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sabato 30 agosto 2014

Voto di scambio, Cassazione: “Più difficile da dimostrare”. Nuova legge non funziona. - Giuseppe Lo Bianco

Voto di scambio, Cassazione: “Più difficile da dimostrare”. Nuova legge non funziona

I giudici hanno disposto un nuovo processo di appello per Antonio Antinoro (ex Udc), accusato di aver stretto un accordo elettorale con un clan palermitano. La recente riformulazione del 416ter ha esteso l’ambito di applicazione, prevedendo oltre al denaro anche "altre utilità" come contropartita per il procacciamento di voti, ma ha pure concesso un favore all’imputato prevedendo espressamente che i voti vengano procurati con "modalità mafiose".
C’era la busta con 5.000 euro in cambio di 60 voti, c’erano i boss della potente cosca di Resuttana, alla periferia occidentale di Palermo, presenti all’incontro con il candidato che portava la busta, ma per la Cassazione, che ha applicato la nuova legge sul voto di scambio approvata sei mesi fa, tutto ciò non basta: per condannare Antonello Antinoro, medico fisiatra, enfant prodige di Cuffaro soprannominato “Mister Preferenze” per gli oltre 25 mila voti raccolti alle Regionali del 2008, dice la Suprema Corte, bisognava provare che Antinoro sapeva non solo di poter contare sulla forza di intimidazione della cosca, ma anche che i boss si fossero impegnati con lui ad adoperarla : “Ai sensi del nuovo articolo 416 ter c. p. – scrive il relatore Orlando Villoni nella sentenza 36382 depositata nei giorni scorsi, con cui ha rinviato alla Corte di appello per un nuovo giudizio la posizione di Antinoro, condannato a sei anni per voto di scambio mafioso – le modalità di procacciamento dei voti debbono costituire oggetto del patto di scambio politico-mafioso, in funzione dell’esigenza che il candidato possa contare sul concreto dispiegamento del potere di intimidazione proprio del sodalizio mafioso e che quest’ultimo si impegni a farvi ricorso, ove necessario”. Avevano ragione i grillini e avevamo ragione noi del Fatto, dunque: a salvare Antinoro è stata l’introduzione della modalità di procacciamento del voto “prevista dal 416 ter”, come spiega la sentenza della Cassazione sostenendo che “è stato sicuramente introdotto un nuovo elemento costitutivo nella fattispecie incriminatrice, tale da rendere, per confronto con la pre-vigente versione, penalmente irrilevanti condotte pregresse consistenti in pattuizioni politico-mafiose che non abbiano espressamente contemplato tali concrete modalità di procacciamento dei voti; quale logica conseguenza, deve esservi stata, ai fini della punibilità, piena rappresentazione e volizione da parte dell’imputato di avere concluso uno scambio politico-elettorale implicante l’impiego da parte del sodalizio mafioso della sua forza di intimidazione e costrizione della volontà degli elettori”.
Una circostanza assai difficile da provare concretamente, come aveva previsto il pm Nino Di Matteo, che nel convegno organizzato dal Csm a Catania il 12 giugno scorso aveva definito “diabolica” la variante normativa, denunciando profeticamente i rischi della nuova legge e definendola “l’ennesima occasione perduta per una repressione efficace del voto di scambio politico-elettorale-mafioso”. Così la prima applicazione della nuova legge accolta da un coro di consensi entusiasti del Pd e di buona parte dell’antimafia istituzionale si infrange sulle maglie ancora larghe della legge che salva l’imputato, destinato adesso a una probabile assoluzione. E con lui gioiscono anche tutti gli altri esponenti politici accusati di voto di scambio, reato che da oggi torna a mostrare tutte le falle che la legge dell’aprile scorso ha tentato inutilmente di coprire. Poco importa, infatti, che i boss che hanno partecipato a due incontri con Antinoro siano gli stessi che avevano nascosto un robusto arsenale nei giardini di Villa Malfitano, nel cuore della città, e che taglieggiavano a tappeto i commercianti della zona ovest tra San Lorenzo, Resuttana e Pallavicino. Con alcuni di loro, compreso il capo mafia di Pallavicino, Vincenzo Troia, Antinoro si è incontrato due volte, come hanno rivelato due pentiti. “La seconda volta l’onorevole Antinoro diede il denaro ad Antonino Troia” ha detto Michele Visita. Una busta con cinquemila euro destinati, si è giustificato Antinoro, al medico che ospitava quella riunione, un collega che si era impegnato nella sua campagna elettorale ed al quale ha detto di avere consegnato un rimborso spese: “Sapevo che quelle persone presenti all’incontro nello studio del medico mio sostenitore erano suoi pazienti – si è difeso il deputato – al dottore, e solo a lui, diedi una busta con del denaro, come rimborso per le spese elettorali”.
Ma da tempo le intercettazioni dei carabinieri avevano evidenziato l’impegno elettorale della cosca per il candidato Udc. “Pronto, onorevole? Io Nino Caruso sono” diceva l’ambasciatore del clan di Resuttana telefonando direttamente sul cellulare di Antonello Antinoro. Ma al telefono rispondeva un collaboratore, Vincenzo,: “Eh Nino, l’onorevole sta parlando a una riunione, se chiami fra un poco te lo passo”. “Riferisci – conclude il mafioso – ha chiamato Nino Caruso. Comunque tutte le cose stanno andando nel migliore dei modi”. La chiamata è del 12 aprile 2008 alle 17,45, il giorno prima del voto.

giovedì 10 aprile 2014

Voto di scambio, Calderoli annuncia la “ghigliottina”: via gli emendamenti M5s.

Voto di scambio, Calderoli annuncia la “ghigliottina”: via gli emendamenti M5s

Il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli annuncia la decisione di sospendere la discussione sul ddl contro il voto di scambio per passare direttamente al voto del testo (la cosiddetta “ghigliottina“) e immediata scoppia la protesta del M5S. “Voi non vi meritate il titolo di onorevole”, grida il capogruppo Santangelo “andrete tutti a casa”. L’Aula ha poi votato a favore della cosiddetta “ghigliottina”, cioè la chiusura anticipata della discussione generale. La richiesta di tagliare i tempi, tra gli altri, era stata firmata dai capigruppo Luigi Zanda (Pd), Paolo Romani (Forza Italia) e Maurizio Sacconi (Ncd). Il capogruppo democratico rivendica la decisione perché “vogliamo che il testo entri in vigore prima delle prossime Europee”.



In particolare lo scontro si è consumato tra i Cinque Stelle e il senatore di Forza Italia Francesco Nitto Palma. La richiesta di chiusura, arrivata dalla maggioranza ma chiesta anche da FI, ha suscitato le polemiche dei senatori 5 stelle. Dopo l’intervento dell’ex capogruppo M5s Maurizio Santangelo, che in aula ha definito “vigliacchi” i senatori che hanno sottoscritto la richiesta, è intervenuto il presidente della commissione Giustizia Nitto Palma, che ha detto: “C’è gente che parla di antimafia ma non la fa. E ritiene che parlarne lo possa proteggere da qualsiasi critica. Chi allunga i tempi per non approvare questo provvedimento fa un oggettivo favore alla mafia”.
Durante il suo intervento, dopo alcune urla arrivate dai banchi M5s, Palma si è girato verso un collega 5 stelle dicendo: “Tu te devi stare zitto, con me non giocate”. Ad intervenire subito dopo il capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda (tra i firmatari della richiesta), che rivolgendosi ai 5 stelle ha detto: “L’Italia sa distinguere tra chi porta argomenti seri e chi invece cerca di sfasciare le istituzioni”.
Dopo due rinvii, a causa della mancanza del numero legale, l’assemblea del Senato aveva ripreso i lavori con l’inizio della discussione generale al disegno di legge sul voto di scambio che modifica l’articolo 416 ter del codice penale. Sono 106 gli emendamenti presentati: 105 sono del M5s, il 106esimo è firmato da Paola De Pin (ex M5s). In precedenza l’aula del Senato aveva respinto la questione sospensiva presentata sempre dal Movimento 5 Stelle. Ieri tra l’altro sul provvedimento – approvato alla Camera senza problemi – il Pd in commissione Giustizia si era astenuto definendo le misure “un compromesso al ribasso”. 

giovedì 11 ottobre 2012

Sara Giudice, da eroina anti Minetti ai voti della ‘ndrangheta: “Un complotto”.


Sara Giudice


La giovane ribelle del Pdl, poi passata a Fli, messa nei guai da un presunto "accordo corruttivo" stretto dal padre Vincenzo con un emissario delle cosche. Ma nulla prova che sapesse dei legami criminali dell'interlocutore, presentatosi sotto falso nome. Lei replica: "Vogliono distruggermi politicamente".

Nel pieno dello scandalo escortSara Giudice diventò una sorta di eroina della politica pulita. Giovanissima esponente del Pdl milanese, aveva criticato apertamente l’elezione di Nicole Minetti nel listino bloccato del consiglio regionale della Lombardia. Sommersa di critiche dai fedelissimi di Silvio Berlusconi, era passata a Fli, raccogliendo oltre 1000 voti alle comunali del 2011, restando fuori dal consiglio solo per lo scarso successo del Terzo polo di Fini e Casini. Ora proprio quei voti la proiettano nell’incubo dell’inchiesta per voto di scambio politico-mafioso che ha portato in carcere l’assessore regionale lombardo alla casa Domenico Zambetti. Sara non è indagata, perché il contatto con l’emissario delle cosche lo ha avuto suo padre Vincenzo Giudice (nella foto padre e figlia insieme a una manifestazione) già presidente del consiglio comunale di Milano per il Pdl, che infatti è finito sotto inchiesta. Dopo l’arresto di Zambetti, Sara Giudice ha convocato i giornalisti davanti a Palazzo Marino, sede del Comune, e ha parlato apertamente di un “complotto” organizzato per distruggerla politicamente (guarda il video). Comunque sottolineano gli inquirenti nelle carte dell’inchiesta, nessun elemento prova che il padre fosse a conoscenza dei rapporti criminali del suo interlocutore, né che la figlia fosse a conoscenza dell’accordo stretto. 
Protagonista dell’avvicinamento, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del tribunale di Milano, Eugenio Costantino, indicato come un referente del clan Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia), da tempo radicato in Lombardia, in particolare in Brianza. Presentandosi con le false generalità dell’”avvocato Roberto Licomo”, nel maggio 2011 Costantino ha incontrato Vincenzo Giudice “come rappresentante di una cordata di imprenditori e di liberi professionisti”. In quel momento, Giudice è presidente della Metro Engineering srl, società partecipata della Metropolitana Milanese Spa. Il sedicente avvocato, continua il gip, gli propone “un accordo corruttivo“. Vale a dire,  ”la promessa di raccogliere voti a favore della figlia dello stesso Giudice, Sara, candidatasi alle elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale di Milano, a fronte della promessa concreta di assegnazione preferenziale di appalti e lavori pubblici per la costruzione della metrotranvia di Cosenza (di cui Mm aveva ottenuto l’appalto, ndr) e successivamente riguardanti le scuole”. Appalti che “come esplicitato dallo stesso Costantino, sarebbero stati girati a società e cooperative controllate da gruppi della ‘ndrangheta“.  In seguito all’incontro, l’intermediario si è dato da fare per la raccolta dei voti – con un apporto finale stimato in 3-400 preferenze - rivolgendosi a “esponenti dei clan Di Grillo-Mancuso e Morabito-Bruzzaniti-Palamara“. 
Il politico incontra il presunto emissario delle cosche due volte, tra aprile e maggio maggio 2011. Secondo il gip,  ”Giudice rifiutò l’iniziale richiesta di erogazione di denaro in cambio dei voti a favore della figlia, e promise, quale corrispettivo dei voti, l’assegnazione dei predetti lavori pubblici”. Il tutto, sottolinea in più punti l’ordinanza, senza sapere nulla dei rapporti criminali della persona che si trovava di fronte.