"? - Sergio Di Cori Modigliani



Finita la festa, gabbato lo santo.
Tradotto vuol dire che ci troviamo in una situazione nella quale esistono diversi elementi positivi che possono -e devono- essere sfruttati nella maniera migliore possibile, dato che, adesso che la festa è finita, ci si può rimettere a lavorare. Cioè, tentare di "fare politica".
La festa è stata quella elettorale, diventato unico obiettivo dei partiti, dato che sono tutti appiattiti nel loro essere privi di programmi diversificati, privi di soluzioni adeguate per fronteggiare la crisi, incapaci di essere efficienti, inabilitati e inetti nel riuscire ad affrontare il disagio sociale collettivo. Essendo sia il PD che il PDL auto-referenziali, perchè è nella loro natura e struttura, vivono di elezioni, numeri e cariche il cui fine consiste nel garantire a se stessi la rendita di posizione, derivata dall'occupazione territoriale di una classe di funzionari e burocrati che ha come scopo quello di garantire la sopravvivenza, il lavoro e la tenuta delle famiglie, gruppi, consorterie, lobby, clan, bande, fondazioni, enti, associazioni, liste, che garantiscono ai colossi finanziari internazionali, da una parte, il prosieguo della svendita e l'abbattimento dell'industria italiana, dall'altra la difesa dello status quo, sapendo che l'italiano medio è conservatore e non ama il rischio.
La "festa elettorale" dunque è finita. Ed è venuta fuori la questione della senatrice Gambaro, che risponde a Grillo "io non me ne vado, Grillo mi deve delle scuse ufficiali", evento sul quale venti giorni  fa si sarebbero fiondati dal trampolino pretendendo anche la partecipazione del Washington  Post, mentre invece, adesso, avvicinandosi "la realtà" (toh! che sorpresa: esiste) della imminente tragedia economica che incombe, lasciano perdere.
C'è ben altro in ballo, nelle prossime tre settimane che ci attendono.
La questione posta dalla senatrice Gambaro però resta, e -a mio avviso- è davvero una occasione ghiotta per portare chiarezza, serenità ed entusiasmo democratico all'interno del movimento a cinque stelle.
Al di là dell'attacco personale contro Grillo, la posizione della senatrice Gambaro rivela un sintomo reale.
Che diventa sostanziale e fondamentale.
Eluderlo sarebbe un grave errore.
Perchè va a toccare la spina dorsale della identità del movimento a cinque stelle.
La Gambaro parla del Parlamento come se si trattasse di un luogo ameno all'interno del quale si confrontano opinioni diverse, si promulgano leggi che cambieranno l'Italia, si fanno varare dei provvedimenti tesi a modificare l'assetto funzionale del sistema. Immaginiamo e diamo per scontato che sia in buona fede, chiarendo così che, per poter aspirare a parlare di cambiamento, bisogna prima abbattere gli stereotipi usuali del sistema che si intende abbattere per modificarlo. Diceva Giulio Andreotti che a pensar male la si indovina sempre. Una espressione che viene citata spesso, con una fibrillazione emotiva degna di miglior causa, essendo questa la spina dorsale del cinismo e dell'indifferenza che stanno mettendo in ginocchio la nazione. Va capovolto e lanciato un nuovo mantra: "a pensar bene ci si guadagna sempre" e questo lemma va incorporato da chiunque, senza bisogno di spiegazioni.
Partendo da questo assunto, il sottoscritto dà per scontato che la Gambaro sia in buona fede e che stia rappresentando delle istanze e delle esigenze reali all'interno del movimento che non vanno sottovalutate.
Esistono, in questo momento, due linee, che non sono parallele, bensì perpendicolari.
Questa è la loro geometria politica, ed è per questo che si provoca confusione: nel punto in cui si incontrano la comunicazione svanisce e avviene lo scontro. E' inevitabile, dato che la matematica non è una opinione soggettiva ma segue regole oggettive.
Per poter disinnescare la conflittualità e la confusione, dando quindi l'avvio a un nuovo ed entusiasmante processo di eugenetica interna, è necessario prendere atto dell'esistenza delle perpendicolari, chiudere questo capitolo e passare alle rette parallele, l'unico panorama che consente l'affermazione delle proprie idee e dei propri programmi anche con dissimili e diversi: si viaggia sullo stesso binario.
Le due rette perpendicolari sono, secondo me, le seguenti: una è basata sul principio che "dobbiamo collaborare con il sistema dei partiti vigenti perchè siamo -nei fatti- diventati un partito, approfittando del fatto di essere il primo partito italiano alle elezioni del 25 febbraio e quindi abbassare i toni, pacificare i rapporti, lavorare insieme ad altri esponenti politici facendo fronte comune, dotandosi di strumenti partitici e prendendo atto della nuova condizione". Questa, diciamo che è la Linea A.
Poi c'è la linea B, la quale, invece, sostiene che "noi siamo in contrapposizione al PD e al PDL non perchè abbiamo una ideologia, quanto piuttosto per il fatto che noi -come logica strutturale attuale- siamo un movimento e quindi dinamici (tengo volutamente fuori da questo discorso la contestazione, per così dire politica, a questi due partiti). Data questa natura è impossibile "lavorare insieme ai partiti" a meno che non venga rispettata e salvaguardata la nostra struttura di movimento che, come tale, è  priva di apparato, burocrazia, tecnocrazia centrale perchè privilegia il concetto di comunità collettiva rifiutando la delega di rappresentanza".
La Linea A è, diciamo così "la linea partitica".
La Linea B è, diciamo così "la linea movimentista".
Sono perpendicolari.
Se si va avanti così si finisce come il PD: frantumati senza identità. Il PD è andato a sbattere perchè aveva Bersani che alle 12 diceva "Monti è una risorsa" e poi alle 17 diceva (da un'altra parte e con un altro pubblico) "Monti è una jattura". Alle 12 appariva insieme a Enrico Letta e alle 17, invece, si faceva vedere con Nichi Vendola.
Pensava di essere furbo.
Non aveva capito che l'Italia era cambiata e gli italiani, in un singulto di ritrovato Senso della dignità etico-sociale, avevano deciso che non ne potevano più dei furbi.
Idem per Berlusconi e il PDL. Alle 12 a Varese  si faceva vedere con Maroni e Salvini dicendo "privilegiamo la questione settentrionale" e poi alle 17 con Miccichè e Nitto Palma a Benevento per dire "privilegiamo la questione meridionale".
Un'altra furbata, pensando che o gli italiani sono scemi oppure gli italiani amano i furbi.
La realtà è un'altra.
Gli italiani non sono mai stati scemi e hanno "inventato" il M5s proprio perchè si sono stancati di amare i furbi.
E così hanno penalizzato entrambe le fazioni furbe.

I "furbi" e "gli schietti" sono incompatibili: sono rette perpendicolari.
I "movimentisti" e "i partitici" anche.

E' arrivato, dunque, il momento in cui i 163 eletti nelle file del M5s chiariscano agli 8.880.000 votanti quale delle due soluzioni di retta intendono perseguire.

La posizione della senatrice Gambaro rappresenta la "retta dei partitici" in contrasto con la "retta dei movimentisti".

E lo si evince dal fatto che già si insinuano in rete, in diversi siti, e presso diversi blogger, voci che la sostengono e che insistono per una presa d'atto "che siamo diventati un partito e questo siamo".

E' così?

Abbiamo il diritto di saperlo.
Abbiamo il dovere di chiederlo.
Abbiamo il diritto di pretendere chiarezza priva di ambiguità da parte dei 163 eletti.
Abbiamo il dovere di tirar fuori, ciascuno di noi, idee costruttive per trasformare la perpendicolare in una parallela.

Ecco la mia, di idea, che qui formalizzo:
"I 163 eletti lanciano un referendum tra di loro. E' vietata l'astensione. Vince il principio di democrazia a maggioranza relativa. Si vota il seguente principio: "movimentista o partitista?". L'elezione avviene per nomina alfabetica in streaming. Sono sufficienti 84 voti per far passare una delle due linee. La minoranza accetta di aver perso e si mette a disposizione della maggioranza: questo è il senso della democrazia, così si viaggia in parallelo".

Chi ha votato per il M5s oggi è confuso: ha votato per un movimento e si trova degli eletti che hanno fatto campagna elettorale sostenendo una idea movimentista ma che oggi auspicano la fondazione di un partito.
Queste persone hanno cambiato parere strada facendo? Ma gli elettori hanno il diritto di sapere chi sono e quanti sono coloro che hanno cambiato idea strada facendo, altrimenti si rimane nell'ansia della retta perpendicolare che può incrociarsi in qualunque momento.

Nel caso vinca la retta A, ovvero "quella partitica", allora si passerà ad una fase successiva: trasformazione, modificazione e costituzione del M5s in partito ufficiale con una sua linea politica che dovrà essere chiara, sui diversi argomenti , anche di natura etica, e lì si partirà in rete, attraverso i singoli e molteplici meet up, per elaborare gli strumenti più atti, poichè si prende atto del fatto che è necessario collaborare con i partiti esistenti al fine di trovare una piattaforma comune.

Nel caso vinca la retta B, ovvero "quella movimentista" la fase successiva dovrà chiarire, secondo me, che il M5s è un movimento politico dinamico, dotato di strumenti operativi politicamente efficaci ed efficienti con il dichiarato obiettivo di abbattere il sistema vigente di questi partiti, dando un proprio contributo creativo nelle amministrazioni comunali, provinciali, regionali, parlamentari, su singoli punti che il movimento ritiene utili per venire incontro a esigenze della collettività e non all'interesse dei partiti.

La minoranza perdente si mette a totale disposizione e lavora con entusiasmo per il raggiungimento degli obiettivi della maggioranza, godendo del rispetto di un'idea diversa e del plusvalore che deriva dall'inevitabile apprezzamento nei confronti di chi mostra e dimostra di essere in grado di praticare il senso della democrazia diretta.

Se, tra i 163, c'è qualcuno -nella minoranza- che non intende accettare la vittoria della minoranza, può andare a raggiungere a scelta: A) il gruppo Sel di Vendola (se è di sinistra) oppure B) il gruppo fratelli d'Italia  di La Russa (se è di destra): entrambi hanno la stessa identica struttura, lo stesso linguaggio, la stessa posizione, le stesse parole d'ordine; entrambe queste fazioni hanno fatto campagna elettorale sostenendo lo stesso identico slogan "nè con Monti nè con Berlusconi" ma poichè vivono in uno stato di perdurante confusione furba, hanno scelto di candidarsi con Berlusconi e con chi voleva allearsi a Monti facendo finta di niente: per loro ciò che era importante non era il programma bensì occupare degli scranni in parlamento.
Questa è la realtà dello stato delle cose.

Chi scrive sostene la Linea B, quella movimentista.
Chi scrive è un grande estimatore di Simone Weil, intellettuale di grande caratura, la quale nel 1948 ci regalò un saggio di immemorabile valore nel quale spiegava "perchè i partiti sono morti" e vagheggiava la costituzione degli Stati Uniti d'Europa come una confederazione di movimenti sociali e culturali, gettando i primi semi della "cultura glocal".
Il sottoscritto appartiene a quella tradizione e intende rimanerci fedele.

La confusione della perpendicolare, questa proprio no.
E' il pane quotidiano di chi vuole cancellare il M5s.
Abbiamo bisogno di sapere dai 163 eletti a quale delle due linee rette intendono aderire, nessuno escluso. Per evitare futuri equivoci, ambiguità pericolose.

Sono per l'Azione Parallela e voto la Linea B movimentista.

E voi, che cosa ne pensate?


http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2013/06/e-se-il-movimento-si-facesse-un-proprio.html

mercoledì 29 maggio 2013

Pdl, Bisignani: “Schifani e Alfano giuda che volevano liberarsi di Berlusconi”.

Pdl, Bisignani: “Schifani e Alfano giuda che volevano liberarsi di Berlusconi”


Le rivelazioni del faccendiere nel libro "L'uomo che sussurra ai potenti" secondo il quale molti nel centrodestra erano pronti a mollare il Cavaliere che dal canto suo ha corteggiato in tutti i modi Renzi. Le stragi di Palermo? "Ideate tra Mosca e Roma". E poi i legami tra Grillo e la Cia.

Berlusconi ha corteggiato in tutti i modi Matteo Renzi. Il Cavaliere ha rischiato di essere tradito dai suoi, compreso Renato SchifaniAlfano voleva mollare il leader Pdl. Le stragi che hanno ucciso Falcone eBorsellino sono state ideate tra Mosca e Roma. Poi i rapporti tra Grillo e i servizi segreti americani. Sono alcune delle verità di Luigi Bisignani nel libro-intervista realizzato con il giornalista Paolo Madron, “L’uomo che sussurra ai potenti” (edito da Chiarelettere, in vendita dal 30 maggio). Come dice il sottotitolo del libro il faccendiere, quello che Berlusconi definì “l’uomo più potente d’Italia”, racconta di “trent’anni di potere in Italia tra miserie, splendori e trame mai confessate”. Bisignani è stato condannato in via definitiva a 2 anni e mezzo per l’inchiesta Enimont e ha patteggiato una pena di un anno e 7 mesi per il processo P4. 
I presunti traditori di Berlusconi e la corte a Renzi
Innanzitutto i presunti tradimenti (o tentativi di tradimento) all’interno del centrodestra. “Più che di tradimento vero e proprio – precisa Bisignani – parlerei di piccoli uomini creati da Berlusconi dal nulla e improvvisamente convinti di essere diventati superuomini”. Il faccendiere e ex giornalista parla di “molti Giuda”. “Il primo che mi viene in mente – continua – è Renato Schifani, avvocato di provincia di Palermo, ex presidente del Senato. Con Angelino Alfano, altro siciliano, lavoravano alla costruzione di una nuova alleanza senza Berlusconi”. Nella ricostruzione sui presunti complotti contro Berlusconi all’interno del Pdl, Bisignani assicura che tra chi tramava c’erano “in primis alcuni di An: GasparriLa RussaMantovano eAugello. Certamente non Altero Matteoli che è rimasto sempre leale”. “E tra le donne – aggiunge – la favorita di Angelino, Beatrice Lorenzin, premiata con il ministero della salute”. 
Quanto ad Alfano, in particolare, una volta insediato il governo Monti, si mosse per cercare alleanze per abbandonare Berlusconi. “Finché il governo Berlusconi stava in piedi, seppur con una maggioranza risicata, Alfano non si mosse. Cominciò a farlo non appena insediato l’esecutivo Monti, nel momento in cui per Berlusconi iniziava la fase più aspra di un calvario politico giudiziario che sembra non finire mai”. Secondo Bisignani, Alfano cercò la sponda di Casini “il quale in realtà lo ha sempre illuso. E non interrompendo mai un filo sotterraneo con Enrico Letta, all’epoca vicesegretario del Pd”. Il faccendiere ha poi aggiunto che “la sua corte cercò di costruirsela incontrando parlamentari nella casa ai Parioli che Salvatore Ligresti gli aveva fatto avere in affitto. E in più stringendo un asse con Roberto Maroni, che da ex potente ministro dell’Interno, dopo aver fatto fuori Umberto Bossi, preconizzava la morte civile del Cavaliere e l’investitura di Alfano come nuovo leader”.
A Bisignani arriva la risposta secca di Schifani: “Io mi occupo di politica e non di malaffare – dichiara a Porta a Porta – e non ho mai avuto il piacere di incontrare questo faccendiere, e la non veridicità delle sue parole è dimostrata dal fatto che io sono capogruppo del Pdl al Senato e Alfano è vicepremier”. 
Ma Berlusconi, secondo Bisignani, guardava altrove. Aveva già un’altra carta da giocare: Matteo Renzi. “Berlusconi lo ha corteggiato in tutti i modi” spiega nell’intervista. “Nei sondaggi riservati – prosegue – Renzi volava, tanto che Berlusconi non si sarebbe mai ributtato nella mischia. Solo Bersani fece finta di non accorgersene, mobilitando tutto l’apparato del partito per batterlo alle primarie. E scavandosi così la fossa”.
“Alfano? Pensava a costruirsi il monumento”
Il tentativo di “eliminare” politicamente Berlusconi partì proprio quando il Cavaliere fece diventare Alfano segretario politico del partito. Ma “una volta incoronato, nell’estate del 2011, contro il parere di tanti – spiega Bisignani nel libro – Alfano ha pensato soprattutto a costruire un monumento a se stesso”. Secondo quanto racconta il faccendiere l’ex ministro della Giusizia “se ne stava chiuso nel suo ufficio bunker in via dell’Umiltà, dove per chiunque era impossibile entrare. Passava più tempo con i giornalisti, su Facebook e Twitter che con i parlamentari e con la base del partito e gli esponenti del mondo imprenditoriale, bancario e culturale che pure avevano desiderio di conoscerlo. Inoltre Alfano ha una vera mania per i giochini sul cellulare, cui non rinuncia nemmeno durante le riunioni. E poi ha la debolezza di consultare sempre l’oroscopo e di regolare le giornate in base a quel che c’è scritto…”. E sui parlamentari del Pdl che definisce “Giuda” perché complottavano contro Berlusconi afferma: “Si montavano a vicenda, senza capire che, quando è ferito, Berlusconi dà il meglio di sé”.
“Monsignor Fisichella lavorava a un dopo Berlusconi”
In molti, insomma, secondo Bisignani, lavoravano a un dopo Berlusconi. Tra questi monsignor Rino Fisichella, a lungo rettore della Pontificia Università Lateranense e attualmente presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. “Con Alfano e il fidatissimo Maurizio Lupi lavorava sodo al dopo Berlusconi anche l’arcivescovo Rino Fisichella” sostiene Bisignani. “Alcuni incontri riservati con Casini e Lorenzo Cesa – ricorda – si svolsero proprio Oltretevere, in un ufficio nella disponibilità di Fisichella, il quale era molto amareggiato per non essere stato fatto cardinale da Joseph Ratzinger”.
“Falcone, Andreotti pensava che c’entrasse il Kgb”
Poi un po’ di sguardi verso il passato. Prima tappa, le stragi del 1992. Giulio Andreotti, ha sempre avuto un convincimento e cioè che i motivi delle stragi di mafia in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino “non si dovessero cercare a Palermo, ma fra Mosca e Roma”. Il sette volte presidente del Consiglio, secondo Bisignani, era convinto che Falcone sarebbe stato eliminato “perché collaborava a una spinosa indagine della magistratura russa sui finanziamenti del Kgb al Partito comunista”. Bisignani ricorda anche che Falcone avrebbe dovuto incontrare, due giorni dopo la strage, il procuratore penale di Mosca Valentin Stepankov: “Andreotti era certo che da lì bisognasse partire per capire meglio la strage, e su questo concordava anche Francesco Cossiga. Il quale era al corrente dell’iniziativa di Falcone”. Secondo il faccendiere “la sinistra ha sempre taciuto ma ora “credo che dovrà fare i conti con Piero Grasso, per anni capo della procura antimafia, ora presidente del Senato”. Dovrà fare i conti con lui “per la sua onestà intellettuale e perché, tra i primi atti, ha chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulle stragi”. 
“Tangentopoli? Tutti, da Agnelli a De Benedetti, tentarono di bloccare i pm”Poi la vicenda Tangentopoli: “I protagonisti sotto assedio” del capitalismo italiano, “tutti indistintamente, da Agnelli a De Benedetti, cercarono disperatamente di bloccare il pool dei giudici di Milano”. La “fortezza” in cui si arroccò il capitalismo per respingere l’offensiva giudiziaria contro il sistema delle tangenti fu Mediobanca. “Fu lì – racconta Bisignani – che si tenne una riunione riservata presieduta da Enrico Cuccia, il custode di tutti i segreti. Vi presero parte, oltre all’avvocato Agnelli e a Cesare RomitiLeopoldo Pirelli accompagnato da Marco Tronchetti ProveraCarlo De Benedetti, Giampiero PesentiCarlo Sama per il Gruppo Ferruzzi e ovviamente l’amministratore delegato dell’istituto,Vincenzo Maranghi”.
Proprio Maranghi, dopo una perquisizione della polizia giudiziaria a Piazzetta Cuccia, organizzo nella notte “un pulmino che portò via tutte quelle carte dal contenuto inquietante” che non erano state scoperte. Agli investigatori era infatti sfuggita una parete mobile “celata dietro una libreria in una delle sale del piano nobile dell’istituto – dove si custodivano altri segreti”. Secondo Bisignani, “tutta la storia di Mediobanca è fitta di episodi simili” a quello sul “pulmino” di Maranghi, come il caso dei fondi neri scoperti nella Spafid, la fiduciaria di Mediobanca che “custodiva la contabilità ufficiale e parallela dei grandi gruppi”, fino alle “carte segrete su Gemina” rinvenute in “una botola” dalla Guardia di Finanza.
Tornando alla riunione “anti-pool” in Mediobanca “fu unanimemente decisa la totale chiusura a ogni possibile collaborazione con la Procura di Milano” nonché la “perentoria denuncia dei metodi che stavano destabilizzando il paese e la sua economia”. Cuccia incaricò Romiti di “coordinare ogni iniziativa” e ordinò “a quegli imprenditori che avevano interessi nell’editoria” di supportare la linea “senza tentennamenti”. Il fronte però si sfaldò presto un po’ perché i tg di Berlusconi, che “all’epoca non faceva parte del giro di Mediobanca”, cavalcarono l’onda di Mani Pulite ma soprattutto perché le delle ammissioni di un dirigente Fiat “fecero cambiare radicalmente la strategia decisa” facendo scattare il “tana libera tutti”.
Quando Cossiga mandò i carabinieri al Csm
Un altro retroscena riguarda Cossiga, il “presidente picconatore”. Nel novembre del 1991 l’allora presidente della Repubblica fece intervenire i carabinieri davanti al Csm, rivela Bisignani. “Non fidandosi in quel momento – racconta Bisignani – nonostante fossero suoi amici, dei ministri della Difesa Virginio Rognoni e dell’Interno Vincenzo Scotti, chiamò personalmente al telefono il comandante della legione dei carabinieri di Roma, il colonnello Antonio Ragusa, perché si preparasse a fare irruzione al Csm in piazza Indipendenza”. “In quella riunione – spiega Bisignani – il Csm doveva occuparsi dei rapporti tra i capi degli uffici giudiziari e i loro sostituti. Una materia che, secondo Cossiga, non era di sua pertinenza”. Secondo il racconto di Bisignani, Ragusa mise in stato d’allerta la vicina caserma: “I carabinieri rimasero al loro posto. Ma Ragusa che era in contatto telefonico diretto con Cossiga, entrò da solo negli uffici di piazza Indipendenza e convinse il vicepresidente Giovanni Galloni a togliere dall’ordine del giorno l’argomento incriminato”.
I rapporti tra i servizi segreti Usa e Beppe GrilloI rapporti dei servizi segreti degli Stati Uniti con Beppe Grillo sono il tema di un capitolo del libro intervista a Bisignani. Oltre a raccontare una vicenda già conosciuta come il pranzo tra Beppe Grillo e alcuni agenti e diplomatici americani e il dispaccio dell’ex ambasciatore Ronald Spogli, aggiunge: “Avendo avuto anch’io il dispaccio in mano, c’è qualcosa che andrebbe approfondito” in quanto sono stati occultati “chirurgicamente quasi tutti i destinatari sensibili” tra cui oltre alla Casa Bianca, al Dipartimento di Stato e alla Cia “c’è da scommetterci ci fosse il Dipartimento dell’energia e la National Secuity Agency, che si occupa soprattutto di terrorismo informatico”. “Agli americani – spiega Bisignani – è noto il rapporto strettissimo che Grillo ha con due loro vecchie conoscenze. Franco Maranzana, un geologo controcorrente di 78 anni, considerato il suo più grande suggeritore su tematiche energetiche e ambientali non politically correct, in contrasto così con la linea ecologica che viene attribuita al movimento. E soprattutto Umberto Rapetto, un ex colonnello della Guardia di finanza”.
Secondo Bisignani l’incontro con Grillo dovrebbe essere avvenuto nel marzo del 2008 in quanto il rapporto dell’ambasciatore Spogli dal titolo “Nessuna speranza. Un’ossessione per la corruzione” reca la data del 7 marzo 2008. Con ogni probabilità, secondo Bisignani, quel documento è finito nelle mani del presidente Obama. Quindi fornisce le conclusioni del rapporto sulle idee di Grillo: “La sua miscela fatta di spumeggiante umorismo, supportata da dati statistici e ricerche, fa di lui un credibile interlocutore per capire dal di fuori il sistema politico italiano”. Inoltre, racconta che dopo le elezioni del febbraio scorso una delegazione di grillini “capeggiata dai due capigruppo in parlamento, Vito Crimi e Roberta Lombardi, è andata a omaggiare l’ambasciatore David Thorne. Lo stesso che, parlando agli studenti, ha pubblicamente lodato il nuovo movimento come motore necessario per le riforme di cui ha bisogno l’Italia”.
“Il Pdl voleva far cadere Monti subito, fu Letta a arrabbiarsi e a scongiurare la crisi”
La crisi del governo Monti poteva arrivare molto prima e non a fine dicembre. “Dopo pochi mesi di governo – riferisce Bisignani – mezzo Pdl voleva far cadere Monti. Ma fu proprio Letta, con voce alterata, a convincere tutti che lo spread sarebbe schizzato alle stelle e che la colpa sarebbe ricaduta tutta sul Cavaliere che a quel governo aveva appena dato appoggio”. Sul ruolo di Gianni Letta, Bisignani ricorda anche che quando Berlusconi e Fini fecero saltare l’accordo sulla Bicamerale, “fece sapere a D’Alema che il Cavaliere aveva commesso un errore”. “Allo stesso modo – ricorda – nel febbraio del 1996 dissentì dal no di Berlusconi a un governo guidato da Antonio Maccanicogrand commis di Stato che avrebbe aperto le porte a una collaborazione tra Forza Italia e la sinistra. La bocciatura di Maccanico segnò la successiva vittoria elettorale dell’Ulivo di Romano Prodi”.
“Scalfari ad ogni scoop mi regalava champagne”
Spazio anche ai ricordi personali nei rapporti con i personaggi più influenti della stampa italiana. Nel libro sono descritti i rapporti con i direttori dei giornali più importanti. Di Eugenio Scalfari ricorda di avergli offerto diverse notizie quando era capo ufficio stampa del ministero del Tesoro Gaetano Stammati. “Ogni volta che lo aiutavo a fare uno scoop – ricorda – mi mandava una bottiglia di champagne. Credo che fosse altrettanto con un’altra sua fonte, Luigi Zanda, portavoce di Francesco Cossiga, al Viminale e poi alla presidenza del consiglio, con il quale credo abbia conservato una forte amicizia”. Sul direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli invece dice: “Sempre compassato, dotato di una camaleontica capacità di infilarsi tra le pieghe del tuo discorso e di una grande dialettica, non sufficiente però a nascondere il fatto di non aver quasi mai un’opinione troppo discorde da quella dell’interlocutore: democristiano con i democristiani, giustizialista con i giustizialisti, statalista o liberista a seconda di chi ha davanti”. Bisignani racconta inoltre di aver favorito i suoi rapporti con Geronzi ma non con D’Alema “visto che i due si detestavano cordialmente”. “E durante il governo Berlusconi – ricorda – i motivi di contatto sono stati molteplici”.
Papa Francesco e la riforma dello Ior
In un passaggio del libro Bisignani parla anche delle mosse future di papa Francesco per trasformare lo Ior: “Secondo alcune autorevoli indiscrezioni lo riformerà trasformandolo in una vera banca della solidarietà al servizio dell’evangelizzazione. Uno strumento di aiuto per le chiese povere e per le missioni sparse nel mondo. I centri missionari saranno uno dei punti fondamentali di papa Francesco, secondo la miglior tradizione dei gesuiti”. Secondo Bisignani, la riforma dello Ior avverrà attraverso la riclassificazione di tutti i conti e saranno “autorizzati solo quelli che fanno capo ufficialmente a congregazioni e ordini religiosi. Nessuno potrà più gestire fondi, depositi e titoli se non nell’esclusivo interesse di enti religiosi”. Bisignani ha quindi spiegato che “la Curia conosce bene le sue intenzioni”. “Non fu un caso – ha aggiunto – se nel conclave precedente, per scampare il pericolo della sua salita al soglio pontificio come voleva il suo grande elettore di allora, Carlo Maria Martini, gesuita come lui, gli fu preferito Ratzinger. Meglio conosciuto nei palazzi apostolici e quindi considerato più malleabile”.
Cairo editore di La7? “Facilita future alleanze”Telecom ha venduto La7 a Urbano Cairo, preferendolo al fondo Clessidra, perché “si dice nell’ambiente che si è scelto il contendente finanziariamente più debole così da facilitare una possibile futura alleanza con Diego Della Valle o con De Benedetti, a seconda di come butterà la politica”. In particolare sull’interesse di De Benedetti per La7, Bisignani sostiene che l’Ingegnere sarebbe stato disponibile all’acquisto “però solo con un’adeguata dote, quella che poi il consiglio Telecom ha concesso proprio a Cairo e non a lui, secondo me facendolo irritare. Vedrà che alla fine rientrerà nella partita”. Infine “ad accelerare la vendita de La7 – racconta – ha contribuito anche lo studio legale Erede con una lettera che nelle ore che precedettero il consiglio d’amministrazione decisivo”. Del legale Bisignani ricorda che “ha assistito Cairo nell’operazione e ha ottimi rapporti con De Benedetti”.