martedì 1 giugno 2010

L'assalto di Israele alla Freedom Flotilla



Sono state condotte al porto di Ashdod, la "Mavi Marmaris", la nave turca attaccata questa mattina, con a bordo più di 500 attivisti. Secondo la tv Al-Arabiya, un'ottantina di pacifisti che si sarebbero rifiutati di fornire le proprie generalità sarebbero stati arrestati e portati in carcere dalle autorità israeliane, mentre il resto potrebbe essere espulso nelle prossime ore. In porto sono state scortate anche le altre cinque imbarcazioni, oltre l'ammiraglia assaltata dai soldati israeliani sulla quale sono morti dieci pacifisti e feriti almeno 26. Ma le notizie sono ancora frammentarie. Condanne per quanto accaduto arrivano da tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti che si dicono "sconcertati". L'attacco più duro arriva però dal primo ministro turco Erdogan che haparlato apertamente di "terrorismo di Stato". Prevista per le prossime ore la riunione del Consiglio di sicurezza dell'Onu.
Dieci morti, 26 feriti - Almeno 10 passeggeri (in precedenza si era detto 19) della flotta internazionale di attivisti pro-palestinesi "Freedom Flotilla" che si dirigeva verso Gaza sono rimasti uccisi durante l'assalto di un commando israeliano. Secondo le prime informazioni date dalla tv israeleana 10 nell'attacco, avvenuto alle 2 della notte scorsa, sono rimaste ferite almeno 26 persone, tutti cili pacifisti, soccorse e portate negli ospedali israelianai con gli elicotteri e con imbarcazioni della marina. Tra i feriti anche dieci soldati israeliani, due dei quali in modo grave. Ferito anche lo sceicco Read Salah, leader del Movimento islamico israeliano che si trovava tra i passeggeri della flottiglia, non sarebbe tra le vittime ma sarebbe stato ferito e non sarebbe in pericolo di vita. Per il momento non ci sono ulteriori informazioni perché l'area del porto di Ashdod è stata dichiarata zona zona militare e nessuno può accedervi. Nulla sia sa neanche dei 5 italiani, tra cui una giornalista torinese, che facevano parte della "Flottilla".
La dinamica dei fatti non è ancora chiara. Fonti dell'esercito israeliano hanno detto che gli attivisti hanno provato a linciare i soldati non appena sono scesi dagli elicotteri per mezzo di funi. I militari sarebbero stati costretti ad aprire il fuoco dopo essere stati attaccati con coltelli, bastoni e proiettili sparati da due pistole sottratte ai soldati. Le autorità hanno diffuso delle immagini a sostegno di questa versione dei fatti, e anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in visita in Canada, ha espresso il pieno appoggio all'esercito, ribadendo che i soldati hanno il diritto di difendersi.
Gli attivisti: siamo stati attaccati - Totalmente diversa la versione degli attivisti, che accusano di essere stati attaccati dai soldati, saliti a bordo delle navi sparando. Le navi del convoglio, tre delle quali battevano bandiera turca, sono state portate nel porto israeliano di Ashdod. La polizia israeliana ha arrestato 16 attivisti che si sono rifiutati di fornire la loro identità, mentre gli altri saranno espulsi da Israele. A bordo del convoglio c'erano anche cinque italiani, tra cui una giornalista di Torino, Angela Lano, 47 anni, direttrice di Infopal, agenzia specializzata in Medio Oriente.
Netanyhau torna in Israele - L'assalto ha provocato una grave crisi internazionale, costringendo il premier israeliano Netanyahu a interrompere la sua visita in Nord America e ad annullare l'incontro con il presidente Usa Barack Obama a Washington in programma domani, per fare immediatamente rientro in patria. I due hanno avuto un colloquio telefonico, e secondo quanto riporta un comunicato della Casa Bianca, Obama ha chiesto di conoscere la verità sui fatti "il prima possibile". Israele ha intanto elevato il livello di allerta sul fronte nord (con il Libano) e su quello sud (con la Striscia di Gaza). Ma a ribollire è pure il fronte interno degli arabo-israeliani: un leader radicale di questi, lo sceicco Saleh, dirigente del Movimento Islamico in Galilea, partecipava alla spedizione e risulta essere stato ferito. Fatto questo che potrebbe esacerbare gli animi e far salire la tensione fra gli arabi di Israele.
La flottiglia partita da Cipro - La flottiglia, organizzata da diverse Ong internazionali per portare aiuti umanitari nella striscia di Gaza, sfidando l'embargo imposto quattro anni fa da Israele, era partita domenica pomeriggio da Cipro. A bordo delle sei navi con circa 700 attivisti, secondo gli organizzatori, ci sono anche deputati di vari Paesi europei. Tutti insieme trasportavano 10mila tonnellate di aiuti, tra cui 100 case prefabbricate e attrezzature mediche. In Israele intanto forze armate e la polizia sono state poste in stato di massima allerta.
Ferito anche il capitano - L'azione - ripetutamente minacciata da Israele nel caso in cui gli attivisti avessero cercato di forzare il blocco imposto attorno alla Striscia fin dall'avvento al potere degli islamico radicali di Hamas, nel 2007 - è avvenuta di notte in acque internazionali, a qualche decina di miglia dalla costa. Lo scontro a fuoco è avvenuto dopo che tre unità della marina israeliana hanno intercettato e attaccato una imbarcazione turca della "Freedom Flotilla". Tra i feriti, alcuni dei quali sono già stati trasferiti in ospedale, ci sarebbe il capitano della nave assaltata.
A bordo anche un bimbo di 6 mesi - C'è anche un bimbo di appena sei mesi, oltre a circa 800 altre persone, a bordo della nave turca "Mavi Marmaris" intercettata con altri cinque natanti dalla Marina israeliana. Lo ha dichiarato Veisel Basar, membro del consiglio di amministrazione della Fondazione umanitaria turca "Diritti Umani e Libertà " (Ihh), parlando con l'agenzia Anadolu. Dopo che i natanti sono stati intercettati, ha detto ancora Basar, è stata subito istituita una unità di crisi per seguire la situazione. "Prima dell'assalto in mare, gli israeliani hanno interrotto le comunicazioni con le navi. Ma da una fonte a bordo della nave abbiamo ricevuto un video sugli incidenti. Nelle immagini si vedono i militari israeliani che salgono a bordo da imbarcazioni o calandosi da elicotteri. Si vedono anche i feriti riuniti nella parte centrale del ponte della nave. Non abbiamo informazioni certe".
Ministro israeliano "rammaricato" - Il ministro israeliano per il Commercio e l'Industria, Binyamin Ben-Eliezer ha espresso il proprio "rammarico per tutte le vittime" dell'assalto della marina alla flotta di attivisti pro-palestinesi diretti a Gaza. "Le immagini non sono certo piacevoli. Posso solo esprimere rammarico per tutte le vittime" ha detto il ministro alla radio dell'esercito.
Rischio di nuovi scontri - In Siria, intanto, otto gruppi palestinesi con base a Damasco hanno chiesto agli stati arabi e musulmani di dare supporto alla "Flotilla" ed hanno avvertito Israele di evitare "ogni sciocchezza per ostacolare le navi". "Ciò potrebbe creare nuove tensioni e imprevedibili reazioni", hanno fatto sapere i gruppi palestinesi, tra cui Hamas e Jihad islamica.
Italiani a bordo, da questa notte nessuna notizia - Ci sono anche alcuni italiani, almeno cinque, fra gli attivisti della flottiglia. Lo riferisce la Farnesina interpellata sulla vicenda. Le fonti del ministero degli Esteri italiano riferiscono anche che non risultano italiani coinvolti nella sparatoria che ha provocato morti e feriti. L'ambasciata italiana in Israele ha comunque inviato alcuni funzionari ad Haifa, dove la flottiglia verrà scortata dalle forze israeliane, per verificare la situazione sul posto. Da questa notte però non si hanno notizie degli attivisti italiani. Il silenzio sarebbe infatti calato sulla loro sorte perché gli israeliani avrebbero sequestrato i telefoni cellulari.
"Gli israeliani ci stanno intercettando" - C'è anche una giornalista di Torino tra i cinque italiani che si trovavano a bordo di una delle navi del convoglio umanitario, diretto a Gaza. Angela Lano, 47 anni, era a bordo della "8000 - Freedom for prisoners. Freedom for Gaza" insieme ad alcuni colleghi. "Di lei - dicono adesso alla Infopal, l'agenzia di stampa on line di cui è direttore - non abbiamo notizie. L'ultima telefonata ci è giunta alle 2 della notte scorsa: diceva 'gli israeliani ci stanno intercettando'. Poi, il nulla".
Nei giorni scorsi le minacce di Israele - Per arrivare nell'enclave palestinese, le sei navi dovevano superare il blocco israeliano. "Abbiamo la ferma intenzione di arrivare a Gaza malgrado le intimidazioni e le minacce di violenza che abbiamo ricevuto", aveva detto domenica uno degli organizzatori della "Freedom Flotilla". Alcune navi della flottiglia battono bandiera turca e una Ong turca sarebbe uno dei principali organizzatori dell'intera operazione di invio di aiuti a Gaza sotto assedio. Israele, la quale nega che a Gaza sia in atto una crisi umanitaria, aveva ripetutamente avvertito che avrebbe impedito alla flottiglia di arrivare nella Striscia ma si era offerto di far pervenire a destinazione gli aiuti, dopo ispezione, tramite un valico terrestre. Per Israele, perciò, l'intera operazione è una "provocazione" studiata con l'intento di diffamare la sua immagine agli occhi del mondo.
Il convoglio umanitario - La flotta di attivisti pro-palestinesi è formata da sei navi, tre traghetti e tre cargo. A bordo ci sono complessivamente circa 650 persone di vari paesi, in buona parte sono turchi, ma anche europei, e materiali da costruzione, medicinali e generi di prima necessità. Lo riferiscono i siti della Bbc e di giornali turchi e internazionali. Tre navi sono fornite dalla Ong turca legata al governo Insani Yardim Vakfi (Ihh, Fondazione per l'aiuto umanitario). Fra queste c'è l'ammiraglia della flotta, il traghetto "Mavi Marmaris", con 600 persone a bordo, dove è avvenuta la strage. Altre tre navi sono fornite dalla Ong internazionale Free Gaza Movement, network con sede a Nicosia, a Cipro, che raccoglie gruppi in Grecia, Germania, Irlanda e Scozia. Due di queste unità sono greche, il traghetto "Sfendoni" e il cargo "Libertà del Mediterraneo". A organizzare la spedizione hanno contribuito anche gruppi greci e svedesi e l'Organizzazione malese "Perdana per la pace globale". Le navi erano salpate domenica dalla Repubblica turca di Cipro e sarebbero dovute arrivare oggi a Gaza. A bordo c'erano fra gli altri la premio Nobel per la pace irlandese Mairead Corrigan-Maguire e il giallista svedese Henning Mankell.
31 maggio 2010







Discarica inquinante, indagato il sindaco di Palermo



Palermo, 31-05-2010

Disastro doloso, inquinamento del sottosuolo, gestione abusiva di discarica, abbandono di rifiuti speciali, truffa: questi alcuni dei reati ipotizzati nei confronti del sindaco di Palermo Diego Cammarata al quale è stato notificato stamattina un avviso di garanzia in relazione alla discarica di Bellolampo e alla gestione della municipalizzata Amia, adesso commissariata, che si occupa della gestione dei rifiuti in città.


Nelle scorse settimane la procura aveva svolto una serie di accertamenti che avevano portato a scoprire la presenza di un liquido estremamente velenoso, il percolato, e le sue infiltrazioni nel sottosuolo. In particolare erano state scoperte tracce di sofiti, nitrati e metalli pesanti nelle acque di alcuni pozzi della zona. Tutti segni che suggeriscono l'esistenza dell'infiltrazione dalla discarica di Bellolampo, che sorge su una collina sopra la città.


La municipalizzata, commissariata, al lavoro per ridurre i danni
"Dal 24 al 30 maggio il prelievo di percolato nella discarica di Bellolampo è passato da duemila a tremila tonnellate e, grazie all'affidamento del servizio a più ditte di smaltimento, la raccolta salirà fino a quasi quattro mila tonnellate a settimana", hanno speigato i commissari straordinari dell'Ania, Sebastiano Sorbello e Paolo Lupi.


Asciugare il lago
L'Amia sostiene di essere "impegnata in una massiccia azione di prelievo del liquido stagnante in superficie, con la prioritaria finalità di prosciugare il 'lago' che costituisce il più immediato pericolo per l'ambiente. Ciò consentirà anche di abbassare il livello dell'accumulo di liquido nella quarta vasca, di procedere alla chiusura della falla apertasi nei mesi scorsi in una parete e di completare le opere di messa in sicurezza dell'area di sversamento".


Interviene la Protezione civile
E' stata inoltre ripristinata l'attività di pretrattamento dei rifiuti, con il potenziamento dell'impianto da 400 a 600 tonnellate al giorno di capacità, con la sistemazione dei due impianti esistenti, con il noleggio di un terzo tritovagliatore che sarà consegnato a giorni e con l'acquisto, grazie ad un finanziamento della Protezione civile per circa cinquecentomila euro di un nuovo impianto. L'insieme di questi interventi ha "adeguato la capacità di pretrattamento alla quantità di rifiuti, circa millecinquecento tonnellate, conferita quotidianamente in discarica, e ha anche consentito - affermano i commissari straordinari - di smaltire i cumuli di rifiuti da trattare, la cui giacenza nel piazzale aveva reso necessaria l'ordinanza del premier Silvio Berlusconi".


http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=141495



L'orchestrina del Titanic - Marco Travaglio


lunedì 31 maggio 2010

Fini e i “suoi” si giocano il futuro in sette giorni - Paolo Flores d'Arcais


il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2010


Cosa faranno i “finiani” da grandi, cioè nei prossimi giorni, quando si tratterà di approvare o bocciare la legge-golpe contro le libertà e la sicurezza degli italiani? L’onorevole Italo Bocchino, il ventriloquo più accreditato del presidente della Camera, e l’onorevole Augello, in odore di “più malleabile”, hanno manifestato soddisfazione dopo l’incontro con i pasdaran del Caimano, Alfano e Ghedini.

L’accordo infatti sarebbe stato raggiunto (nel mondo di Arcore il condizionale è obbligatorio) sulle seguenti modifiche: per i giornalisti che pubblicano intercettazioni (legali) solo (sic!) un mese di carcere, e anzi il diritto a pubblicarne riassunti (“quanto è buono Lei…”), e per gli editori ridotta la multa minima da 64 mi-la euro a 25 mila e quella massima da 465 mila a 300 mila.

Nulla di nuovo per i magistrati, invece, che alle intercettazioni efficaci per le indagini in sostanza dovranno rinunciare, come dichiara perfino un magistrato misuratissimo quale il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini. Con l’aggravante, anzi, dell’efficacia retroattiva, attraverso l’azzeccagarbuglio di una norma transitoria che secondo un altro magistrato misuratissimo, il presidente dell’Anm Luca Palamara, provocherà “un vero sterminio tra le inchieste in corso”.

La tattica di Berlusconi è fin troppo smaccata: dividere i giornalisti dai magistrati, qualche contentino ai primi e giro di vite senza pietà sui secondi. Come se la posta in gioco fossero i diritti (per B. disgustosi privilegi) di magistrati e giornalisti, anziché le libertà e la sicurezza dei cittadini. Libertà di essere informati, di non essere ridotti al black out sistematico sui fatti, come i sudditi del fascio o della nomenklatura brezneviana, e sicurezza che crollerebbe, con criminali di ogni risma cui la libertà dalle intercettazioni sarebbe vera manna di impunità e incentivo al delitto.

Per l’accoppiata Bocchino-Augello questo secondo aspetto della legge-golpe non sembra un problema, la parte su intercettazioni e magistrati va bene così. Ma così, cricche e stupratori, mafiosi e grassatori, sorridono e ringraziano. E infatti l’onorevole Granata, diversamente finiano, promette un altolà, magari alla Camera, proprio su questa seconda parte, sul “tana libera tutti” che suonerebbe per i delinquenti l’invereconda quantità di lacci e lacciuoli posti alla possibilità di efficaci “pedinamenti ” tecnologicamente aggiornati.

Qui non si tratta ovviamente di dedicarsi a ridicole sottigliezze politologiche sulle diverse “anime” della già troppo circoscritta “fronda” finiana. Ma chiunque capisce che la questione è di fondo: se davvero la scelta di Fini è ben rappresentata dalla soddisfazione querula e insopportabilmente pimpante con cui l’onorevole Bocchino ha difeso ad “Annozero” tutte le nefandezze ammazza-indagini della legge-golpe (neanche Ghedini avrebbe saputo fare di meglio – cioè di peggio, s’intende), anziché dalle perplessità e conseguenti altolà (sperando che non arrivino precisazioni a “passo del gambero”) dell’onorevole Granata, non si tratterà di una qualsiasi contingente preferenza del presidente della Camera per uno o l’altro dei suoi “bracci destri”.

Si tratterà di un’ipoteca sulla scelta esistenziale ed etica, e dunque più che mai politica, che su questi temi l’onorevole Fini alla fine dovrà fare, come tutti gli italiani del resto, tra due modelli nei rapporti tra eroismo e mafia: quello di Paolo Borsellino e quello di Vittorio Mangano. Su questi temi, infatti, “tertium non datur”, perché la zona grigia di una mancata scelta radicale, quali che siano gli argomenti addotti e la buonafede di chi li enuncia, ha sempre fatto comodo a mafie sempre meno solo kalasnikov e sempre più sofisticatamente intrecciate con attività finanziarie, cricche di appalti e ponziopilatismi della politica.

Sappiamo quale sia stata la scelta di Berlusconi. Coerente in ogni sua manifestazione, sia verbale che fattuale. Di Fini conosciamo quelle verbali, anche reiterate, che in politica però – se politica seria – contano zero. A partire da lunedì, quando la legge-golpe pro-crimine e contro le indagini sarà discussa e votata in aula al Senato, sapremo anche la sua scelta fattuale, che darà l’imprinting morale e il marchio politico al suo futuro e alla sua credibilità.


Scusate il ritardo - Marco Travaglio



30 maggio 2010
Con la dovuta calma, una decina d’anni di ritardo non di più, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e l’on. Walter Veltroni, membro dell’Antimafia, scoprono che le stragi del 1992-’93 furono “subappaltate a Cosa Nostra” per spianare la strada a “una nuova forza politica” (Grasso), a una “entità esterna” (Uòlter): una roba talmente misteriosa che l’ha intuita persino Cicchitto. E tutti a meravigliarsi, a scandalizzarsi, ad accapigliarsi sulla sconvolgente novità. Chi scrive lo disse in tv a Satyricon nel 2001 e lo scrisse conElio Veltri ne L’odore dei soldi, mentre decine di altri libri, in Italia e all’estero, giungevano alle stesse conclusioni. Per avermi consentito di dirlo, da 9 anniDaniele Luttazzi non può più lavorare in tv, né sotto la destra né sotto la sinistra. Intanto Grasso, da procuratore di Palermo, assieme al Csm estrometteva dal pool antimafia tutti i pm che indagavano su quella pista. E Veltroni, segretario Pd nel 2007-2009, elogiava Berlusconi “interlocutore indispensabile sulle riforme”, rivendicava il dovere di “non attaccarlo più” e poneva fine all’“éra dell’antiberlusconismo” (peraltro mai iniziata).

Si dirà: oggi ci sono novità, parlano
Ciancimino jr e Spatuzza. Nulla, però, al confronto delle sentenze che da anni immortalano i moventi delle stragi e della nascita di Forza Italia. Nel 1998, archiviando B. e Dell’Utri indagati a Firenze per concorso nelle stragi del 1993, il gip Soresina scrive che i due hanno “intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista”; esiste “un’obiettiva convergenza degli interessi politici di Cosa Nostra rispetto ad alcune qualificate linee programmatiche della nuova formazione (Forza Italia, ndr): 41 bis, legislazione sui collaboratori di giustizia, recupero del garantismo processuale asseritamente trascurato dalla legislazione dei primi anni ‘90”. Al punto che “l’ipotesi iniziale (il coinvolgimento di B. e Dell’Utri nelle stragi, ndr) ha mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità”. Nel 2001 la Corte d’Assise d’appello di Caltanissetta condanna 37 boss per la strage di Capaci e, nel capitolo “I contatti tra Riina e gli on. Dell’Utri e Berlusconi”, scrive che nel 1992 “il progetto politico di Cosa Nostra mirava a realizzare nuovi equilibri e nuove alleanze con nuovi referenti della politica e dell’economia”. Cioè a “indurre alla trattativa lo Stato ovvero a consentire un ricambio politico che, attraverso nuovi rapporti, assicurasse come nel passato le complicità di cui Cosa Nostra aveva beneficiato”.

Nel 2004 il Tribunale di Palermo condanna Marcello Dell’Utri a 9 anni per concorso esterno in mafia e scrive che nel ‘93 Provenzano “ottenne garanzie” che l’indussero a “votare e far votare per Forza Italia”, con cui aveva “agganci” pure il boss stragista
Bagarella. Garanzie fornite da Dell’Utri, che ha avuto “per un trentennio contatti diretti e personali” con Cosa Nostra svolgendo una “attività di costante mediazione tra il sodalizio criminoso piú pericoloso e sanguinario del mondo e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi, in particolare la Fininvest”, nonché una “funzione di ‘garanzia’ nei confronti di Berlusconi”. Nei “momenti di crisi tra Cosa Nostra e la Fininvest”, Dell’Utri media “ottenendo favori” dalla mafia e “promettendo appoggio politico e giudiziario”. Rapporti che “sopravvivono alle stragi del 1992-93, quando i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla ‘vendetta’ di Cosa Nostra”. Forza Italia nasce nel ’93 da un’idea di Dell’Utri, il quale “non ha potuto negare” che ancora nel novembre ’93 incontrava Mangano a Milano, come risulta dalle sue agende, mentre era “in corso l’organizzazione del partito Forza Italia e Cosa Nostra preparava il cambio di rotta verso la nascente forza politica”. Infatti Dell’Utri prometteva “alla mafia precisi vantaggi politici e la mafia si era vieppiù orientata a votare Forza Italia”. Ora lo scoprono pure Grasso e Uòlter. Non è mai troppo tardi. Ma che riflessi, ragazzi.

da Il Fatto Quotidiano del 29 maggio 2010

Report 30/05/10 Il boccone del prete 8-8


Report 30/05/10 Il boccone del prete 7-8