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mercoledì 16 giugno 2021

Gdf scopre traffico di rifiuti e frode fiscale da 300 mln.

 

Inchiesta a Pordenone, trasferiti in Cina 150 milioni.

La Guardia di Finanza di Pordenone sta eseguendo, in varie regioni italiane, arresti, perquisizioni e sequestri su delega della Procura - Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste, nell'ambito di un traffico illecito di rifiuti. Nell'operazione, denominata 'Via della Seta', sono indagate 58 persone, alcune delle quali sarebbero state arrestate.

Le Fiamme gialle hanno scoperto una frode fiscale di 300 milioni euro e il trasferimento occulto in Cina di 150 milioni. 

ANSA

giovedì 21 maggio 2020

Sicilia, corruzione nella sanità: 10 arresti. C’è anche il commissario Covid che nel 2013 finì sotto scorta dopo aver denunciato tangenti. .- Marco Bova

Sicilia, corruzione nella sanità: 10 arresti. C’è anche il commissario Covid che nel 2013 finì sotto scorta dopo aver denunciato tangenti

Secondo gli investigatori della Guardia di finanza le tangenti riguardavano le gare indette dalla Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana e dall’Asp di Palermo. Ai domiciliari Antonino Candela, da poco coordinatore per la crisi sanitaria e che anni fa era finito sotto scorta per aver denunciato le spartizioni della sanità siciliana. In carcere l'attuale direttore dell'Asp 9 di Trapani, Fabio Damiani.
La stecca del 5% era destinata ai manager della sanità in Sicilia. Compreso il dirigente Antonino Candela, da poco nominato coordinatore per l’emergenza coronavirus in Regione, che da ex direttore dell’Asp 6 di Palermo nel 2013 era finito sotto scorta per aver denunciato le spartizioni della sanità siciliana. Da stamattina è ai domiciliari, mentre è in carcere l’attuale direttore dell’Asp 9 di Trapani, Fabio Damiani, 55 anni, che dal 2016 è stato responsabile della ‘Consip siciliana’ da cui passano i principali affidamenti.
Dieci gli arrestati (due in carcere) dai finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria, ma sono diciotto gli indagati dei pm di Palermo Giacomo Brandini e Giovanni Antoci, coordinati dal procuratore aggiunto Sergio Demontis, per un flusso di oltre 1,8 milioni di euro di tangenti. In buona parte sarebbe stato incassato attraverso due faccendieri che erano diventati l’interfaccia dei dirigenti. Mentre Candela era raggiungibile attraverso il faccendiere Giuseppe Taibbi, 47 anni, anche lui ai domiciliari, per parlare con Damiani bastava contattare Salvatore Manganaro, 44 anni, un ex dirigente in congedo anche lui arrestato in carcere. Le microspie lo hanno filmato con una valigetta che conteneva una tangente da 100mila euro, poi scomparsi anche attraverso l’utilizzo di trust fraudolenti. Mentre un altro indagato, ignaro delle microspie piazzate dagli investigatori, confessa a un suo interlocutore: “All’assistenza tecnica mi busco io personalmente 15mila euro al mese… io per nove anni m’incasso quindici mila euro senza fare un’emerita m…”. Secondo gli investigatori il giro di mazzette ruotava intorno alle gare indette dalla Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana e dall’Asp 6 di Palermo per un valore di quasi 600 milioni di euro.
Ai domiciliari – su disposizione del gip Claudia Rosini – anche gli imprenditori che, in cambio dei favori negli affidamenti e nei rinnovi dei contratti, pagavano le tangenti ai dirigenti delle aziende ospedaliere. Si tratta di Francesco Zanzi, 56 enne originario di Roma e Roberto Satta, cagliaritano di 50 anni, amministratore delegato e responsabile operativo della Tecnologie Sanitarie Spa, Crescenzo De Stasio, 49 anni, direttore unità business centro sud della Siram e il responsabile operativo per l’isola, Angelo Moltisanti, 51 anni, che è anche amministratore delegato della Sei Energia scarl. Sottoposto a misure cautelare ai domiciliari anche l’imprenditore Salvatore Navarra, 47enne di Caltanissetta, titolare di una società di servizi di pulizia già emerso nelle indagini sull’ex presidente della Confindustria siciliana, Antonello Montante, nonché Ivan Turola, 40enne di Milano, ritenuto il referente occulto della Fer.co con la quale aveva ottenuto alcuni lotti di un’ultima gara, adesso sospesa.
Le accuse contestate da gip a vario titolo sono di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, istigazione alla corruzione, rivelazione di segreto di ufficio e turbata libertà degli incanti. Sottoposte a sequestro le sette società utilizzate – con sede in Sicilia e in Lombardia – oltre che di 160mila euro, cifra delle tangenti di cui è stato accertato il versamento. Altre due persone sono state sottoposte al “divieto di esercizio dell’attività”. “È preoccupante che ancora una volta, in indagini di pubblica amministrazione, corrotti e corruttori utilizzano gli stessi metodi per sottrarsi alle indagini, tipici degli ambienti mafiosi”, dice il colonnello Gianluca Angelini, comandante del Nucleo di polizia economico finanziaria.
Al centro dell’indagine – avviata nel 2016 – c’è il manager Fabio Damiani, avvocato palermitano che negli anni aveva catalizzato i ruoli più importanti per l’affidamento degli appalti. Per tutti Damiani era diventato “la sorella”, da qui il nome dell’indagine “Sorella sanità”. Le indagini dei finanzieri hanno individuato quattro gare, poi rinnovate: due avviate dall’Asp di Palermo (gestione e manutenzione delle apparecchiature elettromedicali, del valore di 17.635.000 euro; fornitura vettori energetici, conduzione e manutenzione impianti tecnologici, da 126.490.000 euro) e due dalla Cuc (servizi integrati manutenzione apparecchiature elettromedicali, per un valore di 202.400.000 euro ed i servizi di pulizia per gli enti del servizio sanitario regionale da 227.686.423 euro).
“Quando abbiamo cambiato la busta e loro hanno fatto il ribasso, lo sapevano”, diceva intercettato Damiani che nel 2018, venne nominato a capo dell’Asp di Trapani dall’assessore alla sanità Ruggero Razza. Il suo sponsor era l’assessore regionale alle Attività produttive Mimmo Turano, leader dell’Udc e plenipotenziario politico della provincia di Trapani. Prima responsabile delle risorse umane, poi direttore del Provveditorato (l’ufficio che si occupa di appalti) dell’Asp di Palermo, oltre che responsabile della Cuc (centrale unica dei contratti) e presidente delle commissioni di gara contestate dai pm di Palermo. Mentre la sua nomina a Trapani era in bilico, i finanzieri hanno intercettato le ricerche di entrature, fino a quando uno degli arrestati, Ivan Turola, gli promise un incontro con un suo “parente”, l’attuale presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè. Non si sa se l’incontro sia mai avvenuto, ma sulla nomina – secondo i pm palermitani – sarebbe intervenuto il deputato regionale del centrodestra Carmelo Pullarà, per cui il gip Rosini ha rigettato una richiesta di arresto per turbativa d’asta.
Eletto con la lista Popolari e autonomisti, secondo l’accusa Pullara si sarebbe rivolto al direttore generale dell’Asp di Trapani Damiani per avere un favore per la ditta Manutencoop s.p.a. In cambio avrebbe assicurato un sostegno alla nomina di Damiani ai vertici dell’ufficio sanitario. Pullara è l’ennesimo esponente della maggioranza di Nello Musumeci a finire sotto inchiesta in meno di tre anni di mandato.

giovedì 9 aprile 2020

Coronavirus, turbativa su gara Consip da 15,8 milioni di euro per fornitura di 24 milioni di mascherine: arrestato un imprenditore.

Coronavirus, turbativa su gara Consip da 15,8 milioni di euro per fornitura di 24 milioni di mascherine: arrestato un imprenditore

Operazione della Guardia di finanza dopo la l'aggiudicazione del lotto da parte della Biocrea, una società agricola definita una 'scatola vuota', riconducibile all'imprenditore Antonello Ieffi, con condanne non definitive e precedenti di polizia. E l'uomo aveva tentato il bis con un'altra società per una fornitura da 73 milioni di euro. Il gip: "Una puntata d'azzardo giocata sulla salute pubblica".
“Una puntata d’azzardo giocata sulla salute pubblica”, la definisce il giudice per le indagini preliminari Valerio Savio. È quella fatta, secondo inquirenti e investigatori, da Antonello Ieffi, imprenditore di 42 anni con condanne non definitive e precedenti di polizia, utilizzando una società agricola – una ‘scatola vuota’, senza dipendenti e sostanzialmente inattiva – per riuscire ad aggiudicarsi una gara bandita da Consip finalizzata alla fornitura di 24 milioni di mascherine. E ci era riuscito, assicurandosi la possibilità di intascare 15,8 milioni di euro. Ma la Guardia di finanza l’ha scoperto e lo ha arrestato su ordine del gip del Tribunale di Roma dopo un’indagine lampo con le accuse di turbativa d’asta e inadempimento di contratti di pubbliche forniture. Perché quelle mascherine, sostengono gli investigatori, non sarebbero mai arrivate negli ospedali impegnati nella lotta al coronavirus.
Ieffi era riuscito a vincere il lotto da quasi 16 milioni di euro della prima prima gara bandita da Consip per l’acquisto e la fornitura di dispositivi di protezione individuale e di apparecchiature sanitarie per un valore complessivo di 258 milioni. Stando a quanto ricostruito dai finanzieri del Gico del Nucleo di polizia economico-finanziaria, lo aveva fatto attraverso la Biocrea, una società agricola, che si impegnava, tra l’altro, alla consegna dei primi 3 milioni di mascherine entro 3 giorni dall’ordine. Sin dai primi contatti con Consip, finalizzati all’avvio della fornitura, però, Ieffi, che interloquiva per conto dell’impresa sebbene non risultasse nella compagine societaria, “lamentava l’esistenza di problematiche organizzative relative al volo di trasferimento della merce”, che diceva essere disponibile in Cina.
“Permanendo l’inadempimento alla data di scadenza prevista nel contratto per la prima consegna di mascherine, attraverso la collaborazione dell’Agenzia delle Dogane, veniva effettuata presso l’aeroporto cinese di Guangzhou Baiyun un’ispezione”, spiega la Guardia di finanza. E durante i controlli, ecco la scoperta: il carico dichiarato era inesistente.
E i baschi verdi hanno scoperto che a carico di Biocrea esistono anche “pregresse posizioni debitorie per violazioni tributarie, per oltre 150mila euro nei confronti dell’Erario” che non erano state “dichiarate in sede di procedura dalla società” che, anzi, “aveva invece falsamente attestato l’insussistenza di qualsiasi causa di esclusione”. Insomma, la società non avrebbe potuto neanche prendere parte al bando.
Il quadro accusatorio, rinforzato da intercettazioni telefoniche, ha permesso di ricostruire come Ieffi, che ha condanne non definitive e precedenti di polizia, che avrebbero potuto inficiare la partecipazione alla gara, “abbia cercato di dissimulare la riconducibilità a sé della Biocrea – pur rimanendone l’esclusivo dominus – nominando come amministratore, in concomitanza con la pubblicazione del bando, un mero prestanome”, spiega la Guardia di finanza.
Non solo. Durante l’inchiesta, gli investigatori ritengono di aver accertato come la Biocrea – che in teoria dovrebbe occuparsi di tutt’altro, dalla coltivazione di fondi all’allevamento di animali – fosse una “scatola vuota” “caratterizzata da un vero e proprio stato di inoperatività, sintomatica della originaria e assoluta inidoneità della stessa, per totale assenza di dipendenti, strutture, mezzi e capitali, a far fronte” alla fornitura.
Per questo nell’ordinanza di custodia cautelare, il giudice per le indagini preliminari definisce “una puntata d’azzardo” quella di Ieffi, “giocata sulla salute pubblica e su quella individuale di chi attendeva, e attende, le mascherine, che bene rende la capacità a delinquere del soggetto”. E, nonostante il tentativo non sia andato a buon, Ieffi, spiegano ancora gli investigatori, “si è immediatamente riorganizzato per provare ad aggiudicarsi un altro appalto pubblico” da oltre 73 milioni di euro “questa volta relativo alla fornitura di guantiocchiali protettivitute di protezionecamici e soluzioni igienizzanti”, utilizzando altro soggetto giuridico, essendo la Biocrea ormai “bruciata”.
La nuova società – Dental Express 24 – presentava, però, sottolineano i finanzieri, “una inesistente capacità economica” come la precedente e “in aggiunta, un socio e membro del consiglio di amministrazione risultava gravato da precedenti penali”. Motivo per cui veniva esclusa dalla gara. Ma Ieffi, sempre secondo i finanzieri, si stava adoperando per far figurare che l’uomo era uscito dalla compagine prima del bando così da poter ricorrere alla giustizia amministrativa e rientrare in corsa per l’aggiudicazione dell’appalto. I magistrati lo hanno fermato prima.

lunedì 30 marzo 2020

GdF Brescia: maxi evasione fiscale, 22 arresti per associazione a delinquere. - 18.febb.2020

Lecco, militari della Guardia di finanza in festa: scoperti 97 ...

Scoperto un “laboratorio” di evasione fiscale a Brescia. Mezzo miliardo di euro di “false operazioni”, illeciti guadagni per circa 80 milioni. Riciclaggio internazionale dei proventi.

La Guardia di Finanza di Brescia – con il coordinamento della locale Procura della Repubblica e con il supporto del Servizio Centrale Investigativo Criminalità Organizzata (SCICO) di Roma – ha individuato, presso uno studio commercialista bresciano, una vera e propria “fabbrica” di evasione fiscale. L’indagine vede coinvolti, a vario titolo, un centinaio di persone (di varie province italiane, ovvero Brescia, Bergamo, Milano, Roma, Parma, Mantova, Perugia, Lodi, Modena, Reggio Emilia, Torino, Bari, Vicenza, Pavia, Napoli Verona) e ha per oggetto circa mezzo miliardo di euro di “false” operazioni (tra fatture per operazioni inesistenti e crediti fiscali fittizi) che hanno consentito al sodalizio di guadagnare circa 80 milioni di euro. 

Le Fiamme Gialle stanno procedendo in queste ore a dare esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP di Brescia: arresti nei confronti di 22 responsabili (17 in carcere e 5 ai domiciliari, dimoranti prevalentemente nelle province di Brescia, Bergamo, Milano e Roma) di svariati reati, tra cui, in particolare l’associazione per delinquere, aggravata dalla transnazionalità, finalizzata alla frode fiscale e al riciclaggio di denaro. Notificate anche 2 misure interdittive dalla qualità di imprenditore amministratore di società commerciale. Presso il citato “laboratorio” bresciano di evasione fiscale, i “colletti bianchi” – supportati da altri sodali, anch’essi prevalentemente dimoranti a Brescia e con precedenti penali specifici nei reati tributari – erano dediti a produrre “pacchetti evasivi”. Il sodalizio, schematicamente, aveva quattro finalità. La prima finalità consisteva nel “produrre” servizi tributari illeciti, attraverso centinaia di società “di comodo” (sia nazionali che estere) e prestanomi. Lo scopo prioritario era la produzione di crediti fittizi (da utilizzare indebitamente in compensazione), nonché di fatture per operazioni inesistenti. La seconda finalità era quella di vendere tali “servizi” attraverso una rete di distribuzione. I “colletti bianchi” individuavano i soggetti a cui “piazzare” i loro “prodotti” attingendo tra gli imprenditori loro clienti desiderosi di abbattere le imposte. La terza finalità consisteva nello sviare eventuali attività di controllo, attraverso il “traffico di influenze illecite” e le intimidazioni ad eventuali soggetti che volessero collaborare con la Guardia di Finanza. Nello specifico, infatti, gli indagati, percepita l’attenzione degli investigatori a fronte di acquisizioni documentali effettuate dai Finanzieri presso le società cartiere da loro gestite, si rivolgevano a “faccendieri” – conosciuti tramite “reti di relazioni” – al fine di ottenere informazioni privilegiate sui controlli in corso. Tra i “faccendieri” remunerati per la loro millantata attività di “intermediazione” – rivelatasi del tutto inefficace – emergono un (falso) appartenente alle Forze dell’ordine, nonché un (falso) appartenente ai servizi segreti nazionali. Non sono mancati i tentativi di intimidazione nei confronti di chi potesse fornire informazioni utili alle indagini. Tentativi, tuttavia, risultati vani anche grazie all’intervento preventivo degli investigatori che hanno attivato appositi dispositivi di tutela. Ultimo scopo del sodalizio era quello di ripulire il denaro frutto dell’evasione fiscale, immettendolo nel mercato e trasformandolo in “potere d’acquisto” apparentemente lecito da reinvestire in nuove attività. Lo spessore professionale dei soggetti coinvolti consentiva di ideare svariati e “raffinati” meccanismi di “lavaggio”, ovvero:

§ monetizzazione di denaro contante con prelievi da conti correnti esteri. Il sodalizio si avvaleva di una squadra di “cash courier” specializzati nel trasporto, su autovettura, di denaro contante in vari Paesi europei (Slovenia, Croazia, Ungheria, ecc.). Le indagini hanno permesso di sequestrare, ad oggi, banconote “cash” per un valore complessivo di 2,1 milioni di euro, attraverso operazioni internazionali di polizia, anche con interventi effettuati direttamente in territorio estero, grazie alla diretta collaborazione della locale Autorità giudiziaria e delle forze di polizia straniere. Particolare rilievo, infatti, assumono i sequestri effettuati oltreconfine, con la presenza dei Finanzieri in territorio estero (Umago, Croazia). Oltre 1 milione di euro in contante è stato rinvenuto presso le cassette di sicurezza di una filiale di una banca croata. L’operazione è stata possibile grazie alla tempestiva predisposizione di più Ordini di Indagine Europei emessi dalla Procura di Brescia che hanno consentito di attivare prontamente le Autorità estere. Altri sequestri sono stati effettuati dai Finanzieri in ingresso Stato, controllando le autovetture, all’atto della “reimportazione” dei profitti illeciti da altri Paesi europei, ove erano stati appositamente occultati;

§ contributo di un “colletto bianco” estero. Un professionista estero (ungherese) aveva lo specifico compito di occultare il denaro proveniente dall’evasione fiscale, aprendo e gestendo – per conto dei promotori del sodalizio – conti correnti accesi in Ungheria e in altri Paesi;

§ reimpiego del profitto nelle proprie attività economiche. L’attività di indagine ha permesso di rilevare come i sodali abbiano reimpiegato parte degli illeciti proventi nelle loro attività economiche, capitalizzandole ed acquisendo asset patrimoniali;

§ conti correnti nello Stato del Vaticano presso l’Istituto per le Opere di Religione (I.O.R.). Sono stati individuati tentativi, da parte dei principali professionisti indagati, di aprire conti correnti presso lo IOR, istituto di credito vaticano, ove depositare il profitto del reato. La cooperazione con la Polizia vaticana – coordinata dal II Reparto (“Coordinamento informativo e relazioni internazionali”) del Comando Generale della Guardia di Finanza – ha consentito di ricostruire tutti i passaggi dei tentativi di “pulizia” del denaro sporco, scongiurando il travaso dei profitti oltre confine;

§ utilizzo di trust simulati. Al fine di occultare parte dei “fondi neri”, i promotori del sodalizio hanno costituito un trust simulato. Tra gli asset nascosti all’interno del trust anche beni immobili situati fuori dal territorio dello Stato.

L’indagine ha, dunque, consentito di ricostruire le fasi, i ruoli, i trasferimenti e i passaggi di denaro dell’associazione per delinquere, permettendo di smantellare il gruppo criminale e di recuperare i patrimoni illeciti con il sequestro del “maltolto”.

https://www.liberoreporter.it/2020/02/cronaca/gdf-brescia-maxi-evasione-fiscale-22-arresti-per-associazione-a-delinquere.html?fbclid=IwAR3qxSqAkK5IWfxV5Ix9f0ycPCv2eXFIlm_Czo3zLNLLTTDMBWEJYjyYgxs

domenica 24 novembre 2019

ARCHIVIO Fibrosi cistica, gli oltre 10 milioni incassati dall’Umberto I per il reparto adulti mai fatto: ora indagano procura di Roma e Finanza. - Vincenzo Bisbiglia

Fibrosi cistica, gli oltre 10 milioni incassati dall’Umberto I per il reparto adulti mai fatto: ora indagano procura di Roma e Finanza

Dopo l'inchiesta de ilfattoquotidiano.it risalente al febbraio scorso, i magistrati romani hanno aperto un fascicolo. Dal 1994 al 2016 sono confluiti ogni anno prima un miliardo di lire e poi 490mila euro nelle casse del Policlinico Umberto I della Capitale. Che fine hanno fatto? Su questo stanno lavorando gli inquirenti. Nei giorni scorsi, a quanto si apprende, la Guardia di Finanza ha ascoltato, come persona informata sui fatti, l’attuale direttore sanitario.

I soldi sono arrivati, puntuali, per oltre 20 anni, ma il padiglione sanitario non è mai stato realizzato. E ora, dopo l’inchiesta de ilfattoquotidiano.it risalente al febbraio scorso – cui ha fatto seguito un esposto di Fratelli d’Italia – sulla vicenda indagano la Procura di Roma e la Guardia di Finanza. I magistrati romani hanno aperto un fascicolo sul caso del reparto per adulti malati di fibrosi cistica mai realizzato al Policlinico Umberto I della Capitale, dove dal 1994 al 2016 sono confluiti ogni anno – attraverso la Regione Lazio – prima un miliardo di lire e poi 490mila euro, soldi stanziati dal Governo italiano a ogni legge di bilancio, come previsto dalla legge 548 del 1993. Il totale dei contributi ammonta a circa 10 milioni di euro, fondi che però non sono stati utilizzati per migliorare l’attuale centro regionale per la fibrosi cistica dell’Umberto I, che conta appena 10 posti ricavati da una sezione del padiglione di pediatria, esattamente come si presentava al termine dell’ultima ristrutturazione, risalente al 1999.
Già alla fine degli anni ’90, infatti, i progressi della ricerca avevano regalato ai malati di fibrosi cistica – una malattia rara che porta infezioni polmonari e intestinali – un’aspettativa di vita ben superiore alla maggiore età, stabilizzatasi sui 40 anni, con alcuni casi di 60-70 anni. Ovvio che ciò aumento la richiesta di cure ospedaliere frequenti. Attualmente, il Lazio conta circa 600 malati (il 10% su base nazionale) di cui oltre la metà ha superato i 18 anni. A loro disposizione, ad oggi, esiste solo un reparto da 25 posti nell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma e, appunto, il reparto pediatrico dell’Umberto I da 10 posti.
Di qui la necessità di separare i bambini dagli adulti, come prevede espressamente la legge del 1993. Per realizzare il nuovo reparto basterebbero 500mila euro – l’importo stanziato dal governo in un solo anno – tanto che nel 2016 la Lifc, Lega Italiana Fibrosi Cistica, aveva messo lei stessa la cifra a disposizione del Policlinico, pur di veder sorgere il nuovo padiglione: il progetto venne anche presentato in pompa magna da Nicola Zingaretti e Alessio D’Amato (rispettivamente governatore e assessore alla Sanità del Lazio), ma la prima pietra non è mai stata messa. Un’attesa resa vana, nel marzo scorso, dalle parole dell’attuale direttore generale del Policlinico, Vincenzo Panella, che intervistato da Ilfattoquotidiano.itha dichiarato che “quel reparto non serve e non verrà realizzato”.
E tutti i soldi versati finora nelle casse del Policlinico, che fine hanno fatto? È proprio quello su cui stanno lavorando gli inquirenti. Nei giorni scorsi, a quanto si apprende, la Guardia di Finanza ha ascoltato, come persona informata sui fatti, l’attuale direttore sanitario dell’Umberto I, Ferdinando Romano, in carica dal 2015. I finanzieri hanno acquisito i bilanci recenti dell’ospedale, risalenti agli ultimi 7 anni, e si sono riservati di entrare in possesso anche di quelli precedenti. Soprattutto, bisognerà capire se i fondi governativi sono stati effettivamente impegnati nella loro destinazione puntuale o se sono stati dirottati altrove, dunque in violazione della legge. A un question time presentato in Consiglio regionale a marzo dall’esponente di Fratelli d’Italia, Chiara Colosimo – che ha poi firmato l’esposto inoltrato in Procura cui ha allegato la nostra inchiesta – l’assessore D’Amato aveva risposto che “i fondi non sono vincolati alla realizzazione del nuovo reparto ma alla gestione dello stesso”, anche se – come detto – la stessa legge prevede la netta separazione fra adulti e bambini.

giovedì 14 novembre 2019

Danno da 200mln,inchiesta dirigenti Aifa.



Indagine C. Conti su limitazioni imposte a farmaco più economico.


(ANSA) - ROMA, 14 NOV - Avrebbero imposto delle limitazioni alla prescrivibilità di un farmaco più economico per curare alcune malattie oculari, provocando un danno all'erario dello Stato di 200 milioni, pari ai maggiori costi sostenuti dal Servizio sanitario nazionale. E' l'accusa contestata ad alcuni membri dell'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, tra cui dirigenti e componenti pro tempore della Commissione consultiva tecnico scientifica. La Guardia di Finanza sta notificando ai soggetti coinvolti nell'indagine della Corte dei Conti del Lazio un invito a dedurre.

mercoledì 6 novembre 2019

Fincantieri, 34 indagati tra dirigenti e imprese in subappalto: sfruttamento della manodopera e corruzione le accuse. . Giuseppe Pietrobelli


Fincantieri, 34 indagati tra dirigenti e imprese in subappalto: sfruttamento della manodopera e corruzione le accuse
Perquisizioni della Finanza su ordine della procura di Venezia. Dodici dirigenti sotto inchiesta: avrebbero ricevuto mazzette in cambio di vantaggi a imprese bengalesi che lavoravano nei cantieri navali. A farne le spese i lavoratori, la cui retribuzione, formalmente corretta, scendeva fino a 4 euro l'ora. L'azienda: "Noi estranei e pronti a collaborare".
La paga oraria dei lavoratori bengalesi impegnati a Porto Marghera arrivava a 4 euro all’ora. Mentre una dozzina di dirigenti della Fincantieri veneziana avrebbe incassato tangenti – sotto forma di denaro o di altra utilità – pagate dalle imprese asiatiche per ottenere incrementi di fatturati e un trattamento di favore nella gestione delle maestranze. Sembra uscito dal docufilm Il pianeta in mare del regista Andrea Segre, ambientato proprio tra i lavoratori extracomunitari degli stabilimenti mestrini, il blitz messo del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Venezia su delega del procuratore Bruno Cherchi. Perquisizioni e notifiche sono avvenute non solo in Veneto, ma anche in Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Campania, Puglia e Sicilia. In totale, una ottantina di verifiche nelle sedi di imprese bengalesi, nelle case dei lavoratori e nelle abitazioni dei dirigenti Fincantieri. Le ipotesi di reato sono varie: sfruttamento della manodopera, corruzione tra privati, dichiarazione fraudolenta ed emissione di fatture false. In totale le imprese coinvolte sono 19, tutte operanti nel settore della cantieristica navale, in quanto subaffidatarie di lavori per conto di Fincantieri. Contemporaneamente, su decisione del gip, è finito agli arresti domiciliari un cittadino bengalese, indagato per sfruttamento di manodopera, a cui sono stati anche sequestrati 200mila euro. In totale gli indagati sono 34, compresi i 12 dirigenti sospettati di corruzione.
L’inchiesta è nata nell’estate 2018 da alcune querele presentate da lavoratori cingalesi e albanesi. Dichiaravano di essere sfruttati e spiegavano che in busta paga veniva inserita una paga formalmente corretta. In realtà quello che percepivano era molto inferiore, una media di 5-6 euro all’ora, in alcuni casi anche 4, per un duro lavoro nella costruzione e nell’allestimento delle navi. E non avevano diritto a ferie o pagamento di straordinari. Il sistema è quello della “paga globale”, con riferimenti solo figurativi in linea con i compensi previsti dai contratti di lavoro.Se non accettavano quelle condizioni, il contratto veniva strappato e restavano senza lavoro.
Sconcertante il capitolo riguardante i dirigenti, così come è stato ricostruito dalla Finanza. Avrebbero ricevuto mazzette per favorire le imprese bengalesi e in alcuni casi anche per autorizzare un monte-ore superiore a quanto previsto, sulla base di dichiarazioni false riguardanti la necessità di completamento dei lavori, di non conformità dei lavori eseguiti o di modifiche in corso d’opera. “Per ultimare i lavori nelle ristrette tempistiche inizialmente concordate – spiega il procuratore Bruno Cherchi – le società sub-affidatarie avrebbero impiegato un maggior numero di dipendenti che sono stati retribuiti mediante il sistema della ‘paga globale’, conseguendo così un maggior compenso, parte del quale sarebbe stato retrocesso ai dirigenti di Fincantieri”.
La società ha diffuso un comunicato in cui rivendica “la propria estraneità rispetto ai fatti cui le indagini si riferiscono” e informa che il Gruppo “sta assicurando piena collaborazione agli inquirenti e auspica che verrà dimostrata la completa estraneità dei propri dipendenti”. In ogni caso, “laddove invece le accuse venissero confermate”, ha annunciato che “adotterà immediati provvedimenti nei confronti di dipendenti che si fossero resi responsabili di condotte illecite”.

giovedì 26 settembre 2019

Contanti, frontiere Ue colabrodo. Preso uno «spallone» ogni 83 milioni di viaggiatori. - Roberto Galullo e Angelo Mincuzzi

Risultati immagini per spalloni

Un “trafficante” di contanti ha lo 0,0012% di probabilità di essere scoperto dalle autorità di frontiera.

Ha più possibilità un giocatore di vincere il primo premio di una lotteria milionaria che uno “spallone” giramondo di essere colto in flagranza mentre fa viaggiare illegalmente contanti dentro e fuori dalle frontiere dell'Unione europea. C’è solo una possibilità su 83 milioni di essere sorpresi con le mani nel sacco. Detto in altro modo, un “trafficante” di contanti ha lo 0,0012% di probabilità di essere scoperto dalle autorità di frontiera.
L'eccezione però non manca. L'Italia, con l'azione di contrasto della Guardia di finanza, in un Paese in cui i valichi frontalieri abbondano, si colloca all'avanguardia nel numero di controlli.

I controlli ai valichi.
Lo dimostrano i risultati conseguiti in 18 mesi, dal 1° gennaio 2018 a giugno 2019.
Le Fiamme Gialle hanno eseguito 24.389 controlli – con una media di 44 al giorno – sul rispetto delle norme sulla circolazione transfrontaliera di valuta in entrata e in uscita dal territorio nazionale, che hanno avuto ad oggetto movimenti di capitali per oltre 243 milioni di euro e hanno condotto all'accertamento di oltre 8.000 violazioni nonché al sequestro di circa 19,6 milioni di euro, di cui circa 12,1 milioni per violazioni di carattere penale e circa 7,5 milioni di euro per violazioni amministrative.

Estate al top.
Da metà giugno al 13 agosto 2019 la Gdf ha effettuato 2.556 interventi presso i valichi di frontiera, riscontrando complessivamente 845 violazioni. Ammonta a oltre 20 milioni di euro – di cui 324 mila euro sequestrati – il valore della valuta e dei titoli non dichiarati e intercettati al seguito dei viaggiatori.

“Millepiedi” a Palermo.
Particolarmente rilevante è stata l'operazione “Millepiedi”, eseguita dal Gruppo di Palermo il 24 settembre 2018, scaturita da controlli di valuta effettuati all'aeroporto “Falcone – Borsellino”. Ad una famiglia cinese, che periodicamente effettuava viaggi in partenza e che commerciava abbigliamento, è stato sequestrato un valore complessivo di circa cinque milioni di euro.

Cinque anni a Gorizia.
Le operazioni si susseguono, anche se è come fermare le onde con le mani. La Compagnia della Gdf di Gorizia negli ultimi 5 anni, ha contestato 625 violazioni all'obbligo di dichiarazione. L'ammontare del denaro irregolarmente trasportato in entrata o in uscita è di oltre 13 milioni di euro, mentre le sanzioni e i sequestri hanno consentito di far entrare nelle casse dello Stato circa 2,1 milioni.

I trasferimenti sottosoglia.
L'attività svolta dalla Gdf di Gorizia ha consentito inoltre, di censire 927 casi di trasferimenti di denaro contante “sottosoglia”, cioè per importi inferiori a 10mila euro, per un totale di oltre 5,6 milioni di euro.
L'importo totale dei trasferimenti irregolari e sotto soglia nel quinquennio è stato dunque di oltre 18,6 milioni di euro. Il trend delle violazioni è in costante aumento: dalle 50 violazioni del 2014 si è passati alle 156 del 2018. Sono già 73 le contestazioni nei primi otto mesi del 2019.

La calamita dei casinò sloveni.
Sempre negli ultimi cinque anni la Compagnia della Gdf di Gorizia ha accertato 625 violazioni valutarie, nei confronti di vari soggetti: spalloni (25) che attraversavano il confine trasportando denaro contante per conto proprio o per conto terzi, frequentatori di case da gioco slovene (63) spesso a bordo di auto di proprietà degli stessi casinò sloveni, acquirenti di auto, moto e natanti da diporto usati (163) diretti principalmente nel centro-nord Italia.
I dati raccolti nel corso dei controlli hanno originato oltre 2.000 segnalazioni per possibili illeciti di natura amministrativa, tributaria, penale.

Il ruolo delle badanti.
Non mancano acquirenti di prodotti tessili (90) diretti prevalentemente verso i distretti toscani, acquirenti di prodotti alimentari (27) diretti verso i principali mercati ortofrutticoli del Nord Italia, badanti straniere (28) che portano nei Paesi d'origine i guadagni del lavoro svolto in Italia, turisti (208), altro (21).

Mille trucchi per frodare.

I trasgressori una ne fanno e mille ne pensano per nascondere il denaro: scarpe, calzini, indumenti intimi, automobili (all'interno di cassetti, braccioli, schienali portaoggetti, casse radio posteriori), sacchetti di plastica sottovuoto per diminuire il volume delle banconote e sfuggire anche ai controlli dei “cash dog” (l'unità cinofila antivaluta).

Il report della Commissione europea.
Una risposta sulla pericolosa volatilità delle banconote viene anche dalla Commissione europea che – è quasi pleonastico sottolinearlo – ha deciso di mettere ancora una volta sotto la lente il contante perché i rischi di finanziamento del terrorismo e del riciclaggio attraverso il suo utilizzo sono ai massimi livelli.

Rischio nelle transazioni.
«Nell'Unione europea – si legge in un report del 24 luglio – il ricorso al contante è ancora la principale ragione che solleva sospetti all'interno delle transazioni nel sistema finanziario, per una percentuale del 34%».

Il nuovo obbligo dal 2021-
Solo dal 3 giugno 2021 scatterà l'obbligo comune per chi entra o esce dai Paesi della Ue (“Cash control regulation” adottatata nell'ottobre 2018) di dichiarare alla frontiera il denaro contante di valore pari o superiore ai 10 mila euro e di metterlo a disposizione ai fini del controllo.

Pochi controlli alle frontiere Ue.

Tra le pieghe del rapporto si leggono poche righe che lasciano senza parole. Ogni anno, in media, nella Ue vengono effettuate 90mila dichiarazioni volontarie alle autorità doganali con le quali i viaggiatori comunicano di trasportare denaro liquido. Queste dichiarazioni movimentano flussi per 52 milioni di euro.
I controlli delle polizie di frontiera, dai quali si evince una mancata dichiarazione di contanti sopra la soglia nei 28 Stati – da parte del viaggiatore europeo – sono invece in media 12mila e rappresentano una cifra di circa 345 milioni di euro. La Commissione europea non specifica il periodo di riferimento dal quale trae le medie.

Oltre un miliardo di viaggi nel mondo.
Il dato dei 12 mila controlli dai quali emerge la mancata (e obbligatoria) dichiarazione, se confrontato a quelli dei viaggi turistici che ogni anno vengono effettuati “da” e “verso” i 28 Paesi dell'Unione europea – almeno un miliardo – portano alla luce un paradosso: nella migliore delle ipotesi ogni 83 milioni di viaggi, i controlli delle polizie di frontiera fanno emergere una mancata dichiarazione doganale di contanti (la cui soglia, al momento, cambia da Paese a Paese).

I viaggi verso la Ue.
Gli ultimi calcoli effettuati nel 2018 su dati 2017 dall'Organizzazione mondiale per il turismo (Unwto) indicano che il totale dei soli arrivi turistici nei 28 Paesi della Ue è stato di 538 milioni (includendo dunque ogni combinazione, a partire da quella che prevede che una stessa persona o lo stesso nucleo familiare o lo stesso gruppo possa avere effettuato più di un viaggio nell'anno).
Eurostat, con dati meno aggiornati e non sempre riferibili a tutti i Paesi dell'Unione, giunge più o meno alle stesse conclusioni ma ha il pregio di calcolare, seppure per difetto, anche i viaggi di affari (con la stessa avvertenza delle possibili combinazioni) che invece non figurano nell'ultima statistica dell'Organizzazione mondiale per il turismo.

E quelli fuori dalla Ue.
Quanto ai viaggi effettuati fuori dall'Europa, la stessa Unwto stima 634,6 milioni di arrivi in giro per il mondo ma in questo caso non disaggrega il dato riferito ai soli 28 Paesi dell'Unione (che sono però la stragrande maggioranza, Russia a parte).
Complessivamente, dunque, tra entrate e uscite dalla Ue i viaggi annui stimabili nel 2017 sono circa un miliardo che, diviso per le 12mila dichiarazioni scovate dalle polizie di frontiera, portano alla emersione di una mancata dichiarazione di trasporto di contanti o gni 83 milioni di viaggi. Una stima probabilmente per difetto.

Economia turistica sempre più ricca.
Una goccia nell'oceano, verrebbe da dire, solo che si pensi anche alla cifra emersa dai controlli frontalieri, di poco superiore in media a 345 milioni di euro annui. Nulla in confronto al volume di affari generato dal turismo, che in Europa è stato nel 2017 di 519 miliardi dollari. In Asia ha generato profitti per 390 miliardi di dollari, nelle Americhe per 326 miliardi, in Africa per 37 miliardi e in Medio Oriente 68 miliardi. Complessivamente, nel mondo, la cifra toccata è di 1.340 miliardi di dollari (+ 5% rispetto al 2016).

Mancata conoscenza delle regole.
Va da se che non tutti i contanti non dichiarati si riferiscono a “spalloni”. Anzi. Milioni di viaggiatori non sono ancora del tutto informati sulle soglie da dichiarare Paese per Paese e, dunque, va dato atto di una buona fede che non esime però da responsabilità penali o amministrative. Fatto sta che le maglie sono larghissime e per evasori, riciclatori e semplici “spalloni” è facilissimo infilarsi. Come dire, il viaggio vale la candela.

https://www.ilsole24ore.com/art/contanti-frontiere-ue-colabrodo-preso-spallone-ogni-83-milioni-viaggiatori-AC0HEbm