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venerdì 12 marzo 2021

Consip, s’indaga sul giudice che non archiviò Renzi sr. - Antonio Massari

 

Il caso. Verdini a verbale: “Letta mi chiese di candidare Sturzo”, il gip che ha voluto nuove indagini sul padre di Matteo. Perugia ora ha aperto un fascicolo.

Gli scacchisti la chiamano zugzwang. È quella situazione in cui, fatta una mossa, l’avversario può rispondere solo in un modo, e così via, in una sorta di catena che porta a un risultato predeterminato. A quanto pare lo zugzwang avviato da Denis Verdini il 26 ottobre 2020 nella Procura di Roma un risultato l’ha prodotto: è stato sentito dalla Procura di Perugia dove è stato aperto un fascicolo che riguarda Gaspare Sturzo, il gip del caso Consip che in passato ha “bacchettato” i titolari del fascicolo – il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi – rigettando la loro richiesta di archiviazione nel filone che coinvolge Tiziano Renzi (indagato inizialmente per traffico di influenze illecite, ndr) e lo stesso Verdini, e delegando nuove indagini. La Procura guidata da Raffaele Cantone dovrà ora verificare se per Sturzo si profili l’ipotesi dell’abuso d’ufficio per non essersi astenuto per le vicende che riguardano proprio Verdini. Con lui è stato sentito – anch’egli come persona informata sui fatti – anche l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta.

L’indagine perugina riguarda quindi il gip che ha dato una sterzata al caso Consip, invitando i pm romani ad approfondire l’inchiesta anche sulla figura di Tiziano Renzi, ed è obiettivamente una bomba a ridosso dell’udienza preliminare prevista per il prossimo 26 aprile. Vediamo ora cosa ha dichiarato Verdini il 26 ottobre 2020 davanti al pm Mario Palazzi, in un verbale d’interrogatorio reso nell’ambito dell’inchiesta Consip dove, lo ricordiamo, è indagato per concussione e turbativa d’asta: “Mi sembra necessario rappresentare un episodio di cui sono a conoscenza: nell’ottobre 2012 si dovevano presentare le liste per elezioni regionali in Sicilia e vi erano interlocuzioni nell’ambito del centrodestra in cui militavo per individuare una candidatura unitaria alla Presidenza (risultato che in realtà non venne raggiunto perché il centrodestra si presentò infine con due candidati e venne sconfitto dal centrosinistra). Nei mesi precedenti, allorquando eravamo impegnati nella formazione delle liste e nella possibile individuazione di tale candidato unitario, venni contattato dall’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta che propose la candidatura del magistrato Gaspare Sturzo alla Presidenza della Regione Siciliana. Avemmo anche numerosi altri incontri con i rappresentanti delle varie forze politiche del centrodestra e io ebbi modo sempre di esprimere, con la schiettezza che mi è propria, ma per valutazioni politiche e non personali, la mia netta contrarietà alla candidatura del dott. Sturzo”. E ancora: “Non ricordo di aver parlato direttamente con lui, non lo escludo, ma era noto a tutti i miei interlocutori politici questa mia netta contrarietà”. In sostanza Verdini, con le sue parole, crea un collegamento tra il suo mancato appoggio alla candidatura Sturzo (lontana ormai ben 8 anni) e la decisione del gip che ha sollecitato indagini su di lui. Ed è da questo verbale che nasce il fascicolo a Perugia – procura competente a indagare sui magistrati romani – dove sono state sentite come persone informate sui fatti sia Verdini sia Letta. Sturzo avrebbe dovuto astenersi come previsto dall’articolo 39 del codice di procedura penale? Le fattispecie previste dalla norma sono tassative e una soltanto sembra avere un nesso con le dichiarazioni di Verdini: “Se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private”. Soltanto nel caso in cui Sturzo – la vicenda risale a 8 anni prima della sua decisioni da gip – abbia nutrito una grave inimicizia nei riguardi di Verdini, insomma, avrebbe avuto l’obbligo di astenersi. E sarà questo che dovrà valutare la Procura guidata da Raffaele Cantone.

La storia è pubblica ed è nota: nel 2012 la Sicilia si avvia a eleggere il nuovo consiglio regionale. Sturzo – pronipote di don Luigi Sturzo – vanta una carriera da pm a Palermo fino al 2001. Dal 2004 si sposta alla Presidenza del Consiglio (con Berlusconi e Letta) in qualità di consigliere giuridico. Nel 2012 crea la lista civica “Italiani Liberi e Forti” con la quale si candida a presidente ottenendo lo 0,9 per cento. La destra si divide presentando due candidati – Gianfranco Miccichè e Nello Musumeci – e la presidenza va a Rosario Crocetta e quindi al centrosinistra. Il Fatto, quando per la prima volta ha pubblicato il verbale in questione, ha contattato fonti vicine a Sturzo che hanno negano con forza la ricostruzione di Verdini specificando che il gip non l’ha mai incontrato, tanto meno per parlare con lui di candidature. L’unico fatto certo di quei giorni – non abbiamo trovato dichiarazioni pubbliche di Verdini, né di Letta, né a favore, né contro – sono le dichiarazioni rilasciate da Miccichè il 30 giugno 2012 a Libero su Sturzo: “La gente in Sicilia vuole vedere chi è bravo e affidabile, non come si chiama”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/12/consip-sindaga-sul-giudice-che-non-archivio-renzi-sr/6130742/

sabato 25 luglio 2020

Moesch & Chandon. - Marco Travaglio

Politica e economia: l'assenza della cultura laica - Conversazione ...
Giuseppe Moesch

Nella pochade del compianto giudice Amedeo Franco, che prima condanna B. a 4 anni per frode fiscale insieme a quattro colleghi della sezione Feriale della Cassazione, poi firma tutte e 208 le pagine delle motivazioni, infine va a casa del suo condannato a dirgli che lui non voleva ma fu costretto dai quattro cattivoni del “plotone di esecuzione pilotato da molto in alto”, irrompe un nuovo personaggio da vaudeville francese: Giuseppe Moesch. L’ha scovato, o ne è stato scovato, Alessandro Sallusti che l’ha intervistato sul Giornale presentandolo come “amico fraterno di Franco, professore di Economia applicata, vasta esperienza all’estero”, già “nella squadra di giovani talenti che affiancava Giovanni Spadolini presidente del Consiglio”. Gli manca solo il Nobel. Dell’unica novità emersa negli ultimi giorni – i tentativi di Franco di registrare i colloqui in camera di consiglio, per legge segretissimi – dice: “Mai saputo nulla”. Dunque l’intervista dovrebbe chiudersi qui, invece qui comincia e prosegue per ben due pagine. Uno spasso. Moesch nulla sa del registratore attivato da “Dedi”, ma non ha dubbi che “se Dedi l’ha fatto è la prova di quanto fosse turbato per trovarsi coinvolto in un plotone di esecuzione”.
Cioè: siccome era turbato, violò la legge mentre giudicava gli altri. E mica solo per quello: l’“amico fraterno”, pensando di far cosa gradita, gli attribuisce una seconda scorrettezza: “ben prima del suo coinvolgimento diretto nel processo, essendo un grande esperto di questioni tributarie, si era fatto l’idea che non ci fossero i presupposti per una condanna, cosa del resto poi confermata da una sentenza del tribunale civile di Milano”. Naturalmente la sentenza civile dice tutt’altro (tratta di diritti Mediatrade e non Mediaset, cioè fatti diversi e successivi), e comunque una sentenza di primo grado, per giunta civile, non può cancellarne una penale e definitiva della Cassazione conforme a ben due giudizi di merito. Ma soprattutto: se Franco, prima del processo, “si era fatto l’idea” che andasse assolto e per giunta l’aveva confidato all’amico anticipando il giudizio, doveva astenersi dal processo. Art. 36 Codice di procedura penale: “Il giudice ha l’obbligo di astenersi… se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie”. Invece, sebbene fosse dichiaratamente prevenuto, restò addirittura come relatore. Ma più l’amico fraterno tenta di riabilitarlo e più lo sputtana. Infatti rivela una terza grave infrazione: prima di spifferare i segreti della camera di consiglio al suo condannato B. (quarta scorrettezza), Dedi li spiattellò a lui.
Addirittura prima della sentenza, fra un’udienza e l’altra: “Da subito mi aveva confidato il dissenso con gli altri magistrati del collegio, che sembravano prevenuti, come se la sentenza fosse già decisa prima”. Ma l’unico che l’aveva già decisa prima era lui: sognava di far parte di un plotone di assoluzione, ma gli andò buca. Gli confidò anche che “non c’era motivo di accelerare il giudizio della Cassazione incardinando il fascicolo nella sessione feriale di agosto invece che in quella naturale in autunno. Da subito gli sembrò una forzatura sospetta”. Talmente sospetta che, a spedire d’urgenza il fascicolo su B. alla Feriale, di cui faceva parte anche Franco, per l’imminente prescrizione, era stata la III sezione, di cui uno dei presidenti era Franco. Resta il mistero del perché, se era così innocentista, non verbalizzò il suo dissenso (come prevede la legge) in busta chiusa allegata alla sentenza, che invece firmò pagina per pagina insieme ai quattro del plotone di esecuzione. Ma qui Moesch si supera: “Io gli consigliavo di fare una relazione di minoranza (testuale, ndr) o di non firmare”, ma lui “era prigioniero della sua rigidità”, della “ragione di Stato”, del “senso del dovere”. Un po’ come “la protagonista del romanzo La scelta di Sophie, la donna che rinchiusa in un campo di concentramento ha la possibilità di salvare solo uno dei figli, ma non riesce a decidere quale e questa maledizione la perseguiterà per tutta la vita”. Pare di vederlo, il povero ostaggio Dedi, scheletrito, emaciato, piegato e piagato dal lungo digiuno nelle segrete del Palazzaccio e dalle sevizie inflitte dai quattro colleghi-aguzzini armati di elettrodi, acqua e sale e mazze ferrate, che firma con mano malferma le 208 pagine per porre fine ai patimenti e ottenere un bicchier d’acqua.
Ecco perché poi andò da B. a scusarsi: “venne fuori la sua anima cattolica e liberale” e lo spinse a “liberarsi di questo peso”, a “espiare il peccato” e a “confessarsi dalla vittima” (i cattolici si confessano dal prete, ma fa lo stesso). Forse accecato dalle lacrime e obnubilato dallo strazio, l’amico fraterno dimentica un dettaglio: a portare il giudice dal suo condannato B. non fu il rimorso, ma l’amico e collega Cosimo Ferri, ex capo di MI, ex membro del Csm, allora sottosegretario alla Giustizia del governo Letta per Forza Italia. Un accompagnatore davvero bizzarro per un giudice che – giura Moesh – “era profondamente disgustato” dalla “giustizia politicizzata” e “irritato e sofferente per la politicizzazione del Csm”. Fossimo nei famigliari di Dedi, rivolgeremmo una preghiera agli amici fraterni: “Grazie del pensiero, ma d’ora in poi astenetevi da ulteriori riabilitazioni: come se avessimo accettato”.

mercoledì 1 luglio 2020

Berlusconi e la sentenza definitiva per frode. Il giudice Esposito: “Non sanno di cosa parlano. E il collega controfirmò tutto”. - Gianni Barbacetto

Berlusconi e la sentenza definitiva per frode. Il giudice Esposito: “Non sanno di cosa parlano. E il collega controfirmò tutto”

Il giudice Antonio Esposito è stato il presidente della sezione feriale della Cassazione che il 1° agosto 2013 ha confermato e resa definitiva la condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni per frode fiscale.
Ha ascoltato le registrazioni in cui il suo collega Amedeo Franco dice che lui non era d’accordo e che è stato tutto un complotto contro Berlusconi?
Chiariamo subito un fatto: la decisione di confermare la sentenza d’appello è stata presa da un collegio di cinque giudici. Il collega Amedeo Franco era il giudice relatore e, come tutti noi, non solo ha discusso il caso, ha accettato la sentenza di cui è stato anche estensore insieme agli altri componenti, e ne ha anche approvato la motivazione, in tutte le sue parti, firmando ogni pagina.
Poi cosa è successo?
A distanza di sette anni si continua a provare a delegittimare una sentenza passata in giudicato, dopo che 11 magistrati hanno convenuto sulla responsabilità di Berlusconi, prendendomi di mira in quanto presidente del collegio. Io invece mi chiedo perché il relatore senta il bisogno di incontrare il suo imputato per giustificarsi dell’esito del processo. Ritengo che sia questo il vero fatto gravissimo e inquietante di tutta la vicenda. E mi devo chiedere: dove avvenne quell’incontro, o quegli incontri? Quando? In che circostanze? Da chi fu sollecitato?
La registrazione è stata fatta a insaputa del giudice, dunque è abusiva?
Non lo so. Potrebbe anche essere stata concordata; una cosa è certa: che si è aspettato la sua morte per divulgare il contenuto della registrazione, rendendo impossibile contestare al giudice Franco la falsità delle affermazioni.
Lei sapeva di questa registrazione?
Sì, ne aveva accennato Berlusconi nel 2017 nel programma di Bruno Vespa, dicendo che “aveva la prova” contenuta in una registrazione che la sentenza di Cassazione era a suo dire viziata. L’ho subito citato in sede civile; mi ero riservato di chiedere al giudice che ordinasse il deposito della registrazione.
Lei e gli altri quattro giudici del collegio subiste pressioni per condannare Berlusconi?
Nessuna pressione per condannare, ricordo solo, e la questione potrebbe non avere alcun rilievo, che fui invitato molto gentilmente da Cosimo Ferri, a Pontremoli, al premio Bancarella. Mancavano due settimane alla sentenza e per motivi d’opportunità declinai l’invito.
Amedeo Franco nella registrazione mostra di essere in netto disaccordo con la sentenza.
Franco dice che i precedenti della terza sezione erano di segno opposto alla nostra decisione. E questo non è vero: mente sapendo di mentire, perché nella sentenza abbiamo riportato per numerose pagine precedenti sentenze proprio della terza sezione, le cui decisioni sul sistema delle “frodi carosello” (lo stesso sistema contestato al Berlusconi) erano in linea con quanto abbiamo sostenuto nelle nostre motivazioni. Anzi dirò di più. Riportammo anche la sentenza, sempre della terza sezione, che aveva rigettato il ricorso di Agrama (per le precedenti annualità fiscali).
Avete condannato senza prove?
Negli atti del processo vi è un’imponente prova testimoniale e documentale, tra cui di fondamentale importanza la “lettera-confessione” di Agrama, scritta a Fininvest nel 2003.
È vero che, per far condannare l’imputato, la sentenza fu dirottata a voi della feriale, mentre doveva andare alla sezione reati fiscali?
Nulla di più falso.
Il processo da Milano arriva in Cassazione proprio alla terza sezione penale, quella di Amedeo Franco. E fu proprio la terza sezione ad investire la sezione feriale del processo in questione, inviando il fascicolo il 9 luglio 2013, con la scritta “URGENTISSIMO, prescrizione 1 agosto”. Una volta ricevuto, io ho l’obbligo di fissare l’udienza il 30 luglio, per evitare la prescrizione.
Il vostro collegio feriale è stato formato come un “plotone d’esecuzione” per condannare Berlusconi?
Non sanno di che cosa parlano. O lo sanno e volutamente tacciono: la composizione dei collegi della sezione feriale del 2013 avvenne il 21 maggio con decreto del presidente della corte di cassazione. Gli atti del processo Berlusconi arrivano a Roma da Milano all’inizio di luglio: 40 giorni dopo che i collegi erano stati costituiti.
Il giudice Franco dice che lei era “pressato” dalla Procura di Milano perché suo figlio Ferdinando, pm a Milano, era coinvolto in storie di droga.
Falso. Mio figlio non è mai stato coinvolto in storie di droga. E io non sono stato “pressato” da nessuno. Se Franco è giunto al punto di inventarsi una circostanza mai avvenuta, di fronte al soggetto che lui stesso aveva condannato, è lecito chiedersi il perché…

martedì 13 marzo 2018

Auto della Consulta usata per shopping e trasferimenti della moglie, si dimette il giudice Zanon.



"Sono sereno e conto di poter dimostrare l’assoluta insussistenza del reato" il commento del giurista.


La Corte Costituzionale perde uno dei suoi giudici. Si è dimesso Nicolò Zanon, 56 anni, giurista torinese, Cavaliere di Gran Croce dell'ordine al merito della Repubblica Italiana, nominato da Giorgio Napolitano e considerato in quota centrodestra, perché indagato dalla Procura di Roma per peculato d'uso.
L'ipotesi di reato ruota attorno all'auto blu con autista cui Zanon ha diritto di "uso esclusivo", come ogni giudice della Consulta. E che Nicolò Zanon — contesta il Procuratore aggiunto Paolo Ielo, titolare dell'inchiesta — per due anni, dal novembre 2014 al marzo 2016, regolarmente per due settimane al mese, quando non era a Roma, avrebbe messo a completa disposizione delle necessità di sua moglie, la signora Marilisa D'Amico, anche lei legale e docente universitaria, ex consigliera comunale Pd a Milano.
"Sono sereno e conto di poter dimostrare l'assoluta insussistenza del reato che mi viene contestato. Tuttavia, per rispetto dell'etica istituzionale e della funzione che ricopro nonché per il rispetto che porto verso la Corte Costituzionale, ho ritenuto di presentare le mie dimissioni al presidente della Corte della Corte Giorgio Lattanzi" ha affermato Zanon.
Fonti investigative qualificate, scrive La Repubblica, riferiscono che il ragionamento del giudice costituzionale e Cavaliere di Gran Croce davanti al procuratore Ielo non sia andato molto al di là di una causidica puntualizzazione sull'aggettivo — "esclusivo" — che per regolamento disciplina l'assegnazione e l'uso della benedetta macchina blu. "Uso esclusivo" del bene — avrebbe argomentato Zanon — significherebbe che non se ne debba rendere conto a nessuno. Che della macchina, insomma, ognuno sarebbe legittimato a fare quel che gli pare. Come fosse un'auto aziendale. Ma si tratta di un'auto guidata da un autista e i buoni carburante sono pagati dalla Consulta.
Un incarico come il suo investe la persona di responsabilità e applicazione delle regole stabilite, non gli conferisce onnipotenza e protervia, come farglielo capire?
Oltretutto, la giustificazione espressa dal Zanon, che per l'uso "esclusivo" del bene si dovesse intendere un uso a discrezione del destinatario, tenuto conto che è a spese della collettività, mi sembra poco accettabile se formulata da un giudice che dovrebbe essere il garante dell'applicazione delle leggi. 

mercoledì 7 agosto 2013

Sull'intervista esclusiva de "Il Mattino" al giudice Esposito....



Prescindendo dal fatto che il quotidiano "il Mattino" risulta essere di proprietà dei Caltagirone dal 1996; sappiamo anche che i Caltagirone sono imparentati con Casini e che Casini non disdegna alleanze con il soggetto Berlusconi...andiamo, pertanto, ad esaminare i fatti.

Appena undici giorni prima dell'attesa sentenza della Corte di Cassazione nei confronti del Cavaliere sul processo Mediaset, si verifica un fatto strano, viene rinvenuto un apparecchio elettronico negli uffici dei Supremi Giudici che dopo pochi giorni avrebbero dovuto pronunciarsi sulla sentenza dell’ex premier. Qui l'articolo: 

Microspia nell’ufficio dove si giudica il Cav  


Ora c'è da capire se la "presunta" intervista del giudice non sia una delle solite macchinazioni dell'insana mente di Berlusconi.

La "presunta" intervista, infatti, potrebbe essere proprio il risultato di una ricostruzione artefatta di quanto illecitamente intercettato...Non dobbiamo dimenticare che il tizio, lapalissianamente in odor di mafia, ama corrompere, comprare "anime" e, quando non ci riesce con il vil denaro, crea prove indiziarie per procedere, all'occorrenza, con il ricatto.

E' un semplice sospetto, ma non lo escluderei a priori, poichè la vicenda ha come oggetto-soggetto una  personalità ambigua e discutibile come quella di Berlusconi.