lunedì 22 novembre 2010

Rifiuti, valorizzazione intelligente


Rifiuti. La questione legata alla valorizzazione.
Lo stato. Dopo 11 anni dall’ingresso ufficiale nell’emergenza, la Sicilia non ha ancora risolto i problemi di raccolta e smaltimento dei rifiuti, nonostante una spesa abnorme e un costo collettivo insopportabile.
Il Piano. Il commissario delegato, Lombardo, ha previsto in contemporanea l’aumento delle discariche, la raccolta differenziata e la valorizzazione energetica dei rifiuti. Le linee guida devono essere riviste.

PALERMO – La crisi dei rifiuti vive giorni di grande intensità. Nel collasso generale del sistema, incluso il rischio dello sciopero degli addetti alla raccolta che paralizzerebbe tutto, si spera nell’ulteriore implementazione del piano “rimandato” da Roma e ora al vaglio dei tecnici della Regione. Paiono inevitabili sia la differenziata che la progettazione di un processo a lungo periodo con nuovi impianti di recupero e valorizzazione energetica del rifiuto. Proprio la valorizzazione, quasi una condicio sine qua non per restare in Europa, è stata ribadita sia nella l.r. 9/2010 che nel provvisorio aggiornamento del piano.

La soluzione si chiama dissociatore molecolare, impianto che permette una comunione tra sostenibilità ambientale e valorizzazione energetica del rifiuto.
Il sonno di una virtuosa gestione dei rifiuti continua a produrre mostri. Le difficoltà burocratiche e politiche bloccano un sistema sostenibile di valorizzazione dei rifiuti e continuano ad affossare la gestione finanziaria degli ambiti isolani. Gli aggiornamenti del piano del 2002 mandati a Roma sono stati rinviati a Palermo per ulteriori implementazioni, come largamente anticipato e approfondito nelle scorse settimane. Altrove la gestione dei rifiuti produce ricchezza per tutti con impianti di valorizzazione energetica, recupero dei materiali e tariffe tarate per un servizio funzionante, mentre nell’Isola a guadagnarci sono in pochi e soprattutto i proprietari delle discariche, principalmente soggetti privati che vantano crediti milionari e stanno chiudendo le porte all’immondizia.

Uno dei grandi dilemmi irrisolti ruota ancora sulla questione della valorizzazione energetica del rifiuto. In tal senso sia la l.r. 9/2010, ancora inapplicata, che l’aggiornamento del Piano rifiuti del 2002 inviato a Roma, non nascondono il progetto di utilizzo di impianti per la valorizzazione energetica del rifiuto. Un’attestazione ovvia, perché non farlo sarebbe una scelta anti-europea, dal momento che questo trattamento è previsto anche nella normativa partorita da Bruxelles ed è una modalità largamente utilizzata in Europa (20% dei rifiuti europei finiscono per essere valorizzati energicamente contro il 12% della media italiana). Resta il problema della modalità. Chiusa definitivamente la stagione dei quattro termovalorizzatori previsti nel piano Cuffaro del 2002, si continua a parlare di impianti di valorizzazione energetica (nella fase a regime del piano di aggiornamento si definiscono genericamente “impianti dedicati a tecnologia complessa ed avanzata” tali da “minimizzare i rischi ambientali ed igienico sanitari”).

Nei giorni scorsi il governatore Lombardo è tornato su questi temi precisando sul suo blog come Franco Gabrielli, neo sottosegretario alla Protezione Civile, abbia apprezzato “la strategia di fondo del documento regionale pianificatorio dei rifiuti”, dove sono previsti “impianti di termovalorizzazione a tecnologia evoluta con potenzialità fortemente correlata alla quantità di rifiuto residuo”. Ma Bertolaso, proprio il giorno del suo pensionamento (11 novembre), ha rimandato il piano, tra le altre cose, anche perché sulla valorizzazione energetica dei rifiuti “sarebbe opportuno che, laddove si optasse per la loro presenza nel ciclo, le relative attività fossero inserite nel piano e avviate fin dalla prima fase emergenziale”.

Il problema è che il documento resta ancora opaco nei termini sostanziali di questi impianti: costo, destinazione, tempi. Conciliare sostenibilità ambientale e valorizzazione? Una strada esiste e si chiama dissociatore molecolare. Non è solo un gioco di terminologia, ma di sostanza, perché la tecnica e le conseguenze tra le due tipologie di impianti sono assai differenti: emissioni, conti economici, dimensioni tarabili sulle esigenze. Un tassello essenziale, quindi, da inserire in una riforma che dovrà partire dal superamento dell’emergenza attuale, che, conseguenza inevitabile, è anche finanziaria. Infatti, questo continuo gioco al rimando - l’aggiornamento del piano del 2002, nonostante due squadre di supertecnici della regione era prevedibilmente incompiuto – non fa altro che continuare ad affossare gli ambiti isolani sempre più devastati da debiti e parallelamente aumentare i crediti pretesi dalle discariche isolane.

Il nuovo Piano prevede tra ampliamenti e nuove discariche 17 interventi tra 2010 e il 2013, che andranno ad aggiungersi alle discariche che resteranno aperte delle 14 ancora disponibili al febbraio del 2010. Di queste ultime le quattro private sono le più capienti della Regione, compresa la discarica di Motta che, se ampliata, sarà una delle più gradi della Regione. Senza valorizzazione e con le attuali medie di smaltimento in discarica (88% del totale) ci sarà una pioggia di euro per proprietari di discarica visto che le tariffe attuali arrivano fino a 109,50 euro a tonnellata per lo smaltimento. E per i comuni sarebbero dolori: a Motta Sant’Anastasia la società Oikos, proprietà della famiglia Proto, tra settembre e ottobre ha accumulato crediti per poco meno di due milioni di euro. Il giro d’affari dell’abbancamento complessivo è presto detto: 2 milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti all’anno smaltite in discarica per 100 euro di media producono affari per 2 miliardi mezzo di euro.

Senza contare le porzioni controllate dalla malavita organizzata, dove il sistema discarica-trasporti, come ha denunciato la commissione Pecorella, ha garantito per anni una vera manna dal cielo per le cosche. Ripulire il sistema è priorità per la Sicilia e l’Italia.

No agli inceneritori
Lombardo: sì ad impianti di ultima generazione
PALERMO – Legambiente non ci sta. A seguito del rinvio di Bertolaso dell’aggiornamento del piano varato dalla Regione l’associazione del cigno ha espresso la sua contrarietà. “La vera questione dirimente tra le previsioni della commissione, supportate dal Governo regionale, e quelle del Governo nazionale – ha spiegato Mimmo Fontana, presidente regionale di Legambiente - è ancora una volta la realizzazione degli inceneritori. Inceneritori che vengono considerati sostanzialmente inutili dall’esecutivo Lombardo ed indispensabili da quello Berlusconi”. In realtà, Raffaele Lombardo ha sempre escluso i termovalorizzatori del piano Cuffaro, ma non ha mai escluso la logica della valorizzazione energetica dei rifiuti.
Infatti, quando Pier Carmelo Russo era ancora assessore all’Energia, Lombardo firmò una nota congiunta in cui attestavano, nell’ottica della normativa comunitaria, la necessità di “procedure di autorizzazione accelerate, per garantire in tempi rapidi la realizzazione degli impianti di ultima generazione (in particolare: pirolisi, trattamento meccanico-biologico; dissociatore molecolare e similia)”.



domenica 21 novembre 2010

Traffico di rifiuti tossici e truffa allo Stato Ecco chi si dimentica del dottor Scotti



L'inchiesta giudiziaria lancia un grave allarme per la salute pubblica. Eppure i grandi quotidiani nazionali relegano la notizia in poche righe. Scelta giornalistica o altro? La risposta, forse, sta ancora una volta nella cronaca. E la cronaca racconta che il dottor Scotti da sempre è uno dei maggiori investitori pubbliciatri.

Chi dimentica il dottor Scotti? Di questi tempi sono in molti. Strano, proprio ora che i grandi quotidiani dovrebbero occuparsene. Senza fare molto di più che una banale cronaca. Raccontando, ad esempio, dell’operazione che il 17 novembre 2010 ha coinvolto sette persone. Tra queste il dottor Giorgio Radice, presidente della Scotti energia spa, uno dei fiori all’occhiello del gruppo ed anche la vera gallina dalle uova d’oro per il patron Angelo Dario Scotti. Eppure non è così. La vicenda è stata relegata in poche righe dal Corriere della Sera, da Repubblica, dalSole 24 ore e dalla Stampa. La cronaca, però, racconta anche che il dottor Scotti da sempre è uno dei maggiori investitori pubblicitari. Milioni di euro ogni anno vengono riversati sulle pagine dei grandi quotidiani. Scelta obbligata, dunque. Della storia non si parla. Anzi no. Della Riso Scotti si può parlare. Lo ha fatto, ad esempio, Repubblica. L’argomento però è un altro. Anche la tempistica è diversa. E ‘ il 5 luglio e il titolo sul giornale è questo. “Scotti dai chicci ai bit: il riso punta al web”.

In realtà l’inchiesta giudiziaria fa emergere responsabilità gravi, anzi gravissime. Anche per questo avrebbero meritato più spazio. Ma andiamo con ordine. Chi indaga (Il Corpo forestale) scopre che per anni, almeno dal 2007 al 2009, nello stabilimento pavese della Scotti energia si brucia di tutto. Anche rifiuti tossici, i cui fumi hanno inquinato il cielo della provincia pavese. Reato grave, dunque. Che diventa gravissimo spulciando l’ordinanza d’arresto nella parte in cui si parla di denaro pubblico (oltre 60 milioni di euro) incassato dal dottor Scotti. Denaro pagato dallo Stato in cambio di energia. Questo il motivo per cui nell’hinterland pavese il gruppo Scotti costruisce un inceneritore. Dentro bisogna bruciarci la lolla, ovvero lo scarto biologico della lavorazione del riso. Questa produce energia che viene poi venduta. Lo Stato la paga a prezzo maggiorato. Con il tempo, però, dentro all’inceneritore ci finisce di tutto. Oltre 33mila tonnelate di rifiuti che provengono da tutta Italia e da ogni tipo d’azienda. Ci sono anche scarti di lavorazioni farmaceutiche. Finisce così che lì dentro si brucia una miscela composta per il 70% da plastica e solo per il 10% da lolla. Il giochetto è semplice: basta falsificare le analisi. Lo strumento si chiama Analytica srl. I due soci sono stati arrestati. Ancora più inquietante, il passaggio dell’inchiesta dalla procura di Pavia a quella antimafia di Milano. Indaga il procuratore Ilda Boccassini , la stessa che il 13 luglio ha assestato un duro colpo alla ‘ndrangheta lombarda. Mafia dunque. Un nome che potrebbe rientrare anche nell’indagine sul dottor Scotti. E si sa, quando i boss trasportano rifiuti, non si tratta certo di terra di coltivo.

L’allarme sociale, dunque, è oggettivo. Qui è in gioco la salute delle persone. Eppure nemmeno questo smuove il Corriere della Sera e Repubblica. Il 18 novembere, il quotidiano di via Solferino confina la notizia in 12 righe nell’edizione nazionale. Pezzo breve affogato a pagina 25. Più spazio nell’edizione locale, dove si dà la notizia e le si affianca un ritratto di Angelo Dario Scotti. Il titolo è un virgolettato che riassume la filosofia del patron. “La bussola dell’azienda è il business pulito”. Due righe in più per Repubblica. Il Sole 24ore, invece, relega la notizia in una breve. La Stampa fa poco di più. Silenzio. La faccenda non stuzzica i vertici delle redazione.

Scelta dubbia. Che un po’ scandalizza scorrendo le pagine dell’inchiesta in cui gli investigatori annotano, impresa per impresa, il materaile che è finito dentro all’inceneritore. Vediamone qualcuno. Partendo, magari, dai 712.640 chili di “rifiuti prodotti dall’estrazione tramite solvente 06″. Tutta monnezza che deriva da una società farmaceutica. E ancora 1.399.910 chili di “fanghi di scarto contenenti carbonato di calcio”. Ma ci sono anche rifiuti da fibre tessili grezze e “fanghi bilogici prodotti dal trattamento di acque reflue industriali”. Tutto questo finisce nell’inceneritore che produce energia. Una colpa divisia a metà. da un lato la Riso scotti energia e dall’altro, annotano gli investigatori, “tutte quelle società che hanno conferito presso la Riso scotti energia rifiuti generati dalla raccolta dei Rs falsificandone il codice di identificazione”. Il tutto “finalizzato a eludere i normali oneri”. Questo è quanto. Non sembra poco. Anzi.



Trattativa Stato-mafia. Amato ''Pressioni dal Viminale per revocare il 41 bis''.


L'ex capo del Dap, parlai con Parisi e Mancino.


di Maria Loi - 20 novembre 2010.


Palermo.
Nel marzo del 1993 suggerì all’ex Guardasigilli Giovanni Conso la revoca del carcere duro per i boss mafiosi detenuti. E’ per spiegare questa sua posizione che l’ex capo del Dap Nicolò Amato, autore di un documento (6 marzo 1993) in cui si pronunciava contro le proroghe del provvedimento carcerario, è stato sentito nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa mafia–Stato dai magistrati della Dda di Palermo.

Interrogato per circa quattro ore, Amato ha riferito che questa linea “più morbida” sul regime carcerario era stata discussa il 12 febbraio 1993 al Viminale durante una riunione del Comitato per l’Ordine e la sicurezza pubblica.
E in quell’occasione il capo della polizia Vincenzo Parisi espresse pesanti riserve sull’eccessiva durezza delle misure carcerarie (41 bis ndr) introdotte d’urgenza tra le stragi di Capaci e via d’Amelio e trasformate in legge dopo l’assassinio del giudice Borsellino.

Amato ha ricordato che, sempre dal Viminale, arrivarono “pressanti insistenze” per la revoca del decreto del carcere duro negli istituti di pena di Secondigliano e Poggioreale.

Si trattò solo di una “discussione politica”, ha fatto sapere l’ex capo del Dap ribadendo che non ci fu nessun legame tra il suo documento e la cosiddetta trattativa.

Nessuna anomalia dunque, secondo Amato, sul suggerimento dato a Conso. A breve anche lui verrà sentito dai pm di Palermo.

Fatto curioso è che a giugno del 1993 Nicolò Amato viene improvvisamente rimosso dalla direzione del Dap e sostituito con Adalberto Capriotti.
Il 16 luglio il ministro Conso firma oltre 240 proroghe di 41 bis per i mafiosi (notificate la notte delle bombe di Roma e Milano).
E tre mesi dopo, il 4 novembre, lo stesso Conso cambia idea decidendo “in assoluta solitudine” di non rinnovare i decreti per 140 mafiosi.
Amato invece torna alla sua professione di avvocato e assume la difesa proprio di Vito Ciancimino.
A tirarlo in ballo è Massimo Ciancimino che ha dichiarato ai magistrati palermitani in corso di interrogatorio che l’ex direttore delle carceri, venne segnalato come difensore di suo padre dal generale Mario Mori.
“All’epoca mio padre era in carcere e il nome del legale da nominare lo fece Mori a me e all’avvocato Ghiron”.
Siamo nel giugno 1993, quando Amato non era più direttore del Dap e l’ex sindaco di Palermo era detenuto.
“Ricordo che andavo spesso nello studio dell'avvocato Amato – ha concluso il figlio di Don Vito –, per consegnare o prendere delle buste chiuse”.
Amato ha replicato alle accuse del figlio di don Vito annunciando querela.




Senza titolo.


Così lo Stato scippa i fondi no profit.


In Finanziaria tagli per gli enti benefici. Il 5 per mille ormai non esiste più, il cittadino italiano può liberamente disporre, al massimo, dell’1,25. Il resto se lo prende il governo

E tu a chi lo dai il tuo 1,25 per mille? Con la nuova legge di stabilità bisogna aggiornare il lessico sociale: il 5 per mille ormai non esiste più, il cittadino italiano può liberamente disporre – al massimo – dell’1,25. Il resto se lo prende il governo. Nella prima bozza della Finanziaria era stata abolita in tronco la possibilità per ogni contribuente di devolvere una piccola parte del gettito fiscale a enti no profit. Ora l’esecutivo ha deciso di reinserire l’opzione ma con un tetto fisso: 100 milioni di euro contro i 400 degli anni passati. “Il problema sta innanzitutto nella norma” spiega Marco Granelli, presidente delCoordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato.

Il tetto massimo di 100 milioni

Il 5 per mille nacque nel 2006 come singolo articolo da inserire in Finanziaria. Non è quindi una legge dello Stato, ma un dispositivo che ogni anno viene rimaneggiato. Fino al 2010, lottando e vigilando, le onlus hanno ottenuto il rinnovo e una fedele rispondenza tra somme raccolte e denaro materialmente devoluto. A luglio il governo aveva cancellato in blocco il dispositivo, salvo reintegrarlo ora ma con un tetto massimo di 100 milioni. Il resto delle cifre devolute a maggio dai contribuenti lo gestirà il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, come meglio crede. E non possiamo fare nulla, non c’è una norma da impugnare, una legge cui far riferimento. Semplicemente dobbiamo subire la decisione: noi associazioni così come i contribuenti”.

In pratica saranno le associazioni di volontariato, i centri di ricerca e gli enti no profit (oltre 55 mila quelli accreditati) a procurare denaro allo Stato. Perché finora gli italiani hanno assegnato circa 400 milioni di euro ogni anno tramite il 5 per mille: stavolta invece i 15 milioni di contribuenti (dato 2008) saranno traditi diventando finanziatori involontari di altre politiche governative. Per chi dovrà spartirsi il poco rimasto, sarà guerra tra poveri. Per fare un esempio, la scelta che si pone è questa: o tutti i soldi del 2010 andranno ad Airc, Emergency e Medici senza frontiere (che di solito incassano rispettivamente 70, 10 e 9 milioni ciascuno) oppure tutti gli enti dovranno ricevere una cifra decurtata del 75 per cento.

“Provocazione inaccettabile” dice Michele Mangano, presidente nazionale
Auser, associazione che si occupa di anziani. In questa manovra non ci sono scelte anticicliche e risorse da destinare alla ripresa del lavoro o per i settori produttivi, mentre persiste l’attacco ai diritti universali: istruzione pubblica, cultura, assistenza”.

Spariscono i fondi per il sociale

Il guaio è che con queste cifre sarà impossibile mantenere il livello di servizio garantito fin qui dal mondo no profit. Specie nei settori più delicati. Quest’anno, 5 per mille a parte, il taglio drammatico è stato fatto all’insieme dei fondi per il sociale: un miliardo e mezzo di euro la cifra stanziata per il 2010, 350 milioni per il 2011. “Praticamente sono rimaste le briciole” ha detto Rosi Bindi, mentre c’è chi fa notare come la situazione rischi di diventare pesantissima non solo per gli assistiti ma per gli stessi operatori del settore. Giuseppe Guerini, presidente di
Federsolidarietà, lancia l’allarme: “Gli effetti sull’occupazione saranno inevitabili, soprattutto sul lungo periodo. Non vorrei che a fronte di qualche risparmio immediato sulle politiche sociali ci fossero maggiori spese per la cassa integrazione. Oltre la beffa il danno”.

Il Pdl Maurizio Lupi, storico sostenitore del 5 per mille, ha solennemente promesso di attivarsi presso il ministro Tremonti per far rivivere il 5 per mille il prossimo aprile. “Speriamo – conclude Granelli – intanto chiediamo a tutti di firmare l’appello (su www.csvnet.it) per una modifica immediata del provvedimento. Anche perché al Senato esiste già da giugno 2009 una legge per stabilizzare il 5 per mille. E’ già passata in commissione legislativa, basterebbe un ok. Sa da che è bloccata? Mancanza di copertura finanziaria. Ma se si paga da sola! La verità è che nessun governo vuole preventivamente blindare una quota fissa dei tributi. Tenersi la mani libere è molto più comodo”.


sabato 20 novembre 2010

Un cittadino può cambiare il mondo




Tu sei il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. Gandhi.

"Con poche pratiche e sperimentate in poco tempo ho ridotto drasticamente i miei rifiuti, l'elenco è solo parziale e non pretende di risolvere tutti i problemi. Un singolo cittadino non può cambiare il mondo... ma può provarci e l'unione fa la forza!
A - Gasatore dell'acqua del rubinetto casalingo. Mai piu' bottiglie da incollarsi al supermercato. www.sodastream.it
B - Detersivi alla spina. Sia totalmente biodegradabili che meno, sono prodotti efficaci ed economici (una media di 1 euro al litro). www.autoricambispaziani.it/
C - Autoproduzione detersivi. Se si ha tempo e voglia ancor più economico e salutare farsi i detersivi da soli con sostanze naturali. I miei piatti sono puliti senza residui chimici sui piatti e negli scarichi. biodetersivi.altervista.org
D - Sapone solido di Aleppo. 100% biodegradabile fatto solo di olio d'oliva e di alloro.www.saponedialeppo.it
E - Sporte e buste riutilizzabili. Curiosa l'espressione di alcuni commessi al mio rifiuto della loro busta. Qualche volta mi è stato detto: ''
Guarda che non te la faccio pagare''. La nostra cultura è ancora arretrata? www.magazzinirossi.it
F - Compostatore. Preferisco tenermi gli scarti alimentari in casa utilizzando una compostiera domestica autocostruita e vi assicuro che produco un terriccio ricco e naturale per le mie piante. www.meetup.com/beppegrillo-263
G -Bibite naturali. Oltre l'acqua amo il tè e i succhi frutta. Perche' comprarne costosi , artificiali e imbottigliati in plastica?
H -Alimenti alla spina. Il mercato offre ancora poche opportunità , si può scegliere di limitare i danni con un minimo di scelta e attenzione.
I - Spazzolino intercambiabile. Mi son sempre sentito uno stupido a pagare un manico di plastica )in teoria eterno) per poi buttarlo e ricomprarlo dopo un paio di mesi.
L - Bicchiere tascabile e riutilizzabile. Questo semplice oggetto evita tanti rifiuti.www.dmail.it
M - Autoproduzione alimentare. Con poco più di 1 euro mi faccio yogurt per una settimana semplicemente versando il latte nel macchinario.
N - Tovaglioli di stoffa. In casa era diventato un oggetto da museo. L'ho riscoperto evitando di consumare rotoli e rotoli di tovaglioli di carta usa e getta.
O - Lametta intercambiabile. Evito tante lamette usa e getta essendo la rastura un ''
rito'' pressochè quotidiano."

Stefano Vignaroli - Roma


venerdì 19 novembre 2010

SALUTE


Presentato a Roma il Rapporto PIT Salute 2010 di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato: "Diritti: non solo sulla carta" In crescita la malpractice e le liste di attesa. L'area materno-infantile in cerca di maggiori tutele.

Nell'ultimo anno crescono le segnalazioni di presunti errori medici, soprattutto in oncologia ed ortopedia; liste di attesa lunghe, soprattutto per le ecografie e TAC. Non accennano a diminuire le dimissioni improprie dagli ospedali. E poi mancano residenze sanitarie e lungodegenze.

A dare la fotografia dei servizi sanitari del nostro Paese dal punto di vista dei cittadini è ilRapporto PIT Salute 2010, dal titolo "Diritti: non solo sulla carta", presentato oggi al Senato da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato, alla presenza di numerosi interlocutori fra cui il ministro della Salute Ferruccio Fazio.

Il Rapporto è stato presentato in occasione dell'evento conclusivo del trentennale del Tribunale per i diritti del malato e, per la prima volta, si è scelto di fare il punto sulle segnalazioni ricevute dal servizio di consulenza, informazione e tutela PIT Salute dal 1996, suo primo anno di attività, ad oggi.

Dal 1996 al 2009 Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato ha raccolto complessivamente circa 228.000 segnalazioni in tema di sanità, in media 16.000 l'anno. Il Rapporto 2010 ne analizza 66.712 che sono state lette alla luce di cinque diritti (cfr. Tabella 1): diritto allasicurezza (al primo posto nei 14 anni con il 28% delle segnalazioni, in diminuzione nel 2009 con il 24%), diritto all'informazione (25% nel periodo 1996-2009, 22% nel 2009), diritto all'accesso(20% nel periodo 1996-2009, 21% nell'ultimo anno) diritto al tempo (10% nel trend 1996-2009, in crescita nel 2009 che fa registrare il 15%) e diritto all'umanizzazione (8% nel periodo 1996-2009, 9% nell'ultimo anno).

"Nonostante leggi, linee guida, raccomandazioni e tanti altri strumenti per migliorare la nostra sanità, ci spiace constatare che spesso la gran parte di essi resta sulla carta", afferma Francesca Moccia, coordinatrice nazionale del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva. "Succede per gli errori medici, le infezioni ospedaliere, le liste di attesa, ma anche per diritti basilari come quello di avere accesso alla propria documentazione clinica o di essere rispettati nella propria dignità. Non diciamo che la nostra sanità sia peggiorata, ma ci piacerebbe poter presto affermare che al primo posto ci sono davvero i cittadini e i loro diritti. È quello per cui ci battiamo da 30 anni e sul quale non intendiamo abbassare la guardia. Per questo proponitaamo di adottare la Carta europea dei diritti del malato in leggi nazionali e regionali dando seguito all'impegno assunto dal Governo italiano il 14 maggio 2009 con la Mozione n.75 firmata da tutti i gruppi parlamentari e votata in Assemblea dal Senato della Repubblica".


La sicurezza dei servizi sanitari: di nuovo in crescita le segnalazioni di malpractice soprattutto in oncologia ed ortopedia. Le infezioni ospedaliere non accennano a diminuire

Al triste vertice della classifica della insicurezza (cfr. Tabella 2) vi sono le segnalazioni suipresunti errori che nel 2009 hanno raccolto il 74% delle segnalazioni, suddivisi in terapeutici(49,5% nel 2009, +1,4% sul 2008 e +2,5% sulla media 1996-2009) e diagnostici (24,5% nel 2009, +5% rispetto al 2008 e +1,5% rispetto alla media storica).

Nel 2009 le prime tre aree interessate dalle segnalazioni di presunti errori terapeutici (cfr. Tabella 3) sono state l'ortopedia (24,3%, +3,8% rispetto al 2008 e +2,5% sulla media dei 14 anni), l'oncologia (10,7% nel 2009, +2,9% rispetto all'anno precedente e 2,6% sul trend storico) e l'odontoiatria (9% nell'ultimo anno, sostanzialmente stabile rispetto al passato).

Nel corso del 2009, le sospette errate diagnosi (cfr. Tabella 4) hanno riguardato soprattutto l'oncologia che da sola ha raccolto il 38,6% delle segnalazioni (+5,8% rispetto al 2008, + 13,8% sulla media dei 14 anni).

Dunque, oncologia ed ortopedia risultano le aree in cui si sbaglia con più frequenza. Il boom negativo dell'oncologia merita attenta analisi: sicuramente per i malati oncologici una diagnosi non tempestiva o errata può cambiare o addirittura pregiudicare la vita. Il trend in crescita potrebbe dipendere dalla accresciuta sensibilità dei cittadini che ci chiamano. Ma temiamo sia determinata anche dalle difficoltà di accedere in tempi utili ad accertamenti diagnostici, dai macchinari vecchi, da tempi di lavoro e di organizzazione inadeguati e dalla mancanza di una adeguata formazione degli operatori, specie per quanto attiene alla lettura delle immagini.

L'ortopedia, dal canto suo, è un'area specialistica sempre molto richiesta, a causa dei frequenti incidenti domestici e stradali. Spesso il personale si trova a lavorare in situazioni di emergenza, con eccessi di carico di lavoro: per questo crediamo si debba far fronte al problema con una riorganizzazione e programmazione dell'assistenza, prevedendo per esempio presidi dedicati alle sole emergenze.

Dopo i presunti errori, seguono le segnalazioni sulle infezioni ospedaliere che negli anni hanno avuto un andamento in crescita pressoché costante: nel 2009 si attestano al 10,2%, + 4,1% sul 2008 e +4,9% sul periodo 1996/2009. Contrarre una infezione nosocomiale comporta un peggioramento per la salute del paziente, oltre che il prolungamento della degenza, con la conseguenza di ingenti aggravi di spesa sanitaria, che si può stimare tra i 500-2000 euro al giorno.


L'informazione: quando manca son dolori. Soprattutto per anziani, disabili ed invalidi

I cittadini che si sono rivolti al Tribunale per i diritti del malato vanno a caccia di informazioni (cfr. Tabella 5) sulle prestazioni socio-sanitarie (42,1% nel 2009) e sulle prestazioni assistenziali (30,9%). In particolare, sul versante delle prestazioni socio-sanitarie (cfr. Tabella 6), l'informazione manca proprio laddove sarebbe necessaria, ossia presso gli studi dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta: per circa un terzo dei cittadini diventa un cruccio sapere come prenotare una visita o quali sono i compiti e doveri di chi l'assiste (c.d. assistenza sanitaria di base, con il 29,1% nel 2009, + 6,5% rispetto al 2008 e + 4,8% rispetto alla media 1996-2009). In seconda posizione, la carenza di informazioni si fa sentire nell'area della salute mentale (16,5% delle segnalazioni nel 2009, in diminuzione dell'1,8% rispetto al 2008, ma in crescita del 3,4% sulla media dei 14 anni), e ancora, a pari merito al terzo posto, la disinformazione interessa l'area delle prestazioni odontoiatriche (10,7% nel 2009, + 2,9% rispetto al 2008, - 0,4% rispetto alla media storica) e dei servizi di riabilitazione (10,7% nel 2009, +1,1% rispetto all'anno precedente, 0,3% sulla media dei 14 anni).

Al secondo posto nelle problematicità legate alla mancanza di informazioni, troviamo le prestazioni assistenziali (cfr. Tabella 7), che per la quasi totalità dei casi fanno riferimento allainvalidità civile (nel 2009 rappresenta l'89,5% delle segnalazioni, valore in aumento rispetto al 2008 di +9% e addirittura più che duplicato rispetto alla media 1996/2009) e all'esenzione dal pagamento del ticket che, pur registrando una percentuale del 3,5% nell'ultimo anno, rappresenta la prima voce nella media dei 14 anni.

Due aree dunque, quella dell'invalidità civile e dell'esenzione dal ticket, in cui la disinformazione comporta disagi enormi, soprattutto di natura economica, su fasce deboli, soprattutto disabili, anziani ed invalidi.


Accesso alle cure: ancora dimissioni improprie dagli ospedali. E sul territorio mancano residenze sanitarie e lungodegenze

Nel 2009 le difficoltà di accesso riguardano soprattutto l'assistenza territoriale, l'assistenza ospedaliera, l'assistenza farmaceutica e, strettamente collegata a quest'ultima, l'esenzione dal pagamento del ticket (cfr. Tabella 8). Le segnalazioni sull'accesso all'assistenza territoriale(28,6% nel 2009) diminuiscono rispetto al 2008 (-1,3 punti percentuali), ma si assestano su valori più alti (di 1,1 punti percentuali) rispetto alla media degli anni passati. In particolare, crescono le segnalazioni di difficoltà ad accedere a Riabilitazione, Residenze Sanitarie Assistite e Lungodegenze (11,1% nel 2009, + 3,6% sul 2008 e +5,7% rispetto alla media dei 14 anni). Le rette aumentano, i tempi medi di degenza vengono ridotti, mancano strutture che sappiano gestire persone che presentano quadri clinici complessi (patologie neurologiche e degenerative allo stadio avanzato, persone in coma stabilizzato, ecc..).

In questo settore i problemi sono i più disparati. In Regioni come la Campania, il Lazio e la Calabria nuove delibere e decreti nel 2009 hanno modificato sia le condizioni di accesso a questo tipo di strutture, sia le rette di pagamento, con costi esorbitanti. In Regioni come la Toscana, l'Emilia Romagna o la Lombardia, le pressioni dei cittadini hanno indotto gli assessorati di mettere in bilancio ulteriori finanziamenti o di precisare oneri e competenze relative al pagamento delle rette che, comunque, continuano a rimanere alte. Nel Lazio, sono stati effettuati altri interventi nel corso del 2009 che hanno comportato la chiusura di lungodegenze e la loro conversione in RSA, modificandone, inoltre, i parametri di integrazione della retta mensile.

Seconda voce nelle difficoltà di accesso è quella dell'assistenza ospedaliera, che nel 2009 raccoglie il 20,6% delle lamentele (+2,1% rispetto al 2008, in diminuzione dell'1,3% sulla media 1996-2009). In particolare ci riferiamo a dimissioni premature e rifiuto del ricovero. Entrambe le voci aumentano nel 2009: le dimissioni passano dal 14% del 2008 al 15,7% nel 2009; il rifiuto di ricoveri dal 4,5% del 2008 al 4,9% nell'ultimo anno. Ad essere colpiti dalle dimissioni sono soprattutto i pazienti ricoverati in neurologia e negli istituti riabilitativi.


Il diritto al tempo: liste di attesa off limits per le ecografie. Attese record nell'oncologia. E per gli interventi chirurgici le liste si allungano anche nel privato

La violazione del diritto al tempo rappresenta in media il 10% delle segnalazioni ricevute dal Tribunale per i diritti del malato dal 1996 al 2009, con un incremento notevole negli ultimi anni: nel 2009 si attesta al 15%.

In particolare, l'aumento delle segnalazioni in questo ambito (cfr. Tabella 9) è legato alle lamentale sulle liste di attesa per accedere a visite, esami ed interventi chirurgici (47,4% delle segnalazioni nel 2009, + 9,3% rispetto al 2008 e + 4,8% rispetto alla media 1996/2009) e allelungaggini per l'accertamento della invalidità civile e dell'handicap (42,6% nel 2009, in diminuzione del 6,1% rispetto all'anno precedente, ma in crescita del 5% rispetto alla media dei 14 anni).

In riferimento alle liste di attesa, queste interessano in egual misura l'area diagnostica (36,9%), la specialistica (31,8%), che quella degli interventi chirurgici (31,3%).

L'ecografia, in particolare quella all'addome, risulta essere l'esame diagnostico per il quale si attende di più, anche 340 giorni; nel 2009 essa rappresenta (cfr. Tabella 10) il 27,3% delle segnalazioni sui lunghi tempi di attesa in diagnostica (con un incremento del 3,9% sia rispetto al 2008 che alla media dei 14 anni).

Nel 2009 segnaliamo un evidente incremento delle segnalazioni sulle TAC (segnaliamo tempi di attesa anche di 220 giorni) che da un 10% dell'anno 2008 raggiungono quota 17% e di contro deitrend di pacata diminuzione nelle segnalazioni sulle risonanze magnetiche (-4,2%), mammografie (-2,7%) ed ecodoppler (-3,6%).

Esami questi che si caratterizzano per il loro largo impiego in ambiti clinici di grosso impatto per la salute dei cittadini, come le patologie oncologiche, neurologiche e cardiovascolari.

Nell'area specialistica, notiamo invece allarmanti tendenze nelle liste di attesa per l'oncologia (cfr. Tabella 11): essa balza, insieme all'odontoiatria, al primo posto nelle attese più lunghe (10,2% nel 2009, +2,7% rispetto all'anno precedente). Ma se per l'odontoiatria sappiamo quanto poco, pressoché nulla, garantisca il Servizio sanitario nazionale, ci allarma avere la sensazione che il tumore possa attendere: anche più di un anno per una visita di controllo dopo un melanoma.

Altro dato che mostra un aumento preoccupante è la ginecologia e l'ostetricia che dal 2,5% del 2008 passa ad un 8,2% nel 2009. Dato più che triplicato nell'ultimo anno, specchio delle segnalazioni soprattutto delle future mamme impossibilitate ad accedere in tempi utili a visite di controllo presso il servizio pubblico e che si trovano costrette a rivolgersi, come ormai risaputo, a professionisti privati.

Nell'area della chirurgia (cfr. Tabella 12), il 2009 vede in testa per i lunghi tempi di attesa gli interventi di chirurgia generale (20,7%, +3,7% rispetto al 2008, +2,8% sul periodo 1996-2009), a seguire l'ortopedia (20% nell'ultimo anno, in netta diminuzione dell'8,1% rispetto al 2008 e del 6,7% rispetto alla media dei 14 anni). Si aspetta anche più di un anno per un intervento di chirurgia generale e quasi un anno e mezzo per un intervento ortopedico. Al terzo posto della classifica gli interventi oncologici che si attestano al 18,5% nell'ultimo anno (+4% rispetto al 2008 e +3,2% rispetto alla media); l'oculistica, al quarto posto con il 10,6% delle segnalazioni nel 2009 (oltre il 2% in confronto all'anno precedente e al trend 1996-2009).

Un'importante considerazione va fatta sulla questione liste di attesa per gli interventi chirurgici: riscontriamo che i tempi si sono allungati soprattutto nelle strutture private e convenzionate, segno di un sistema che così com'è non ce la fa a rispondere alle esigenze dei cittadini.


Invalidità civile ed attese incivili. Più di un anno per il riconoscimento. Attese disumane per malati cronici ed oncologici

Anche per il riconoscimento della invalidità civile e dell'handicap si attende troppo: più di un anno contro i nove mesi previsti dalla normativa.

Il meccanismo si inceppa innanzitutto nella consegna del verbale di invalidità (cfr. Tabella 13), segnalato come momento lacunoso della procedura nel 39,5% dei casi, seguito dall'attesa per la prima visita (29,3%) e dalla rivedibilità (14,5%). Riferendoci agli incrementi nelle segnalazioni ricevute nel corso del 2009 rispetto al 2008, scopriamo che ad aumentare sono state soprattutto gli intoppi per ricevere l'assegno di invalidità/accompagno (8,4% nel 2009, +4,1% sul 2008) e quelli per i casi di aggravamento della patologia.

Malati oncologici (il 33,8% delle segnalazioni fa riferimento a loro) e malati cronici (26,1%) sono i soggetti che, paradossalmente, attendono di più; i primi facendo i conti con tempi di attesa che vanno ben oltre i 15 giorni previsti dalla normativa (legge 80/06) per essere visitati al fine del conseguimento della invalidità; i secondi si scontrano soprattutto con l'assurdità di esser richiamati a visita ogni anno, nonostante siano affetti da patologie stabilizzate o ingravescenti e dunque, in perfetto contrasto rispetto a quanto previsto dal decreto ministeriale del 2 agosto 2007.


L'umanizzazione delle cure: vince l'incuria e i comportamenti inadeguati verso i pazienti

In 14 anni di Pit Salute, il tema della umanizzazione delle cure registra un trend sostanzialmente stabile, attestandosi all'8% delle segnalazioni dei cittadini: dal 1996 ad oggi la crescita è stata molto modesta, pari al +1% (9% nel 2009).

La mancata umanizzazione è scambiare il nome di un paziente con un numero di un letto, è passare velocemente vicino al dolore di una persona e non accorgersi che sta soffrendo, è dire la parola sbagliata nel momento sbagliato, è soprattutto non fare quel gesto di attenzione che andrebbe fatto.

Incuria, comportamenti del personale, maltrattamenti, dolore inutile e violazione della privacy, sono i cinque aspetti considerati in questo ambito dell'analisi (cfr. Tabella 14).

Il più segnalato è stato l'incuria (49% nel 2009, +5% circa rispetto al 2008 e alla media dei 14 anni), intesa come mancanza di attenzione e "cura" verso le persone assistite, non lavate o cambiate in modo inadeguato, non aiutate ad alzarsi dal letto o a muoversi per evitare lesioni da pressione. Pensiamo a persone non autosufficienti e ricoverate in lungodegenza o residenze sanitarie assistite. Altrettanto numerosi sono stati i casi di comportamenti inadeguati del personale (40,6% nel 2009, +1,1% rispetto al 2008 e +2,4% rispetto alla media 1996-2009): poca pazienza, frasi poco garbate, più da parte dei medici che degli infermieri, anche se i casi che riguardano questi ultimi stanno aumentando.


Area materno-infantile: il Paese più sicuro per partorire?

Siamo certamente uno dei paesi più sicuri al mondo in cui partorire ma alcuni dati dell'osservatorio di Cittadinanzattiva parlano chiaro e mostrano alcuni elementi da prendere sul serio: nell'ultimo anno le segnalazioni di lunghe liste di attesa per le visite ostetriche e ginecologiche sono arrivate all'8,2%, con un incremento del 5,7% rispetto al 2008 e del 3,3% sulla media dei 14 anni 1996-2009. i presunti errori diagnostici e terapeutici si attestano rispettivamente all'8,2% e al 7,3%, sostanzialmente stabile rispetto agli ultimi anni. Altri dati che emergono dall'Audit civico, ossia dalla valutazione civica effettuata da Cittadinanzattiva su 138 ospedali ci dicono che: meno della metà (44%) dichiara di effettuare il parto indolore; su 64 aziende sanitarie, la metà informa poco o per nulla le mamme su procedure, rischi, complicanze del parto cesareo (nel modulo del consenso informato), e il 25% non adotta misure volte a prevenire il decesso materno durante il parto come previsto dalla Raccomandazione ministeriale. E' giusto applicare sanzioni quando qualcuno commette errori, ma il problema è anche di un sistema organizzativo ormai in crisi: quello dei punti nascita. E' prioritario, pertanto, lavorare a più livelli per garantire in Italia punti nascita accessibili e sicuri, attrezzati per l'emergenza, capaci di prendersi cura di madri e neonati, ma anche pensati per essere più accoglienti e capaci di garantire qualità dell'assistenza e umanizzazione dei percorsi.