mercoledì 5 maggio 2010

Il voltafaccia della Lega - Gianni Barbacetto





5 maggio 2010
Cè, ex assessore alla Sanità della Lombardia isolato dal suo partito: "Avevo denunciato il malaffare"

Ha fatto molta impressione la storia del chirurgo degli orrori, quel
Pier Paolo Brega Massone della clinica Santa Rita di Milano che ora è in attesa della sentenza per aver tagliato polmoni e asportato mammelle senza motivo. Ieri la Regione Lombardia gli ha chiesto 2 milioni di euro come risarcimento per i danni morali e d’immagine. "Ma è proprio il meccanismo della sanità lombarda a essere distorto. È un sistema che spinge a moltiplicare gli interventi". La clinica degli orrori, insomma, è un caso limite, ma il vero orrore è il sistema sanitario di Roberto Formigoni. A sostenerlo è l’ex assessore Alessandro Cè, oggi consigliere regionale giunto alla fine del mandato. Sta mettendo le sue cose negli scatoloni, nei prossimi giorni arriveranno i nuovi eletti.

"Torno a fare il medico. La passione politica resta, ma ho visto troppe cose che non vanno, nei partiti". Leghista bresciano, ex deputato del Carroccio, poi assessore alla Sanità in Lombardia. Attaccato da Formigoni e non difeso dalla Lega, Cè nel 2007 ha sbattuto la porta e se n’è andato dall’assessorato e dal partito. "Sa, io ci credevo nella Lega. E ho sempre fatto nelle istituzioni quello che dicevamo nelle piazze. Nel 2005 ero capogruppo alla Camera e ho fatto votare i nostri contro il governatore di
Bankitalia Antonio Fazio, che la Lega attaccava nelle piazze come il nemico dei risparmiatori, come quello che aveva coperto i crac Cirio e Parmalat. Non mi ero accorto che invece l’aria era cambiata: Fazio aveva incaricato il banchiereGianpiero Fiorani di salvare la banca della Lega, Credieuronord, ed era così diventato grande amico del Carroccio. Ma io sono andato avanti, mi sono rifiutato di passare dalla parte dei risparmiatori a quella dei malfattori. Nelle intercettazioni telefoniche dei furbetti del quartierino ce n’è una che dice: Fermatemi questo Cè. È Fiorani a chiederlo".

In effetti lo fermano. "Mi chiama
Umberto Bossi e mi dice: Torna in Lombardia, ti mettiamo a controllare questo Formigoni. Io obbedisco. Dal 2005 faccio l’assessore alla Sanità. Sono medico, qualcosa capisco. Sapevo che avrei trovato le mani dei partiti sugli ospedali, ma così non me l’aspettavo: controllano tutto, si spartiscono tutto. E Comunione e liberazione la fa da padrona. Sollevo subito il problema, contando sull’appoggio del mio partito. Accuso direttamente Formigoni di controllare militarmente tutta la sanità lombarda. E lui mi toglie le deleghe. È il 30 agosto 2005. La mattina dopo vado a Radio Padania e parlo chiaro. Segue un braccio di ferro durato 40 giorni. Mi chiamano Roberto Calderoli, Roberto Maroni, Umberto Bossi: 'Cambia assessorato, vai al Territorio, non riusciamo più a coprirti. Io rispondo: Non ci penso nemmeno. Alla fine Formigoni mi restituisce le deleghe. Io preparo una riforma del sistema. Resisto fino alla primavera del 2007. Allora mi oppongo a un tentativo di privatizzare il 118, il sistema regionale di pronto soccorso. È la goccia che fa traboccare il vaso. Capisco che la Lega non mi sostiene più. Il 17 marzo do le dimissioni".

Lo sostituisce il medico personale di Bossi,
Luciano Bresciani. Continuità, dunque? "C’è assessore e assessore. C'è anche chi sta lì a fare la bella statuina. Tanto le decisioni le prende il direttore generale della Sanità, Carlo Lucchina. In Lombardia per la sanità si spendono 16 miliardi pubblici e 6 privati: in totale oltre 22 miliardi. Una cifra enorme. E senza controlli adeguati sulla qualità e sanzioni efficaci. Formigoni dice che in Lombardia c’è libertà di scelta e competizione tra pubblico e privato. Non è vero. Il paziente non ha strumenti per scegliere, non può capire la qualità dell’offerta. In realtà è in balìa di un eccesso d’offerta, che i privati moltiplicano nei settori più remunerativi, come urologia, cardiochirurgia, ortopedia, oculistica, emodinamica. Così si moltiplica artificialmente la domanda. Un meccanismo distorto che sottopone i pazienti a ipertrattamento: troppi interventi, anche se non ce n’è davvero bisogno, fatti dai privati per avere i drg (i rimborsi del sistema sanitario, ndr). E poi rincorsa ai drg più costosi: si fanno due visite quando ne basterebbe una, si opera in day hospital quando sarebbe sufficiente l’ambulatorio, si ricovera quando basterebbe il day hospital. Risultato: un finanziamento enorme ai privati. Al pubblico restano i settori dove si guadagna poco come medicina e oncologia".

Non c'è clinica privata a Milano che non abbia avuto inchieste giudiziarie. "Sì, ma la magistratura non ha strumenti sufficienti. E poi l’attenzione viene messa sui comportamenti dei singoli medici, quando invece è il sistema che è criminogeno. Ci vorrebbe una vera programmazione, realizzata sui reali bisogni dei cittadini. Per farla, ci vorrebbero i numeri delle prestazioni offerte, disaggregate provincia per provincia: si vedrebbe subito l’anomalia di zone in cui determinati interventi sono anche del 50 per cento superiori alla media. Ma la Regione dice: non li abbiamo, quei numeri. Non sono mai riuscito a farmeli dare, neppure quando ero assessore. È così che il privato gonfia l’offerta fino ai numeri record della Lombardia: 160 milioni di prestazioni ambulatoriali, 2 milioni e 600 mila ricoveri. Con gli ospedali pubblici che sono sempre in perdita, e le cliniche private che fanno un mucchio di soldi: qualcuno dovrebbe spiegarcela, questa stranezza, no? La verità è che l’obiettivo finale è far sparire la sanità pubblica e dare tutto ai privati". Cè chiude l’ultimo scatolone e torna a casa.

Da
il Fatto Quotidiano del 5 maggio


Il tesoretto della cricca? È rientrato con lo scudo fiscale - Antonio Massaro


5 maggio 2010

Grazie alla legge voluta dal ministro Giulio Tremonti, la "cricca", riuscì a regolarizzare i soldi portati in Lussemburgo. L’operazione risale a pochi mesi fa: è il gennaio 2010 quandoAngelo Balducci, che verrà arrestato il 10 febbraio con l’accusa di corruzione, chiude il conto 1831590, aperto a dicembre 2002, presso la "UniCredit Luxembourg Sa". Sono proprio le autorità bancarie lussemburghesi a dichiarare che Balducci chiude il conto per via dello "scudo fiscale". Anche Claudio Rinaldi, l’ex commissario per i Mondiali di nuoto che si tennero a Roma nel 2009, oggi indagato per riciclaggio, chiude il conto numero 1829850. Stesso motivo: "Scudo fiscale". Stesso luogo, stesso periodo, stessi "amici". E le date, in questa vicenda, possono assumere un’importanza rilevante. Almeno a rigor di logica. Vedremo perché. Altra data da ricordare: il 14 maggio, giorno in cui l’ex ministro Scajola dovrebbe essere ascoltato come persona informata sui fatti dalla Procura di Perugia, che ieri ha ribadito: non è indagato.

Non è provato, per il momento, che il ministro conoscesse la presunta provenienza illecita del denaro, utilizzato da
Zampolini, per emettere gli assegni circolari - 900 mila euro - destinati all’acquisto della sua casa. Non c’è alcuna prova che si trattasse della contropartita per un "favore" fatto da Scajola ad Anemone. Ascoltato come persona informata sui fatti, e non come indagato, l’ex ministro non potrà avvalersi della facoltà di non rispondere e, proprio dalle sue risposte, i pm dovranno provare a saperne di più. Resta fermo un punto: se, e quando venisse indagato, il reato contestato a Scajola sembra destinato a prescrizione certa. I fatti risalgono al 2004. La procura - i pm Federico Centrone, Alessia Tavarnesi e Sergio Sottani - approfondiscono anche i rapporti tra l’ex ministro Pietro Lunardi e altri personaggi della "cricca". Una "cricca" che, come abbiamo detto, a gennaio regolarizza, grazie allo Scudo fiscale firmato Tremonti, i propri conti in Lussemburgo.

È l’8 marzo 2010 quando la Procura di Firenze chiede alla Banca d’Italia, e per la precisione all´Unità d’informazione finanziaria (Uif), di controllare se risultino operazioni sospette a carico dei 71 indagati nell’inchiesta sugli appalti legati al "G8" e alla Protezione civile. La procura, dal canto suo, ha già scoperto che esiste almeno un conto corrente, riconducibile ad Angelo Balducci, collegato alla Svizzera, e per la precisione alla
Bank Julius Baer di Zurigo. Un altro conto corrente, questa volta riconducibile alla famiglia Rinaldi, sarebbe stato invece aperto a San Marino. La risposta della Banca d’Italia è rapida: il 19 marzo arriva la in procura la nota dell’Uif, dove sono allegate le risposte ottenute dei colleghi lussemburghesi.

Di operazioni sospette, Bankitalia, ne segnala otto. Il fronte più delicato, però, sembra proprio quello dei conti all’estero di Balducci e Rinaldi. E quindi torniamo alle date dello scudo fiscale: gennaio 2010. Tremonti ha varato il primo scudo nell’autunno 2009. Nella Finanziaria di fine anno vara lo "scudo 2", al quale, secondo la ricostruzione dei funzionari lussemburghesi, accedono Balducci e Rinaldi. Ma perché decidono, proprio in quel momento, di regolarizzare i conti? I due si avvalgono della stessa variante dello scudo fiscale: si chiama "scudo giuridico" e consiste nel pagare l’aliquota del 5% sulle somme portate all’estero senza, però, doverle rimpatriare.

C’è l’alta probabilità, quindi, che i soldi regolarizzati siano rimasti comunque in Lussemburgo. Siamo a gennaio, le indagini sulla cricca, e sugli appalti legati alla "Protezione civile" sono in corso, quando i due cercano di separare i propri cognomi dai conti. C’è una coincidenza temporale: proprio tra ottobre 2009 e il gennaio 2010, si fanno più intensi i rapporti dell’ex procuratore aggiunto di Roma,
Achille Toro, e l’avvocato Edgardo Azzopardi, amico di Anemone. Contatti che hanno portato la Procura di Perugia a indagare Toro per rivelazione del segreto istruttorio, perché avrebbe rivelato segreti d’indagine relativi all’inchiesta sulla Protezione civile. Un’accusa che ha portato Toro alle dimissioni. E proprio mentre si profilava questa fuga di notizie sull’indagine, Balducci e Rinaldi, decidono di versare il 6 per cento allo Stato per l’operazione.

Senza però aver l’obbligo di far rientrare i capitali. Passano pochi giorni e Balducci viene arrestato. Fin qui la scansione temporale degli eventi. Al momento, i due, hanno però ancora due conti anonimi aperti in Lussemburgo: il conto 507600, intestato alla
Cordusio Spa, il cui beneficiario è Balducci. Il saldo attivo, al 22 febbraio, ammonta a 3.097.000 euro. Stessa storia anche per Rinaldi, che risulta beneficiario del conto 507601 (notare i tre numeri finali: 600, 601), sempre intestato alla Cordusio Spa. Il saldo attivo, al 22 febbraio 2010, ammonta a 2.014.000 euro. E la Cordusio Spa è la società fiduciaria della Unicredit italiana. Infine, dagli atti, risulta un misterioso trasferimento di titoli azionari, dal conto di Rinaldi a quello di Balducci, per altri 931.664 euro. Conti che potrebbero essere presto bloccati, visto che Guy Breistroff , sostituto procuratore Lussemburgo, dichiara alla procura di Firenze: "Siamo disposti a bloccargli i conti se ci farete arrivare richiesta di rogatoria in Lussemburgo".



Tutti gli uomini di 'sciaboletta' di Gianni Barbacetto

Da
il Fatto Quotidiano del 5 maggio

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2484179&title=2484179


Scajola, in un archivio l'ultimo segreto fu la cricca a ristrutturargli la casa


Il ministro: quei due li conoscevo appena. Ma un nuovo documento ora lo smentisce: l'appalto per i lavori al fratello di Anemone, Zampolini direttoredi CARLO BONINI

Conservato negli archivi degli uffici tecnici del Comune di Roma, un documento cui "Repubblica" ha avuto accesso svela l'ultimo segreto dei 180 metri quadri di via del Fagutale 2. Mette a nudo come, anche nel giorno delle sue dimissioni da ministro, Scajola abbia continuato a mentire ("Un ministro della Repubblica, non può sospettare di abitare in una casa in parte pagata da altri"). Il documento porta la data del 16 settembre del 2004. È la "Denuncia di inizio attività" (Dia) con cui il Comune viene informato che "Scajola Claudio, nato a Imperia il 15 gennaio 1948", ha avviato la ristrutturazione dei 9 vani e mezzo catastali di quell'importante "mezzanino" che guarda il Colosseo di cui da metà luglio è diventato proprietario.

Ebbene, la "Dia" certifica che in quel cantiere lavorano in due. "Progettista e direttore dei lavori" è l'architetto Angelo Zampolini, nato a Sellano il 4 luglio 1953 e residente a Roma. L'impresa esecutrice è la "A. M. P. srl" di Roma, con sede in via Sant'Antonio da Padova 13, località Settebagni. Una ditta di cui è proprietario Daniele Anemone, fratello di Diego, il costruttore che ha messo a disposizione, proprio attraverso l'architetto Zampolini, la provvista di 900mila euro in nero necessaria all'acquisto dell'appartamento.

La verità custodita dal polveroso foglio dell'archivio comunale è la prova che via del Fagutale fu un pacchetto Anemone "completo" (ricerca, acquisto e ristrutturazione della casa). E consente di rileggere le parole dello Scajola di oggi e dello Scajola di ieri (intervista a "Repubblica" del 1 maggio) svelandone ancor di più il tratto tanto menzognero quanto protervo. Appena quattro giorni fa, infatti, Diego Anemone viene liquidato da Scajola come ininfluente ricordo di un lontano passato: "Ho conosciuto Anemone da ministro dell'Interno, perché una sua impresa stava effettuando dei lavori di messa in sicurezza dell'alloggio di servizio del ministero (2001 ndr.)". Per non parlare di Zampolini. Il professionista, che la casa a Scajola l'ha trovata, che ha consegnato gli 80 assegni in nero per acquistarla e che - scopriamo ora - ne ha anche diretto i lavori di ristrutturazione, non merita che un'alzata di spalle: "Di Zampolini ricordo poco. Era la persona a cui si era rivolto Angelo Balducci, l'allora provveditore alle Opere pubbliche del Lazio, che si era offerto di aiutarmi a cercare casa a Roma".

Più dignitose di quelle dell'ormai ex ministro suonano le spiegazioni di Zampolini. La circostanza della ristrutturazione di via del Fagutale, risveglia nel professionista qualche ricordo. Interpellato attraverso il suo avvocato Grazia Volo, l'architetto spiega che il "dettaglio" della sua "progettazione e direzione lavori" in casa Scajola, sino ad oggi, gli era passato di mente. Non mette dunque in dubbio quanto documentato dalla "Dia" ma, aggiunge, che "il suo coinvolgimento fu un pro-forma". Insomma, mise il nome e null'altro perché "a tutto pensò Anemone. Lavori, direzione e progettazione di fatto". Non fu dunque pagato da nessuno. Né dal ministro, né da Anemone. O almeno, così dice di ricordare.

Per saperne di più, bisogna allora bussare da Anemone. Con una premessa. La "Dia" degli archivi comunali certifica che i lavori cominciati in quel settembre del 2004 non furono esattamente quella che nel gergo dei muratori di questa città viene definita una "romanella", la "tinteggiatura" a tirar via. Insomma, la rinfrescata degli intonaci che normalmente dà un padrone di casa spremuto nei suoi risparmi dal mutuo per l'acquisto. Dai 9 vani di partenza, Scajola dichiara infatti di voler ricavare due nuove stanze e due nuovi bagni, perché ogni ambiente notte abbia il suo servizio. Lavori a norma che, a prezzi di mercato, significano una fattura che supera certamente i 100 mila euro, a voler stare stretti. Chi li paga?

La voce maschile che risponde alla segreteria della "A. M. P. srl" di Daniele Anemone è tanto gentile quanto inutile. Passa un'intera giornata senza che qualcuno abbia il tempo o la voglia di rispondere se esistano o meno fatture che documentano il pagamento e l'ammontare dei lavori di ristrutturazione di via del Fagutale 2. Il nome di quel cliente - "Scajola" - fa ammutolire. Del resto, all'A. M. P. non tira una buona aria. La ditta, che viene registrata nell'ottobre del '99 come falegnameria, nel tempo, insieme alla gemella "Tecnowood" (ne sono soci Diego Anemone e il suo commercialista Stefano Gazzani), diventa uno dei nodi della ragnatela societaria del Gruppo Anemone. Di più: il veicolo utilizzato per gli acquisti e le ristrutturazioni di pregio di "immobili per conto terzi" (così la ragione sociale), tra cui, sappiamo oggi, è stato appunto anche un "fortunato" e "inconsapevole" Scajola. Della A. M. P., Daniele Anemone, 36 anni, il più giovane dei fratelli, è proprietario per i due terzi (quel che resta delle quote è intestato a Paolo Presciuttini, cugino di primo grado dei fratelli Anemone per parte di madre). E Daniele Anemone di Diego è il braccio. Gli atti dell'inchiesta di Firenze sul G8 della Maddalena lo indicano direttore dei lavori per il lotto di appalti che si è assicurato il Gruppo. Ma, soprattutto, lo vedono, come "A. M. P. srl", vincitore, nel 2005, di un appalto della Protezione Civile di Guido Bertolaso per la ristrutturazione di una sala briefing.

I lavori di ristrutturazione della "A. M. P." per Scajola non sono stati un caso. E non fu lui il primo cliente importante (racconta ai pm di Firenze Laid Ben Fathi Hidri, ex autista di Anemone e Balducci: "So che Anemone ha svolto lavori edili presso le abitazioni di persone importanti, tra cui certamente Scajola"). Il che significa che l'ex ministro avrà una nuova incombenza. Dopo aver promesso che verrà a capo di come sia stato possibile che Diego Anemone gli abbia comprato a sua insaputa i tre quinti della casa che abita, sicuramente vorrà sapere con quale gioco di prestigio quel diavolo di costruttore sia riuscito di nascosto a mettergli a posto anche i bagni e le camere da letto con gli "invisibili" operai del fratello Daniele.


(05 maggio 2010)





Il braccio Violante della legge - Marco Travaglio



4 maggio 2010
Non fai in tempo a elogiare un politico che quello si dà subito da fare per smentirti. Ci era piaciuta la reazione cazzuta diBersani, incalzato ad Annozero. Soprattutto quando aveva detto che “la nostra Costituzione è la migliore del mondo” e, salvo qualche aggiornamento, il Pd intende difenderla con le unghie e coi denti così com’è. Si sperava che il segretario Pd avvertisse subito della svolta i due responsabili del partito per le riforme – Andrea Orlando (Giustizia) e Luciano Violante (istituzioni) – affinché riponessero dialoghi e tavoli finalizzati a “riforme condivise” e si preparassero alla pugna. Invece apprendiamo da Repubblica che Orlando insiste sulla linea tracciata nel memorabile articolo pubblicato sul Foglio di Giuliano Ferrara (forse nella speranza che non lo leggesse nessuno) dal titolo “Caro Cav, il Pd ti offre giustizia”.

Lì, accanto a idee condivisibili come la soppressione dei piccoli tribunali, si leggono autentiche perle di berlusconismo in salsa piddina: almeno tre sintomi della sindrome di Stoccolma, anzi di Arcore, che da anni porta il centrosinistra a subire l’agenda berlusconiana che non punta a riformare la Giustizia per farla funzionare, ma a riformare i magistrati per limitarne l’indipendenza. Primo: “Ridefinire l’obbligatorietà dell’azione penale… individuando le priorità” dei reati da perseguire e da ignorare. Secondo: “Riforma del sistema elettorale del Csm che diluisca il peso delle correnti della magistratura associata”, accompagnata da “una sezione disciplinare distinta” per i magistrati, che finirebbero nelle mani di un organo esterno. Terzo: “Rafforzare la distinzione dei ruoli tra magistrati dell’accusa e giudici” e “i limiti temporali di permanenza nei diversi uffici”, e addirittura “limitare l’elettorato passivo dei magistrati, in particolare di quelli che hanno svolto attività requirenti” (cioè: non si rendono ineleggibili i delinquenti, ma i pm).

Nemmeno una parola sull’abrogazione delle leggi vergogna (
ex Cirielli sulla prescrizione breve, depenalizzazione sostanziale del falso in bilancio e dell’abuso d’ufficio) o sulla necessità di ratificare la Convenzione europea anti-corruzione firmata 11 anni fa dall’Italia e mai tradotta in legge, che punisce il “traffico d’influenze” (il pappa e ciccia gelatinoso, con scambi di soldi e favori, come nel caso della Protezione civile e di casa Scajola). Oltre a richiedere modifiche costituzionali, e dunque uno snaturamento di quella che Bersani definisce giustamente la Costituzione più bella del mondo, le proposte di Orlando ricalcano quelle avanzate a suo tempo dall’anima nera del Pd in materia: Violante. E offrono una sponda formidabile alle porcherie targate Al Fano e Al Nano, proprio mentre i finiani se ne smarcano.

Perdipiù sono follia pura: se si ritiene che i magistrati non possano o non debbano perseguire tutti i reati previsti dal Codice penale, tanto vale depenalizzare quelli in esubero, anziché metterli in coda alle “priorità”. Che senso ha mantenerli come delitti e dire ai cittadini “questo è vietato, ma se lo fai ti perdoniamo”? Oltretutto le “priorità”, essendo una scelta politica, le dovrebbe indicare il governo o il Parlamento, così la politica darebbe ordini alle procure in barba alla separazione dei poteri e all’indipendenza della magistratura sancite dalla Costituzione più bella del mondo. Altrettanto pericoloso il via libera a toccare il
Csm: siccome il Pd è minoranza, aprire quel vaso di Pandora consente alla maggioranza di riempirlo come gli pare, aumentandovi i membri politici a scapito dei togati (come peraltro proposto a suo tempo da quel genio di Violante).

A questo punto, delle due l’una: o il piccolo Orlando non ha visto Bersani ad Annozero; o l’ha visto, ma non l’ha capito. Bersani dovrebbe fargli un riassunto, magari con l’ausilio di qualche disegnino. In caso contrario, dovremo dedurne che Bersani pensa di riformare con
Berlusconi la miglior Costituzione del mondo, per trasformarla nella peggiore.

da il Fatto Quotidiano del 4 maggio


martedì 4 maggio 2010

Palazzo Lunardi - Marco Lillo



4 maggio 2010

Coincidenze: maxi affare comprando da Propaganda Fide, stesso notaio del collega ministro, stesso periodo d’acquisto

C’è un palazzetto nel cuore di Roma che attira l’attenzione della Procura di Perugia. Si trova in via dei Prefetti, a cinquanta metri dalla Camera dei deputati e oggi appartiene alla famiglia
Lunardi. Lo stabile è stato comprato dai Lunardi nel 2004 da un ente religioso nel quale era influente consigliere Angelo Balducci e se n’è interessato - come architetto - proprioAngelo Zampolini, l’uomo che ha portato gli assegni di casa Scajola.

leggi tutto >>

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2483878&yy=2010&mm=05&dd=04&title=palazzo_lunardi

Scajola si è dimesso - Luca Telese



4 maggio 2010

Se Scajola scappa dalla conferenza stampa senza rispondere.

Alla fine il ministro si è dimesso: “Mi devo difendere. E per difendermi non posso continuare a fare il ministro”. Ma io vi chiedo scusa. Solo allora, alla fine della conferenza stampa di
Scajola mi sono accorto che stavo urlando: “Ministro, risponda alle domande! Un ministro non può andarsene senza rispondere! Ministrooo!!!”. Niente da fare: Scajola è scappato via con la bocca cucita, si è volatilizzato nei corridoi, circondato, protetto e inseguito da un codazzo di commessi e di collaboratori, ufficiostampisti. Vi chiedo scusa perché ripensandoci ho avuto un senso di rimpianto e di impotenza: avrei potuto essere più greve, beffardo, ironico. Forse avrei ottenuto una reazione dall'uomo di Imperia, quello di “Ho dato io l'ordine di sparare a Genova”, quello del volo “ad personam” Albenga-Roma (a spese dell'Alitalia), quello di Marco Biagi “il rompicoglioni” che voleva la scorta e si è fatto persino ammazzare dalle Brigate Rosse. Vi chiedo scusa perché noi giornalisti italiani siamo ancora abituati ai codici della buona educazione: di solito ascoltiamo cosa dicono i politici, e poi facciamo le domande. Non immaginiamo che esista l'ipotesi della fuga immediata dell'interessato.

Invece, di fronte al cipiglietto corrucciato di Scajola, alla sua patetica lamentela sulla “campagna mediatica senza precedenti che mi ha colpito” (evidentemente si è scordato del caso
Marrazzo), di fronte al ridicolo fervorino per il “lavoro indefesso” svolto al ministero, non sono riuscito a produrre in diretta l'unica verosimile risposta che Scajola meritava: una pernacchia. Oppure un sonoro “Mi faccia il piacere!”, alla Totò. Non mi è venuto. Non siamo tarati per questo. Non ci spetta la parte dei pubblici accusatori e io credo che sia giusto non farlo. Il nostro lavoro è fare delle domande, cercare delle notizie, provare ad ottenere delle risposte. Eppure, quando si abbassa la soglia di decenza pubblica, quando sono i politici a far venire meno la soglia del rispetto, forse dovremmo prendere delle contromisure, fare delle eccezioni. Quando il ministro Scajola, con aria indignata dice: “Un ministro non può sopportare di abitare in una casa pagata da altri”, è difficile prenderlo sul serio (cosa si immagina di fronte a tanta sofferenza? Commossa solidarietà?). Quando il ministro aggiunge che “Se dovessi acclarare di abitare in una casa che è stata in parte pagata da altri senza saperne il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali avvierebbero immediatamente le operazioni necessarie per l'annullamento del contratto!”. Insomma, la linea è questa: Scajola si sente una povera vittima, perseguitata dai perfidi giornalisti, e ora, forse, ha scoperto un terribile raggiro. Lui pensava di comprare una piccola casetta da seicentomila euro, e un terrificante complotto, per impedire la sua solare carriera da statista, ha portato una scaltra cricca a regalargli novecentomila euro a sua insaputa (che insopportabile violenza). Un collega giornalista, Mattia Feltri, alla fine della conferenza stampa ha commentato: “Correva un grande rischio. E ha preferito passare per imbecille piuttosto che per ladro. Dopotutto è peggio”. Battuta meravigliosa, che però non sottoscrivo. Ho l'impressione che il rischio non sia stato sventato.



LEGGI:
Da Anemone a Zampolini, il cast delle "Case sporche"

Imperia, sul porto l’ombra Balducci-“Sciaboletta” di Pino Giglioli

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2483758&title=2483758



Intervista al maresciallo Vincenzo Lo Zito




Il partito della corruzione è il primo partito italiano.