mercoledì 13 ottobre 2010

“Il 16 ottobre a Roma per il Lavoro, la Democrazia, il Sud”




Dal Mezzogiorno un appello del mondo della cultura e dell’università ad aderire alla manifestazione indetta dalla Fiom.


da sinistrasvegliati.org

Molteplici sono le ragioni per aderire il prossimo 16 ottobre alla manifestazione nazionale della FIOM CGIL, in difesa dei diritti e del lavoro. E nel Sud del nostro Paese queste ragioni sono amplificate dal sottosviluppo e dalle gravi responsabilità del governo.

Il Mezzogiorno sprofonda oggi in una crisi dalle molte facce.

C’è il cancro della criminalità, che controlla vaste aree. C’è il “paradosso della doppia migrazione”, con i migliori giovani del Mezzogiorno che se ne vanno in cerca di lavoro e tanti stranieri che arrivano, trovando ben scarsa capacità di accoglienza e, nel migliore dei casi, un lavoro irregolare. C’è la devastazione del territorio, con una teoria ininterrotta di emergenze, spesso interconnesse: dai rifiuti, all’abusivismo edilizio, al dissesto idrogeologico. C’è il crescente depauperamento del sistema delle infrastrutture, con la vicenda infinita dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria ormai diventata l’emblema stesso del fallimento dello Stato.

E tutto ciò oggi è reso ancora più drammatico dalla crisi economica in atto, che qui si infrange più duramente che altrove. Certo, tutto il Paese è in ginocchio e la stessa tenuta dell’Unione Monetaria Europea sembra a rischio. Ma altrove le forze per resistere si organizzano e provano ad uscire dal tunnel. Mentre, alle condizioni attuali, il Mezzogiorno non ce la fa. Il suo tessuto produttivo risulta troppo indebolito dagli effetti dell’apertura dei mercati, dal fallimento completo delle cosiddetta “nuova programmazione” per il Mezzogiorno, dal colpevole disimpegno del governo nazionale.

E certo non è credibile pensare di rilanciarne le sorti inseguendo una competitività da bassi salari e scarsi diritti. Ormai sappiamo bene che si tratta di una strada non solo profondamente iniqua ma anche strategicamente fallimentare.

È iniqua, perché costituisce un arretramento inaccettabile nelle condizioni di vita e nella dignità dei lavoratori meridionali. Non può esserci una democrazia “parziale”, in cui i diritti delle persone cessano di essere tutelati una volta varcata la soglia del luogo di lavoro oppure messo piede al Sud; e se è questa la premessa del federalismo fiscale sarà bene rispedirlo al mittente. Ma è anche una strada fallimentare sul piano della politica economica, perché è ormai dimostrato che non è la compressione dei salari che può consentirci di fronteggiare la concorrenza cinese o quella indiana, oppure ridare respiro ai mercati di sbocco delle piccole imprese meridionali. Ci vuole ben altro: investimenti, infrastrutture, ricerca scientifica, politiche industriali autentiche. Tornare a discutere seriamente di lavoro, sviluppo, “questione meridionale”.

Il Mezzogiorno – come il resto del Paese – ha una sola opzione di fronte a se: scommettere e investire sul capitale umano, non mortificarlo, e imparare a competere nei settori più avanzati dell’”economia della conoscenza”, quella della produzione di beni e servizi ad alta tecnologia e ad alto tasso di sapere aggiunto.
E’ necessario un radicale cambiamento di rotta che, con la creazione di una “nuova industria” fondata sulla conoscenza, consenta una maggiore e migliore occupazione e riaffermi principi di democrazia nei luoghi di lavoro e, quindi, nella società.

Per tutte queste ragioni aderiamo alla manifestazione nazionale indetta dalla FIOM CGIL. E invitiamo tutti i meridionali a farlo.

Luigi Amodio (direttore generale Fondazione IDIS)
Stefano Balassone (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa)
Sergio Brancato (Università degli Studi di Salerno)
Guido D’Agostino (Presidente Istituto Campano per la Storia della Resistenza)
Laura Capobianco (Istituto Campano per la Storia della Resistenza)
Elena Coccia (avvocato, Esecutivo Nazionale Giuristi Democratici)
Pietro Greco (giornalista scientifico e scrittore)
Carlo Iannello (Seconda Università di Napoli)
Ugo Leone (Presidente Parco Nazionale del Vesuvio)
Luigi Mascilli Migliorini (Università di Napoli l’Orientale)
Pietro Masina (Università di Napoli l’Orientale)
Vittorio Mazzone (Presidente Centro Culturale "Insieme")
Walter Palmieri (ricercatore CNR di Napoli)
Rosario Patalano (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Raffaele Porta (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Riccardo Realfonzo (Università del Sannio)
Settimo Termini (Università degli Studi di Palermo)

Per aderire:
info@sinistrasvegliati.org
info@cirem.it

(12 ottobre 2010)



Nell'inferno di Terzigno.- di Arianna Ciccone



L'inchiesta sulle incredibili condizioni di vita accanto alla discarica riaperta da Bertolaso in Campania. Un reportage realizzato da Valigia Blu e finanziato dagli abitanti della zona. (11 ottobre 2010)


Questo reportage, realizzato dall'Associazione Cittadini Giornalisti e da Valigia Blu, è stato finanziato dai cittadini (soprattutto di Terzigno, Boscoreale, Napoli e Caserta) attraverso la piattaforma internet per il finanziamento solidale delle inchieste giornalistiche, YouCapital.


Ma è un'emergenza rifiuti o un'emergenza democratica? Me lo sono chiesto subito appena arrivata a Terzigno e alla discarica S.A.R.I riaperta due anni fa da Guido Bertolaso per risolvere l'emergenza rifiuti della Campania. Era una ex discarica, gli abitanti del vesuviano aspettavano da tempo la bonifica e si sono ritrovati senza fiatare la riapertura, con la promessa che entro un anno il volume dei conferimenti si sarebbe ridotto al minimo grazie all'entrata in funzione del termovalorizzatore di Acerra. Peccato però che questo, ad oggi, funzioni parzialmente: due linee su tre non sono attive mentre l'unica linea funzionante la settimana scorsa si è fermata per un guasto. Pare che accada spesso. Per quel sacrificio i comuni investiti dalla discarica avrebbero usufruito delle compensazioni, soldi che non sono mai arrivati.


Arriviamo alla discarica lungo un percorso fatto di autocompattatori dati alle fiamme durante una delle proteste e parcheggiati lì a colare percolato e liquidi scuri. Ai lati della strada quello che doveva essere uno dei più bei posti dell'Italia, chilometri di vigneti, frutteti, alberi di ulivo e di noccioline ricoperti totalmente di polveri, in un abbraccio violento tra bellezza e bruttezza. Come se un alito di morte avesse soffiato su tutto quel ben di Dio. L'odore è insopportabile, indecente, sconvolgente. La discarica S.A.R.I. è una zona protetta dai militari, inaccessibile, ma da un lato è possibile vedere tutto, alzandosi su alcune cancellate che fiancheggiano un maneggio, dove soprattutto i bambini vengono a cavalcare.


È enorme e fa impressione avere davanti l'immensità del Parco Nazionale del Vesuvio scavato da dentro da cave ormai inquinate come fossero tumori. Gli operai stanno lavorando e spostano i rifiuti in compagnia dei gabbiani, i veri padroni della zona. La loro presenza tra l'altro è la spia di una discarica "fatta male". Il Vesuvio è patrimonio dell'Unesco, la Commissione Petizioni del Parlamento europeo in visita ad aprile ha dato parere negativo all'apertura delle discariche.


Ma bastava la logica per arrivare alla stessa conclusione: in questo territorio aprire discariche è un vero e proprio "crimine" ambientale. E ora pensano di aprire la seconda: Cava Vitiello, che diventerebbe la discarica più grande d'Europa con una capacità di stoccaggio stimata ben oltre i 10 milioni di tonnellate. Questo significa che l'emergenza non si concluderà mai, che ci saranno altri 20 anni di sversamento. La gente è scesa in strada per dire basta. No alla Cava Vitiello, chiusura della S.A.R.I., rifiuti zero.


E rifuti zero è lo slogan dei comitati cittadini e dei collettivi, che hanno cercato di mettere in rete le proteste a livello regionale. A coordinarli un gruppo di ragazzi giovanissimi, che hanno anche organizzato incontri per informare la cittadinanza, come quello con Carla Poli del Centro di riciclo di Vedelago, Treviso, che riesce a riciclare il 99 per cento dei rifiuti. Quello che non fa e dovrebbe fare la politica lo fanno i cittadini. «Se i leghisti protestano stanno difendendo il territorio. Se protestiamo noi siamo camorristi», dice una signora che insieme alla figlia è all'appuntamento nella piazza di Boscoreale per la marcia di protesta. Il problema investe almeno 200 mila persone, in strada ce ne saranno un migliaio. «Io in quanto cittadina sono lo Stato», dice una ragazza : «Questa gente mi sta costringendo a combattere contro lo Stato, contro me stessa. Dicono che ci organizza la Camorra. Ma non è vero, la Camorra ha tutto l'interesse nelle aperture delle discariche. E non è vero che siamo violenti, non siamo di certo noi a bruciare i camion. Siamo gente perbene. Siamo schiacciati dalla camorra da un lato e dallo Stato dall'altro».


«Noi ai politici non ci crediamo più, non ci fidiamo più di nessuno, di Bertolaso, di Berlusconi, destra, sinistra. Noi siamo soli, soli contro di loro». Stiamo parlando di una discarica con fuoriuscite di biogas e percolato lasciato a cielo aperto, quando la legge prevede la raccolta e il trattamento, una discarica che nessuno può controllare, nel bel mezzo di un Parco Nazionale, in una zona vulcanica. E i cittadini non possono sapere.

Solo gli odori nauseabondi hanno fatto scattare l'allarme nei paesi vesuviani. Per legge una discarica dovrebbe stare ad almeno due, tre km da un centro abitato. Qui parliamo di poche centinaia di metri. Una puzza che ti rimane addosso, che ti entra negli occhi. Io dopo appena due ore avevo occhi, narici e gola che mi bruciavano. A Boscoreale la Sala consiliare del Comune è occupata dai collettivi che si battono da anni per i rifiuti zero. Il sindaco (Pdl) è in una tenda in piazza (per protesta contro l'apertura della seconda cava ha fatto lo sciopero della fame interrotto poi con una pizza subito dopo la rassicurazione del Presidente della Provincia).


«Berlusconi assicura che non aprirà la cava, verrà a parlare con noi, forse sabato prossimo. Noi speriamo, avevamo puntato per la nostra economia alla vicinanza con Pompei, il turismo... Ma come si fa con questa puzza che ha già fatto danni enormi? Lungo il Vesuvio la strada dei ristoranti è deserta, 700 posti di lavoro a rischio. Qui ora i tedeschi vengono sì ma per fotografare le nostre proteste e i cumuli di immondizia. Abbiamo sbagliato la prima volta quando non abbiamo protestato per l'apertura della S.A.R.I. e adesso ci vogliono venire ad aprire la Cava Vitiello. E pensare che siamo il territorio della pietra lavica. Al danno si aggiunge la beffa noi qui facciamo la raccolta differenziata fino al 55-60 per cento, poi arrivano i rifiuti indifferenziati di Napoli e ce li scaricano in testa a noi». Molti abitanti vengono in piazza a discutere con il sindaco, sono delusi, preoccupati, esasperati. «Dovremmo protestare perché non c'è lavoro per i nostri figli, protestiamo per l'aria che respiriamo». Con Alessio, Francesco e Antonio andiamo a "visitare" le discariche abusive. Dove sversa senza pietà ogni notte la camorra.


Il problema non è solo la S.A.R.I., non è la discarica di Stato. Qui la gente vive letteralmente immersa in una discarica. Cumuli di rifiuti, di lamiere di eternit, di immondizia ovunque. Degrado urbano, carcasse di cemento di edifici abusivi e sfarzosissimi alberghi-ristoranti si alternano lungo tutto il percorso. Un po' favelas e un po' Scarface. Sì, questa è emergenza democratica. «Sono anni che protestiamo, sono anni che aspettiamo che lo Stato ci liberi dall'Antistato», ci dice un poliziotto che ha chiesto di non essere schierato "contro" i suoi concittadini durante le manifestazioni, « e cosa ci siamo ritrovati? Uno Stato che ci impone di rinunciare al nostro diritto alla salute e al nostro diritto di sapere». È difficile veramente districarsi in questi luoghi, non è facile capire. Si intrecciano interessi a più livelli. È tutto così fumoso. Intuisci però che la partita è un'altra e tra politica e criminalità organizzata è tutta giocata sulla pelle di queste persone. Andiamo di nuovo a visitare la discarica S.A.R.I., ma si vede che qualcuno ha avvertito i militari e la polizia. Stiamo ben attenti a non oltrepassare le aree di divieto, i militari da dentro la discarica ci tengono sotto controllo. Sulla strada di ritorno, sospettando un posto di blocco, nascondiamo tutto e mettiamo in sicurezza video e foto. Evitiamo il primo posto di blocco, ma non riusciamo ad evitare il secondo. Un numero impressionante di carabinieri ci ferma, abbiamo le macchine identiche a quelle dei lanciatori di pietre contro le forze dell'ordine. Ma guarda un po'. Ci chiedono i documenti, non li registrano e dopo un po' ridendo ci dicono: «Ma voi non siete lanciatori di pietre vero? Avete le facce dei giornalisti».


Sulla strada di ritorno incrociamo la macchina della protezione civile che col megafono annuncia la supplica alla Madonna di Pompei per il giorno dopo. Ci fermiamo a parlare. Le ragazze ci spiegano che la supplica è per chiedere la Grazia per non far aprire la seconda discarica. Ma come voi siete la protezione civile, siete proprio voi che la volete aprire... «Noi non lavoriamo per Bertolaso», ci dicono, « noi lavoriamo per il sindaco».


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/nellinferno-di-terzigno/2136128//1


Il video è su:

http://espresso.repubblica.it/multimedia/video/26493119



lunedì 11 ottobre 2010

"Dalla parte del conflitto, senza interessi". Domani tutti a Palazzo Grazioli


di
Stefano Corradino

"Dalla parte del conflitto, senza interessi". Domani tutti a Palazzo Grazioli

L'articolo di Alexander Stille pubblicato ieri suRepubblica fornisce una motivazione ulteriore per condurre una battaglia senza sconti sul tema del conflitto di interessi. Analizzando la diffusione di internet nei paesi avanzati Stille rivela come il nostro Paese sia, anche su questo terreno, fanalino di coda dietro paesi come la Lettonia, la Repubblica Ceca e la Slovenia. E ci ricorda che, in nome della (presunta) austerità il governo ha tolto 900 milioni di fondi per la banda larga stanziati a suo tempo dal governo Prodi peraltro irriso dal centrodestra perché "troppo pochi" (occorrono almeno 3 miliardi). Stille commenta giustamente questa scelta con la paura del premier che la rete, e la possibilità di scaricare film possano sottrarre ascolti all'impero mediatico (e cinematografico) di Silvio Berlusconi.
Le preoccupazioni del premier sullo sviluppo della rete sono "politiche" oltre che economiche allorchè, all'indomani delle reazioni all'aggressione di Milano e del primo
"No B Day" cresciuto grazie al tam tam sulla rete furono chieste forme di regolamentazione della rete (per non chiamarla censura). "Internet - scriveva Stefano Rodotà su Repubblica nel dicembre 2009 - diventa il luogo che genera odio, secerne umori perversi. E questa sua nuova interpretazione travolge quella precedente: il "No B Day" è presentato come un momento d'incubazione dei virus che avrebbero reso possibile l'aggressione a Berlusconi, Internet come lo strumento in mano a chi incita alla violenza..." Da lì i vari tentativi di imbavagliare la rete ultimo dei quali quello relativo al ddl sulle intercettazioni con la minaccia, attraverso l'equiparazione dei giornali on line dei blog alle testate tradizionali, di multare siti e provider costringendoli alla chiusura.

L'articolo di Stille ci fornisce pertanto l'ennesima sacrosanta motivazione per promuovere una mobilitazione comune e senza steccati ideologichi contro i conflitti di interesse e per impedire che le posizioni politiche ed imprenditoriali dominanti e gli interessi personali possano nuocere alla libertà di espressione e alla libera concorrenza.

Anche per questa ragione abbiamo deciso di accogliere l'invito del magazine "
Caffeina" e di "Current tv" per partecipare martedì 12 ottobre alle ore 17 ad una tavola rotonda sulla terrazza di Palazzo Grazioli dal titolo “Dalla parte del conflitto, senza interessi”. "Sarei davvero contento - ci ha scritto Filippo Rossi - se il nostro appuntamento potesse contare sulla partecipazione e sul contributo ideale di Articolo 21, da sempre in prima linea su questi temi. Temi che ci riguardano tutti e che dobbiamo affrontare senza barricate né paraocchi, senza etichette né pregiudizi. Perché il futuro del nostro paese passa anche (o forse soprattutto) da qui. Dal coraggio di ripensare le cose dette e pensate, dalla forza d'immaginare l'Italia di domani finalmente libera da troppi conflitti d'interessi".

Qualche settimana abbiamo lanciato sul sito un appello per una legge sul conflitto di interessi (firmato da migliaia di cittadini) perchè la riteniamo una priorità non più rinviabile e condizione sine qua non per tornare ad essere un Paese normale. Il problema, o per meglio dire la metastasi, oggi si chiama Berlusconi. Ma domani potrebbe avere lo stesso nome o un altro e rappresentare gli stessi o altri interessi in palese conflitto.

corradino@articolo21.info

FIRMA L'APPELLO: "Subito una legge sul conflitto di interessi. Ora o mai più"

http://www.articolo21.org/1895/notizia/dalla-parte-del-conflitto-senza.html


Falò di tessere elettorali contro la discarica


Napoli, notte di falò e di blocchi stradali a Terzigno, dove prosegue la protesta degli abitanti contro la realizzazione di una seconda discarica nel parco nazionale del Vesuvio

domenica 10 ottobre 2010

Tecniche di manipolazione dell'informazione



di Salvo Vitale

Giornalmente se ne studiano nuove, ma i principi di fondo sono quelli di sempre:
-L’importante non è “fare”, ma “far credere di fare”;

-Una notizia non è tale, un avvenimento non esiste, se non viene comunicato.

-La comunicazione è in grado di creare colpevoli e innocenti, buoni e cattivi, eroi e vigliacchi, grandi uomini e piccoli vermi, di trasformare cattivi politici in abili statisti e abili statisti in cattivi politici, secondo l’orientamento predeterminato del giudizio da comunicare e secondo lo spazio dato alla notizia.

E andiamo a casa nostra: è accertato da “Reporter sans frontière” che l’Italia occupa il cinquantaduesimo posto,( credo che quest’anno siamo scesi giù di altri quattro posti), tra i paesi semiliberi, per quel che riguarda la libertà di stampa e d’informazione. Peggio delle peggiori dittature africane o arabe. Attraverso il meccanismo della distribuzione pubblicitaria, quasi interamente dirottata su Mediaset e grazie ai finanziamenti statali, i giornali, soprattutto quelli di partito, hanno creato una rete di “giornalisti dipendenti”, proni alle direttive dei partiti che li pagano o dei padroni di testate che fanno riferimento a questi partiti o ricevono da essi commesse pubblicitarie. Giornalmente, una equipe di cervelli decide quali devono essere le notizie da prima pagina, quale la notizia d’apertura, quali sono i termini da usare per rendere il fatto appetibile o poco credibile, importante o irrilevante. Sulla base della linea giornaliera, per lo più indicata dai giornali al soldo del governo, gli altri si allineano riproducendone l’impostazione, con lievi differenze. E’ ormai passata come cosa abituale la foto giornaliera del premier, a dimensioni diverse, a colori o in bianconero, in abito blu su uno sfondo bianco o azzurro, in primo piano o in compagnia, col sorriso o con lo sguardo truce, a seconda degli eventi del giorno. Tutti i giornali, di maggioranza, di opposizione o quelli che si professano equidistanti, sono schiavi di questo ritratto, reso obbligatorio dal principio semplicissimo che il personaggio è ormai penetrato in ogni angolo e diventato indispensabile nell’immaginario collettivo: pertanto parlarne o diffonderne l’immagine aiuta a vendere.. In tal senso uno dei giornali più recidivi, è Repubblica, (e il suo partner settimanale, “L’Espresso”), la quale spesso pubblica, sul quotidiano o sul magazine tre o quattro foto del premier, cui si associano altrettante foto dei suoi lacchè, chiamali ministri o leccaculo di vario genere. Anche “Il Fatto quotidiano” di Travaglio cade spesso in questa trappola. In televisione, secondo una mia recente ricerca, il 28% dei telegiornali inizia con la parola “Berlusconi”, o, in ogni caso lo cita in secoda o terza notizia: segue una sorta di rassegna degli “uomini di regime” che ricorda, per molti aspetti il Politbureau e i sistemi di comunicazione sovietici. Non c’è proporzione con le immagini dell’opposizione, spesso inesistenti o irrilevanti. Una volta stabilita l’impostazione del notiziario del giorno, lanciato in prima stesura da Canale 5 e dal Giornale, questo viene passato, per lo più attraverso l’Ansa, a tutti i telegiornali, da Sky alla Rai, alla 7, che si allineano pedissequamente alla direttiva di regime. Pertanto il tutto è omogeneizzato in una dimensione monocromatica: stesse notizie, stesse parole, stessi giudizi, spesso nello stesso momento. Ci sono poi tecniche più raffinate, sino a rasentare il ridicolo, che caratterizzano i giornali interamente schiavizzati dai soldi del premier, ma non solo quelli:

1) Lanciare la notizia, possibilmente gossip, come un’esca all’amo. Aspettare che il giornalista, di opinione possibilmente opposta, abbocchi e poi stroncarlo come uno che invece di fare giornalismo serio cerca calunnie per infangare il nemico politico. La vicenda di Noemi, tirata fuori per prima dai giornali del Berlusca, o quella delle orge di Villa Certosa, disegna chiaramente questa strategia del boomerang che non torna ai furbi che lanciano lo strumento, ma a coloro che lo raccolgono per rilanciarlo, convinti di fare lo scoop.

2) Ribaltare la notizia, rivoltarla nel suo opposto, specie se essa è scarsamente credibile. “Libero” del 16-6 ce ne da un esempio: Berlusconi va alla corte di Obama, dopo avere ricevuto alla propria corte, con incredibili buffonate, Gheddafi. Obama non lo caca se non per quel che si può fare con un alleato ininfluente e da sempre asservito alle direttive americane. Il giornale del “duce”, Libero, spara un titolone in prima pagina: “Obama a Silvio: Aiutami”. Grandi risate: il capo della nazione più grande e più ricca del mondo chiede aiuto al guitto di una nazione che ha il debito pubblico più alto del mondo!!!! Eppure, chi ha studiato questo titolo ha cercato di trasmettere l’immagine del ragazzino Obama davanti allo scafato e saggio Berlusconi che dispensa consigli, gli fa il piacere (vedi che sforzo!!!) di mettere in prigione in Italia tre criminali del campo di concentramento americano di Guantanamo e gli mette a disposizione, come già deciso mesi fa, altri ottocento baldi soldati per rialzare le sorti languenti della guerra americana contro i talebani dell’ Afghanistan. “Silvio, Aiutami”. Figurarsi!!! Si può arrivare a questo grado di cialtroneria? Sì, e si può andare ancora oltre: si noti: per gli americani, dire, quando si incontra una qualsiasi persona conoscente la frase “Nice to see you, my friend” è un’abituale frase di saluto: i giornali schiavi hanno voluto far credere che Obama avesse detto a Berlusconi “E’ bello vederti amico mio”, come se fosse una spontanea dichiarazione d’amicizia, una sorta di “M’illumino d’immenso” davanti alla faccia splendente del Silvio internazionale. A proposito, anche quella di usare il nome, anziché il cognome o il titolo, è una tecnica per rendere più vicino il soggetto, per farlo sentire di casa: anche Repubblica, a “Silvio” dedica spesso esortazioni e comprensioni per le sue gaffe o per i commenti dei suoi cortigiani.

3) Tecnica del panino: inventata dal fedelissimo berlusconiano Mimun, ripristinata dal fedelissimo Minzolin, consiste nel dire l’opinione del governo, nel far seguire una critica, spesso “potata” e inconsistente dell’opposizione, e nel far seguire ancora la controreplica dei portavoce governativi: in tal senso i più gettonati e i peggiori sono nell’ordine Gasparri, Cicchitto , Bonaiuti e Capezzone; seguono, a distanza, Tremonti, La Russa, Maroni, Bossi, Calderoli, Bricolo e Quagliarella. Molto spesso i devotissimi della RAI, dopo una dichiarazione di qualche politico d’opposizione, si premurano di avvisare gli interessati della maggioranza per avere la controreplica e annullare subito il senso di qualche intervento timidamente polemico.

4) Tecnica della mistificazione: basta accompagnare l’informazione taroccata con espressioni o finte cifre per renderla più credibile: per esempio “Ci siamo adeguati alla normativa europea…”, che non esiste, ma non importa, basta inventarsela; oppure “Secondo un sondaggio diffuso da….(segue il nome della società cui è stato commissionato sia il sondaggio, sia il risultato da esibire) ; oppure “secondo voci di corridoio…” “pare che….” : una volta trasmesso l’input, ritirare la mano non è più possibile: il lancio della notizia falsa ottiene sempre risultati maggiori di quanto non ne ottenga una successiva smentita o rettifica. In pratica il pubblicitario “tipico dei finlandesi…” per dire che i finlandesi hanno tutti denti perfetti, non è stato confermato da alcuna seria ricerca, ma è dato come un’affermazione acquisita universalmente.

5) Tecnica del complotto: D’Alema, che ha parlato di un indebolimento dell’immagine del premier dopo le europee, Napolitano, presidente comunista, Bersani che ogni tanto si concede qualche blanda critica, si sono visti accusare di un complotto ordito, nientemeno che per destabilizzare il governo e sostituire il suo capo, che invece resta impavido in sella “tetragono ai cimenti e al fato avverso”. Artefici del complotto diventano, a turno, i giornalisti, i magistrati, i partiti d’opposizione, i mafiosi, gli industriali o non meglio identificati “poteri forti” che vogliono sbarazzarsi con l’inganno di chi invece merita solo rispetto e devozione ed è stato eletto dal popolo che lo ama. Appartiene anche a questa categoria la “tecnica del mandante occulto”, che non esiste, ma cui si da esistenza nell’immaginario collettivo, in modo da potere individuare in un referente misterioso il colpevole. Persone dignitose, come Scalfari, De Benedetti, Draghi, si sono a turno viste associare a questo ruolo. Che il complotto per liquidare la democrazia sia da tempo in atto è vero, ma a farlo non è D’Alema, il quale, tuttalpiù o è complice o non si è ancora reso conto che l’acquiescenza porta ogni giorno alla perdita di un pezzo di libertà. A farlo è proprio la cricca che gironzola attorno al neoduce, dalla mafia, alla P2, ai cosiddetti “padroni del vapore”, che, nonostante la crisi, non vogliono perdere nessuno dei privilegi goduti.

6) L’aggressione dell’avversario con il ribaltamento, su di lui dell’eventuale accusa infamante: il povero Di Pietro è stato, sin dai tempi di Tangentopoli, vittima di campagne di campagne di diffamazione studiate a tavolino, di false immagini che lo hanno presentato come pervertito, ladro, corrotto, arricchitosi indebitamente con i soldi del partito. Idem dicasi della Veronica, che dopo il suo atto di coraggio e la sua denuncia si è vista aggredire da infami calunnie, accreditare pretesi amanti ed è stata sbattuta, sempre sui giornali del padrone, con le tette al vento. Per non parlare della povera D’Addario, che, da puttana alla corte del gran Sultano è stata trasformata in invidiosa bugiarda prezzolata. O del povero Boffo, costretto alle dimissioni dall’Avvenire per una nota informativa successivamente dichiarata falsa dallo stesso killer Feltri che l’aveva tirata fuori. In pratica quello che tu dici a me lo rigetto su di te: vince chi ha più strumenti e giornali per far passare la propria posizione.

7) E’ il principio di Goebbels: “Una bugia detta mille volte diventa una verità”. Così sin dai tempi di Nerone, che incolpò i cristiani dell’incendio di Roma, per arrivare al caso di Telecom Serbia, il piano studiato a tavolino, con un falso testimone che avrebbe dovuto testimoniare che Prodi era un corrotto anche lui: addirittura sul caso Mitriomtikin si fece anche una commissione parlamentare che, grazie all’onesta di alcuni suoi componenti, non accertò nulla. Ma si pensi anche ai complotti dei magistrati “comunisti” che volevano e vogliono, a comando e a qualsiasi costo criminalizzare il premier verginello e innocente. Da Telecinco a Mills. Oppure ai giudici carogna di Mani Pulite che hanno causato il suicidio di tanti poveri innocenti, o l’esilio del nobile socialista Craxi. In altri termini il revisionismo storico si lega al principio della storia è scritta dai vincitori.

8) Tecnica dell’antipolitica: Berlusconi è uno cui si può perdonare tutto, perché non è un politico di professione, ma un imprenditore prestato alla politica. Grasse e grosse risate ci siamo fatti quando Obama è stato eletto presidente: Silvio, secondo il solito “Libero”, è l’ Obama italiano, , l’uomo nuovo che sa conquistare la gente. Non conosce il linguaggio e i trucchi della politica e perciò spesso si lascia andare a gaffe e a minchiate che, a seconda delle reazioni, vengono smentite subito dopo. Ma anche questa è una tecnica: lanciare la pietra e ritirare la mano.Per questo bisogna avere comprensione nei suoi riguardi: Tutta la fila dei suoi devotissimi, pronti sempre a dire “Il capo ha sempre ragione” si è astenuta dal fare commenti quando il padrone, in un raro accesso di sincerità ha sussurrato: “Certe volte quello che faccio mi fa schifo”. In questo caso “il capo è sincero”.

9) Tecnica del vittimismo: Si comincia sin dal primo giorno dell’elezione: “E adesso lasciamolo lavorare”. L’opposizione viene vista come un fastidioso disturbo che ostacola le giuste manovre del premier. Addirittura può diventare “eversiva” se si permette di dire che è ora di cambiare uomini e politica. Invece il Silvio passa per uno nei cui confronti si ordiscono complotti, si fabbricano false prove, si truccano i risultati elettorali, si inventano episodi inesistenti, insomma gli si appioppa tutto il male del mondo, mentre lui meriterebbe di essere santificato. Le veline al Parlamento europeo? Niente vero. I voli di stato carichi di puttanelle? Ma quando mai!!! Noemi che passa tre giorni nella sua villa? Calunnie. Veronica che si decide finalmente a chiedere il divorzio? E’ una poveraccia imbeccata dall’opposizione, ma la pagherà. Le orde dei comunisti si mobilitano in ogni parte della nazione per diffondere il male e l’odio, ma per fortuna c’è il partito dell’amore che trionfa.

10) Tecnica dell’apoteosi: Quella della santificazione è una strategia conforme a quelle che usavano e usano i regimi totalitari: il premier visto come colui che non dorme, ma riposa, con la finestra illuminata di notte, che sfibra le sue stanche ossa per servire il paese, che sa quando intervenire, che risolve con la bacchetta magica i problemi della monnezza napoletana o quelli del post-terremoto abruzzese, che siede tra i grandi accreditando l’immagine di statista di levatura mondiale, quando tutti invece ridono di lui. E giù oscene canzoni, dichiarazioni al limite dell’esaltazione religiosa, il tutto con contorno di pubblicazioni con foto truccate, al cui centro c’è sempre lui, il divino, l’ineffabile, il prescelto dal signore, con la storia commovente di chi si è fatto da sé.

11) Tecnica dell’oscuramento: un personaggio esiste finchè esiste in televisione: oscurarne l’immagine è come cancellarlo dal novero delle persone “esistenti”: esempi come quelli di Prodi, Veltroni, Bertinotti, Previti, Luttazzi, Guzzanti, scomparsi o eliminati dai teleschermi, ci danno l’idea di quanto la visibilità d’un personaggio ne confermi l’esistenza e la notorietà. Il suo contrario è dato dalla tecnica della sovraesposizione, in cui quotidianamente bisogna parlare del personaggio, qualsiasi cosa esso combini, sia quella di avere il torcicollo o di acchiappare a volo una mosca.

12) Tecnica del particolare come elemento per confermare la tesi di partenza: si tratta di inserire, in un contesto di dati citati a dimostrazione di un assunto, un particolare, spesso casuale, altre volte presunto, per dare un colore più forte alla dimostrazione: se Fini ha ammesso di avere fumato uno spinello, Fini diventa un individuo “sospetto” e non moralmente integro; se tra le persone che organizzano feste di vip c’è implicato un amico di un trafficante di cocaina, la cocaina diventa un elemento da associare all’insieme, anche se non giudiziariamente provato: esiste una verità giudiziaria, spesso calpestata, e una verità di fatto, maturata nell’opinione pubblica attraverso la gestione dei mass media, che finisce col prevalere sull’altra.

13) Tecnica del “pompaggio”: si individua tavolino la notizia, per lo più di cronaca, che si vuole gonfiare e verso la quale far convogliare l’attenzione della gente: in genere si tratta di situazioni che coinvolgono gli affetti familiari, come nel caso di Cogne, o dei fratellini Pappalardo, oppure piccole orge tra amici di una tranquilla provincia, come nel caso di Meredith, oppure mostri e serial killers pronti a colpire nell’ombra. Non è il pubblico a mostrare le sue “morbose” curiosità verso un fatto, ma il giornalista che, “pompando” quel fatto lo fa diventare oggetto d’interesse. Spesso tutto ciò serve a distrarre da problemi più gravi dai quali si vuole distogliere l’attenzione. Più sottile e perverso è il rapporto di cronaca con gli stranieri o gli extra-comunitari: se qualcuno di essi è coinvolto in un delitto, se ne trae occasione per montare una campagna di stampa sulla sicurezza e sulla necessità di chiudere le frontiere. Se si tratta di italiani, la cosa finisce col rientrare nella “normalità” della cronaca. Il pompaggio riguarda infiniti altri argomenti, come ad esempio la guerra di cifre dei partecipanti alle manifestazioni, tra quelle della questura e quelle denunciate dagli organizzatori.

Esistono naturalmente altre sottili strategie, con l’uso sapiente delle quali si può fare giornalmente campagna elettorale e procacciare consensi in modo spregiudicato. Gli americani ne hanno studiato tante, ma almeno, tra di essi esistono persone e testate giornalistiche in grado di ritagliarsi una certa indipendenza e di denunciare e mettere in crisi gli intoccabili, a cominciare dal presidente. In Italia questo è ormai un principio irrimediabilmente perduto. Il dilagante “neofascismo morbido” si intrufola negli spazi della democrazia per eroderli giornalmente, lasciando credere che tutto è interno al contesto delle regole democratiche.

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/31009/78/


lunedì 4 ottobre 2010

Quattro vecchietti sfigati - Marco Travaglio





Quando i giornali e le televisioni di mr. B. cominceranno a denigrare De Pasquale, noi saremo avanti. Sapremo rispondere a dovere e raccontare come realmente stanno i fatti.