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venerdì 22 settembre 2023

ECCO QUALE SAREBBE IL PIANO DI MATTEI PER L’AFRICA.

 

                             Enrico Mattei durante il suo viaggio in Cina nel 1958. Archivio ENI

Lettera aperta al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni

Di Liliana Gorini
Presidente di Movisol, Milano

Dallo scorso gennaio, e di nuovo in aprile quando si è recata ad Addis Abeba, lei ha parlato più volte di un “piano Mattei” per l’Africa che il governo italiano si accinge a proporre. Ha fatto il nome di Enrico Mattei, l’industriale e fondatore dell’ENI a cui dobbiamo il fatto che l’Italia divenne uno dei paesi industrializzati più importanti al mondo, grazie alla sua lungimirante politica di accordi commerciali diretti coi paesi produttori, e una sapiente politica per favorire lo sviluppo economico dell’Africa e del cosiddetto “terzo mondo” e la loro indipendenza dalle Sette Sorelle e dalle potenze coloniali. Dato che lei utilizza il nome di questo grande italiano nel promuovere la sua politica verso l’Africa, e dato che anche l’Italia, come l’Africa, è vittima di un atteggiamento colonialista da parte dell’Unione Europea e di Francia e Germania, mi sembra opportuno ricordarle che cosa fece Mattei e, soprattutto, che cosa farebbe oggi se fosse ancora vivo, e non fosse stato assassinato nel 1962 proprio per la sua politica di sviluppo.

A differenza del suo governo, che prende ordini dalla NATO favorendo una folle guerra in Ucraina che rischia di portarci alla terza guerra mondiale, Enrico Mattei aprì alla Russia, alla Cina, all’Iran e a tutto il Medio Oriente, nel nome della pace e della cooperazione economica per lo sviluppo, e lavorava ad una nuova architettura di pace e sviluppo simile a quella proposta dalla signora Helga Zepp-LaRouche dello Schiller Institute.

A differenza del suo governo, che accetta il diktat degli Stati Uniti sulla politica energetica, bloccando le forniture di gas a basso prezzo dalla Russia e accettando invece quelle di gas liquido americano, che costa dieci volte tanto ed è nocivo, Enrico Mattei divenne famoso come l’ideatore della vera indipendenza energetica dell’Italia, con i suoi accordi diretti coi paesi fornitori, a cui offriva condizioni molto più favorevoli rispetto alle Sette Sorelle.

A differenza del suo governo, che taglia le pensioni e riduce gli aiuti alle famiglie povere per finanziare la sua “splendid little war” in Ucraina (per usare un’espressione cara al Segretario di Stato americano John Hay che chiede il via alle “guerre permanenti” americane contro i paesi del sud del mondo), Mattei si preoccupava del benessere dei suoi lavoratori, andava di persona a controllare che il cibo della mensa fosse adeguato e si assicurava che avessero la necessaria assistenza sanitaria. Destinava inoltre il suo stipendio ai poveri, perché non era interessato alla ricchezza personale, ma al Bene Comune del suo paese.

A differenza del suo governo, che accetta passivamente tutto quello che gli viene ordinato dall’UE e dalla NATO, Mattei era a favore di una politica di pace e di dialogo con tutti, e se oggi fosse in vita sarebbe tra i promotori, insieme alla Cina, al Papa ed ai paesi africani, di una proposta di pace tra Russia e Ucraina senza imporre condizioni, fondata sul principio del dialogo diretto che rese possibile la fine della crisi missilistica di Cuba ed una guerra nucleare nel 1962. Non dimentichiamo che Mattei incontrò John F. Kennedy, e doveva incontrarlo nuovamente a Washington quando fu ucciso, e che John F. Kennedy ammirava il suo coraggio e la sua determinazione nel promuovere la pace e lo sviluppo economico, così come ammirava Papa Giovanni XXIII la cui enciclica “Pacem in Terris” fu fondamentale per evitare una guerra mondiale, e fu tradotta in inglese su richiesta del Presidente americano.

Se oggi fosse in vita, Mattei chiederebbe quindi lo scioglimento della NATO, che da alleanza difensiva si è trasformata in un’alleanza offensiva decisa ad usare le armi nucleari, e l’adesione dell’Italia al blocco dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) che con il vertice di luglio a Johannesburg sono saliti a 11 paesi e stanno dando vita ad un nuovo sistema economico e monetario che rilanci l’idea dello sviluppo del sud del mondo, negato per decenni dall’Occidente nel nome di un “ordine basato sulle regole” che ci sta portando sull’orlo del baratro e non solo non favorisce lo sviluppo dell’Africa e del sud del mondo, ma sta mandando in rovina anche la nostra stessa economia, con sanzioni che invece di colpire Russia e Cina si ritorcono contro di noi e con una politica energetica folle, che Mattei denuncerebbe come tale.

Se desidera davvero proporre un “piano Mattei” per lo sviluppo dell’Africa, la invito quindi a studiare ciò che fece Mattei, e seguirne le orme, senza usarne il nome per attuare in realtà un “piano Meloni” con qualche accordo raffazzonato senza alcuna visione per il futuro. L’Africa ha detto chiaramente che è stufa del colonialismo, inglese, francese e olandese (quello italiano durò ben poco, era più che altro una barzelletta, ma quello inglese e francese dura tuttora ed è la causa dei colpi di stato nel Niger ed altri paesi dell’Africa centrale). L’Africa è stufa di essere un fornitore di materie prime a costo zero per le potenze coloniali, che a loro volta impediscono il suo sviluppo, anche nel nome dei presunti “cambiamenti climatici”. E si è rivolta alla Cina, alla Russia ed ai BRICS che, a differenza dell’UE, investono da anni in grandi infrastrutture.

Mattei oggi sarebbe dalla parte dei BRICS e non della NATO. Un piano Mattei per l’Africa sarà tale solo se lei prenderà esempio da Mattei facendo accordi con tutti, dialogando con tutti, senza prendere ordini da nessuno, né dall’impero britannico, né da un Presidente americano fuori di testa che crede di vincere una guerra contro la Russia, e in realtà sta perdendo su tutti i fronti, militarmente ed economicamente, come hanno ribadito numerosi esperti americani alla recente conferenza dello Schiller Institute dal titolo “uniamoci al Sud del mondo per una vera politica di sviluppo economico”.

18.09.2023

Movisol, “Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà”, è stato fondato a Milano nel 1993.

Fonte: https://movisol.org/ecco-quale-sarebbe-il-piano-di-mattei-per-lafrica/


https://comedonchisciotte.org/ecco-quale-sarebbe-il-piano-di-mattei-per-lafrica/

domenica 26 aprile 2020

Coronavirus, in Africa mancano terapie intensive, ventilatori e il lockdown è inapplicabile. Così i 30mila casi (ufficiali) fanno paura. - Giusy Baioni

Coronavirus, in Africa mancano terapie intensive, ventilatori e il lockdown è inapplicabile. Così i 30mila casi (ufficiali) fanno paura

I letti in intensiva vanno dai 3mila del Marocco, 2.500 dell’Algeria e mille del Sudafrica ai 15 di Burkina Faso e Somalia. In molti Paesi i macchinari per la respirazione assistita sono meno di dieci. I governi attuano la serrata, ma è una misura difficile da imporre con la maggior parte dell’economia che è informale, i lavori alla giornata e stipendi, contratti e tutele statali inesistenti.
Quasi 30mila casi, più di 1.300 morti: sono le cifre che provengono dall’Africa. O perlomeno le cifre ufficiali. Ben poca cosa rispetto ai numeri del resto del mondo. Tuttavia, qui più che altrove, non v’è certezza alcuna sui numeri reali della pandemia. Quello che è noto, invece, è la mancanza delle terapie intensive e dei ventilatori polmonari. Ma anche qui, senza certezze: i numeri sono aleatori, tanto che alcuni giorni fa la stessa direttrice dell’Oms per l’Africa, Matshidiso Moeti, ha lanciato l’allarme, deplorando la mancanza di informazioni attendibili.
La rivista Jeune Afrique ha tentato di calcolare i numeri delle terapie intensive e dei respiratori: c’è una grande disparità fra i pochi paesi che dispongono di un numero decente di presidi e i molti che invece non hanno quasi nulla. I letti di terapia intensiva vanno dai 3mila del Marocco, 2.500 dell’Algeria e mille del Sudafrica ai 15 di Burkina Faso e Somalia, con diversi altri Paesi che ne hanno sotto i 100. Ancora peggiore la situazione dei respiratori: 3 per tutta la Repubblica Centrafricana, 4 in Togo (ma ne sono stati ordinati 250), 5 in Niger, 10 in Congo Brazzaville, 11 in Burkina Faso, fra i 15 e i 20 in Camerun. In tutta la Sierra Leone, secondo il Financial Times, ce ne sarebbe uno solo. Qualche decina in altri Paesi, per poi trovarne 2.500 in Algeria, 3mila in Marocco e ben 6mila in Sudafrica, 4mila dei quali in mano però nella sanità privata.
I numeri sono ancora più drammatici se si considera che diversi di questi Paesi hanno focolai attivi piuttosto rilevanti. Nell’Africa settentrionale e nel Sud sono concentrate le situazioni peggiori: circa 4mila casi in Sudafrica, Egitto e Marocco, pochi meno in Algeria. Ma hanno superato i mille casi Camerun e Ghana. Oltre 900 contagi in Tunisia, più di mille in Costa d’Avorio e anche nella piccola Gibuti, dove potrebbe aver inciso la presenza di basi militari straniere, fra cui la prima base navale cinese nel continente.
In molti altri paesi i numeri restano sotto controllo, in genere qualche decina. Poche unità si segnalano in MauritaniaBurundiSao Tomè e Sud Sudan. Zero casi, per ora, solo nelle isole Comore e nel piccolo Lesotho, dove è stato comunque dichiarato lo stato di emergenza per due settimane, data la posizione geografica nel mezzo del Sudafrica.
Le misure intraprese dai vari governi sono quasi ovunque molto rigide e puntano sulla prevenzione. Il lockdown, unica prevenzione efficace, è stato dichiarato quasi ovunque, con la consapevolezza però che misure come quelle cinesi o europee non sono proponibili in un continente dove la maggior parte dell’economia è informale, i lavori alla giornata, stipendi e contratti inesistenti, tutele statali pure. Impensabile imporre di “restare a casa” nelle baraccopoli, dove la “casa” è solo un luogo coperto in cui dormire. Impensabile imporre di non uscire dove non esistono frigo per conservare gli alimenti e il cibo va comprato fresco ogni giorno. Vietate quasi ovunque invece le celebrazioni religiose, sia nei paesi a maggioranza cristiana che in quelli musulmani. Basti dire che l’unico luogo dove si è celebrata la Pasqua con messe affollate di fedeli è stato il Burundi, che ufficialmente è fermo a 8 casi.
Le forti restrizioni decise dal governo sudafricano, che ha imposto chiusure draconiane provocando lo stop del commercio informale, stanno già provocando problemi di ordine pubblico, saccheggi dei supermercati, rivolte sociali duramente represse. Ogni giorno, oltre al bollettino dei contagi, arriva quello degli arresti. Per evitare tali rischi, il governo del Senegal ha optato per un modello ibrido, con il coprifuoco dalle 20 al posto del lockdown: attività commerciali aperte, ma alla sera tutti a casa.
Diversi Paesi stanno adottando come farmaco la clorochina, antimalarico abbondantemente disponibile e a prezzo contenuto. Si sta inoltre estendendo l’obbligo di mascherine e laddove mancano i presidi supplisce il fai-da-te in coloratissimi wax (la tipica stoffa africana), ma anche in foglie o vimini intrecciati. Non manca chi raccoglie per strada le mascherine usate, le lava bene con acqua e sapone e le riutilizza o le rivende.
Di altro tenore l’impegno degli atenei africani: molti laboratori universitari hanno avviato la produzione di gel idroalcolici, mentre altri si sono dedicati alla produzione di mascherine e soprattutto visiere per il personale medico con le stampanti 3D. In Marocco e Tunisia diverse fabbriche si sono rapidamente riconvertite per produrre mascherine e respiratori.
E se diversi cantanti hanno lanciato nuovi brani di sensibilizzazione sul Covid-19, anche molti leader politici si stanno esponendo in prima persona sui social per sponsorizzare le misure di prevenzione: Alpha CondéFélix TshisekediMohammed VIAlassane OuattaraPaul Kagame mostrano come lavarsi le mani e invitano a portare la mascherina in luoghi affollati. Di contro, il presidente malgascio Andry Rajoelina ha appena annunciato la creazione di una mistura a base di artemisia in grado di prevenire e sconfiggere il coronavirus: “È un rimedio a base di piante officinali locali. Dà risultati in 7 giorni”. Che il Madagascar sia terra unica per biodiversità è noto, ma l’Oms si è affrettata a dichiarare che ad oggi non esistono evidenze scientifiche che tale preparato sia efficace.

giovedì 26 settembre 2019

Contanti, frontiere Ue colabrodo. Preso uno «spallone» ogni 83 milioni di viaggiatori. - Roberto Galullo e Angelo Mincuzzi

Risultati immagini per spalloni

Un “trafficante” di contanti ha lo 0,0012% di probabilità di essere scoperto dalle autorità di frontiera.

Ha più possibilità un giocatore di vincere il primo premio di una lotteria milionaria che uno “spallone” giramondo di essere colto in flagranza mentre fa viaggiare illegalmente contanti dentro e fuori dalle frontiere dell'Unione europea. C’è solo una possibilità su 83 milioni di essere sorpresi con le mani nel sacco. Detto in altro modo, un “trafficante” di contanti ha lo 0,0012% di probabilità di essere scoperto dalle autorità di frontiera.
L'eccezione però non manca. L'Italia, con l'azione di contrasto della Guardia di finanza, in un Paese in cui i valichi frontalieri abbondano, si colloca all'avanguardia nel numero di controlli.

I controlli ai valichi.
Lo dimostrano i risultati conseguiti in 18 mesi, dal 1° gennaio 2018 a giugno 2019.
Le Fiamme Gialle hanno eseguito 24.389 controlli – con una media di 44 al giorno – sul rispetto delle norme sulla circolazione transfrontaliera di valuta in entrata e in uscita dal territorio nazionale, che hanno avuto ad oggetto movimenti di capitali per oltre 243 milioni di euro e hanno condotto all'accertamento di oltre 8.000 violazioni nonché al sequestro di circa 19,6 milioni di euro, di cui circa 12,1 milioni per violazioni di carattere penale e circa 7,5 milioni di euro per violazioni amministrative.

Estate al top.
Da metà giugno al 13 agosto 2019 la Gdf ha effettuato 2.556 interventi presso i valichi di frontiera, riscontrando complessivamente 845 violazioni. Ammonta a oltre 20 milioni di euro – di cui 324 mila euro sequestrati – il valore della valuta e dei titoli non dichiarati e intercettati al seguito dei viaggiatori.

“Millepiedi” a Palermo.
Particolarmente rilevante è stata l'operazione “Millepiedi”, eseguita dal Gruppo di Palermo il 24 settembre 2018, scaturita da controlli di valuta effettuati all'aeroporto “Falcone – Borsellino”. Ad una famiglia cinese, che periodicamente effettuava viaggi in partenza e che commerciava abbigliamento, è stato sequestrato un valore complessivo di circa cinque milioni di euro.

Cinque anni a Gorizia.
Le operazioni si susseguono, anche se è come fermare le onde con le mani. La Compagnia della Gdf di Gorizia negli ultimi 5 anni, ha contestato 625 violazioni all'obbligo di dichiarazione. L'ammontare del denaro irregolarmente trasportato in entrata o in uscita è di oltre 13 milioni di euro, mentre le sanzioni e i sequestri hanno consentito di far entrare nelle casse dello Stato circa 2,1 milioni.

I trasferimenti sottosoglia.
L'attività svolta dalla Gdf di Gorizia ha consentito inoltre, di censire 927 casi di trasferimenti di denaro contante “sottosoglia”, cioè per importi inferiori a 10mila euro, per un totale di oltre 5,6 milioni di euro.
L'importo totale dei trasferimenti irregolari e sotto soglia nel quinquennio è stato dunque di oltre 18,6 milioni di euro. Il trend delle violazioni è in costante aumento: dalle 50 violazioni del 2014 si è passati alle 156 del 2018. Sono già 73 le contestazioni nei primi otto mesi del 2019.

La calamita dei casinò sloveni.
Sempre negli ultimi cinque anni la Compagnia della Gdf di Gorizia ha accertato 625 violazioni valutarie, nei confronti di vari soggetti: spalloni (25) che attraversavano il confine trasportando denaro contante per conto proprio o per conto terzi, frequentatori di case da gioco slovene (63) spesso a bordo di auto di proprietà degli stessi casinò sloveni, acquirenti di auto, moto e natanti da diporto usati (163) diretti principalmente nel centro-nord Italia.
I dati raccolti nel corso dei controlli hanno originato oltre 2.000 segnalazioni per possibili illeciti di natura amministrativa, tributaria, penale.

Il ruolo delle badanti.
Non mancano acquirenti di prodotti tessili (90) diretti prevalentemente verso i distretti toscani, acquirenti di prodotti alimentari (27) diretti verso i principali mercati ortofrutticoli del Nord Italia, badanti straniere (28) che portano nei Paesi d'origine i guadagni del lavoro svolto in Italia, turisti (208), altro (21).

Mille trucchi per frodare.

I trasgressori una ne fanno e mille ne pensano per nascondere il denaro: scarpe, calzini, indumenti intimi, automobili (all'interno di cassetti, braccioli, schienali portaoggetti, casse radio posteriori), sacchetti di plastica sottovuoto per diminuire il volume delle banconote e sfuggire anche ai controlli dei “cash dog” (l'unità cinofila antivaluta).

Il report della Commissione europea.
Una risposta sulla pericolosa volatilità delle banconote viene anche dalla Commissione europea che – è quasi pleonastico sottolinearlo – ha deciso di mettere ancora una volta sotto la lente il contante perché i rischi di finanziamento del terrorismo e del riciclaggio attraverso il suo utilizzo sono ai massimi livelli.

Rischio nelle transazioni.
«Nell'Unione europea – si legge in un report del 24 luglio – il ricorso al contante è ancora la principale ragione che solleva sospetti all'interno delle transazioni nel sistema finanziario, per una percentuale del 34%».

Il nuovo obbligo dal 2021-
Solo dal 3 giugno 2021 scatterà l'obbligo comune per chi entra o esce dai Paesi della Ue (“Cash control regulation” adottatata nell'ottobre 2018) di dichiarare alla frontiera il denaro contante di valore pari o superiore ai 10 mila euro e di metterlo a disposizione ai fini del controllo.

Pochi controlli alle frontiere Ue.

Tra le pieghe del rapporto si leggono poche righe che lasciano senza parole. Ogni anno, in media, nella Ue vengono effettuate 90mila dichiarazioni volontarie alle autorità doganali con le quali i viaggiatori comunicano di trasportare denaro liquido. Queste dichiarazioni movimentano flussi per 52 milioni di euro.
I controlli delle polizie di frontiera, dai quali si evince una mancata dichiarazione di contanti sopra la soglia nei 28 Stati – da parte del viaggiatore europeo – sono invece in media 12mila e rappresentano una cifra di circa 345 milioni di euro. La Commissione europea non specifica il periodo di riferimento dal quale trae le medie.

Oltre un miliardo di viaggi nel mondo.
Il dato dei 12 mila controlli dai quali emerge la mancata (e obbligatoria) dichiarazione, se confrontato a quelli dei viaggi turistici che ogni anno vengono effettuati “da” e “verso” i 28 Paesi dell'Unione europea – almeno un miliardo – portano alla luce un paradosso: nella migliore delle ipotesi ogni 83 milioni di viaggi, i controlli delle polizie di frontiera fanno emergere una mancata dichiarazione doganale di contanti (la cui soglia, al momento, cambia da Paese a Paese).

I viaggi verso la Ue.
Gli ultimi calcoli effettuati nel 2018 su dati 2017 dall'Organizzazione mondiale per il turismo (Unwto) indicano che il totale dei soli arrivi turistici nei 28 Paesi della Ue è stato di 538 milioni (includendo dunque ogni combinazione, a partire da quella che prevede che una stessa persona o lo stesso nucleo familiare o lo stesso gruppo possa avere effettuato più di un viaggio nell'anno).
Eurostat, con dati meno aggiornati e non sempre riferibili a tutti i Paesi dell'Unione, giunge più o meno alle stesse conclusioni ma ha il pregio di calcolare, seppure per difetto, anche i viaggi di affari (con la stessa avvertenza delle possibili combinazioni) che invece non figurano nell'ultima statistica dell'Organizzazione mondiale per il turismo.

E quelli fuori dalla Ue.
Quanto ai viaggi effettuati fuori dall'Europa, la stessa Unwto stima 634,6 milioni di arrivi in giro per il mondo ma in questo caso non disaggrega il dato riferito ai soli 28 Paesi dell'Unione (che sono però la stragrande maggioranza, Russia a parte).
Complessivamente, dunque, tra entrate e uscite dalla Ue i viaggi annui stimabili nel 2017 sono circa un miliardo che, diviso per le 12mila dichiarazioni scovate dalle polizie di frontiera, portano alla emersione di una mancata dichiarazione di trasporto di contanti o gni 83 milioni di viaggi. Una stima probabilmente per difetto.

Economia turistica sempre più ricca.
Una goccia nell'oceano, verrebbe da dire, solo che si pensi anche alla cifra emersa dai controlli frontalieri, di poco superiore in media a 345 milioni di euro annui. Nulla in confronto al volume di affari generato dal turismo, che in Europa è stato nel 2017 di 519 miliardi dollari. In Asia ha generato profitti per 390 miliardi di dollari, nelle Americhe per 326 miliardi, in Africa per 37 miliardi e in Medio Oriente 68 miliardi. Complessivamente, nel mondo, la cifra toccata è di 1.340 miliardi di dollari (+ 5% rispetto al 2016).

Mancata conoscenza delle regole.
Va da se che non tutti i contanti non dichiarati si riferiscono a “spalloni”. Anzi. Milioni di viaggiatori non sono ancora del tutto informati sulle soglie da dichiarare Paese per Paese e, dunque, va dato atto di una buona fede che non esime però da responsabilità penali o amministrative. Fatto sta che le maglie sono larghissime e per evasori, riciclatori e semplici “spalloni” è facilissimo infilarsi. Come dire, il viaggio vale la candela.

https://www.ilsole24ore.com/art/contanti-frontiere-ue-colabrodo-preso-spallone-ogni-83-milioni-viaggiatori-AC0HEbm

giovedì 31 gennaio 2019

Il franco Cfa e quella lunga scia di sangue in Africa. - Giancarlo Mazzucca

Luigi di Maio e sullo sfondo Emmanuel Macron (Imagoeconomica)
Luigi di Maio e sullo sfondo Emmanuel Macron (Imagoeconomica)


Dalla Tav ai gilet gialli, dall'Europa all'Onu: in questo momento pare proprio che, anziché il Monte Bianco, ci sia un oceano che divida l'Italia dalla Francia. Tra gialloverdi e dintorni, sembra che tutto faccia brodo per poter criticare Macron e i “cugini”. Dopo i ripetuti “J' accuse” di Salvini, ecco, dunque, i “grillini” Di Maio e Di Battista che hanno tirato in ballo il franco Cfa, la moneta che circola in 14 Stati del continente nero. Secondo loro, Parigi starebbe sfruttando la sua posizione di ex potenza coloniale per continuare a controllare l'Africa sul piano geopolitico. Tutto grazie, appunto, al “franc de la Communauté financière africaine”, il franco Cfa. L'affermazione del vicepresidente del Consiglio e del suo compagno di partito non sembra, però, avvalorata dalle statistiche che parlano di un “trend” in costante calo per la Francia: basti pensare che, tra il 2000 e il 2017, l'export transalpino a sud del Mediterraneo si è dimezzato tanto da essere scavalcato da quello tedesco.
Ma, dati economici a parte, le vicende degli ultimi decenni dimostrano, comunque, che la coesistenza valutaria francese con le ex-colonie non è stata indolore: è sufficiente ripercorrere, al riguardo, alcuni episodi significativi. Cominciamo dal 1963: Sylvanus Olympio, primo presidente eletto del Togo, si rifiuta di sottoscrivere il patto monetario con Parigi e stabilisce che il Paese avrebbe battuto una divisa nazionale. Appena tre giorni dopo, Olympio viene rovesciato e assassinato in un “golpe” condotto da ex militari dell'esercito coloniale francese. 1968: Modioba Keita, primo presidente della Repubblica del Mali, annuncia l'uscita dal franco Cfa che considera una trappola economica ma è subito vittima di un colpo di Stato guidato da un ex legionario francese.
Arriviamo al 1987: Thomas Sankara, primo presidente del Burkina Faso indipendente, viene detronizzato ed ucciso subito dopo aver dichiarato la necessità di liberarsi dal giogo del franco Cfa. Ancora: nel 2011 il presidente della Costa d'Avorio, Laurent Gbagbo, decide anche lui di abolire il Cfa sostituendolo con la Mir, Moneta ivoriana di resistenza. Mal gliene incolse perché le forze speciali francesi l' arrestano dopo aver bombardato il palazzo presidenziale. Per non parlare della deposizione, sempre nel 2011, di Gheddafi: secondo una fonte confidenziale, a provocare la reazione dell'allora capo dell'Eliseo Sarkozy sarebbe stata la volontà del dittatore di creare una nuova valuta panafricana, il dinaro libico, sostenuta dalle ingenti riserve auree di Tripoli, proprio in alternativa al franco Cfa. Insomma, la storia parla chiaro: il pugno di ferro ha spesso prevalso sul dialogo . Ma, al di là delle opinioni, “grillini” o non “grillini”, un fatto è certo: fino a ieri il franco Cfa era in Italia un oggetto misterioso o quasi, adesso lo conosciamo tutti.
https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-01-27/il-franco-cfa-e-quella-lunga-scia-sangue-africa--092859.shtml?uuid=AFq1DG&refresh_ce=1

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L'ironia del giornalista sembrerebbe alquanto sterile visto che anche su wiky si legge:              
"fondo comune di riserva di moneta estera a cui partecipano tutti i paesi del CFA (almeno il 65% delle posizioni in riserva depositate presso il Tesoro francese, a garanzia del cambio monetario); qui il link: https://it.wikipedia.org/wiki/Franco_CFA#Storia

domenica 27 gennaio 2019

Scandalo: secondo un giornale tedesco, l'Africa paga 400 miliardi di euro all'anno in Francia.

François Hollande tra i leader africani in un forum economico a Parigi. Immagine d'archivio.

Di Ivoirebusiness - Scandal / Françafrique. Un quotidiano economico tedesco accusa la Francia di saccheggiare 440 miliardi di euro all'anno dagli africani attraverso il franco CFA.

Questa schiavitù economica è importante per lo sviluppo dell'economia francese. Ogni volta che questo traffico rischia di fallire, la Francia è pronta a fare qualsiasi cosa per riconquistarla. Se un leader della zona CFA non soddisfa più i requisiti della Francia, Parigi blocca le sue riserve valutarie e altro ancora, la Francia chiude le banche in questo paese ritenute "ribelli". Questo è stato il caso della Costa d'Avorio con Laurent Gbagbo.
Franco della CFA quando i tedeschi vengono coinvolti: un quotidiano economico tedesco accusa la Francia di saccheggiare 440 miliardi di euro ogni anno dagli africani attraverso il franco CFA.
"Il governo francese raccoglie dalle sue ex colonie ogni anno 440 miliardi di euro di tasse. La Francia fa affidamento sulle entrate provenienti dall'Africa, per non sprofondare nell'insignificanza economica, avverte l'ex presidente Jacques Chirac.
Negli anni '50 e '60, la Francia decise che le colonie francesi dell'Africa diventassero indipendenti. Sebbene il governo di Parigi accettasse dichiarazioni formali di indipendenza, invitò i paesi africani a firmare un cosiddetto "patto per la continuazione della colonizzazione". Concordarono di introdurre la moneta coloniale francese FCFA ( "Franco per le colonie francesi in Africa"), mantiene scuole e sistemi militari francesi e stabilisce il francese come lingua ufficiale.
Il franco CFA è la denominazione della moneta comune di 14 paesi africani membri della zona del franco. Questa moneta, che costituisce un freno all'emergere di questi paesi, fu creata nel 1945, quando la Francia ratificò gli accordi di Bretton Woods e procedette all'attuazione della sua prima dichiarazione di parità al Fondo monetario internazionale (FMI). . Fu chiamato all'epoca "Franco delle colonie francesi d'Africa".
Secondo questa legge, 14 paesi africani sono ancora obbligati a conservare circa l'85% delle loro riserve valutarie presso la Banque de France a Parigi. Sono sotto il controllo diretto del Tesoro francese. I paesi interessati non hanno accesso a questa parte delle loro riserve. Il 15 per cento delle riserve non è sufficiente per le loro esigenze, devono prendere in prestito fondi aggiuntivi dal Tesoro francese a prezzo di mercato. Dal 1961, Parigi controlla tutte le riserve in valuta estera in Benin, Burkina Faso, Guinea Bissau, Costa d'Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo, Guinea equatoriale e Gabon.
Inoltre, questi paesi devono ogni anno trasferire il loro "debito coloniale" per le infrastrutture costruite in Francia a Parigi, come Silicon Africa 3 ha riferito in dettaglio. La Francia prende circa 440 miliardi di euro all'anno di tasse. Il governo di Parigi ha anche il diritto di primo rifiuto su tutte le risorse naturali appena scoperte nei paesi africani. Infine, le aziende francesi devono avere la priorità nell'assegnazione dei contratti nelle ex colonie. Di conseguenza, ci sono la maggior parte delle attività nelle aree di approvvigionamento, finanza, trasporti, energia e agricoltura nelle mani delle aziende francesi.
L'élite dominante in ogni paese africano deve soddisfare queste richieste obbligatorie senza altra scelta. I leader africani che rifiutano sono minacciati di assassinio o rovesciamento del loro governo. Negli ultimi 50 anni, ci sono stati 67 colpi di stato in 26 paesi africani. 16 di questi 26 paesi erano ex colonie francesi.
Un esempio è il primo presidente del Togo West Africa, Sylvanus Olympio, rovesciato da un colpo di stato. Si era rifiutato di firmare il "Patto per la continuazione della colonizzazione". Ma la Francia ha insistito affinché il Togo pagasse un risarcimento per le infrastrutture che erano state costruite dai francesi durante il periodo coloniale. circa il 40% delle famiglie del Togo nel 1963, costringendo il paese appena indipendente a raggiungere rapidamente i propri limiti economici.
Inoltre, il nuovo presidente del Togo ha deciso di cancellare e stampare la propria valuta nazionale, la moneta coloniale francese FCFA. Tre giorni dopo questa decisione, il nuovo governo fu rovesciato da un gruppo di ex legionari stranieri e il presidente ucciso. Il capo dei Legionari, Gnassingbe Eyadema, ha ricevuto 550 euro dall'ambasciata francese per l'attacco, secondo il British Telegraph. Quattro anni dopo, Eyadema è stato promosso con il sostegno di Parigi, il nuovo presidente del Togo. Stabilì una dittatura tirannica in questo paese dell'Africa occidentale e rimase al potere fino alla sua morte nel 2005.
Negli anni seguenti, il governo di Parigi mantenne il legame con gli antichi legionari per rovesciare governi impopolari nelle sue ex colonie. Questo è stato il caso del primo Presidente della Repubblica Centrafricana, David Dacko spodestato da ex membri della Legione straniera nel 1966. 
Lo stesso è accaduto al Presidente del Burkina Faso, Mauritius Yaméogo, e con il presidente del Benin, Kerekou , autore di un putsch. Questo è stato anche il caso del primo presidente della Repubblica di Mali Modiba Keita, anch'egli vittima di un colpo di stato da ex legionari nel 1968. 
La ragione, pochi anni prima, aveva semplicemente deciso separarsi dalla moneta coloniale francese ".
Pubblicato il 7 novembre 2016.

Tradotto con Google

venerdì 25 gennaio 2019

Il documentario RAI che ti spiega semplicemente come la Francia stia ammazzando l’Africa ed i suoi abitanti.



Franco CFA: il paradosso africano della moneta forte in un’economia debole, nel servizio di Filippo Barone il neocolonialismo finanziario francese ai danni dei paesi francofoni dell’Africa sub sahariana. 

Fotografia Brenno Maria Marcellini.

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sabato 29 settembre 2018

Cognato di Renzi, Unicef: “Non quereliamo”. L’indagine sui milioni per l’Africa rischia lo stop (grazie a legge Pd). - Davide Vecchi

Cognato di Renzi, Unicef: “Non quereliamo”. L’indagine sui milioni per l’Africa rischia lo stop (grazie a legge Pd)

I fratelli Conticini sono accusati di aver utilizzato a fini personali parte dei fondi versati alla loro Play Therapy Africa dalle associazioni umanitarie. Si tratta di 6,6 milioni. L'annuncio dell'organizzazione farà piacere agli indagati perché grazie alla riforma che porta il nome dell'ex ministro della giustizia, Andrea Orlando, se la parte lesa non sporge formale denuncia l'intera inchiesta può concludersi con un nulla di fatto.

Unicef New York non sporgerà querela nei confronti dei fratelli Conticiniindagati dalla Procura di Firenze perché accusati di aver utilizzato a fini personali parte dei fondi versati dalle associazioni umanitarie alla loro Play Therapy Africa. Non spiccioli: 6,6 milioni. La decisione è stata raggiunta dopo alcune settimane di “approfondimenti interni”, ha spiegato Paolo Rozera, direttore di Unicef Italia al suo rientro da New York. E così, grazie alla riforma che porta il nome dell’ex ministro della giustizia, Andrea Orlando, se la parte lesa non sporge formale denuncia l’intera indagine rischia di concludersi con un nulla di fatto. Il decreto, approvato dal governo Gentiloni, ha modificato la procedibilità di alcuni reati, in particolare i “delitti contro il patrimonio”. Quindi truffa, frode informatica, appropriazione indebita non sono più procedibili d’ufficio ma solamente su querela delle parti offese. E i tre fratelli Andrea, Alessandro e Luca Conticini sono indagati per riciclaggio, mentre soltanto Alessandro e Luca anche per appropriazione indebita aggravata. La loro iscrizione risale al 2016 mentre la norma Orlando è stata approvata alla scadenza dell’ultima legislatura e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 24 aprile 2018. Una norma sin da subito ribattezzata “lex ad cognatum” perché Andrea Conticini è il marito di Matilde Renzi, quindi cognato dell’ex premier e segretario del Pd, Matteo Renzi.

Il provvedimento ha oggettivamente complicato la fase conclusiva delle indagine svolte dai magistrati fiorentini, Luca Turco e Giuseppina Mione che lo scorso agosto hanno dovuto trasmettere richiesta di rogatoria alle parti lese: Unicef New York, Fondazione Pulitzer, Action Usa. L’iter è piuttosto complesso: la procura ha trasmesso la richiesta attraverso il ministero degli Affari esteri agli uffici legali Onu che poi devono trasmetterla al destinatario finale. Quest’ultimo ha tre mesi di tempo dalla ricezione per presentare querela. Il fascicolo delle indagini è praticamente chiuso: mancano solo gli esiti delle rogatorie. La richiesta è partita da Firenze il 3 agosto verso il ministero degli Esteri e da qui se sono perse le tracce tanto che Unicef New York ancora oggi non ha ricevuto alcuna comunicazione, come conferma lo stesso Rozera. La società di Conticini ha ricevuto cospicue donazioni dagli Usa, in particolare da Unicef (3,8 milioni di dollari tra 2008 e 2013) e Fondazione Pulitzer (5,5 milioni di dollari tra 2009 e 2016 transitati dalla onlus Operations Usa). Altri 900mila dollari complessivi sarebbero arrivati dalle ong Australian High Commission, Avsi, Fxb, Mobility without barriers foundation, Oak, Undp, France Volontaires. Secondo l’accusa i fratelli Conticini avrebbero dirottato ben 6,6 milioni di circa 10 complessivi ricevuti per aiutare i bambini in Africa, su conti correnti personali usandoli – come ricostruito dagli inquirenti – per investimenti immobiliari all’estero e altre operazioni finanziarie. Andrea, inoltre, ha prelevato soldi dai conti destinandoli a tre società dell’inner circle renziano: alla Eventi6 dei suoceri (133.900 euro), la Quality Press Italia (129.900 euro) e 4mila euro per la Dot Media di Firenze, che organizzava la Leopolda del fu Rottamatore.

Unicef ha interrotto i rapporti con la società di Conticini già nel 2013 e chiuso i contratti perché “il servizio che forniva non era più adeguato”, spiega Rozera. Ma fino a quel momento Play Therapy ha “onorato quanto sottoscritto” e, per questo motivo, Unicef ha deciso di non sporgere querela: dai controlli interni compiuti, infatti, è “risultato tutto regolare, per quanto ci riguarda”. Per spiegare la decisione raggiunta e rispondere a eventuali domande, Rozera terrà nel pomeriggio una diretta sulla pagina facebook di Unicef Italia.

lunedì 13 agosto 2018

Quella brutta storia dei fondi Pro Africa finiti nelle tasche dei fratelli Conticini.

Risultati immagini per renzi cognati, truffa

Anche Renzi si faceva fare leggi ad personam; con la riforma Orlando, che ha esteso la procedibilità a querela anche per l'appropriazione indebita aggravata, se non c'è la denuncia della parte lesa che, nel caso in questione, sono le associazioni benefiche, la magistratura non può procedere.

Qui di seguito i fatti.

Il 15 luglio 2016. 
Firenze, viene indagato Alessandro Conticini, fratello del cognato di Renzi, per aver distratto 6,6 milioni di dollari provenienti da donazioni UNICEF,  utilizzati in gran parte per cospicui investimenti immobiliari e in misura minore (per circa 250 mila euro) per l'acquisto di quote di alcune società della famiglia Renzi o di persone ad essa vicine.

Il 14 giugno 2017.
la Camera dei deputati approva con voto di fiducia la proposta di legge C. 4368 (nota anche come DDL Orlando), che modifica l'ordinamento penale, sia sostanziale sia processuale, nonché l'ordinamento penitenziario. 
Nello specifico: art Art. 646 c.p. - Appropriazione indebita.
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032.

il 7 giugno 2018.
Il comitato Italiano per l'UNICEFI nomina i membri del Consiglio Direttivo, tra i quali spiccano i nomi di Giovanni Malagò e Walter Veltroni.

l'11 agosto 2018. 
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, telefona al numero uno del Coni, Giovanni Malagò, per complimentarsi "per i successi agli Europei".

Io sento puzza di bruciato, voi?

giovedì 9 agosto 2018

Firenze, l'accusa ai fratelli Conticini: quei 6,6 milioni di dollari mai arrivati ai bambini africani. - Franca Selvatici

Firenze, l'accusa ai fratelli Conticini: quei 6,6 milioni di dollari mai arrivati ai bambini africani

L'inchiesta della procura: i soldi sarebbero finiti in investimenti immobiliari e quote delle società. Uno degli indagati è il cognato di Matteo Renzi. Il legale: "Nessuna denuncia da parte dei donatori, chiariremo tutto".

Oltre 6,6 milioni di dollari destinati ad attività di assistenza di bambini africani sarebbero transitati sui conti privati di Alessandro Conticini, fratello maggiore di uno dei cognati di Matteo Renzi, e utilizzati in gran parte per cospicui investimenti immobiliari e in misura minore (per circa 250 mila euro) per l'acquisto di quote di alcune società della famiglia Renzi o di persone ad essa vicine. Un'accusa gravissima che l'avvocato Federico Bagattini respinge risolutamente, facendo rilevare che nessuna delle organizzazioni che hanno donato contributi di beneficenza alla Play Therapy Africa Ltd, di cui Conticini – impegnato da anni nelle attività di aiuti umanitari - era socio e direttore, “ha fatto la benché minima denuncia nei suoi confronti”.

Quel che è emerso dalle indagini della Guardia di finanza e dalle rogatorie all'estero disposte dal procuratore aggiunto Luca Turco e dal sostituto Giuseppina Mione è tuttavia piuttosto allarmante. Alessandro Conticini, 42 anni, e il fratello minore Luca, 37, che poteva operare sui conti della Play Therapy Africa e su quelli personali del fratello, sono sotto inchiesta per appropriazione indebita aggravata e autoriciclaggio. Il terzo fratello, Andrea, gemello di Luca e marito di Matilde Renzi, sorella dell'ex presidente del consiglio, è indagato per riciclaggio, per gli acquisti, a nome del fratello Alessandro, di quote di tre società: la Eventi 6 della famiglia Renzi, la Quality Press Italia e la Dot Media di Patrizio Donnini e di sua moglie Lilian Mammoliti, legati ai Renzi. Queste operazioni risalgono al 2011. Alla Eventi & sono arrivati 133 mila euro, alla Quality Press Italia 129 mila, alla Dot Media 4 mila.

Alessandro Conticini, che vive all'estero, è stato il rappresentante dell'Unicef ad Addis Abeba, poi si è avvicinato alla Associazione per la Play Therapy fondata a Londra nel 1982, con la quale ha costituito la Play Therapy Africa, e fra il 2008 e il 2016 ha raccolto circa 10 milioni di dollari di fondi destinati ai bambini africani. Il principale donatore è stata la Fondazione Pulitzer, che attraverso la organizzazione no profit Operation Usa ha versato alla Play Therapy Africa 5,5 milioni di dollari, seguita da Unicef (Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia) che ha donato 3,8 milioni di dollari e da altre organizzazioni umanitarie australiane, americane ed europee, che complessivamente hanno versato quasi 900 mila dollari.

L'inchiesta della procura di Firenze nasce da alcune segnalazioni bancarie. Sui conti correnti personali di Alessandro Conticini presso la Cassa di Risparmio di Rimini, agenzia di Castenaso (città di origine dei tre fratelli), sono transitati – secondo le accuse - quasi 6,6 milioni di dollari provenienti dalle donazioni, in parte utilizzati nel 2015 per la sottoscrizione di un prestito obbligazionario di 798 mila euro emesso da una società dell'isola di Guernsey, e in parte destinati fra il 2015 e il 2017 a un investimento immobiliare in Portogallo per un importo di 1 milione e 965 mila euro.

La procura ritiene che una parte del denaro sia inquadrabile quale compenso di Alessandro Conticini, di sua moglie e dei loro collaboratori, ma non nelle proporzioni rilevate nei passaggi dai conti della società in quelli personali di Conticini. Non 6,6 milioni su 10. L'avvocato Bagattini, che difende i tre fratelli con la collega Chiara Zecchi di Bologna, afferma che tutto è puntualmente spiegato in una memoria che verrà depositata alla conclusione delle indagini preliminari. E spiega che i tre fratelli, convocati per essere ascoltati il 14 giugno, non si sono presentati perché – dopo che si erano dichiarati disponibili a chiarire tutto e uno di loro era arrivato dall'estero – la procura aveva annullato gli interrogatori fissati nel dicembre scorso.

In ogni caso, la recente riforma che ha esteso la procedibilità a querela per molti reati, lo ha fatto anche per la appropriazione indebita aggravata. E finora – come sottolinea l'avvocato Bagattini – nessuno dei donatori ha presentato denuncia contro i Conticini. La procura ha provveduto in queste settimane ad avvisare della modifica legislativa Unicef, Fondazione Pulitzer, Operation Usa e le altre associazioni benefiche e a chiedere se intendano sporgere querela, senza di che il reato di appropriazione indebita diventerebbe improcedibile.


http://firenze.repubblica.it/cronaca/2018/08/08/news/firenze_l_accusa_ai_fratelli_conticini_quei_6_6_milioni_di_dollari_mai_arrivati_ai_bambini_africani-203690676/