venerdì 4 giugno 2010

La menzogna di EZIO MAURO


C'è qualcosa che lega insieme l'attacco di Berlusconi a Repubblica, durante l'ultima puntata di Ballarò, (dopo che Massimo Giannini gli aveva ricordato le sue dichiarazioni di sostegno agli evasori fiscali), le accuse all'Ipsos perché Nando Pagnoncelli aveva semplicemente illustrato il suo calo di consensi nei sondaggi, e la legge che vuole imbavagliare la stampa: è l'uso della menzogna come arte di governo, per la paura - anzi il terrore - che il Premier prova per la verità.

In due occasioni il Presidente del Consiglio (2004 e 2008) aveva pubblicamente spiegato che bisogna considerare "giustificabile" l'elusione o l'evasione quando le tasse sono troppo alte (come in Italia), perché in questo caso l'evasione "è in sintonia con l'intimo sentimento di moralità" del contribuente. L'altra sera ha preferito dimenticarsene, negando platealmente la realtà, pur di rientrare in qualche modo dentro la cornice di emergenza economico-finanziaria disegnata dal suo ministro dell'Economia, che ormai lo commissaria persino in tivù.

L'accusa all'Ipsos e a Pagnoncelli è la conferma di una visione totalmente ideologica del Paese e della politica, dove non c'è spazio per l'irruzione della verità e i sondaggi che non certificano l'immutabilità perenne del consenso e del comando sono automaticamente "fasulli": semplicemente perché non coincidono con l'immagine che il leader ha di sé, e che lo specchio magico dei suoi telegiornali gli restituisce ogni giorno, rassicurandolo nel controllo della realtà.

Il rifiuto di ogni contraddittorio, confermato da quel telefono riagganciato in diretta televisiva dopo il diktat sovrano, è la prova di un arroccamento più impaurito che arrogante, con il Premier ormai incapace di discutere e di accettare un confronto. Si capisce perfettamente, dopo l'ultimo reality show berlusconiano, la legge bavaglio: impediamo ai giornali di raccontare la realtà, così un'unica verità di Stato verrà distribuita ai cittadini del più felice Paese del mondo. Ma le bugie hanno le gambe corte, e il tempo dell'inganno è scaduto.


http://www.repubblica.it/politica/2010/06/03/news/mauro_3_giugno-4531219/



Un governo di lealtà istituzionale per uscire dalla crisi


di
Paolo Flores d’Arcais, il Fatto Quotidiano, 4 giugno 2010


Giovanni Sartori è il più illustre politologo italiano e l’unico di indiscussa statura internazionale (al top, anzi). Ed è anche un liberale coerente, ormai “rara avis”, anzi rarissima, nel “bel paese là dove ‘l sì suona”, e massime nel quotidiano dove Sartori scrive. Vale perciò discutere seriamente il suo ultimo editoriale sul
Corriere della Sera, nel quale si domanda “Come reagirà il Paese quando la mannaia comincerà davvero a decapitare?”. Dove la mannaia è la manovra economica (a mio modo di vedere super iniqua) e il quando si riferisce al momento non lontano in cui i cittadini si accorgeranno che taglia loro pesantemente sia la borsa che la vita (la sanità). Sartori aveva pronosticato che il governo Berlusconi non sarebbe durato i cinque anni canonici. Ora, elegantemente, non maramaldeggia con quanti avevano giurato sul contrario (in primis gli editorialisti del Corriere!), e anzi, avanzando le due possibili reazioni popolari (“ragionevole, seppur dolentissima rassegnazione, oppure un crescendo di ribellismo”) si limita a un minimalistico “Beato chi lo sa”.

Ma poi passa a esaminare le “tre soluzioni” che “nelle emergenze prevede la dottrina” senza neppure considerare tra di esse un governo di Berlusconi. Le soluzioni sarebbero dunque, classicamente: “Primo, un governissimo, detto di solito governo di unità nazionale, un governo con tutti dentro. Secondo, una
Grosse Koalition alla tedesca, un governo dei partiti maggiori... Infine, terzo, un governo tecnico (pur sempre sottoposto, s’intende, al controllo del Parlamento) i cui dicasteri sono affidati a tecnici invece che a politici di mestiere”. Conclusione di Sartori: “Il governo tecnico sarebbe probabilmente la formula più intelligente. E per ciò stesso la meno probabile”.

So bene che nel nostro mondo di opposizione civile la discussione su questo tema viene considerata di lana caprina: l’una soluzione vale l’altra, e comunque sceglieranno sempre persone pessime, vengano dalla “casta” o dai “poteri forti”. Cosa cambia per la democrazia italiana se al posto di Bondi e Alfano ci ritroviamo con Montezemolo e Geronzi, o Socci e Feltri invece di Gelmini e Carfagna, o la Marcegaglia in luogo di un Tremonti? In effetti, dalla padella nella brace.

Ma perché mai considerare che l’opposizione civile debba restare alla finestra, assistere passivamente a giochi più o meno torbidi ma tutti interni al Palazzo, e opachi nelle manovre che determineranno la prossima “soluzione”? Se si ritiene, prestando attenzione all’analisi di Sartori, che il governo Berlusconi potrebbe cadere, per l’effetto congiunto delle sue già presenti contraddizioni (vedi Fini) e del crescere dello scontento socio-economico, perché l’opposizione civile non dovrebbe avanzare una propria ipotesi per “uscire” dalla crisi, anziché limitarsi alla geremiade che se non è zuppa sarà pan bagnato?

Le elezioni anticipate sarebbero infatti la peggiore delle “soluzioni”, visto che si svolgerebbero in condizioni che definire inquinate sotto il profilo democratico è veramente il minimo. Se c’è chi controlla quasi totalitariamente la principale risorsa elettorale moderna, la comunicazione, siamo già in condizioni di competizione non-democratiche. E si tratterà perciò di ripristinarle, prima di andare ad un voto-farsa. Tanto più che nel frattempo potrebbe essere stata approvata la legge-golpe, e nulla sapremmo più (in attesa del Tribunale di Strasburgo) di corruzioni, grassazioni e altri crimini di quanti si (ri)candideranno a governarci, e chi non sa non può scegliere, come ammoniva un liberale che più moderato non si può, il primo presidente eletto della Repubblica, Luigi Einaudi.

Ecco perché continuo a insistere che le opposizioni coerenti dovrebbero fin da ora agitare l’obiettivo di un “governo di lealtà istituzionale”, che si differenzia dalla proposta di Giovanni Sartori solo perché entra nel merito, indicando il programma e le persone (non so perciò se si differenzi davvero: forse Sartori auspica programmi e persone non tanto diversi).

E cioè: il ripristino delle condizioni minime democratiche implica l’abrogazione di tutte le leggi che hanno messo in mora porzioni crescenti del potere autonomo della magistratura (con buona pace di Montesquieu e delle successive “balances of powers”), la liberazione dell’etere dal sequestro pluridecennale berlusconiano (vero e proprio “esproprio proprietario”), una legge elettorale – maggioritaria o proporzionale che sia – che si adatti però alla crisi italiana, evitando ogni strapotere di minoranza e riducendo quello di tutte le oligarchie partitocratiche rispetto agli elettori. Un governo, infine, che nell’anno di vita necessario per queste misure minime, realizzi quello che tutti dichiarano improcrastinabile: repressione spietata dell’evasione fiscale, autentica “macelleria sociale”. Quanto alle persone, un ex presidente di Corte costituzionale o un governatore della Banca d’Italia, e i nomi dell’eccellenza che l’Italia possiede nei vari campi, nomi da avanzare al momento delle lotte. In Parlamento e nelle piazze. Perché è evidente che un obiettivo del genere non lo si può ottenere, e neppure porre, se non attraverso la lotta. Ma se non crediamo che la lotta possa “pagare”, perché continuiamo a firmare appelli, scendere in piazza, indignarci e scrivere? Tanto varrebbe andare a cuccia e “non disturbare il manovratore”.

Se nel momento più alto del maggio ’68 le opposizioni a De Gaulle avessero unanimemente proposto un governo Mendes-France, molte cose sarebbero state diverse. La “soluzione” o la tragedia con cui si “uscirà” dalla crisi sarà perciò la risultante delle forze e delle lotte in campo, di cui anche gli attuali parlamentari subiranno l’influenza.

(4 giugno 2010)



Inchiesta sul terremoto coinvolti i soliti noti


3 giugno 2010
Gli indagati sul sisma dell'Aquila sono sette alti dirigenti della Commissione "Grandi Rischi". L'accusa è omicidio colposo. Per il procuratore capo Alfredo Rossini "non diedero l'ordine di evacuazione". Tra loro Franco Barberi e Bernardo De Bernardinis. Il primo già a processo per lo scandalo della missione Arcobaleno (1999). Il secondo coinvolto, ma poi prosciolto, nell'inchiesta sull'alluvione di Vibo Valentia del 2006 che provocò quattro morti.

Franco Barberi, Bernardo De Bernardinis e
Gian Michele Calvi. Sono tre i nomi già noti alle cronache sulla Protezione civile, tra quelli dei sette membri della Commissione Grandi Rischi indagati dalla procura dell’Aquila per non aver evacuato la città prima del terremoto del 6 aprile 2009. Su di tutti spicca Franco Barberi. Il predecessore di Guido Bertolaso è a capo della Protezione civile quando scoppia lo scandalo della missione Arcobaleno. Missione umanitaria voluta dal governo D’Alema nel 1999 per sostenere i kosovari in fuga dalla loro terra bombardata dalla Nato che cerca di scacciare le truppe dell’allora leader serboSlobodan Milosevic. L’inchiesta parte per verificare presunte irregolarità nella gestione dell’operazione stessa. In particolare nelle forniture delle divise a vigili del fuoco, Protezione civile e polizia di Stato attraverso la società “no profit” Cesar. Nel 2008 Barberi è rinviato a giudizio insieme ad altre 16 persone. L’accusa per lui è di associazione per delinquere. Per la procura di Bari, secondo quanto riporta l’Ansa, Barberi avrebbe ottenuto la rimozione del prefetto Bruno Ferrante (“che si adoperava contro gli interessi dell’associazione”) dall’incarico di capo di gabinetto del ministero dell’Interno. Il tutto abusando “di una fitta rete di rapporti personali intrattenuti con esponenti apicali della politica, del governo, del sindacato e della pubblica amministrazione”. All’organizzazione è contestato poi di aver favorito ditte amiche nell’aggiudicazione di appalti pubblici (fornitura di divise alle forze di polizia). Il processo, iniziato a marzo 2009, va avanti a rilento. Una serie di rinvii delle udienze per incompatibilità di alcuni giudici sta mettendo a rischio la conclusione del dibattimento. Visto che la prescrizione arriverà tra un anno e mezzo.

Altro indagato di lusso è stato Bernardo De Bernardinis, influente funzionario della Protezione civile. Nel 2009 la procura di Vibo Valentia ne chiede il rinvio a giudizio insieme ad altre dieci persone per le presunte responsabilità connesse all’alluvione avvenuta nella città calabrese il 3 luglio 2006, in cui morirono quattro persone. I reati contestati agli indagati, a vario titolo, sono omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, disastro ambientale. Ma il giudice dell’udienza preliminare proscioglie tutti, per non aver commesso il fatto.

Di Gian Michele Calvi, poi,
Il Fatto Quotidiano ha messo in evidenza qualche mese fa il ruolo di punto di contatto tra il duo Berlusconi Bertolaso da una parte e, dall’altra, Gianpaolo Tarantini, ras della sanità pugliese coinvolto nello scandalo delle escort a palazzo Grazioli. Braccio destro di Bertolaso e fratello di quel Gian Luca Calvi, amministratore delegato della Myrmex, che ha rilevato l’azienda della famiglia Tarantini, Gian Michele ancora oggi è uno degli uomini più influenti nella Protezione civile: a lui è stata affidata la guida del progetto Case, ovvero la ricostruzione post terremoto all’Aquila.


LaPresse

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giovedì 3 giugno 2010

Pino Maniaci scrive al Premier

di Pino Maniaci - 3 giugno 2010
Pubblichiamo di seguito la lettera che Pino Maniaci, giornalista d'inchiesta e direttore di TeleJato, ha inviato al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. La lettera, decisamente accusatoria, è stata letta dallo stesso Maniaci durante l'ultimo incontro del Festival delle Radio Universitarie 2010 a Perugia.

All'incontro, dedicato ai media come strumento di lotta alla criminalità organizzata, ha visto una Sala dei Notari colma e interessata e ha visto la partecipazione anche di Danilo Sulis.

"Gentilissimo Presidente,

le scrivo in rappresentanza delle centinaia di testate locali che ogni giorno, nel nostro Paese, si battono per la libertà di espressione. Piccoli "nidi di ragno" innestati in territori spesso difficili o come, nel nostro caso, in terra di mafia, clientelismo e corruzione.
Gentilissimo Presidente, ogni giorno "giornalisti per amore" vengono pestati, minacciati, intimiditi per l'unica colpa di volere raccontare la verità, di tentare di rendere onore ai padri costituenti che ci regalarono l'articolo 21 della Costituzioni ed, insieme ad esso, la democrazia e la libertà col costo di migliaia di vite umane.
Siamo carne da macello, signor Presidente, alla mercè di mafiosi, politici corrotti e battaglie, nelle denunce da Trento a Trapani. Siamo anche quelli che conoscono meglio il territorio, perchè lo viviamo ogni giorno. Perchè col mafioso e col politico corrotto che denunciamo spesso ci tocca dividere il bancone dello stesso bar. Siamo anticorpi democratici di un Paese che, anche grazie al suo Governo, sta andando in cancrena. Abbiamo mille volti e mille mezzi. Siamo blogger, speaker, redattori, scriviamo via web, parliamo via etere, raccontiamo su carta. Non siamo giornalisti ma veniamo perseguitati come tali. Abbiamo i nostri eroi, alcuni scolpiti nella storia come Peppino Impastato, altri fortunatamente ancora liberi di esperimere il proprio pensiero come Carlo Ruta o Riccardo Orioles. Soprattutto gentilissimo Presidente abbiamo fatto la nostra scelta: la nostra libertà vale molto di più della nostra vita.
Dove non hanno potuto i bossoli, le lettere intimidatorie, le minacce, le denunce, le querele mirate, dove non ha potuto la più potente ed influente famiglia politico/mafiosa della Sicilia, non potrà una legge canaglia come quella sulle intercettazioni.
Lei e il suo fido Alfano v'illudete che una norma moralmente illegale possa diventare prassi solo perchè vergata su crismi di burocratica legalità.
Signor Presidente noi continueremo a fare il nostro lavoro, raccontando quello che avviene, anticipando la notizia, veicolando le news e se il caso, scrivendo quello che (secondo voi) non si deve raccontare.
"Disonorare i mascalzoni è cosa giusta, perchè, a ben vedere, è onorare gli onesti". Sa perchè gentilissimo Presidente non potrà mai batterci? Perchè giochiamo su un terreno a lei sconosciuto. Quello della libertà individuale che diventa patrimonio collettivo. Non siamo in vendita e sappiamo "resistere" a tutto.
Siamo liberi e quello che facciamo lo facciamo di tasca nostra, rischiando di nostro. Perchè è facile dire per una grande testata "noi resisteremo" dall'alto d'avvocati ben pagati e gruppi editoriali forti ma è ben più difficile farlo quando quel poco che hai in soldi di carta e rabbia ti serve anche per mangiare ogni giorno.
Ma lo facciamo in tutta Italia, da classici signor Nessuno, senza enfasi o protagonisti. Perchè amiamo il bello del nostro Paese e ogni muro amico che ci ha visto piangere o sognare. Perchè diciamo ogni giorno di voler mollare ed ogni giorno troviamo la forza di andare avanti. Perchè amiamo le nostre donne e ci perdiamo negli occhi dei nostri figli a cui vorremmo consegnare qualcosa di più bello del Paese attuale.
Ed abbiamo riferimenti etici alti: Pietro Ingrao, Vittoria Giunti, Luigi Ciotti, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e quel Pietro Calamandrei che dei partigiani italiani diceva così: "Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all'Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile: quella di morire, di testimoniare con la fede e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole: quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno di una società più giusta e più umana, di una solidarietà a tutti gli uomini alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono ai nostri morti. Non dobbiamo tradirli".
Non li tradiremo signor Presidente.
"Se ci volete silenti dovrete spararci" dicemmo, ad uno scagnozzo mafioso che ci intimava di tacere.
Lo ripetiamo a lei che con l'aureola della legalità vuole imporci lo stesso mafioso silenzio.
Non taceremo e non molleremo neppure un centrimetro. Quindi signor Presidente non ha altra scelta: ritiri la legge o prepari tanti proiettili, perchè siamo in molti. Indietro non torniamo... neanche per prendere la rincorsa.

Tratto da: radiophonica.com



Terremoto a l'Aquila: Blog che non servono a niente

3 giugno 2010


Qualcuno dice che i blog non servono a niente. Non la pensano così alla Procura dell'Aquila, che oggi ha formalizzato l'iscrizione nel registro degli indagati di 9 nove persone collocate ai più alti vertici della Protezione Civile e dell'INGV -l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia - con l'accusa di omicidio colposo.

Nella stesura dei fascicoli, come mi è stato confermato dal coordinatore delle indagini. hanno trovato spazio anche molte delle inchieste di Byoblu.Com. Tra queste La videocassetta che uccide, la testimonianza della censura che alti profili istituzionali legati alla Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009 hanno imposto a una troupe Rai che aveva appena realizzato, nello stesso giorno, un'intervista a Giampaolo Giuliani.

Mentre
Bernardo De Berardinis, il vicecapo della Protezione Civile che sarebbe anche coinvolto nell'accusa di procurato allarme piovuta su Giuliani per gli inesistenti fatti di Sulmona, durante la conferenza stampa che si tenne alla fine dei lavori della Commissione Grandi Rischi diceva "La comunità scientifica conferma che non c'è pericolo, perché c'è uno scarico continuo di energia; la situazione è favorevole", nella sala di rilevamento allestita da Giuliani per volontà del sindaco Cialente, sotto alla scuola De Amicis, nonostante l'avviso di garanzia il tecnico aquilano diceva a una troupe Rai che si aspettava altri forti terremoti, ed addirittura un evento molto forte in meno di una settimana. Sei giorni dopo, la catastrofe.

Dovevano passare otto mesi perché
Giuliani venisse completamente prosciolto dall'accusa di procurato allarme, e ancora adesso la leggenda metropolitana alimentata da uno dei più grandi tentativi di mobbing su vasta scala che il degrado politico, scientifico e morale di questo paese potesse mai partorire stenta a soffocare la sua eco, con un duplice incalcolabile danno. Il primo sofferto dalla popolazione abruzzese che, in conseguenza dell'avviso di garanzia, non ha potuto essere allarmata da Giuliani quando i suoi sistemi gridavano di abbandonare la nave; il secondo inflitto all'immagine stessa della ricerca sulla prevedibilità dei terremoti che ancora oggi, complice la disinformazione dei media, sconta i famigerati fatti di Sulmona, anche se nel fascicolo accompagnatorio al proscioglimento totale il gip di Sulmona si spinge addirittura a riconoscere i legami tra le emissioni di radon e il verificarsi dei terremoti.
Altri sei mesi, dopo il decadimento di ogni accusa nei confronti di Giampaolo Giuliani, e gli stessi nomi accusati dal documento
La videocassetta che uccide vengono ora indagati dalla Procura dell'Aquilaper omicidio colposo. Tra le prove raccolte figura proprio l'intervista a Cristiano, l'operatore Rai che ho incontrato lo scorso settembre a Bologna, e il materiale su Giuliani girato dalla Rai alla De Amicis, che l'assalto dei pirati dell'informazione in acque internazionali, ovvero nel tratto autostradale tra L'Aquila e Roma, ha sequestrato perché non andasse in onda. Tutto materiale disponibile come extra nel doppio dvd INTERNET for GIULIANI, che si può acquistare per sostenere l'informazione libera del blog.

Adesso, dopo che perfino
schegge impazzite dell'INGV scoprono il radon e si mettono al lavoro per mettere in relazione, quantitativamente, le emissioni di questo gas con la probabilità che si verifichino forti sismi - con l'obiettivo dichiarato di brevettare il sistema - per coloro che alla fine dellaCommissione Grandi Rischi si telefonavano per ridere alle spalle di quello scemo di Giuliani i tempi si fanno decisamente duri.

Del resto, non può mica piovere per sempre.

p.s. Domani inizierò la pubblicazione degli ordini dei dvd, elencando in una pagina apposta, a mano a mano che verranno gestiti, i nominativi e le date di spedizione.

Tratto da: byoblu.com


I partiti mai a dieta - Gian Antonio Stella


Corriere della Sera, 3 giugno 2010

E’ nero su bianco: il mondo della politica sempre più bulimico e obeso non ce la fa proprio a impegnarsi in una dieta radicale. Neanche in momenti come questo. Basta leggere il decreto pubblicato dalla Gazzetta ufficiale. Certo, molti paletti in più per arginare abusi e megalomanie, soprattutto nelle periferie, ci sono. E nel faticosissimo groviglio di commi e codicilli che ridicolizza i proclami sulla semplificazione, par di capire che finalmente (salvo ripescaggi durante l’iter parlamentare…) quella leggina che anno dopo anno versava ai partiti i rimborsi elettorali per l’intera legislatura anche se questa era defunta, sarà rimossa. Bene.

Spiegare ai cittadini, e in particolare ai dipendenti pubblici, che per colpa della crisi è obbligatorio intervenire immediatamente sulle buste paga loro mentre quel taglio alla politica scatterà solo dai prossimi rinnovi del Senato e della Camera (fra tre anni), dell’Europarlamento (fra quattro) e dei consigli regionali (fra cinque, per la maggior parte) non sarà però facile per il governo. Ma come: la situazione è così grave da imporre il blocco di salari coi quali le famiglie faticano a vivere ma non così grave da bloccare i doppi pagamenti a partiti per una legislatura che non c’è più?

Vale per quella leggina, vale per il taglio ai rimborsi. Che non solo scatterà anche in questo caso negli anni a venire, ma è stato ridotto al minimo del minimo. Sia chiaro: i partiti sono tra i pilastri della democrazia. Ed è interesse di tutti che vivano. Magari non è opportuno, se vogliamo buttarla sull’ironia, che si arrivi a registrarne ufficialmente 156. Ma guai a chi li tocca: ne andrebbe della libertà. Detto questo, i nostri si sono gonfiati e gonfiati fino ad allagare la società, le istituzioni, le municipalizzate, l’economia, il calcio, il teatro, le bocciofile, tutto. E a pesare come in nessun altro posto al mondo. Ricordiamolo: ogni francese contribuisce al mantenimento dei partiti con circa 1,25 euro, ogni tedesco con 1,61, ogni spagnolo con 2,58, ogni italiano con 3 euro e 38 centesimi negli anni «normali» come il 2006, addirittura 4 e 91 centesimi negli anni grassi di doppia razione grazie all’infernale meccanismo in fase di soppressione. Un confronto inaccettabile. Tanto più rispetto a paesi come gli Stati Uniti, dove il finanziamento pubblico alle forze politiche è limitato alla campagna presidenziale: 50 centesimi ad americano. Ogni quattro anni.

Bene, se è vero che per curare uno Stato troppo ingordo occorre «affamare la bestia», anche i nostri partiti avrebbero bisogno di essere «affamati»: partiti diversi, politica diversa. Il progetto di Tremonti era ambizioso: un taglio del 50%. Poi è sceso al 30%, poi al 20%, poi al 10%... Una sforbiciata che, ammesso resista a nuovi aggiustamenti in Parlamento (ci proveranno, ci proveranno…) lascerà comunque agli italiani, in questo settore, il primato dei più «generosi».

Ma un segnale almeno, se proprio il governo non può metter becco nei bilanci di organismi come Quirinale, Camera, Senato, poteva essere dato: l’abolizione di quell’indecente regoletta che consente a chi regala soldi a un partito di ottenere sgravi fiscali fino a 51 volte superiori a quelli che avrebbe donando il denaro a chi si occupa della ricerca sul cancro o della cura di bambini leucemici. Non era una questione di soldi: di principio. È rimasto tutto com’era.