giovedì 18 novembre 2010

Il 'fuoriuscito' Carlo Taormina e i veleni sul Pdl



Carlo Taormina, 70 anni, ex sottosegretario agli Interni del governo Berlusconi è stato uno degli avvocati di punta e grande consigliere delCavaliere fino al 2008, quando ha mollato il premier e il partito, uscendo anche dal Parlamento. Anche se a ilfattoquotidiano.itprecisa: “Veramente sono stato cacciato dal Pdl“. Nel giorno della presentazione nel tempio del cabaret e della satira di destra, Il bagaglino, del suo nuovo partito di centrodestra, Lega Italia, racconta della ‘crisi morale’ nel Pdl, di favori sessuali nella politica per arrivare a ottenere un seggio, delle sue serate ad Arcore e del suo rapporto di lavoro con Nadia Macrì, la escort emiliana che ha raccontato ai magistrati dellaProcura di Palermo di incontri a sfondo sessuale con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, presentatagli dal ministro Renato Brunetta.
Di David Perluigi, riprese e montaggio Paolo Dimalio.


Slot in nero, sconto di governo




Ottantotto miliardi di euro o appena 30 milioni? Il grande scandalo slot machine è arrivato al capitolo finale: tra sessanta giorni sapremo quanto le società concessionarie dovranno versare allo Stato. L’accusa ieri ha ribadito la sua richiesta:quasi novanta miliardi, la somma più alta mai pretesa dalla procura contabile nella storia d’Italia. Ma la Commissione incaricata dal ministero dell’Economia ha indicato una somma cento volte più bassa. Insomma, i tecnici designati dal governo hanno previsto un mega-sconto per le concessionarie. E non basta: il Consiglio di Stato ha suggerito criteri di calcolo per poche decine di milioni, un tremillesimo della somma chiesta dall’accusa.

Ieri si è svolta l’udienza conclusiva alla Corte dei Conti. Con un primo colpo di scena: respinte le istanze di rinvio e di annullamento presentate dalle concessionarie. Quindi la parola è passata alla Procura. Che non ha abbassato di una virgola la cifra stabilita nel 2007: 88 miliardi. Una richiesta basata sull’applicazione delle penali previste tra Stato e concessionari nel 2004. Insomma, semplicemente chiedendo che sia applicata la convenzione, come si pretenderebbe da un cittadino qualsiasi. I colossi dei giochi si troverebbero a pagare somme che quasi risanerebbero i conti pubblici italiani: 31 miliardi e 390 milioni soltanto per il concessionario Atlantis World. Un tesoro, ma bisogna tenere presente che soltanto nei primi sei mesi del 2010 gli operatori del settore hanno incassato 15 miliardi.

Le richieste minime
La Procura però ha avanzato due ipotesi subordinate: la prima prevede che la somma sia equivalente all’80% dell’aggio percepito dai concessionari nel periodo da settembre 2004 a gennaio 2007. Certo, sarebbe già un bel taglio: si passerebbe a 2,7 miliardi. Il Pm specifica nell’atto la somma pretesa da ogni concessionario: 845 milioni per Atlantis, il colosso delle slot. Ma se anche questa richiesta non fosse accolta, il pm Marco Smiroldo propone che i concessionari “siano condannati al risarcimento del danno che il collegio stimerà equo”.

E qui ecco spuntare un’altra stima e una storia passata praticamente sotto silenzio: il ministero dell’Economia negli anni scorsi ha dato incarico a una commissione di indicare i criteri per il calcolo delle somme da pagare. I tre esperti, guidati dall’ex ragioniere dello Stato Andrea Monorchio, hanno proposto una “rimodulazione” delle penali che porterebbe – secondo i Monopoli – a circa 800 milioni di euro. E siamo già scesi a meno di un centesimo dei famosi 88 miliardi (98 secondo le primissime stime).

Basta? Nemmeno per sogno. Nella corsa al ribasso il Consiglio di Stato ha indicato un criterio ancora più favorevole: “Il limite massimo delle penali irrevocabili… non dovrebbe essere comunque superiore all’11% del valore medio del compenso per la gestione telematica degli apparecchi da gioco spettante al concessionario nello stesso anno, secondo i dati dei cespiti della gestione riferita a quell’anno in possesso dei Monopoli”. Sembra cinese per i non addetti ai lavori: significa che nelle casse dello Stato andrebbero una trentina di milioni. Un tremillesimo di quello che ha calcolato la Procura della Corte dei Conti.

Un “giovane” tenace
Ma il vero protagonista dell’udienza e di questo procedimento interminabile è senza dubbio Marco Smiroldo, il pubblico ministero. Chissà, forse quando l’inchiesta è partita le società si erano rallegrate che il fascicolo fosse finito sulla scrivania di questo magistrato, uno dei più giovani della Procura della Corte dei Conti. Un pm ragazzino – eravamo nel 2006 – di appena trentacinque anni per affrontare società che maneggiano miliardi di euro, che hanno agganci ai livelli più elevati della politica. E non solo.

Quanto quell’impressione fosse sbagliata lo hanno dimostrato gli eventi successivi. Smiroldo non è certo un magistrato che ami i riflettori, ma è un uomo di legge fino al midollo, che chiede soltanto l’applicazione delle regole. Ha condotto l’inchiesta fino alla fine, senza modificare la sua linea contro cui si sono scatenati tanti poteri forti.

E ascoltare la sua requisitoria ieri ha riservato ulteriori clamorose sorprese sullo scandalo: si scopre così che lo Stato ha pagato per la pubblicità dei giochi d’azzardo “legali” oltre 13,7 milioni tra il 2004 e il 2007. Una fortuna, a tutto vantaggio degli affari delle concessionarie.

Smiroldo ha chiesto la restituzione della somma: “Il mancato collegamento degli apparecchi ha impedito il controllo telematico sul gioco, che soltanto se controllato è lecito, quindi non poteva pubblicizzarsi come lecito un gioco che in realtà non lo era: si è pagata, pertanto, una sorta di pubblicità ingannevole”. Quindi, sostiene la Procura, agli altri danni deve aggiungersi quello per la campagna pubblicitaria sul cosiddetto ‘gioco lecito’, pari a 13.773.360 euro”.


L’ultima beffa
Non basta. C’è un ulteriore danno pubblico: si scopre che la Sogei (Società Generale di Informatica, soggetto controllato dallo Stato) ha speso inutilmente 26,9 milioni: “Ad aumentare la dimensione del danno erariale – ha detto Smiroldo – contribuiscono anche le spese sostenute per il servizio di gestione operativa del sistema di controllo degli apparecchi messo a disposizione da Sogei, ma rimasto sostanzialmente inutilizzato almeno fino al gennaio 2007, per un danno pari a circa euro 26.982.000”. Adesso la parola spetta al giudice.

di Marco Lillo e Ferruccio Sansa

da
il Fatto quotidiano del 12 ottobre 2010


Governo schizofrenico, combatte la ludopatia aumentando i giochi






Con la mano destra il governo firma un decreto per combattere le patologie legate al “gioco compulsivo”. Con la sinistra si impegna ad introdurre “nuove tipologie di giochi, impegnandosi ad avviare le procedure occorrenti al loro affidamento in concessione”. Per scoprire una netta contrapposizione tra idea e azione, tra intenzioni dichiarate e fatti, non occorre incrociare dati e fare lunghe verifiche. Basta leggere per intero il comma 78 dell’articolo uno del maxi emendamento alla legge di Stabilità, attualmente in discussione alla Camera. La schizofrenia del governo è messa a nudo dalla commissione Antimafia, che oggi ha votato all’unanimità un testo durissimo – relatore Luigi Li Gotti dell’Idv – sui profili del riciclaggio connessi al gioco lecito e illecito, in cui si manifesta “profondo allarme per le ipotesi di incremento degli strumenti del gioco”.

L’articolo del maxi emendamento, al punto f promette: “Con decreto interdirigenziale del ministero dell’Economia e del Ministero della Salute sono adottate, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, linee di azione per la prevenzione, il contrasto ed il recupero di fenomeni di ludopatia conseguente al gioco compulsivo”. Poi, al punto m precisa: “Anche per aggiornare l’attuale palinsesto dei giochi, con decreto direttoriale dell’Aams sono introdotte e disciplinate nuove tipologie di giochi e, ove necessario, conseguentemente avviate le procedure amministrative al loro affidamento in concessione”. Una tendenza che è oggetto di critiche da parte del Comitato sul riciclaggio (che ha curato la relazione oggi approvata in commissione): “E’ necessario fermare questa deriva – si legge nel documento – e segnalare con forza quanto possano risultare effimere tali siffatte “entrate” da “tassazione indiretta” e quanto, invece, siano progressivamente devastanti i danni e i costi per i singoli e per la collettività”. Nel 2006, secondo i Monopoli di Stato, gli introiti del gioco erano di 15,4 miliardi. Nel 2009 hanno invece sfiorato i 54 miliardi, con un aumento quasi del 400 per cento. Ma guardando le stime della Guardia di Finanza, che comprendono anche l’abusivismo, le cifre raddoppiano. “Analizzando questi dati – spiega il senatore Luigi Li Gotti – si può dire che ogni italiano, neonati compresi, gioca ogni anno 2mila euro. Considerando la stima per difetto di un milione di giocatori abituali, la cifra pro capite è enorme e spiega fenomeni come l’usura e la distruzione di migliaia di famiglie”.

Il documento approvato dalla commissione Antimafia, che ora sarà trasmesso ai presidenti delle Camere, spiega chiaramente come il settore del gioco, anche lecito, sia infiltrato dalle organizzazioni criminali (nel 2010 sono state più di trenta le inchieste giudiziarie sul gioco, direttamente riferibili alle mafie). Chiede maggiori controlli su licenze e concessioni. E illustra il danno sociale provocato da questo settore: “Il settore gioco costituisce il punto di incontro di gravi distorsioni dell’assetto socio-economico quali, in particolare, l’esposizione dei redditi degli italiani a rischio di erosione; l’interesse del crimine organizzato, la vocazione “truffaldina” di concessionari che operano in regime di quasi monopolio; il germe di altri fenomeni criminali come usura, estorsione, riciclaggio. E sottrazione di ingenti risorse destinate all’erario”. Da qui la conclusione, che chiama in causa esplicitamente forme di gioco come gratta e vinci, lotto e gioco via internet oltre, naturalmente, a slot machine e videopoker: “La diffusione estesa sul territorio delle più fantasiose forme di “tassazione indiretta”, in verità alimentano la “malattia del gioco”, invece di curarla.

Va detto che il maxi emendamento prevede anche una stretta sulla trasparenza dei concessionari del gioco. Ad approvazione avvenuta, infatti, le società avranno sei mesi per comunicare tutte le quote di proprietà superiori al 2%. In questo modo, teoricamente, situazioni di scarsa trasparenza societaria come quella di BetPlus, principale concessionario delle slot machine con sede nei paradisi fiscali caraibici (e mai chiarito assetto proprietario), dovrebbero essere spiegate. Ma la soluzione appunto è teorica. Perché non è difficile per chi ha già elaborato una serie di scatole societarie estere, elaborare una nuova struttura con quote al 2%.

In attesa di vedere se quella del governo sarà realmente una stretta, la commissione, che ha individuato un programma di audizioni che comprendono i vertici di Guardia di Finanza e Monopoli di Stato, ha anche proposto una rielaborazione della disciplina delle concessioni e delle licenze in materia di giochi e scommesse, proponendo la modifica dell’articolo 88 del Tulps (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) per fare in modo che anche le società estere che lavorano su piattaforma (digitale) con e senza intermediari nel nostro Paese siano censibili. E abbiano l’obbligo di possedere una regolare licenza.

di Fabio Amato e Simone Ceriotti



mercoledì 17 novembre 2010

Cambia il tuo sguardo!!!


Fini e Bersani, la lista dei bolliti


Pubblichiamo la versione integrale delle liste dei valori di sinistra e di destra, peraltro intercambiabili, lette l’altra sera da Bersani e Fini a "Vieni via con me" e tagliate all’ultimo momento per motivi di tempo.

di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano, 17 novembre 2010

PIER LUIGI BERSANI
La sinistra è l’idea che, se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli, puoi fare davvero un mondo migliore per tutti (non vediamo l’ora di imbarcare Luca Cordero di Montezemolo e il banchiere Alessandro Profumo). Abbiamo la più bella Costituzione del mondo (infatti, con la Bicamerale del compagno Massimo, facemmo di tutto per riscriverne più di metà con Berlusconi). Ci sono beni che non si possono affidare al mercato: salute, istruzione e sicurezza (l’acqua invece no: quella sipuò tranquillamente privatizzare, e magari anche l’aria). Chiamare flessibilità una vita precaria è un insulto (non per nulla la legge Treu l’abbiamo fatta noi). Chi non paga le tasse mette le mani nella tasche di chi è più povero di lui (non a caso abbiamo approvato la riforma del diritto penale tributario, detta anche “carezze agli evasori”, che depenalizza l’evasione tramite la dichiarazione infedele fino a 100 mila euro e tramite la frode fiscale fino a 75 mila euro l’anno). Se 100 euro di un operaio, di un pensionato, di un artigiano pagano di più dei 100 euro di uno speculatore vuol dire che il mondo è capovolto (mica per niente abbiamo sponsorizzato speculatori come Chicco Gnutti e Giovanni Consorte). Indebolire la scuola pubblica vuol dire rubare il futuro ai più deboli (il primo ministro dell’Istruzione che ha regalato soldi pubblici alle scuole private è il nostro Luigi Berlinguer). Dobbiamo lasciare il pianeta meglio di come l’abbiamo trovato (tant’è che vogliamo riempire l’Italia di inceneritori e centrali a carbone). Se devo morire attaccato per mesi a mille tubi, non può deciderlo il Parlamento (del resto la legge sul testamento biologico mica l’abbiamo approvata). Per governare, che è un fatto pubblico, bisogna essere persone perbene, che è un fatto privato (ricordate il nostro ministro della Giustizia? Mastella). Chi si ritiene di sinistra e progressista deve tenere vivo il sogno di un mondo in pace e deve combattere contro la tortura (infatti abbiamo fatto guerra alla Serbia chiamandola missione di pace, poi abbiamo lasciato dov’erano le truppe di occupazione dell’Iraq e abbiamo pure messo il segreto di Stato per coprire le spie del Sismi imputate per aver sequestrato lo sceicco Abu Omar e averlo deportato in Egitto per farlo torturare per sette mesi).

GIANFRANCO FINI
Essere di destra vuol dire innanzitutto amare l’Italia (è per amore che le abbiamo regalato per 16 anni uno come Berlusconi). Apprezziamo imprese e famiglie che danno lavoro agl’immigrati onesti, i cui figli domani saranno italiani (vedi legge Bossi-Fini). Destra vuol dire senso dello Stato, etica pubblica, cultura dei doveri (non faccio per vantarmi, ma le leggi sul falso in bilancio, Cirami, Cirielli, Schifani, Alfano ecc. le abbiamo votate tutte). Lo Stato deve spendere bene il denaro pubblico, senza alimentare clientele (salvo quando c’è da salvare il
Secolo d’Italia). Lo Stato deve garantire che la legge è davvero uguale per tutti (esclusi, si capisce, i ministri e i parlamentari, che abbiamo sempre salvato dalla galera e dalle intercettazioni). Chi sbaglia paga e chi fa il proprio dovere viene premiato (non a caso abbiamo approvato tre scudi fiscali e una quindicina di condoni tributari, edilizi e ambientali). Senza una democrazia trasparente ed equilibrata nei suoi poteri non c’è libertà, ma anarchia (pure la Gasparri che consacra il monopolio Mediaset e la Frattini che santifica il conflitto d’interessi sono farina del nostro sacco). L’uguaglianza dei cittadini va garantita nel punto di partenza (soprattutto alle suocere per gli appalti Rai e ai cognati per le case a Montecarlo). Dalla vera uguaglianza delle opportunità, la destra vuole costruire una società in cui merito e capacità siano i soli criteri per selezionare una classe dirigente (avete presenti i ministri Ronchi e Urso? No? Ecco, appunto).



Guardian su B: “Come può essere ancora al potere”


Il quotidiano britannico attacca frontalmente il premier e riassume le ultime vicende in cui è rimasto coinvolto. Da Noemi a Ruby

“Come può quest’uomo essere ancora al potere?”. A tutta pagina c’è una foto di Silvio Berlusconi, composto e serissimo. La cover story dell’inserto quotidiano del Guardian, G2, picchia duro sul presidente del consiglio italiano, i suoi scandali, le sue gaffe, la sua incapacità di mettere il bene del Paese al primo posto. Nello stesso giorno anche il settimanale americanoNewsweek dedica la copertina al nostro premier e titola: “Berlusconi e il problema ragazze”. All’interno un reportage che viene riassunto così: “La sua cultura dell’harem sta minando l’economia italiana e il suo governo”.

Due stoccate in pieno petto. Che vanno ad aggiungersi al coro unanime della stampa internazionale. Ma il
Guardian stavolta ci va pesante. Seguendo le orme dell’ormai celebre copertina dell’Economist del 2001 dove B. era definito “unfit to lead”, inadatto a governare. Quasi dieci anni dopo il concetto è lo stesso. L’autore del reportage, Tobias Jones, è una vecchia conoscenza del premier. Quando si era permesso di criticare il berlusconismo nel libro Il cuore oscuro dell’Italia, uno dei magazine di casa Mondadori lo aveva screditato con un ampio pezzo definendolo il “Pinocchio inglese”. Ma il Pinocchio non ha mollato la presa.

Per i lettori del
Guardian riassume tutti i recenti scandali che hanno visto B. protagonista: dal casoMills al presunto coinvolgimento con la mafia, da Noemi Letizia al bunga bunga fino ai festini a base di droga. “Che altro potrà fare Berlusconi per essere cacciato? – si domanda Jones – Nella maggior parte dei Paesi solo uno di questi numerosi scandali sarebbe stato sufficiente a ucciderlo politicamente”. “Adesso il problema non è più politico o giudiziario, ma psichiatrico”, avrebbe commentato un membro dell’opposizione che vuole rimanere anonimo. Secondo il giornalista inglese il problema è che molti italiani invidiano e ammirano il premier per il suo successo con le donne, “sempre che si possa parlare di successo quando paghi 10.000 euro per un amplesso”, commenta.

Ma per lo scrittore l’atteggiamento sta finalmente cambiando: “Gli italiani sono molto meno puritani di noi quando si parla di sesso, ma sanno riconoscere l’ipocrisia – osserva – Per esempio recentemente il governo ha annunciato che la prostituzione sulle strade diventerà illegale. E’ come se un preside alcolizzato dicesse ai suoi alunni che non possono bere Coca Cola”. La descrizione poco lusinghiera del premier continua: “Gli italiani ammirano lo stile, ma il primo ministro viene ormai percepito come un pomicione, un malfermo e vecchio bigotto “, critica Jones. “Durante una visita all’Aquila, dopo il terremoto, ha chiesto a un assessore: ‘Posso palpare un po’ la signora?’ Questo spiega come lui davvero creda al droit de seigneur, un rito medievale secondo il quale il signore doveva avere il primo assaggio delle vergini del suo regno”. E mentre l’Italia è in rovine (vedi Pompei), continua il
Guardian, l’unica cosa cui pensa B. sono le donne. “Ha trasformato il suo Paese in una barzelletta”, è il commento lapidario. Purtroppo condiviso un po’ da tutta la stampa britannica, sia di destra che di sinistra.

Ma Jones riserva qualche strale anche per l’opposizione “notoriamente divisa e debole”. Prodi, D’Alema, Amato, Rutelli Fassino, Veltroni, Bersani: non sono riusciti a liberarsi di B. “Mi dispiace dirlo, ma la sinistra è abbastanza patetica”, è il verdetto finale. Povera Italia, dunque. Per il
Guardian ci sono solo due vie per strappare a B. la poltrona: “La sua morte o una programmatica deberlusconizzazione che faccia tornare il Paese alla realtà dopo 20 anni di lavaggio del cervello. La prima, credo, è più probabile della seconda”.

di Deborah Ameri



Agcom, Romani boccia gli emendamenti di Fli: Autorithy troppo imparziale


Il ministro dello sviluppo economico contro le modifiche richieste di Futuro e libertà che recepiscono le direttive europee

“Pure a me è stato detto che al ministro Paolo Romani non piacciono i nostri emendamenti”. La conferma arriva da Maurizio Saia, senatore di Futuro e libertà che insieme alla collega Maria Ida Germontani, ha presentato una serie di modifiche al disegno di legge che recepisce le direttive europee sulle autorithy nazionali delle telecomunicazioni. Anche per l’Unione europea, al contrario di quello che è avvenuto fino ad oggi in Italia, le autorità che regolamentano i settori della telefonia, di Internet e delle radiotelevisioni debbono essere assolutamente indipendenti dal governo e dalla politica. Ma, spiega Saia, avere un garante per le telecomunicazioni libero dai condizionamenti dell’esecutivo (che nel nostro paese coincide con Mediaset), a Berlusconi non va giù. Per questo oggi in Commissione Politiche europee di Palazzo Madama, dove si comincia ad esaminare la norma, è prevista battaglia.

Nella legge infatti i due parlamentari vogliono inserire quattro righe che sembrano fatte apposta per evitare il ripetersi di un Trani-gate: le pressioni del presidente del consiglio su uno dei componenti dell’Autorithy (Giancarlo Innocenzi) per censurare un programma sgradito (Annozero). Tanto che in uno degli emendamenti è scritto che dev’essere “garantito il rafforzamento dell’indipendenza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche garantendo che i componenti dell’organo collegiale, nominati tra persone di notoria indipendenza, non sollecitino né accettino istruzioni da alcun altro organismo nell’esercizio dei propri compiti, nonché prevedendo che questi possano essere sollevati dall’incarico solo se non rispettino le condizioni prescritte per l’esercizio delle loro funzioni”.

Gli emendamenti, qualche settimana fa, erano stati inviati per conoscenza al ministero delloSviluppo economico per avere un parere prima della votazione in commissione. E il ministroPaolo Romani ha detto no. “Il fatto si commenta da solo – dice Saia – e secondo me ha molto a che vedere con i trascorsi professionali di Romani”.

Così l’iter in commissione Politiche europee è in salita. “Vogliono mantenere lo status quo tutto a vantaggio di Mediaset”, sostiene Saia.

Insomma un’Autorithy veramente indipendente che fissi delle regole uguali per tutti, aziende del premier comprese, è un’opzione che il governo non vuole prendere neanche in considerazione. “Dovrebbe essere scandaloso – prosegue Saia – ma si è persa pure la decenza di trovare delle giustificazioni a situazioni di questo tipo”.

Come sostiene Germontani, “l’indipendenza dell’agenzia passa per l’autonomia dei suoi membri. E’ per questo – continua la senatrice – che abbiamo deciso di presentare gli emendamenti che sanciscono come i candidati commissari debbano essere persone notoriamente indipendenti e refrattarie all’interferenza di terzi”. Secondo l’esponente futurista sia nei criteri attuali sia nella legge di recepimento delle indicazioni europee, c’era più di una lacuna da colmare.

Eppure solo qualche giorno fa dalle telecamere di Report, il presidente dell’Agcom CorradoCalabrò diceva che “un’autorità se non è indipendente non ha senso di esistere”. Peccato però che l’Autorità sia un cimitero degli elefanti, diretta emanazione del Palazzo. I suoi componenti provengono dalla politica e sono nominati in proporzione al peso che i vari partiti hanno in Parlamento. In tutto i commissari sono otto e vengono eletti per metà dalla Camera e per metà dal Senato (quattro dalla maggioranza e quattro dall’opposizione), mentre il presidente è proposto direttamente dal presidente del Consiglio.

L’esempio più clamoroso è anche il più recente. A settembre il Senato doveva nominare il sostituto di Innocenzi che si era dimesso a fine luglio dopo lo scandalo delle intercettazioni dell’inchiesta Rai-Agcom e la scelta è caduta su Antonio Martusciello. Ex dirigente di Publitalia 80, la concessionaria del gruppo Fininvest, nel 1994 ha fondato la sezione napoletana di Forza Italia ed è entrato in Parlamento per non uscirne più. Nel 2001 è diventato sottosegretario all’Ambiente e nel 2004 è stato promosso viceministro per i Beni culturali. Nel silenzio imbarazzante delle opposizioni, l’unica voce che si è alzata contro la nomina di Martusciello è quella di Sky Italia. In una lettera aperta, il top manager Tom Mockridge ha sottolineato come, dopo il caso Innocenzi (ex dirigente Fininvest), “caduto perché all’interno dell’Autorità si muoveva contro Michele Santoro su mandato del premier, la scelta del suo sostituto sarebbe dovuta maturare in totale discontinuità con il passato”.

Oltre a Martusciello anche gli altri esponenti dell’Autorità di garanzia sono diretta emanazione della politica. Enzo Savarese, ex deputato di An, già dirigente di Alitalia è in quota Pdl; Stefano Mannoni, costituzionalista e collaboratore del Foglio di Giuliano Ferrara è espressione della Lega Nord; Gianluigi Magri, specialista di medicina interna è l’uomo dell’Udc; Roberto Napoli è un ex senatore dell’Udeur; Nicola D’Angelo, magistrato amministrativo, già capo di gabinetto del ministro Maccanico e poi capo dell’ufficio legislativo di Fassino alla Giustizia, rappresenta il Pd (area ex Ds); Michele Lauria, è un ex senatore della Margherita; Sebastiano Sortino, direttore generale della Federazione editori di giornali è considerato un prodiano.

Se è vero che l’indipendenza è condizione necessaria per arginare gli appetiti delle imprese e le ingerenze della politica, la composizione dell’Autorità, così com’è oggi, appare tutto fuorché imparziale.