Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 15 luglio 2009
Una nuova pista nel rapporto Fininvest - Cosa Nostra? - 14/07/09
Le dichiarazioni di Ciancimino, i fogli mancanti del processo e i messaggi mafiosi a Berlusconi…
"Proprio in seguito a questa vendita Massimo Ciancimino era stato accusato di aver incassato e reinvestito la percentuale destinata a suo padre (all’epoca deceduto). Da qui le manette, i domiciliari e poi il processo in abbreviato, tuttora in corso a Palermo in sede di Appello. Ed è in seguito a questi sviluppi giudiziari che Massimo Ciancimino ha iniziato a parlare: prima alludendo alle responsabilità della famiglia Brancato corresponsabile nella Gas della “gestione Ciancimino”, poi denunciando pubblicamente la sparizione di alcune intercettazioni ambientali che sarebbero dovute essere da tempo depositate agli atti del suo procedimento. I magistrati hanno così aperto un nuovo filone investigativo che ha coinvolto anche l’erede del socio di Lapis, Monia Brancato, rimasta finora estranea ai fatti, secondo Massimo Ciancimino, a causa di uno “strabismo investigativo” che ha inevitabilmente finito per colpire una sola delle due compagini societarie riferibili all’azienda del Gas. Accuse chiaramente tutte da verificare (per questo è stata avviata un’indagine a Catania). Ciononostante le sue dichiarazioni lasciano spazio a dubbi e perplessità sulla conduzione delle prime indagini dopo il ritrovamento di un documento che era stato sequestrato dai carabinieri nel 2005, durante la perquisizione avvenuta nella sua casa prima del suo arresto. Probabilmente ritenuto irrilevante dai pm che detenevano l’incartamento originale del primo grado, il foglio strappato nella sua parte iniziale (così verbalizzavano i carabinieri) è stato ritrovato in questi giorni da Ingroia e Di Matteo in mezzo ad altri 18 faldoni che i magistrati hanno trasmesso ai giudici del processo Ciancimino. Una scoperta di notevole importanza perché, come ha dichiarato il Pg del processo Dell’Utri Antonino Gatto, che ne ha chiesto l’acquisizione insieme all’audizione di Massimo Ciancimino (la Corte si è riservata di decidere il prossimo 17 settembre), il documento potrebbe “dimostrare la continuità dei rapporti intercorsi tra lo stesso Dell’Utri e Cosa Nostra siciliana”. Il testo della missiva vergata a mano non è completo (Ciancimino dice che originariamente era intera), ciò che è possibile leggere è la parte finale di una richiesta minacciosa all’attuale Presidente del Consiglio: “… posizione politica intendo portare il mio contributo (che non sarà di poco) perché questo triste evento non ne abbia a verificarsi. Sono convinto che questo evento onorevole Berlusconi vorrà mettere a disposizione le sue reti televisive”. Una frase enigmatica che richiama il rapporto Fininvest - Cosa Nostra di cui si trova traccia nelle sentenze sulle stragi del biennio ’92-’93 e nella sentenza di condanna a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Dell’Utri. La cosa più interessante è che la lettera, che era indirizzata proprio a Dell’Utri, è stata data a Massimo Ciancimino nella casa di Pino Lipari a San Vito Lo Capo alla presenza di Provenzano. Una volta nelle sue mani l’erede più piccolo di don Vito l’avrebbe portata a suo padre, all’epoca detenuto, il quale avrebbe poi espresso il proprio parere per farla avere a una terza persona non meglio precisata. In quanto al triste evento Massimo Ciancimino ha ricordato con precisione che si sarebbe trattato dell’omicidio del figlio di Berlusconi. Un fatto che, come emergerebbe dai verbali d’interrogatorio del 30 giugno e del 1 luglio, lo aveva molto impressionato. I due documenti in ogni caso presentano diverse discrasie. Il testimone inizialmente non intendeva rispondere. Poi alle stringenti domande dei pubblici ministeri che lo hanno interrogato dopo il ritrovamento della lettera, ha risposto visibilmente provato: “Sono cose più grandi di me”. Anche perché le comunicazioni che la mafia avrebbe inoltrato a Berlusconi non si esauriscono qui. La richiesta di una televisione in cambio di un appoggio elettorale sarebbe solo l’ultima di tre lettere scritte tra il 1991 e il 1994. Il secondo messaggio Ciancimino junior ha riferito di averlo ricevuto in una busta chiusa da un giovane che nei primi anni Novanta faceva l’autista di Provenzano. In questo caso Vito Ciancimino avrebbe svolto il ruolo di consulente del capo mafia, mentre in un’altra occasione avrebbe fatto da mediatore consegnando copia della missiva a un tale di nome “Franco”. "
Liberamente tratto da:
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=9344
"Proprio in seguito a questa vendita Massimo Ciancimino era stato accusato di aver incassato e reinvestito la percentuale destinata a suo padre (all’epoca deceduto). Da qui le manette, i domiciliari e poi il processo in abbreviato, tuttora in corso a Palermo in sede di Appello. Ed è in seguito a questi sviluppi giudiziari che Massimo Ciancimino ha iniziato a parlare: prima alludendo alle responsabilità della famiglia Brancato corresponsabile nella Gas della “gestione Ciancimino”, poi denunciando pubblicamente la sparizione di alcune intercettazioni ambientali che sarebbero dovute essere da tempo depositate agli atti del suo procedimento. I magistrati hanno così aperto un nuovo filone investigativo che ha coinvolto anche l’erede del socio di Lapis, Monia Brancato, rimasta finora estranea ai fatti, secondo Massimo Ciancimino, a causa di uno “strabismo investigativo” che ha inevitabilmente finito per colpire una sola delle due compagini societarie riferibili all’azienda del Gas. Accuse chiaramente tutte da verificare (per questo è stata avviata un’indagine a Catania). Ciononostante le sue dichiarazioni lasciano spazio a dubbi e perplessità sulla conduzione delle prime indagini dopo il ritrovamento di un documento che era stato sequestrato dai carabinieri nel 2005, durante la perquisizione avvenuta nella sua casa prima del suo arresto. Probabilmente ritenuto irrilevante dai pm che detenevano l’incartamento originale del primo grado, il foglio strappato nella sua parte iniziale (così verbalizzavano i carabinieri) è stato ritrovato in questi giorni da Ingroia e Di Matteo in mezzo ad altri 18 faldoni che i magistrati hanno trasmesso ai giudici del processo Ciancimino. Una scoperta di notevole importanza perché, come ha dichiarato il Pg del processo Dell’Utri Antonino Gatto, che ne ha chiesto l’acquisizione insieme all’audizione di Massimo Ciancimino (la Corte si è riservata di decidere il prossimo 17 settembre), il documento potrebbe “dimostrare la continuità dei rapporti intercorsi tra lo stesso Dell’Utri e Cosa Nostra siciliana”. Il testo della missiva vergata a mano non è completo (Ciancimino dice che originariamente era intera), ciò che è possibile leggere è la parte finale di una richiesta minacciosa all’attuale Presidente del Consiglio: “… posizione politica intendo portare il mio contributo (che non sarà di poco) perché questo triste evento non ne abbia a verificarsi. Sono convinto che questo evento onorevole Berlusconi vorrà mettere a disposizione le sue reti televisive”. Una frase enigmatica che richiama il rapporto Fininvest - Cosa Nostra di cui si trova traccia nelle sentenze sulle stragi del biennio ’92-’93 e nella sentenza di condanna a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Dell’Utri. La cosa più interessante è che la lettera, che era indirizzata proprio a Dell’Utri, è stata data a Massimo Ciancimino nella casa di Pino Lipari a San Vito Lo Capo alla presenza di Provenzano. Una volta nelle sue mani l’erede più piccolo di don Vito l’avrebbe portata a suo padre, all’epoca detenuto, il quale avrebbe poi espresso il proprio parere per farla avere a una terza persona non meglio precisata. In quanto al triste evento Massimo Ciancimino ha ricordato con precisione che si sarebbe trattato dell’omicidio del figlio di Berlusconi. Un fatto che, come emergerebbe dai verbali d’interrogatorio del 30 giugno e del 1 luglio, lo aveva molto impressionato. I due documenti in ogni caso presentano diverse discrasie. Il testimone inizialmente non intendeva rispondere. Poi alle stringenti domande dei pubblici ministeri che lo hanno interrogato dopo il ritrovamento della lettera, ha risposto visibilmente provato: “Sono cose più grandi di me”. Anche perché le comunicazioni che la mafia avrebbe inoltrato a Berlusconi non si esauriscono qui. La richiesta di una televisione in cambio di un appoggio elettorale sarebbe solo l’ultima di tre lettere scritte tra il 1991 e il 1994. Il secondo messaggio Ciancimino junior ha riferito di averlo ricevuto in una busta chiusa da un giovane che nei primi anni Novanta faceva l’autista di Provenzano. In questo caso Vito Ciancimino avrebbe svolto il ruolo di consulente del capo mafia, mentre in un’altra occasione avrebbe fatto da mediatore consegnando copia della missiva a un tale di nome “Franco”. "
Liberamente tratto da:
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=9344
Palermo: tesoro nascosto, arrestati 2 palermitani e un bancario svizzero
Due palermitani ed un bancario svizzero sono finiti agli arresti domiciliari con l’accusa di trasferimento fraudolento di valori ed intestazione fittizia di beni su ordine del gip di Palermo, Roberto Conti nell’ambito di un’indagine condotta dalla Dia e coordinata dal procuratore aggiunto Roberto Scarpinato e dai pm Antonio Ingoia, Nico Gozzo e Fernando Asaro. A finire agli arresti sono stati il bancario svizzero Nicola Bravetti, 54 anni e i costruttori palermitani Francesco ed Ignazio Zummo, padre e figlio di 75 e 49 anni. I due imprenditori erano già stati condannati in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Il bancario è invece accusato di aver dato una mano ai due palermitani. I tre sono finiti ai domiciliari per trasferimento fraudolento di valori ed intestazione fittizi di beni. Il cognome degli Zummo è legato al sacco edilizio di Palermo e al sindaco mafioso Vito Ciancimino. IN passato i due erano finiti nel mirino della magistratura ed erano stati sequestrati loro beni per circa 150 milioni di euro (provvedimento ancora in corso). Loro avevano aperto un conto bancario a Nassau. Secondo gli inquirenti farebbe parte di una manovra per salvare il patrimonio dalle grinfie delle misure di prevenzione. I soldi sono finiti sotto sequestro insieme ad uno yacht di 13 metri ormeggiato al porto di Villa Igiea, al Saint Raphael e ad una BMW 330.
Francesco Zummo, considerato uno degli artefici dell’operazione di occultamento del tesoro di Ciancimino e con suocero del costruttore Vincenzo Piazza, negli anni Novanta era stato coinvolto in inchieste sul riciclaggio del danaro di Cosa nostra. Adesso la nuova indagine è partita dalla procura di Como dove Bravetti, appassionato di auto di lusso, è indagato. E’ stata l’intercettazione di un colloquio tra il funzionario di banca, che è condirettore della Arner Bank con sede in Svizzera alle Bahamas e a Milano, a dare il via agli accertamenti e a condurre gli inquirenti al fondo denominato Pluto, intestato alla moglie di Francesco Zummo, Teresa Macaluso, indagata a piede libero nel procedimento insieme ad altre cinque persone. Secondo l’accusa l’imprenditore palermitano avrebbe usato nel corso delle conversazioni telefoniche il soprannome “Moro”. Brevetti, dal canto suo, avrebbe consigliato gli imprenditori di mettere i loro soldi al sicuro, proprio in un conto estero, precisamente alle Bahmas. I contatti tra Zummo e il bancario risalirebbero al 2003.
Il bancario, intanto, si è autosospeso da tutti gli incarichi ricoperti nella Arner Bank che, dal canto suo, pur credendo nell’innocenza di Bravetti, ha apprezzato la correttezza e la sensibilità dell’uomo nell’autosospendersi.
10 / 05 / 2008
http://www.ecodisicilia.com/palermo-tesoro-nascosto-arrestati-2-palermitani-e-un-bancario-svizzero.htm
Francesco Zummo, considerato uno degli artefici dell’operazione di occultamento del tesoro di Ciancimino e con suocero del costruttore Vincenzo Piazza, negli anni Novanta era stato coinvolto in inchieste sul riciclaggio del danaro di Cosa nostra. Adesso la nuova indagine è partita dalla procura di Como dove Bravetti, appassionato di auto di lusso, è indagato. E’ stata l’intercettazione di un colloquio tra il funzionario di banca, che è condirettore della Arner Bank con sede in Svizzera alle Bahamas e a Milano, a dare il via agli accertamenti e a condurre gli inquirenti al fondo denominato Pluto, intestato alla moglie di Francesco Zummo, Teresa Macaluso, indagata a piede libero nel procedimento insieme ad altre cinque persone. Secondo l’accusa l’imprenditore palermitano avrebbe usato nel corso delle conversazioni telefoniche il soprannome “Moro”. Brevetti, dal canto suo, avrebbe consigliato gli imprenditori di mettere i loro soldi al sicuro, proprio in un conto estero, precisamente alle Bahmas. I contatti tra Zummo e il bancario risalirebbero al 2003.
Il bancario, intanto, si è autosospeso da tutti gli incarichi ricoperti nella Arner Bank che, dal canto suo, pur credendo nell’innocenza di Bravetti, ha apprezzato la correttezza e la sensibilità dell’uomo nell’autosospendersi.
10 / 05 / 2008
http://www.ecodisicilia.com/palermo-tesoro-nascosto-arrestati-2-palermitani-e-un-bancario-svizzero.htm
Come diventare Matteo Salvini in 10 mosse.
di Andrea Scanzi.
Questa settimana sono successe poche cose. Un gruppo di vip si è riunito a L’Aquila per ricordare i tempi andati, Repubblica ci ha fatto sapere che nell’Era Berlusconi le orge si chiamano “torte”, e - soprattutto - ho imparato a memoria il testo di Cicale, colto evergreen di Heather Parisi (”per cui la quale… Cicale cicale cicale“: alta scuola).
A parte questo, tutti noi vorremmo essere Matteo Salvini. Proprio per questo, venendo incontro alle vostre grigie esigenze trotzkiste, ho redatto un vademecum che vi permetterà di emulare in sole dieci mosse le gesta del vostro idolo.
Matteo Salvini ha fatto parlare di sé, nei giorni scorsi, per un affettuoso riferimento ai napoletani. La sua esibizione mi è piaciuta molto, anche se nello specifico preferisco il Maestro Gentilini che arringa l’idolatrante plebe dicendo di voler “eliminare i bambini” rom.
Salvini ha 36 anni e ne dimostra 74. E’ un bruttino convinto di essere bellino (ahi). Un leghista che a inizio carriera faceva parte della corrente “comunisti leghisti”, un po’ come se uno tifasse Milan (lui, appunto) e si iscrivesse al Milan Club degli “interisti rossoneri”.
Eletto alla Camera dei Deputati nel 2008. Da questa carica si è dimesso lo scorso 7 luglio, a ridosso della polemica sulle serenate napoletane, non per decenza istituzionale ma per motivazioni meramente burocratiche (incompatibilità con la carica di deputato europeo: sì, adesso Salvini è andato a far danni in Europa. Lambrate non bastava più).
Da piccoli volevamo essere tutti come Big Jim (o Memo Remigi: io, almeno, volevo essere Memo Remigi; mi sembrava rassicurante, quieto, una persona a modo). Da grandi vogliamo essere tutti Matteo Salvini. Io posso dirvi come.
Seguitemi.
C’mon.
1 - Coté (Part One). Analizziamo nuovamente il video, col cuore colmo di misericordia e afflato abbacinante.
http://www.youtube.com/watch?v=zkdPakjzbU8
Il filmato è stato messo su Youtube da un blogger laureando in Scienze dell’Educazione, Gabriele Casagrande, che qui dà la sua (poco canonica) versione dei fatti. Casagrande stava lavorando per la tesina di laurea sulla Lega e faceva interviste. Risposta tipo di un militante: “Io non ho niente da dire, dico solo viva la Lega e fuori tutti i negri!“. Vamos.
2 - Coté (Part Two). Dicevamo: il video. Matteo Salvini entra in uno stand di Pontida. Ha in mano un boccale di birra e il suo sguardo dimostra che non è la prima. Indossa una tenera t-shirt: “Più rum meno rom”. Qualcuno gli dovrebbe ricordare che il Rum non lo fanno esattamente a Pontida (al massimo da quelle parti c’è il Moscato di Scanzo), ma proseguiamo. Salvini è vestito come uno sfollato daltonico e si guarda in giro con l’acume di un dromedario colpito a morte. La plebe, vedendolo entrare, d’ardimento s’accende e al contempo (?) grida: “Eeeh Matteo capogruppo, eeeh Matteo capogruppo!”. Dal video si evince così che Matteo Salvini è il Mick Jagger della Lega, o molto più semplicemente il Povia di Pontida.
3 - Coté (Part Three). Attenti, siamo all’acme del reperto video. Ora: se tu sei un uomo, e pure un po’ ubriaco, cosa fai se sei circondato da amici egualmente ebbri? Non giriamoci intorno, non facciamo gli snob di MicroMega. In contesti di questo tipo, da suburra machista, il leader del gruppo tira fuori prima o poi l’argomento-catalizzatore: il sesso. Non per nulla, come cantava Gaber, “un figone resta sempre un’attrazione/che va bene per sinistra e destra”. Funziona così, nei secoli dei secoli. L’uomo si vanta di improbabili conquiste, l’alcol incentiva la trivialità e le risate grasse faranno gruppo. A Pontida, no. Non funziona così. Il concetto di divertimento, di comunanza, di giubilo, è diverso. Salvini si guarda in giro, tracimante fermentazione alcolica , e - quasi rispondendo ad antichi rituali - intona un coro da stadio. Eccoci: il massimo della “compagnia”, per un leghista, è cantare un coro da stadio. Possibilmente razzista. Wow, che sballo. Non mi divertivo così dai tempi della Tombola a Capodanno.
4 - Il testo (un’esegesi). Salvini, alzando il braccio destro (quello con la birra) con fare da anfitrione, dà il la al coro. La folla è in estasi. In particolare, alla sua sinistra c’è un militante che batte le mani come il ballerino bischero che negli 883 aveva il ruolo di ricordarci la stretta filiazione tra uomo e orango. Ladies and gentlemen, benvenuti al Salvini-Rave. “Senti che puzza/scappano anche i cani/ stanno arrivando i napoletani/ O colerosi, terremotati/ voi col sapone non vi siete mai lavati/ Napoli merda, Napoli colera… (qui Salvini ricomincia a bere, sempre con sguardo da dromedario abbattuto nella tundra)”. Glossa 1: i cani, se fiutano una “puzza”, tutto fanno fuorché scappare. Glossa 2: il riferimento al “terremoto”, considerando i facili appigli con l’attualità, pare un ulteriore florilegio di grazia. Glossa 3: questo coro era già vecchio, oltre che impronunciabile, al tempo di Badoglio. Sintesi definitiva: questo coro fa pena.
5 - Pinguedine. Salvini ha cominciato a furoreggiare in tivù da un annetto. Lo ricordo, satollo di spensierata intolleranza, far la parte del guastafeste a Tatami, irrinunciabile programma di Camila Raznovich (credo si scriva così). In forma, peso giusto, parlantina spigolosa: perfettamente tarato per dimostrare (quasi) la superiorità della razza padana su quella italiana. Un ariano de noantri. Lo rimembro con nostalgia, perché ultimamente non è più lui. Ha messo su più chili di Ronaldinho, appare trasandato. Più che dimostrare che i successori di Federico Barbarossa non avranno mai vita facile, sembra ormai lo spot dei trigliceridi sbagliati alla mensa di Borghezio.
6 - “Era una battuta”. E’ la tecnica con cui Salvini prova a disinnescare tutte le bischerate che dice (va detto che ultimamente non si sta dietro: non ce la fa). Nulla di nuovo, è solo la Tecnica Sultano-Ghedini in salsa padana. “Non l’ho mai detto”, “Era una battuta”, “Sono invenzioni”. E’ facile. I posti riservati ai milanesi nelle metro? Scherzavo. Lambrate comune a se stante? Facevo lo zuzzurellone. I cori napoletani? Una goliardata. Daje.7 - La Trinità di Salvini. “Nulla di politico”. Potrebbe essere l’epitaffio per un quasi quarantenne che in qualsiasi altro paese del Mondo farebbe (al massimo) l’esperto di pulegge o il venditore di pentole longobarde, ma è stata la sua rilassata reazione alle polemiche. “Nulla di politico, è solo uno sfottò, un coro da stadio che testimonia la sana rivalità tra tifosi milanisti e napoletani. Quando vado in trasferta, mi dicono ben di peggio”. Il bello è che Salvini mica scherzava. Era sincero. Mica sono razzisti, loro: siete voi che avete la rogna. E loro ve lo dicono. Non per cattiveria: per una errata sensazione di democrazia. Secondo la concezione salviniana, non c’è nulla di male nel cantare cori da stadio. E’ la Trinità di Salvini: il Parlamento come la curva; la rivalità calcistica come paradigma ideologico; e la Fossa dei Leoni come palestra culturale.
8 - Amico uligano (così uomo e così bambino). “Perché vi offendete?”. Così ha detto ai napoletani. Ha ragione: se vi dessero dei puzzoni, colerosi e terremotati, voi avreste pure l’indecenza di offendervi? Quanto siete pallosi (uffa). Io ne sarei felice e - anzi - offrirei giubilante un’altra birra al mio amico uligano, coi capelli un po’ corti, così uomo e così bambino (cit).9 - Fan di De André. “Io lo avrei fatto dimettere perché canta da schifo”. Lo ha detto Umberto “Lynch” Bossi, che - col suo contagioso senso dello Stato e delle istituzioni - ha prontamente fotografato il problema. Bravo il mio Lynch. E’ però e piuttosto un altro l’aspetto affascinante: Matteo Salvini è fan di Fabrizio De André. Lo ha detto lui, lo ripete ogni volta. Naturale: De André era il cantore della diversità, degli umili, dei disperati. Quando Salvini ascolta canzoni come Khorakhanè e Smisurata preghiera, ne trae insegnamento. Nel senso che capisce tutto quello che non dovrà fare. Salvini ascolta De André come Gramsci leggeva il Mein Kampf: per avere il polso del Nemico.
10 - “In Europa lavorerò anche per i napoletani”. Certo. E Dick Cheney era amico di Gandhi.
E ora scusate, vado su Facebook a chiedere l’amicizia a Renzo Bossi. Al quarto tentativo ha superato l’esame di maturità. Non ero così felice dai tempi delle Scimmie di Mare pubblicizzate nell’Intrepido. Come il quarto Re Magio, offrirò al Redentore Leghista polenta, xenofobia e birra in segno di stima.
Questa settimana sono successe poche cose. Un gruppo di vip si è riunito a L’Aquila per ricordare i tempi andati, Repubblica ci ha fatto sapere che nell’Era Berlusconi le orge si chiamano “torte”, e - soprattutto - ho imparato a memoria il testo di Cicale, colto evergreen di Heather Parisi (”per cui la quale… Cicale cicale cicale“: alta scuola).
A parte questo, tutti noi vorremmo essere Matteo Salvini. Proprio per questo, venendo incontro alle vostre grigie esigenze trotzkiste, ho redatto un vademecum che vi permetterà di emulare in sole dieci mosse le gesta del vostro idolo.
Matteo Salvini ha fatto parlare di sé, nei giorni scorsi, per un affettuoso riferimento ai napoletani. La sua esibizione mi è piaciuta molto, anche se nello specifico preferisco il Maestro Gentilini che arringa l’idolatrante plebe dicendo di voler “eliminare i bambini” rom.
Salvini ha 36 anni e ne dimostra 74. E’ un bruttino convinto di essere bellino (ahi). Un leghista che a inizio carriera faceva parte della corrente “comunisti leghisti”, un po’ come se uno tifasse Milan (lui, appunto) e si iscrivesse al Milan Club degli “interisti rossoneri”.
Eletto alla Camera dei Deputati nel 2008. Da questa carica si è dimesso lo scorso 7 luglio, a ridosso della polemica sulle serenate napoletane, non per decenza istituzionale ma per motivazioni meramente burocratiche (incompatibilità con la carica di deputato europeo: sì, adesso Salvini è andato a far danni in Europa. Lambrate non bastava più).
Da piccoli volevamo essere tutti come Big Jim (o Memo Remigi: io, almeno, volevo essere Memo Remigi; mi sembrava rassicurante, quieto, una persona a modo). Da grandi vogliamo essere tutti Matteo Salvini. Io posso dirvi come.
Seguitemi.
C’mon.
1 - Coté (Part One). Analizziamo nuovamente il video, col cuore colmo di misericordia e afflato abbacinante.
http://www.youtube.com/watch?v=zkdPakjzbU8
Il filmato è stato messo su Youtube da un blogger laureando in Scienze dell’Educazione, Gabriele Casagrande, che qui dà la sua (poco canonica) versione dei fatti. Casagrande stava lavorando per la tesina di laurea sulla Lega e faceva interviste. Risposta tipo di un militante: “Io non ho niente da dire, dico solo viva la Lega e fuori tutti i negri!“. Vamos.
2 - Coté (Part Two). Dicevamo: il video. Matteo Salvini entra in uno stand di Pontida. Ha in mano un boccale di birra e il suo sguardo dimostra che non è la prima. Indossa una tenera t-shirt: “Più rum meno rom”. Qualcuno gli dovrebbe ricordare che il Rum non lo fanno esattamente a Pontida (al massimo da quelle parti c’è il Moscato di Scanzo), ma proseguiamo. Salvini è vestito come uno sfollato daltonico e si guarda in giro con l’acume di un dromedario colpito a morte. La plebe, vedendolo entrare, d’ardimento s’accende e al contempo (?) grida: “Eeeh Matteo capogruppo, eeeh Matteo capogruppo!”. Dal video si evince così che Matteo Salvini è il Mick Jagger della Lega, o molto più semplicemente il Povia di Pontida.
3 - Coté (Part Three). Attenti, siamo all’acme del reperto video. Ora: se tu sei un uomo, e pure un po’ ubriaco, cosa fai se sei circondato da amici egualmente ebbri? Non giriamoci intorno, non facciamo gli snob di MicroMega. In contesti di questo tipo, da suburra machista, il leader del gruppo tira fuori prima o poi l’argomento-catalizzatore: il sesso. Non per nulla, come cantava Gaber, “un figone resta sempre un’attrazione/che va bene per sinistra e destra”. Funziona così, nei secoli dei secoli. L’uomo si vanta di improbabili conquiste, l’alcol incentiva la trivialità e le risate grasse faranno gruppo. A Pontida, no. Non funziona così. Il concetto di divertimento, di comunanza, di giubilo, è diverso. Salvini si guarda in giro, tracimante fermentazione alcolica , e - quasi rispondendo ad antichi rituali - intona un coro da stadio. Eccoci: il massimo della “compagnia”, per un leghista, è cantare un coro da stadio. Possibilmente razzista. Wow, che sballo. Non mi divertivo così dai tempi della Tombola a Capodanno.
4 - Il testo (un’esegesi). Salvini, alzando il braccio destro (quello con la birra) con fare da anfitrione, dà il la al coro. La folla è in estasi. In particolare, alla sua sinistra c’è un militante che batte le mani come il ballerino bischero che negli 883 aveva il ruolo di ricordarci la stretta filiazione tra uomo e orango. Ladies and gentlemen, benvenuti al Salvini-Rave. “Senti che puzza/scappano anche i cani/ stanno arrivando i napoletani/ O colerosi, terremotati/ voi col sapone non vi siete mai lavati/ Napoli merda, Napoli colera… (qui Salvini ricomincia a bere, sempre con sguardo da dromedario abbattuto nella tundra)”. Glossa 1: i cani, se fiutano una “puzza”, tutto fanno fuorché scappare. Glossa 2: il riferimento al “terremoto”, considerando i facili appigli con l’attualità, pare un ulteriore florilegio di grazia. Glossa 3: questo coro era già vecchio, oltre che impronunciabile, al tempo di Badoglio. Sintesi definitiva: questo coro fa pena.
5 - Pinguedine. Salvini ha cominciato a furoreggiare in tivù da un annetto. Lo ricordo, satollo di spensierata intolleranza, far la parte del guastafeste a Tatami, irrinunciabile programma di Camila Raznovich (credo si scriva così). In forma, peso giusto, parlantina spigolosa: perfettamente tarato per dimostrare (quasi) la superiorità della razza padana su quella italiana. Un ariano de noantri. Lo rimembro con nostalgia, perché ultimamente non è più lui. Ha messo su più chili di Ronaldinho, appare trasandato. Più che dimostrare che i successori di Federico Barbarossa non avranno mai vita facile, sembra ormai lo spot dei trigliceridi sbagliati alla mensa di Borghezio.
6 - “Era una battuta”. E’ la tecnica con cui Salvini prova a disinnescare tutte le bischerate che dice (va detto che ultimamente non si sta dietro: non ce la fa). Nulla di nuovo, è solo la Tecnica Sultano-Ghedini in salsa padana. “Non l’ho mai detto”, “Era una battuta”, “Sono invenzioni”. E’ facile. I posti riservati ai milanesi nelle metro? Scherzavo. Lambrate comune a se stante? Facevo lo zuzzurellone. I cori napoletani? Una goliardata. Daje.7 - La Trinità di Salvini. “Nulla di politico”. Potrebbe essere l’epitaffio per un quasi quarantenne che in qualsiasi altro paese del Mondo farebbe (al massimo) l’esperto di pulegge o il venditore di pentole longobarde, ma è stata la sua rilassata reazione alle polemiche. “Nulla di politico, è solo uno sfottò, un coro da stadio che testimonia la sana rivalità tra tifosi milanisti e napoletani. Quando vado in trasferta, mi dicono ben di peggio”. Il bello è che Salvini mica scherzava. Era sincero. Mica sono razzisti, loro: siete voi che avete la rogna. E loro ve lo dicono. Non per cattiveria: per una errata sensazione di democrazia. Secondo la concezione salviniana, non c’è nulla di male nel cantare cori da stadio. E’ la Trinità di Salvini: il Parlamento come la curva; la rivalità calcistica come paradigma ideologico; e la Fossa dei Leoni come palestra culturale.
8 - Amico uligano (così uomo e così bambino). “Perché vi offendete?”. Così ha detto ai napoletani. Ha ragione: se vi dessero dei puzzoni, colerosi e terremotati, voi avreste pure l’indecenza di offendervi? Quanto siete pallosi (uffa). Io ne sarei felice e - anzi - offrirei giubilante un’altra birra al mio amico uligano, coi capelli un po’ corti, così uomo e così bambino (cit).9 - Fan di De André. “Io lo avrei fatto dimettere perché canta da schifo”. Lo ha detto Umberto “Lynch” Bossi, che - col suo contagioso senso dello Stato e delle istituzioni - ha prontamente fotografato il problema. Bravo il mio Lynch. E’ però e piuttosto un altro l’aspetto affascinante: Matteo Salvini è fan di Fabrizio De André. Lo ha detto lui, lo ripete ogni volta. Naturale: De André era il cantore della diversità, degli umili, dei disperati. Quando Salvini ascolta canzoni come Khorakhanè e Smisurata preghiera, ne trae insegnamento. Nel senso che capisce tutto quello che non dovrà fare. Salvini ascolta De André come Gramsci leggeva il Mein Kampf: per avere il polso del Nemico.
10 - “In Europa lavorerò anche per i napoletani”. Certo. E Dick Cheney era amico di Gandhi.
E ora scusate, vado su Facebook a chiedere l’amicizia a Renzo Bossi. Al quarto tentativo ha superato l’esame di maturità. Non ero così felice dai tempi delle Scimmie di Mare pubblicizzate nell’Intrepido. Come il quarto Re Magio, offrirò al Redentore Leghista polenta, xenofobia e birra in segno di stima.
L’arroganza suicida dei cacicchi del Partito democratico.
di Paolo Flores d’Arcais.
L’articolo 2, comma 8, dello Statuto Pd è chiarissimo: “Sono esclusi dalla registrazione nell’Anagrafe degli iscritti e nell’Albo degli elettori le persone che siano iscritte ad altri partiti politici o aderiscano a gruppi di altri partiti politici all’interno di organi istituzionali elettivi”. Beppe Grillo non è iscritto ad un altro partito e non è membro di alcun “organo istituzionale elettivo”, nel quale aderire a un “gruppo di un altro partito politico”. Se non gli venisse data la tessera dalla sua sezione territoriale si tratterebbe di una violazione smaccata dello Statuto da parte di coloro che lo hanno formulato. Sarebbe insomma una “interpretazione ad personam” degna delle berlusconiane leggi ad personam, azione con la quale la nomenklatura del Pd confesserebbe coram populo la sua assimilazione dei “valori” del regime berlusconiano.Chiunque abbia a cuore la democrazia, perciò, ha il dovere di ribellarsi a un atto che suonerebbe infamia verso tutti i militanti del Pd e verso tutti coloro che intendono iscriversi. Chi stabilisce una regola deve poi rispettarla, questo è l’abc di chiunque pretenda di usare il termine “democrazia” e “democratico”. Il resto è feccia.Lasciano perciò increduli gli “argomenti” usati per impedire a Grillo di iscriversi. “Per iscriversi al Pd bisogna condividerne il progetto politico”, ha detto il tale. Ma i contenuti di questo progetto, e il leader che lo dovrà realizzare, lo stabiliranno milioni di cittadini il 25 ottobre, e potrà essere un progetto indigeribile per i Franceschini e i Bersani, i D’Alema e i Veltroni e i Marini, perché così stabilisce lo Statuto che essi stessi hanno imposto. Chi pretende di escludere qualcuno a priori pensa di essere il proprietario del partito (ecco un altro tipico tratto berlusconiano), la cui linea invece dovrà essere decisa da tutti i liberi “elettori” tra alcuni mesi, con il voto nei gazebo. “Il Pd non è un taxi”, ha detto il talaltro. No, non è un taxi, dove si sale e si scende quando fa comodo. Ma volendo stare alla metafora, non è stabilito in anticipo chi lo guida e quale sia l’indirizzo a cui si reca. Ambedue le cose verranno decise il 25 ottobre, e a trattare il Pd da taxi non è stato Grillo ma la signora onorevole Binetti, Opus Dei, che ha già detto che se vince Marino lei se ne va.Infine, questi inveterati signori delle tessere confondono evidentemente il Pd con il regime dei mullah iraniani, dove per candidarsi bisogna prima essere approvati dal “Consiglio dei Guardiani”. Insomma, cercando di impedire a qualcuno, in regola con lo Statuto, di iscriversi, i dirigenti del Pd dimostrano di avere la vocazione dei cacicchi anziché dei leader, e facendo strame della legalità trascinano il Pd nel fango. Si disonorano rispetto alla democrazia di cui si riempiono la bocca. Ma sono anche stupidi: violando le regole che essi stessi hanno stabilito, otterranno l’unico risultato che per settimane si parli solo di questa loro indecente illegalità, e Berlusconi potrà sguazzare tranquillo nella sua, perché i “dirigenti” del Pd con il loro comportamento avranno legittimato la peggior opinione qualunquista che recita “il più pulito c’ha la rogna”.Sappiano, questi signori, che proprio in questi giorni ci sono cittadini democratici che a decine di migliaia si stanno iscrivendo al Pd proprio per liberarlo dalla nomenklatura e dai gerarchi che lo hanno ridotto al lumicino in cui è. E per trasformarlo di nuovo in una forza di opposizione degna del nome.
(14 luglio 2009)
http://temi.repubblica.it/micromega-online/l%e2%80%99arroganza-suicida-dei-cacicchi-del-pd/
L’articolo 2, comma 8, dello Statuto Pd è chiarissimo: “Sono esclusi dalla registrazione nell’Anagrafe degli iscritti e nell’Albo degli elettori le persone che siano iscritte ad altri partiti politici o aderiscano a gruppi di altri partiti politici all’interno di organi istituzionali elettivi”. Beppe Grillo non è iscritto ad un altro partito e non è membro di alcun “organo istituzionale elettivo”, nel quale aderire a un “gruppo di un altro partito politico”. Se non gli venisse data la tessera dalla sua sezione territoriale si tratterebbe di una violazione smaccata dello Statuto da parte di coloro che lo hanno formulato. Sarebbe insomma una “interpretazione ad personam” degna delle berlusconiane leggi ad personam, azione con la quale la nomenklatura del Pd confesserebbe coram populo la sua assimilazione dei “valori” del regime berlusconiano.Chiunque abbia a cuore la democrazia, perciò, ha il dovere di ribellarsi a un atto che suonerebbe infamia verso tutti i militanti del Pd e verso tutti coloro che intendono iscriversi. Chi stabilisce una regola deve poi rispettarla, questo è l’abc di chiunque pretenda di usare il termine “democrazia” e “democratico”. Il resto è feccia.Lasciano perciò increduli gli “argomenti” usati per impedire a Grillo di iscriversi. “Per iscriversi al Pd bisogna condividerne il progetto politico”, ha detto il tale. Ma i contenuti di questo progetto, e il leader che lo dovrà realizzare, lo stabiliranno milioni di cittadini il 25 ottobre, e potrà essere un progetto indigeribile per i Franceschini e i Bersani, i D’Alema e i Veltroni e i Marini, perché così stabilisce lo Statuto che essi stessi hanno imposto. Chi pretende di escludere qualcuno a priori pensa di essere il proprietario del partito (ecco un altro tipico tratto berlusconiano), la cui linea invece dovrà essere decisa da tutti i liberi “elettori” tra alcuni mesi, con il voto nei gazebo. “Il Pd non è un taxi”, ha detto il talaltro. No, non è un taxi, dove si sale e si scende quando fa comodo. Ma volendo stare alla metafora, non è stabilito in anticipo chi lo guida e quale sia l’indirizzo a cui si reca. Ambedue le cose verranno decise il 25 ottobre, e a trattare il Pd da taxi non è stato Grillo ma la signora onorevole Binetti, Opus Dei, che ha già detto che se vince Marino lei se ne va.Infine, questi inveterati signori delle tessere confondono evidentemente il Pd con il regime dei mullah iraniani, dove per candidarsi bisogna prima essere approvati dal “Consiglio dei Guardiani”. Insomma, cercando di impedire a qualcuno, in regola con lo Statuto, di iscriversi, i dirigenti del Pd dimostrano di avere la vocazione dei cacicchi anziché dei leader, e facendo strame della legalità trascinano il Pd nel fango. Si disonorano rispetto alla democrazia di cui si riempiono la bocca. Ma sono anche stupidi: violando le regole che essi stessi hanno stabilito, otterranno l’unico risultato che per settimane si parli solo di questa loro indecente illegalità, e Berlusconi potrà sguazzare tranquillo nella sua, perché i “dirigenti” del Pd con il loro comportamento avranno legittimato la peggior opinione qualunquista che recita “il più pulito c’ha la rogna”.Sappiano, questi signori, che proprio in questi giorni ci sono cittadini democratici che a decine di migliaia si stanno iscrivendo al Pd proprio per liberarlo dalla nomenklatura e dai gerarchi che lo hanno ridotto al lumicino in cui è. E per trasformarlo di nuovo in una forza di opposizione degna del nome.
(14 luglio 2009)
http://temi.repubblica.it/micromega-online/l%e2%80%99arroganza-suicida-dei-cacicchi-del-pd/
martedì 14 luglio 2009
Berlusconi e il successo del G-R-OTTO
2009-07-13 00:35:36
di MICHELE BARREA - Il G8 dell’Aquila ha assunto un significato salvifico e provvidenziale per la maggior parte dei media italici ridotti, ormai, allo zerbino dell’Italia berlusconizzata.
E’ noto come il controllo dei media sia stato lo strumento principale attraverso il quale Berlusconi abbia manipolato l’opinione pubblica costruendo le sue fortune politiche.Questo controllo è servito, di volta in volta, a magnificarne le capacità e le virtù ed a nascondere alla coscienza collettiva le ombre che hanno caratterizzato la sua vita di imprenditore e politico e la costante e continua limitazione delle Istituzioni repubblicane che ha ridotto, drammaticamente, gli spazi di democrazia.Negli ultimi mesi, tuttavia, le miserie del piccolo uomo sono emerse in maniera così evidente ed eclatante da suscitare il giusto interesse dell’informazione di tutto il mondo che, unanimemente e senza distinzioni ideologiche, non ha risparmiato giudizi pesantissimi nei confronti di Berlusconi. Questo stridente contrasto ha riportato alla ribalta la classifica sulla libertà di stampa nel mondo che “Reporter sens frontière” ha pubblicato di recente e nella quale l’Italia figura al 40° posto dopo Cile e Corea del Sud. Ma a togliere dall’imbarazzo i media italiani ed a distrarre l’opinione pubblica ci ha pensato il G8 appena concluso. Non era ancora terminata la inconsistente conferenza stampa conclusiva del Premier che le televisioni e i giornali “zerbino” si affannavano a magnificare la perfetta organizzazione del vertice e lo straordinario successo di Berlusconi che, con i “fatti”, aveva risposto alle denigrazioni della “sinistra” che da mesi cercava di oscurarne la statura (si fa per dire) internazionale.Accuratamente è stata nascosta la rabbia, la sofferenza e la indignazione degli aquilani.La gente ha letto e sentito dello straordinario successo di Berlusconi senza capire da che cosa fosse stato determinato. I giornali hanno evidenziato come, in tempi rapidissimi, la caserma della Guardia di Finanza dell’Aquila sia stata resa adatta ad ospitare un evento internazionale così importante. Abbiamo visto in televisione il gusto e la cura con cui sono state arredate le camere degli ospiti internazionali, i menù raffinati, quanto di meglio il nostro paese sia in grado di offrire.Ma tutto questo che cosa c’entra con le capacità politiche del Premier e con il “presunto” successo del G8 che avrebbe confutato e cancellato lo squallore e le miserie emerse di recente? Semplicemente nulla.Dal punto di vista politico il G8 è stato un fallimento rivelandosi per quello che è. Un club esclusivo, inutile e forse anche dannoso. E’ evidente a tutti che la pretesa dei potenti del mondo di fissare regole valide per tutta l’umanità appare paradossale dal momento in cui questi stessi paesi sono da ritenersi gli unici responsabili dei mali che si intendono curare: la fame nel mondo e gli squilibri sempre più forti tra paesi ricchi e paesi poveri, i problemi ambientali e climatici, la crisi finanziaria e la recessione mondiale che, ancora una volta, dimostra la pericolosità devastante del liberismo economico. E’ come voler affidare il compito di risanare un’azienda fallita ai manager che l’hanno portata al fallimento.Che ciò sia vero è dimostrato dalle parole del Presidente Obama il quale, pur muovendosi ancora con circospezione, ha chiaramente affermato come sia necessario modificare radicalmente questi incontri che, così concepiti, non hanno alcuna utilità. Subito dopo il termine del G8, quasi a volersi purificare, è volato in Ghana, in Africa, dove sono evidenti gli effetti di una primordiale idea dei rapporti tra gli stati e tra i popoli fondata sulla sopraffazione. E’ molto più di una speranza la convinzione del Presidente della principale potenza mondiale che solo un mondo più giusto potrà salvarci e che la prosperità ed il benessere dei più ricchi non possono prescindere dalla necessità e dal dovere di affrancare dalla miseria e dalla sottomissione milioni di persone. Il G8, inoltre, ha oscurato, dando il pretesto ai media per non occuparsene, un’altra vicenda emersa di recente e che coinvolge pesantemente Berlusconi.Nel processo di appello in cui è imputato il Senatore Dell’Utri (PDL, amico e socio storico di Berlusconi) per concorso esterno in associazione mafiosa, Massimo Ciancimino, figlio dell’ex Sindaco di Palermo Vito Ciancimino condannato per mafia ed autore del sacco di Palermo, ha dichiarato che la lettera ritrovata nel 2005 ed indirizzata a Berlusconi sarebbe stata inviata dal boss Bernardo Provenzano. Ciancimino e dell’Utri erano stati incaricati di recapitarla all’Onorevole Berlusconi. In questa lettera, “colpevolmente” dimenticata nella Procura di Palermo, la mafia chiedeva a Berlusconi che le venisse concessa una rete televisiva. La mafia sarebbe stata riconoscente, ma in caso di rifiuto avrebbe rapito ed ucciso un figlio di Berlusconi. La lettera, considerata autentica, è inquietante in quanto proverebbe i legami tra Berlusconi e la mafia. Ebbene, una notizia del genere avrebbe riempito le pagine dei giornali ed i palinsesti televisivi in qualsiasi paese democratico, avrebbe determinato, insieme a tante altre precedenti ed attuali vicende, le dimissioni dei personaggi pubblici coinvolti. Nella nostra “repubblica delle banane” queste notizie vengono addirittura celate. Di contro si magnifica Berlusconi per il niente prodotto al G8 dell’Aquila.Il “bananaro” alla guida della nave bananiera ancora galleggia ma le falle si allargano e si preparano le scialuppe.
http://www.altromolise.it/notizia.php?argomento=e-mail&articolo=39078
di MICHELE BARREA - Il G8 dell’Aquila ha assunto un significato salvifico e provvidenziale per la maggior parte dei media italici ridotti, ormai, allo zerbino dell’Italia berlusconizzata.
E’ noto come il controllo dei media sia stato lo strumento principale attraverso il quale Berlusconi abbia manipolato l’opinione pubblica costruendo le sue fortune politiche.Questo controllo è servito, di volta in volta, a magnificarne le capacità e le virtù ed a nascondere alla coscienza collettiva le ombre che hanno caratterizzato la sua vita di imprenditore e politico e la costante e continua limitazione delle Istituzioni repubblicane che ha ridotto, drammaticamente, gli spazi di democrazia.Negli ultimi mesi, tuttavia, le miserie del piccolo uomo sono emerse in maniera così evidente ed eclatante da suscitare il giusto interesse dell’informazione di tutto il mondo che, unanimemente e senza distinzioni ideologiche, non ha risparmiato giudizi pesantissimi nei confronti di Berlusconi. Questo stridente contrasto ha riportato alla ribalta la classifica sulla libertà di stampa nel mondo che “Reporter sens frontière” ha pubblicato di recente e nella quale l’Italia figura al 40° posto dopo Cile e Corea del Sud. Ma a togliere dall’imbarazzo i media italiani ed a distrarre l’opinione pubblica ci ha pensato il G8 appena concluso. Non era ancora terminata la inconsistente conferenza stampa conclusiva del Premier che le televisioni e i giornali “zerbino” si affannavano a magnificare la perfetta organizzazione del vertice e lo straordinario successo di Berlusconi che, con i “fatti”, aveva risposto alle denigrazioni della “sinistra” che da mesi cercava di oscurarne la statura (si fa per dire) internazionale.Accuratamente è stata nascosta la rabbia, la sofferenza e la indignazione degli aquilani.La gente ha letto e sentito dello straordinario successo di Berlusconi senza capire da che cosa fosse stato determinato. I giornali hanno evidenziato come, in tempi rapidissimi, la caserma della Guardia di Finanza dell’Aquila sia stata resa adatta ad ospitare un evento internazionale così importante. Abbiamo visto in televisione il gusto e la cura con cui sono state arredate le camere degli ospiti internazionali, i menù raffinati, quanto di meglio il nostro paese sia in grado di offrire.Ma tutto questo che cosa c’entra con le capacità politiche del Premier e con il “presunto” successo del G8 che avrebbe confutato e cancellato lo squallore e le miserie emerse di recente? Semplicemente nulla.Dal punto di vista politico il G8 è stato un fallimento rivelandosi per quello che è. Un club esclusivo, inutile e forse anche dannoso. E’ evidente a tutti che la pretesa dei potenti del mondo di fissare regole valide per tutta l’umanità appare paradossale dal momento in cui questi stessi paesi sono da ritenersi gli unici responsabili dei mali che si intendono curare: la fame nel mondo e gli squilibri sempre più forti tra paesi ricchi e paesi poveri, i problemi ambientali e climatici, la crisi finanziaria e la recessione mondiale che, ancora una volta, dimostra la pericolosità devastante del liberismo economico. E’ come voler affidare il compito di risanare un’azienda fallita ai manager che l’hanno portata al fallimento.Che ciò sia vero è dimostrato dalle parole del Presidente Obama il quale, pur muovendosi ancora con circospezione, ha chiaramente affermato come sia necessario modificare radicalmente questi incontri che, così concepiti, non hanno alcuna utilità. Subito dopo il termine del G8, quasi a volersi purificare, è volato in Ghana, in Africa, dove sono evidenti gli effetti di una primordiale idea dei rapporti tra gli stati e tra i popoli fondata sulla sopraffazione. E’ molto più di una speranza la convinzione del Presidente della principale potenza mondiale che solo un mondo più giusto potrà salvarci e che la prosperità ed il benessere dei più ricchi non possono prescindere dalla necessità e dal dovere di affrancare dalla miseria e dalla sottomissione milioni di persone. Il G8, inoltre, ha oscurato, dando il pretesto ai media per non occuparsene, un’altra vicenda emersa di recente e che coinvolge pesantemente Berlusconi.Nel processo di appello in cui è imputato il Senatore Dell’Utri (PDL, amico e socio storico di Berlusconi) per concorso esterno in associazione mafiosa, Massimo Ciancimino, figlio dell’ex Sindaco di Palermo Vito Ciancimino condannato per mafia ed autore del sacco di Palermo, ha dichiarato che la lettera ritrovata nel 2005 ed indirizzata a Berlusconi sarebbe stata inviata dal boss Bernardo Provenzano. Ciancimino e dell’Utri erano stati incaricati di recapitarla all’Onorevole Berlusconi. In questa lettera, “colpevolmente” dimenticata nella Procura di Palermo, la mafia chiedeva a Berlusconi che le venisse concessa una rete televisiva. La mafia sarebbe stata riconoscente, ma in caso di rifiuto avrebbe rapito ed ucciso un figlio di Berlusconi. La lettera, considerata autentica, è inquietante in quanto proverebbe i legami tra Berlusconi e la mafia. Ebbene, una notizia del genere avrebbe riempito le pagine dei giornali ed i palinsesti televisivi in qualsiasi paese democratico, avrebbe determinato, insieme a tante altre precedenti ed attuali vicende, le dimissioni dei personaggi pubblici coinvolti. Nella nostra “repubblica delle banane” queste notizie vengono addirittura celate. Di contro si magnifica Berlusconi per il niente prodotto al G8 dell’Aquila.Il “bananaro” alla guida della nave bananiera ancora galleggia ma le falle si allargano e si preparano le scialuppe.
http://www.altromolise.it/notizia.php?argomento=e-mail&articolo=39078
lunedì 13 luglio 2009
PD: GRILLO CHIEDE LA TESSERA DEL PARTITO
Beppe Grillo conferma l'intenzione di candidarsi alla segreteria del Pd. ''Mi sono iscritto al Pd questa mattina ad Arzachena'', ha detto il comico in un'intervista telefonica a Sky Tg24, sottolineando che il suo obiettivo e' quello di ''travasare un po' di cittadini dentro la politica'' e ''riempire un vuoto che dura da vent'anni''.Grillo ha attaccato gli attuali leader del Pd, parlando di ''finta opposizione, di comitati d'affari, di 'fassini' di 'dalemini', di gente inesistente che sta li' e non si capisce perche' e cosa hanno fatto. Non hanno detto niente sull'energia nucleare, non hanno detto niente sull'acqua che viene privatizzata dalle societa' quotate in borsa. Non si parla di energie rinnovabili, di edifici passivi, di wi-fi libero e gratuito. Loro sopravvivono perche' sono chiusi dentro il loro loft con le sovvenzioni statali'', ha proseguito il comico genovese.''Mi sono iscritto questa mattina ad Arzachena. Ho fatto la domanda sia on line che fisicamente, ho dato i 16 euro di quota. Poi se troveranno che il 3* comma, del quarto paragrafo bis... ne pagheranno le conseguenze'', ha concluso il comico genovese.MIGLIAVACCA, DIFFICILE CHE SUA RICHIESTA ABBIA REQUISITI NECESSARI. ''Le regole per iscriversi al Partito democratico sono chiare e precise. Mi sembra molto difficile che la richiesta di iscrizione al partito di Beppe Grillo contenga i presupposti e abbia i requisiti necessari per il rilascio della tessera del Pd''.In questi termini Maurizio Migliavacca, responsabile organizzativo del Pd, sembra escludere di fatto la possibilita' che l'attore comico possa aderire al partito e, quindi, partecipare alla corsa alla segreteria.MARINO: NON VEDO PERCHE' GRILLO DEBBA ESSERE ESCLUSO. Ignazio Marino, uno dei concorrenti nella corsa alla segreteria del Pd, non chiude la porta alla possibile candidatura di Beppe Grillo. ''Seguendo le regole della democrazia, chiunque ha le carte e le firme lo puo' fare. Io non giudico le persone, se Grillo arrivera' con una mozione strutturata e risposte concrete sui temi che preoccupano le persone che vivono nel Paese, non vedo perche' debba essere escluso'', ha detto il senatore del Pd intervenendo a ''24 mattino'' su Radio 24.Marino ha parlato anche delle polemiche suscitate dalle sue dichiarazioni dopo l'arresto di Luca Bianchini, il presunto stupratore seriale di Roma e dirigente locale del Pd. ''E' stata data una forma diversa alle mie parole'', ha detto. ''Io sogno un Paese in cui un cittadino entra in un ospedale e ha la certezza che il primario e' li' non perche' e' amico del segretario di partito o del politico giusto, ma perche' e' il piu' bravo. Sogno un Paese in cui in Parlamento non sono eletti i condannati in forma definitiva, come purtroppo accade nel centro-destra. Capisco che un condannato in forma definitiva debba essere riabilitato, ma siamo 60 milioni di persone, saremo in grado di eleggerne 900 incensurati?''.Infine una risposta a Paola Binetti che ha minacciato di lasciare il partito se Marino vincera' le primarie: ''Lei - ha detto Marino - ha una diversa concezione del partito, io lavoro a un partito che includa, non escluda. Se vince Franceschini, con cui la Binetti milita, io rimarro' nel Pd per esprimere la mia voce''.DI PIETRO: GRILLO IRRISO? SUO UNICO PROGRAMMA SERIO. ''Vedo che molti nel Pd fanno a gara per irridere la candidatura di Grillo a segretario di quel partito, eppure il suo e' l'unico programma esposto, molto piu' articolato delle idee che finora abbiamo sentito dagli altri candidati''.Lo afferma il presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, il quale aggiunge: ''Il Parlamento pulito, la legge sul conflitto d'interessi, l'acqua pubblica, il no al nucleare e lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, il massimo di due legislature per i parlamentari, wi-fi gratuito, l'informazione libera, con il ritiro delle concessioni televisive di Stato ad ogni soggetto politico: sono tutti punti che l'IdV sta portando avanti da tempo e che, per questo, condivide. Insomma, un programma serio, concreto e che, forse, proprio per questo porta i soloni della politica a irriderlo''.ULIVISTI A CANDIDATI SEGRETERIA: DATE VITA A PARTITO APERTO. ''Un partito aperto per difendere la sovranita' dei cittadini. Precondizioni per una scelta'': e' questo il titolo di un documento elaborato da alcuni esponenti dell'ala ulivista del Partito democratico - primo firmatario Arturo Parisi - inviato sotto forma di lettera aperta ai quattro candidati alla segreteria del Pd. Una serie di punti definiti ''un fondamentale criterio per la valutazione delle proposte congressuali dei singoli candidati''.Nell'offrire il loro contributo al dibattito precongressuale del partito, l'ex ministro della Difesa - unitamente a Mario Barbi, Antonio La Forgia, Fausto Recchia, Albertina Soliani e Sandra Zampa - parte dal presupposto che ''i problemi a noi di fronte sono di lungo termine e di lungo termine deve essere la risposta: un progetto per il cambiamento della societa' non un semplice programma di governo di legislatura e meno che mai un insieme di singoli atti di governo''.Per gli ulivisti del Pd, ''il Paese e' demoralizzato e non saranno la speranza di consumare di piu', o la maschera grottesca di un premier a trarci da una crisi che ci attraversa e ci supera per dimensione e profondita'''. Per fronteggiare questa situazione, il documento auspica ''istituzioni forti perche' fortificate dall'esercizio della sovranita' dei cittadini attraverso la moltiplicazione e soprattutto la valorizzazione delle occasioni di partecipazione, contrastando l'allontanamento dalla politica e la sfiducia verso le istituzioni che va diffondendosi nella societa'''.Parisi e gli altri esaltano poi la scelta del Pd di ''demandare agli elettori la piu' importante delle scelte in un partito: la designazione del segretario politico, e allo stesso tempo una assemblea nazionale che dotata della stessa legittimazione e rappresentativita' possa bilanciare il potere del segretario, evitando i rischi di un esercizio del potere isolato''. Sottolineando inoltre che ''in un tempo in cui il nostro Paese patisce un restringimento degli spazi della democrazia fino alla sottrazione ai cittadini del diritto di scegliere i propri rappresentanti come ora accade a causa della sciagurata legge elettorale vigente per il parlamento nazionale, affidare direttamente ai cittadini la scelta della guida e del massimo organo nazionale del partito e' una scelta che da sola da' testimonianza della radicale diversita' della nostra idea di democrazia rispetto a quella che domina il campo a noi avverso''.Venendo piu' direttamente alle candidature alla segreteria, gli ulivisti del Pd rilevano comunque che ''la scelta tra persone per la guida del partito trova il suo vero significato solo se essa evoca, consente, e sostiene una scelta tra diverse linee di azione politica. Solo questo - aggiungono - assicura la pienezza dell'esercizio della cittadinanza, e allo stesso tempo consente di mettere a frutto il percorso che ci attende nei prossimi mesi. Solo questo consente al partito di definire finalmente, nel rispetto della democrazia, un'identita' corrispondente al comune progetto di dare vita ad un partito nuovo in modo nuovo''.Diversamente, se ''ridotto a scelta tra persone, il confronto, pensato per l'utilita' del partito e della Repubblica, si potrebbe tradurre all'opposto in uno scontro tra persone e tra gruppi che lascerebbe alle sue spalle ulteriori macerie dando una idea del partito che ognuno di noi rifiuta''. Di qui l'avvertimento: ''Non possiamo permetterci di sprecare tre mesi preziosi esaurendoci in un confronto ossessionato dal potere interno che appare estraneo e incomprensibile alle ansie dei cittadini''.Ad avviso di Parisi e dei suoi amici occorre dunque fare dell'occasione congressuale ''un passaggio fondamentale che consenta agli iscritti ed elettori di rimescolarsi a partire dalle diverse idee politiche che legittimamente si contendono il campo, superando cosi' le precedenti provenienze partitiche''. E proprio per consentire ai votanti una scelta consapevole, ogni candidato deve assicurare ''la riconoscibilita' della sua proposta politica, evitando di associare alla sua candidatura una pluralita' di proposte, e una pluralita' di proponenti, spesso ispirati a linee politiche tra loro disomogenee. Si presenti pertanto per ogni candidato una sola lista, e si eviti altresi' di riproporre ticket in qualsiasi modalita' essi vengano proposti''.Per gli ulivisti del Pd va inoltre rispettata l'autonomia delle regioni, ed al riguardo osservano: ''Domande diverse chiedono risposte diverse. I congressi regionali non sono la fase regionale di quello nazionale.Anche se lo statuto prevede la contemporaneita' dei congressi regionali con quello nazionale, solo una nitida e coerente contrapposizione di concezioni del partito giustificherebbe la coartazione della autonomia delle singole regioni attraverso il trasferimenti meccanico delle divisioni nazionali in sede regionale''.Infine, la riforma della legge elettorale, definita una priorita' assoluta. ''Le prossime elezioni politiche - sottolineano Parisi e gli altri firmatari del documento - non possono avere ancora una volta come risultato un parlamento di nominati''.
http://www.asca.it/copertina-PD__GRILLO_CHIEDE_LA_TESSERA_DEL_PARTITO-1572.html
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