sabato 1 maggio 2010

Scajola, le rivelazioni del testimone: «Consegnai buste anche a ministri»


L’autista e il caso dell'appartamento al Colosseo: portai 500 mila euro. Nei verbali il nome di Pietro Lunardi

ROMA - Buste dal «contenuto sconosciuto» consegnate a «vari soggetti, alcuni dei quali ministri» per conto di Angelo Balducci e del costruttore Diego Anemone. Un nuovo testimone interrogato dai magistrati di Perugia rivela inediti e clamorosi dettagli sui rapporti con i potenti di chi gestiva gli appalti pubblici e in particolare quelli per i Grandi Eventi. Racconta il suo ruolo di intermediario anche nell’operazione pianificata per l’acquisto dell’appartamento poi intestato a Claudio Scajola, all’epoca titolare del dicastero per le Attività Produttive. E poi - tra le persone incontrate - fa il nome di Pietro Lunardi, all’epoca titolare delle Infrastrutture. Le carte processuali messe a disposizione degli indagati svelano l’esistenza di conti all’estero dello stesso Balducci e del commissario per i Mondiali di Nuoto, Claudio Rinaldi. Alla richiesta di arresto per quest’ultimo, per il commercialista Stefano Gazzani e per l’architetto Angelo Zampolini - respinta dal giudice che ritiene competente la magistratura romana e ora all’esame del tribunale del Riesame - sono allegati verbali e informative che ricostruiscono la rete di rapporti alimentata dai componenti della "cricca".

I contanti del tunisino
Il 25 marzo scorso viene interrogato a Firenze Laid Ben Hidri Fathi che, come si legge nell’istanza dei pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnese, «in passato è stato l’autista tuttofare e uomo di fiducia di Angelo Balducci e di Diego Anemone e da loro aveva ottenuto deleghe bancarie per operare sui conti correnti». Nel 2004 l’uomo si appropria di 200.000 euro e sparisce. Ricompare nel 2006 e, dopo aver chiesto perdono, riallaccia i contatti con i due. Qualche giorno fa viene convocato anche a Perugia. Così il suo verbale viene ricostruito nel documento stilato dai magistrati dell’accusa: «Il cittadino di origine tunisina ha riferito di aver conosciuto Angelo Balducci molti anni fa lavorando presso l’agenzia immobiliare Toscano di via Salaria e di aver cominciato a lavorare con lui come autista tuttofare quando lo stesso era Provveditore alle opere pubbliche del Lazio. Di aver lavorato come dipendente di fatto del Balducci, ma di essere stato di volta in volta formalmente assunto e retribuito da imprese che con Angelo Balducci lavoravano con appalti da lui concessi per la carica ricoperta».

Buste e soldi per i ministri
E ancora: «La conoscenza con Anemone avviene nel 2000, sempre tramite Balducci che con Anemone appare "essere in società", come specifica il testimone. A quel periodo risale la stretta collaborazione con Anemone, che lo avrebbe autorizzato anche ad operare su alcuni conti delle società del Gruppo. Proprio nell’ambito dell’attività di gestione dei fondi di spettanza delle ditte di Anemone, Fathi fa il nome di Angelo Zampolini, soggetto a cui più volte lo stesso dice di aver consegnato somme in denaro, in quanto persona "che faceva operazioni immobiliari per conto di Balducci e Anemone con intestazione ad altre persone"». Ed ecco la rivelazione: «Riferisce poi l’ex autista di una serie di contatti che per conto di Balducci e di Anemone lo stesso avrebbe intrattenuto con vari soggetti, alcuni dei quali ministri, a cui consegnava messaggi o buste di contenuto sconosciuto, per conto di Balducci e dello stesso Anemone ». L’uomo fa il nome di Pietro Lunardi e su questa circostanza i magistrati hanno avviato verifiche per scoprire a quale scopo avvenissero questi incontri. Intanto si concentrano sull’acquisto dell’appartamento per Claudio Scajola. E scrivono: «Riferisce in particolare lo stesso Hidri Fathi che in un’occasione ha consegnato all’architetto una somma di 500.000 euro in contanti (che aveva precedentemente provveduto a cambiare in banconote di più grosso taglio presso altra banca), che tale consegna è avvenuta non presso lo studio di Zampolini, ma nei pressi, vicino Largo Argentina. Tale somma, nella narrazione del Fathi sarebbe dovuta servire (perché di ciò informato direttamente da Zampolini) all’acquisto di un immobile dietro il Colosseo». I magistrati non sembrano avere dubbi sul fatto che questa operazione riguardi proprio il ministro perché, sottolineano, «Fathi afferma di aver consegnato i 500.000 euro in contanti in Largo Argentina e proprio all’agenzia della Deutsche Bank che si trova a quell’indirizzo sono stati emessi gli assegni circolari per 900.000 euro poi girati alle venditrici e di cui i 500.000 euro appaiono costituire parte della provvista versata in contanti». In ogni caso, il 23 aprile scorso, interrogato dai magistrati dopo aver subito una perquisizione andata avanti per ore, è Zampolini a confermare tutte le circostanze raccontate dal testimone. Poi aggiunge: «Oltre a Fathi, anche altri autisti e la segretaria di Anemone si occupavano di consegnarmi i contanti».

I conti milionari all’estero
Ora si va avanti con nuove verifiche. Mentre la Guardia di Finanza analizza tutte le operazioni gestite da Zampolini attraverso 240 conti correnti, i magistrati hanno avviato la procedura per una richiesta di rogatoria internazionale. Dalla Banca d’Italia sono infatti arrivate le segnalazioni su depositi che si trovano in Lussemburgo e in Svizzera gestiti da una società, oltre a quelli già scoperti che riguardano San Marino e che sarebbero stati attivati in alcuni casi proprio da Gazzani. Un’accusa che il suo avvocato Bruno Assumma smentisce «così come quelle di corruzione e riciclaggio che siamo pronti a smontare». Scrivono i pubblici ministeri: «Bankitalia ha qui trasmesso una nota con allegate una serie di segnalazioni per operazioni sospette (evidenziate dagli organi di controllo interno bancario degli istituti di credito a seguito della diffusione della notizia dell’indagine) e una nota proveniente dalla procura del Lussemburgo con cui viene segnalata l’esistenza di conti correnti in istituti bancari di quello Stato a favore di Claudio Rinaldi e Angelo Balducci, rispettivamente per un importo di 2 e 3 milioni di euro circa. Conti correnti intestati a una società fiduciaria - la Cordusio spa - di cui i suddetti sono beneficiari e che presentano un numero progressivo, segno certo non insignificante che depone per il loro collegamento. Nella segnalazione della procura lussemburghese viene altresì evidenziato che l’indagato Rinaldi ha un altro conto acceso in Svizzera sulla cui entità nulla è indicato».

Fiorenza Sarzanini
01 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATAhttp://www.corriere.it/politica/10_maggio_01/il-nuovo-testimone-consegnai-buste-anche-a-ministri-fiorenza-sarzanini_21980c10-54f4-11df-a414-00144f02aabe.shtml

Grillo 168 - Woodstock a 5 Stelle

venerdì 30 aprile 2010

Caso Cucchi, cade accusa omicidio colposo Conclusa inchiesta sulla morte del 30enne







Roma - (Adnkronos) - Terminate le indagine sul decesso del ragazzo romano morto iil 22 ottobre. Per le guardie carcerarie i reati sono infatti di lesioni e abuso di autorità. Mentre per i medici coinvolti i pm ipotizzano favoreggiamento, abbandono di persona incapace, abuso d'ufficio e falso ideologico

Bavaglio e cattivi pensieri - Antonio Padellaro



29 aprile 2010
Davanti a Palazzo Madama, ieri mattina, a protestare contro la legge bavaglio sulle intercettazioni sul punto di essere definitivamente approvata dal Senato, eravamo una cinquantina e non di più. Eravamo, perché mi ero recato anche io sul posto convinto che la mobilitazione sarebbe stata, come si dice, massiccia e combattiva. Non era forse in gioco la nostra libertà di raccontare i fatti senza dover rischiare la galera e pene pecuniarie pesantissime? Tuttavia, poiché massicce erano le accaldate carovane di turisti a zonzo per piazza Navona e di combattivo c’erano solo le dichiarazioni rese alle tv da alcuni dirigenti sindacali e dell’opposizione, sono stato colto da un dubbio fastidioso. Non sarà per caso che la maggioranza dei giornali e dei giornalisti italiani considera queste norme un male tutto sommato accettabile?

Quanti (ho pensato) avranno pensato: vale davvero la pena beccarsi da sei mesi a quattro anni e sborsare decine di migliaia di euro per lo sfizio di pubblicare un verbale o un’intercettazione? Sì, certo, sono documenti che dimostrano le nefandezze degli sciacalli che esultano sui terremoti e dei rapaci delle cliniche che distruggono corpi umani in serie per accrescere il fatturato. Vorrà dire che per pubblicarle si aspetteranno i processi. Occorreranno degli anni? Meglio: si fornirà dei fatti un’analisi più meditata.

E i lettori? Si abitueranno. Ha senso per uno scoop mettersi in cattiva luce presso i propri editori, fare rischiare loro l’osso del collo in un periodo così difficile per l’editoria? Senza contare che potresti sempre inciampare in uno
Schifani che ti chiede 720 mila euro sull’unghia solo perché ti occupi dei suoi trascorsi palermitani. Viste così le cose, l’assenza davanti al Senato di tanti bravi colleghi e di tanti illustri direttori mi è apparsa come una scelta di necessaria prudenza in tempi così calamitosi. La libertà di stampa è una bella cosa. Ma se confortevole, è ancora più bella. Solo cattivi pensieri?

Da
il Fatto Quotidiano del 29 aprile


Agcomiche - Marco Travaglio



29 aprile 2010
Ieri, come ha detto Fini che sta pure diventando spiritoso, il fratello dell’editore del Giornale ha espresso "la più convinta solidarietà a Fini per gli attacchi personali che quest’oggi il Giornale gli ha mosso" a proposito degli appalti Rai alla suocera di Fini perché "la critica politica, anche più severa, non può trascendere in aggressioni ai familiari e su vicende che nulla hanno a che fare con la politica". Stiamo parlando di Silvio Berlusconi. Da non confondere con Paolo che, com’è noto, è l’editore de Il Giornale talmente geloso dell’indipendenza della testata che – assicura Silvio – non permette a nessuno, meno che mai a Silvio, di influenzarne la linea. Infatti Silvio, rispondendo l’altro giorno a Fini, ha comunicato dolente che "io non parlo col direttore del Giornale e sul Giornale non ho alcun modo di influire", ma se Fini volesse influire un po’ "potrebbe far entrare nella compagine azionaria un imprenditore suo amico", perché lui, Silvio, pur non avendo alcun modo di influire, ha "convinto un mio familiare (una zia? Un cugino? Un nipotino? Il solito fratello Paolo?, ndr) a mettere in vendita il Giornale".

Ecco: Silvio decide di vendere il
Giornale, assume e licenzia i direttori (Montanellinel ’94, Feltri nel ’97), ma senza mai parlarci né influire. Che timidone. Un amico di Fini invece, magari un po’ più estroverso di lui, potrebbe parlarci e influire. Si dà però il caso che il giornalista-scrittore Enzo Bettiza abbia appena raccontato adAldo Cazzullo del Corriere come – lui dice nel dicembre 1996, ma era il 1997 – rischiò di diventare direttore del Giornale di Paolo, poi però non se ne fece niente. Feltri era stato appena messo alla porta per aver chiesto scusa a Di Pietro dopo la lunga campagna diffamatoria sul caso D’Adamo-Pacini Battaglia, con tanto di risarcimento dei danni per 700 milioni di lire. E chi chiamò Bettiza per sostituirlo? Paolo? Ohibò, no: Silvio.

"Con Berlusconi (Silvio,
ndr) ne parlammo in una cena ad Arcore. C’erano Letta, Confalonieri, Massari che era l’amministratore, Biazzi Vergani e Belpietro, che avrebbe dovuto essere il mio condirettore o vicedirettore, a garanzia del lato popolaresco e digrignante...Proposi di far scrivere il primo fondo a Montanelli. Letta disse subito di sì. Berlusconi rimase in silenzio, ma il suo istinto di venditore ambulante lo induceva ad accettare, per pure ragioni pubblicitarie. Tutti gli altri si opposero". Silvio, Gianni, Fedele. L’editore Paolo, per dire, non fu invitato nemmeno a fare il quarto a briscola.

L’estate scorsa, 12 anni dopo,
Littorio Feltri tornò sul luogo del delitto. Lo chiamò Paolo? Macché: di nuovo Silvio, quello che con Feltri non parla e sul Giornale non influisce. Lo raccontò lo stesso Littorio, a fine agosto, a Cortina: "Il 30 giugno ho incontrato Silvio Berlusconi. Ogni volta che lo vedevo, mi chiedeva: 'Ma quand’è che torna al Giornale?'. E io: 'Sto bene dove sono'. Ma quel giorno entrò subito nei dettagli, fece proposte concrete e alla fine mi ha convinto". Segnaliamo le dichiarazioni di Bettiza e Feltri, per competenza, alla cosiddetta "autorità indipendente" denominata Agcom che, sotto l’alta egida del Quirinale, vigila occhiutamente su ogni conflitto d’interessi, casomai le fossero sfuggite. Il presidente Calabrò e gl’inflessibili commissari Innocenzi e Mannoni prenderanno senz’altro buona nota e apriranno una pratica per verificare se, per disgrazia, il vero editore del Giornale non fosse Paolo, ma Silvio. Il che configurerebbe una violazione persino della legge Frattini sul conflitto d’interessi, che impone all’Agcom di accertare se per caso "le imprese...che fanno capo al titolare di cariche di governo, al coniuge e ai parenti entro il secondo grado… non pongano in essere comportamenti che… forniscono un sostegno privilegiato al titolare di cariche di governo". Nel qual caso l’Agcom dovrebbe riferire al Parlamento, diffidare e sanzionare. Ecco, gentili agcomici, ci fate eventualmente sapere?

Da il Fatto Quotidiano del 29 aprile


Bocchino lascia: “Berlusconi mi ha epurato”. Il premier sull’orlo di una crisi di nervi



di Fulvio Lo Cicero

Frattura oramai insanabile fra i finiani e il lider maximo, che confessa: “Me ne andrei volentieri ma devo governare questo Paese”. La Russa: “Bocchino non è una vittima”.

ROMA – Italo Bocchino lascia “ irrevocabilmente” la carica di vicecapogruppo del Pdl alla Camera dei deputati ma lo fa polemicamente, annunciando al mondo che Berlusconi in persona lo ha fatto fuori con un ordine perentorio alle sue truppe cammellate. E a lui avrebbe intimato di non partecipare all’ultima puntata di “Ballarò”. Di fronte alla disubbidienza del parlamentare finiano, il ducetto di Arcore avrebbe detto: «Allora io ti infilzo».

La scoperta dell’America

Fa impressione ed anche un po’ di tenerezza questo psicodramma che si sta svolgendo nelle segrete stanze del partito di plastica. Impressione perché ci si trova di fronte ad una tragedia shakespeariana tramutata in farsa trimalcionesca, tenerezza perché dimostra tutta l’incapacità mostrata fino ad ora da parte dei finiani di comprendere realmente la natura autoritaria del Pdl, un partito-azienda dove risulta impossibile discutere di qualsiasi cosa e dove mostrano, invece, di trovarsi a loro agio gli eredi del mussolinismo, quelli alla Ignazio La Russa, secondo cui Bocchino dovrebbe smetterla di fare la vittima e e alla Gasparri, per i quali il duce non è morto invano.

Solo adesso Bocchino scopre che «non esiste un solo partito democratico dove possa accadere ciò che è accaduto oggi» e che «Berlusconi commette un grave errore che è quello di colpire il dissenso, colpire chi è in vista per educarne cento. Ma questo non porterà il partito lontano». Peccato che sull’argomento siano stati scritti decine di libri e, in particolare, quello illuminante di Giovanni Sartori (“Il sultanato”, Laterza, 2009), nel quale il famoso politologo sottolinea come «Berlusconi secondo me è sempre più megalomane e potrebbe essere pericoloso. A lui interessa comandare, quello che conquista è suo e sul suo comanda lui, punto e basta».

Bocchino ora dice anche che la frattura fra Fini e Berlusconi non è sanabile ma bisogna vedere «se è possibile costruire un partito in cui sia ammesso il dissenso, dove siano presenti una maggioranza e una minoranza oppure se Berlusconi cercherà il pretesto per sfasciare tutto». Il lider maximo sarebbe ossessionato dall’ex vice-capogruppo del Pdl, «è da almeno un anno che chiede la mia testa, perchè ritiene che non possa esserci uno non allineato. Berlusconi mi ha pure chiamato per dirmi di non andare in televisione. Che un leader chiami un dirigente per dirgli questo, è una cosa che non esiste al mondo. In una telefonata, con toni concitati, mi ha pure detto: “Farai i conti con me”». Secondo Bocchino, «non è accettabile che chi ponga in discussione un sistema fondato su un centralismo carismatico che non ha eguali in Occidente, debba essere cacciato o costretto ad andare via. Non è questo il Pdl che sognavamo». Parole nobili, senza dubbio, anche per le orecchie di analisti che da sempre hanno compreso la vera natura del potere politico berlusconiano e che quindi hanno dormito un po’ meno di quanto non abbiano fatto le truppe finiane fino ad ora.

Berlusconi. “Oramai con Fini la rottura è insanabile”

Naturalmente diversa è la versione fornita dal ras di Arcore. «Ho chiamato Bocchino l'altra sera quando doveva andare a Ballarò. Con me è stato anche un po' insolente. Gli ho detto che non si può andare in tv a fare sceneggiate coinvolgendo il partito. Tutti nel Pdl devono capire che non si può sputtanare il partito», avrebbe detto a diversi parlamentari del Pdl. Poi, Berlusconi avrebbe proseguito: «A volte mi verrebbe voglia di mollare tutto, non si può passare tutta una giornata a discutere per questioni di partito. Io ho un Paese da governare e problemi internazionali da affrontare ed è deprimente perdere così tanto tempo per certe cose. Io comunque non sono un irresponsabile e vado avanti. Sarà il partito ad affrontare certe cose». Si attende una prova di lealtà da parte di Gianfranco Fini: «Abbiamo constato che tra di noi non c'è più amicizia, ora vediamo se c'e lealtà da parte sua. Lealtà nei confronti del Pdl ma soprattutto degli elettori. Vedremo se sarà leale in Parlamento. È chiaro che se qualcuno vuole assumersi la responsabilità di far cadere questo governo lo si vedrà in Parlamento e a quel punto la strada per le elezioni sarà l'unica possibile». Ma poi Berlusconi ha rincarato la dose, affermando che «la rottura è insanabile, irreversibile. Ormai Fini guarda a Casini e a Rutelli. Non appartiene più al Pdl e al nostro elettorato». Il Capo guarda con fastidio all’invadenza mediatica del Presidente della Camera (da quale pulpito, verrebbe da dire), perché «trova sempre una solidarietà nei conduttori che cercano di far venire fuori la rissa». Un atteggiamento considerato grave per un Presidente della Camera che «dovrebbe essere sopra le parti e non prestarsi a questo gioco». Il fatto è, ha chiosato ancora il premier, che «Fini per qualche giorno ha mostrato la faccia positiva per recuperare consensi ma poi condisce i suoi comportamenti con atti non chiari». Un premier afflitto, nervoso, tradito.

http://www.dazebao.org/news/index.php?option=com_content&view=article&id=9848:bocchino-lascia-berlusconi-mi-ha-epurato-il-premier-sullorlo-di-una-crisi-di-nervi&catid=37:politica-interna&Itemid=154


giovedì 29 aprile 2010

Pedofilia, dal Vaticano un sabba di menzogne - Paolo Flores d'Arcais


Contro la pedofilia dei suoi preti, sembra proprio che il Papa voglia fare sul serio. Perché allora continua a occultare la verità sul passato e ha messo online un falso? Padre Federico Lombardi, infatti, non agisce di testa propria, è il portavoce della Santa Sede, e inoltre è persona di squisita gentilezza. Se dunque non ha risposte alle “
quattro domande cruciali” che con una mia lettera aperta questo giornale gli ha rivolto una settimana fa non è perché non ha voluto, è perché non poteva: non aveva la “licenza de’ superiori”.

Avesse potuto, infatti, avrebbe dovuto confessare quanto segue: la frase chiave “Va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte” contenuta nelle famose “linee guida” sulla pedofilia, messe online sul sito ufficiale del Vaticano lunedì 12 aprile, e presentate da padre Lombardi come “disposizioni diramate fin dal 2003” (sito dell’
Avvenire, quotidiano della Cei) non risale affatto al 2003 ma è stata coniata nuova di zecca nel weekend del 10-11 aprile.

Al responsabile dell’autorevolissima agenzia internazionale “Associated Press”, Victor Simpson, che chiedeva lumi sulla posizione della Chiesa in fatto di pedofilia, padre Lombardi inviava infatti il venerdì 9 aprile un documento in inglese identico a quello messo online il lunedì successivo, tranne la frase chiave di cui sopra, che non compariva. E che perciò è stata partorita durante il weekend.

Come altro si può chiamare in buon italiano una manipolazione del genere se non un “falso” (“falso: non corrispondente al vero in quanto intenzionalmente deformato”, Devoto-Oli)? Perché tutto l’interesse di quel documento si concentrava nella famosa frase chiave, che non a caso è stata sbandierata come la dimostrazione di una volontà della Chiesa – da anni – di collaborare con le autorità civili, rispettandone le leggi anche quando esse impongono a un vescovo di denunciare alla magistratura inquirente il suo prete sospetto di pedofilia.

E’ dunque falso, assolutamente falso, che la Chiesa cattolica gerarchica avesse già nel 2003 fatto obbligo ai suoi vescovi e sacerdoti di “dare seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte”. All’epoca era vero, anzi, il tassativo obbligo opposto: tacere assolutamente alle autorità civili, in ottemperanza al “segreto pontificio”, che comporta addirittura un giuramento al silenzio fatto solennemente sui vangeli, la cui formula terribile abbiamo riportato in un
precedente articolo (cfr. Il Fatto del 10 aprile).

E’ perciò altrettanto falso quanto ha sostenuto mons. Scicluna nei giorni scorsi, secondo cui “accusare l’attuale pontefice [per quando era cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede] di occultamento è falso e calunnioso (…) in alcuni paesi di cultura giuridica anglosassone, ma anche in Francia, i vescovi, se vengono a conoscenza di reati commessi dai propri sacerdoti al di fuori del sigillo sacramentale della confessione, sono obbligati a denunciarli all’autorità giudiziaria”.

Questa non è la dichiarazione di un carneade qualsiasi, perché, come spiega il suo intervistatore Gianni Cardinale “monsignor Charles J. Scicluna è il ‘promotore di giustizia’ della Congregazione per la Dottrina della Fede. In pratica si tratta del pubblico ministero del Tribunale dell’ex sant’Uffizio”. Che l’affermazione di monsignore sia falsa lo prova
ad abundantiam la testimonianza dei giorni scorsi del cardinale Dario Castrillon Hoyos, tuttora tra i più stretti collaboratori di Papa Ratzinger, che ha ricordato come fosse stato Giovanni Paolo II in persona a fargli scrivere una lettera di solidarietà e sostegno a un vescovo francese che per il rifiuto a testimoniare contro un suo prete pedofilo era stato condannato a tre mesi con la condizionale.

Padre Federico Lombardi ha opposto un “no comment” alle affermazioni (palesemente inoppugnabili) del porporato colombiano, ma ha aggiunto che l’episodio “dimostrava e dimostra l’opportunità della unificazione delle competenze in capo alla Congregazione per la Dottrina della Fede”. Non rendendosi conto che tale “unificazione” avviene nel maggio del 2001, mentre la lettera del cardinale, per volere di Papa Wojtyla, è del settembre dello stesso anno, dunque è successiva, e conferma l’unica interpretazione che di quella “unificazione” si può dare: il più assoluto segreto era assolutamente centralizzato per renderlo ancora più catafratto.

Perché perciò tutto questo sabba di menzogne, visto che Benedetto XVI sembra davvero intenzionato a cambiare atteggiamento, e a non occultare più alle autorità secolari i casi di pedofilia ecclesiastica (il vescovo di Bolzano e Bressanone ha inviato in procura le prime denunce)?

Perché scegliendo la Verità dovrebbe riconoscere che il suo predecessore aveva ribadito come dovere sacrosanto l’omertà rispetto a magistrati e polizia, e difficilmente dopo tale ammissione potrebbe elevare Karol Wojtyla all’onore degli altari.

Perché dovrebbe confessare Urbi et Orbi che la svolta è di questi giorni, e che egli stesso, come cardinale Prefetto (e in larga misura anche nei primi anni del Pontificato) non ha trovato il coraggio di chiedere coram populo (non sappiamo cosa pensasse in interiore homine) una politica della trasparenza e della denuncia ai tribunali, contribuendo con ciò all’impunità di un numero angoscioso di pedofili, che se prontamente messi in condizione di non nuocere avrebbero risparmiato la via crucis di migliaia di vittime.

Perché dovrebbe ammettere che a tutt’oggi il suo portavoce si è prodigato in un lavoro di raffinata disinformacija, e consentirgli (o intimargli: non sappiamo se padre Lombardi soffra per quanto ha dovuto manipolare) di cambiare registro. Perché…

Il Fatto Quotidiano (28 aprile 2010)