mercoledì 15 dicembre 2010

PD, il partito che non c'è.


Saranno contenti i delatori di Di Pietro e Grillo, gli unici che non gliele mandano a dire, ma gliele dicono proprio, o che ci informano.

Questi delatori, spregevoli sostenitori del PD, il partito che non sa dove e come collocarsi, che ha perso la sua identità, che si è dissociato da tutti e tutto, che ha permesso che un "conflitto di interessi" approdasse sullo scranno più alto in parlamento, hanno regalato la vittoria ad un piduista.

Che differenza c'è tra loro e i mercenari della politica?

Entrambi contribuiscono a mantenere una situazione incerta, destabilizzante.

Io non so dove il PD voglia approdare, di una cosa sono certa, debbono ritrovare se stessi, si sono persi in un oceano di forse, ma, se.

Vi sono troppi comandanti, e nessuno di questi vuole sacrificarsi per designare, finalmente, un capo carismatico con un carattere forte, un condottiero che riporti la sinistra a riguadagnare la credibilità ed il rispetto che merita un partito di sinistra, quella che protegge i lavoratori che sono, poi, l'unico e vero sostegno di una nazione.

Che vadano a fare in cu...o i vari Fassino, D'Alema, Franceschini e Bersani stesso: gli manca il carisma perchè abbarbicati al loro potere o perchè senza carattere.

Io sento di appartenere alla ideologia di sinistra, ma non mi sento più rappresentata da questa sinistra composta da padroni assoluti e sempiterni, mi manca il terreno sotto i piedi e, conscia del fatto che il mio voto può fare la differenza, voto il meno marcio o chi, almeno, dice pubblicamente ciò che anch'io direi.

Meglio Di Pietro, Grillo, Vendola che, con tutti i difetti possibili riscontrabili in comuni esseri umani, sono ancora gli unici che mi ispirano fiducia.


Un giorno buio. - Antonio Padellaro.




Questo martedì 14 dicembre, che in tanti aspettavano come l’inizio di una fine, sarà ricordato come una giornata buia, disperante, dove il peggio ha dato il peggio di sé. Due immagini.

Tre membri del Parlamento, transfughi dal centrosinistra, che attendono l’ultimo momento dell’ultima conta nell’aula di Montecitorio per far valere il peso decisivo del loro sì al governo. Così che il presidente del Consiglio possa misurarne il cospicuo valore (in tutti sensi), e generosamente ricambiare.

Intanto, non lontano dal Palazzo sordi boati annunciano battaglia. Dalla gigantesca e pacifica manifestazione degli studenti si staccano le nutrite milizie della guerriglia urbana e si scontrano con la polizia in tenuta antisommossa (che, quasi impreparata a sostenere l’urto, reagisce con altrettanta violenza). Per ore, nel centro della Capitale, scene come non si vedevano dalla fine degli anni Settanta, dagli anni di piombo appunto.

Chiariamo subito. Nessuna indulgenza con chi fracassa, devasta e appicca incendi. Ma qualcosa deve farci riflettere. C’è una rabbia generazionale che sta attraversando l’Europa: Atene, Londra e adesso Roma. Una reazione alle politiche restrittive dei governi che viene da lontano, ma che diventa furiosa davanti alla ottusa indifferenza delle cosiddette classi dirigenti, concentrate solo sull’autoconservazione del potere. La rivolta era probabilmente premeditata, ma la scintilla scocca quando dalla Camera giunge notizia della fiducia strappata per un pugno di voti e con un pugno alla decenza.

Lo schifo per una politica che si prostituisce a chi offre di più non può essere un alibi per i teppisti, ma spiega una realtà. L’Italia è attraversata da fortissime tensioni (sociali, umane) che le masse studentesche interpretano con la mutevolezza dei vent’anni. E se la finta allegria dei cortei si trasfigura nell’odio e se il sorriso nel grido, le ferme condanne servono a poco. Qualcuno pensa davvero di rispondere all’emergenza di un paese che ha sempre meno soldi e tanto meno futuro con un governo incapace, con una maggioranza raccattata, con un premier impresentabile? La prossima volta chi manderanno incontro alle masse sempre più incazzate? Scilipoti?


La lobby di Dio - Ferruccio Pinotti


Diario della Crisi con Luca Telese e Arianna Ciccone: manifestazione del 14 Dicembre 2010 a Roma



Passerà alla storia come il giorno della sconfitta e della vergogna.
Il giorno in cui abbiamo perso dignità e onore per mano di pochi mercenari della politica.

Trattativa Stato-mafia, i pm interrogheranno Gianni De Gennaro



PALERMO – Una conversazione tra due funzionari della Dia sul progetto di ‘’dissociazione’’ captata nel ’92 dalle orecchie attente di Gaspare Mutolo e riferita pochi mesi fa ai pm nisseni. I misteri dell’estate dei veleni dell’89, con il ritorno di Contorno in Sicilia e le misteriose lettere del Corvo che alimentarono polemiche violentissime sul fronte antimafia. E persino i buchi neri del fallito attentato dell’Addaura, che Falcone attribui’ a ‘’menti raffinatissime’’.

L’indagine sulla strage di via D’Amelio, oltre al livello militare mafioso, ha imboccato con decisione la pista del contesto politico-istituzionale con gli interrogatori dei vertici dello Stato, investigativi e de servizi segreti dell’epoca. E ora la procura di Caltanissetta ha deciso di mettere in calendario l’audiziome, nelle vesti di testimone, del capo degli 007 italiani Gianni De Gennaro.

Non sarà il signor Franco, e neppure il suo diretto superiore, come insinua Massimo Ciancimino. Ma l’ex capo della polizia, ex collaboratore e amico di Giovanni Falcone, e oggi al vertice del Dis, il dipartimento informazioni per la sicurezza, è l’asso dell’antimafia che, secondo i pm nisseni, meglio di chiunque altro può raccontare tutte le strategie di contrasto adottate in Italia contro Cosa nostra dal pentimento di Masino Buscetta in poi, cercando di illuminare i numerosi punti oscuri. E per questo motivo i pm di Caltanissetta che indagano sulla strage di via D’Amelio sentiranno proprio lui, De Gennaro, l’amico dell’Fbi, il bureau americano che dopo le accuse di Ciancimino jr – per bocca del direttore Robert S. Mueller – non ha perso tempo a intessere pubblicamente i suoi elogi. ‘’Per quasi trent’anni De Gennaro è stato un amico fidato e un partner dell’ Fbi e delle forze dell’ordine Usa – ha detto Mueller – . E’ un leader che ha dato un contributo significativo alla lotta contro il crimine organizzato e il terrorismo’’.

L’obiettivo dei magistrati nisseni Sergio Lari, Nico Gozzo, Nicolo’ Marino e Amedeo Bertone, che hanno appena indagato per calunnia il figlio di don Vito, è quello di farsi raccontare per filo e per segno dal capo del Dis la storia della lotta al crimine organizzato nel nostro paese e le sue alterne vicende, fatte di luci e ombre, prima e dopo la caduta del muro di Berlino. E se i pm hanno chiaramente mostrato di non credere alle parole di Massimo Ciancimino che – tra fughe in avanti e retromarce – ha avvicinato De Gennaro al misterioso signor Franco, lo 007 che avrebbe monitorato, passo dopo passo, il negoziato tra Stato e mafia, i magistrati sono curiosi di sapere se il capo del Dis, in quel periodo a cavallo tra le stragi di Capaci e via D’Amelio, ha avuto rapporti con don Vito Ciancimino, con i carabinieri del Ros di Mario Mori, ma anche – e soprattutto – se e cosa sapeva della trattativa in corso in quei mesi.

Una domanda legata ad una circostanza, appresa solo recentemente: il pentito Gaspare Mutolo, infatti, ha raccontato due mesi fa ai pm di Caltanissetta di aver saputo – in quell’estate del ’92 – di manovre in corso per la dissociazione, ascoltando casualmente una conversazione tra due esponenti della Dia, e ne ha indicato i nomi. Uno dei due, oggi in pensione, sentito dagli inquirenti, ha confermato tutto: all’interno della struttura investigativa antimafia, in quel periodo di confusione istituzionale, nel pieno dell’allarme stragista, si discuteva già della dissociazione dei boss detenuti come di una possibile soluzione all’emergenza mafiosa. Anche De Gennaro sapeva? E’ quello che i pm gli chiederanno, nell’interrogatorio che dovrebbe essere calendarizzato prima dell’anno nuovo.

E non solo. A De Gennaro, che era il diretto superiore di Arnaldo La Barbera, il capo della squadra Mobile di Palermo che fece arrestare Vincenzo Scarantino, trasformatosi poi nel falso pentito che per diciotto anni ha consegnato alla giustizia e all’opinione pubblica una falsa verita’ su via D’Amelio, i pm chiederanno di ricostruire la storia della lotta a Cosa nostra fin dall’annus horribilis dell’antimafia: il 1989. In quella primavera di veleni, La Barbera che proprio in quei mesi era a libro paga del Sisde con il nome in codice di ‘’Rutilius’’, arrestò il 26 maggio in una villetta di San Nicola l’Arena, località balneare vicino Palermo, il pentito Totuccio Contorno, ex fedelissimo di Stefano Bontade (il capofila dei clan avversi ai corleonesi) ufficialmente superprotetto negli Usa, ma in realtà sbarcato in Sicilia e ospite dei cugini Grado. In quei mesi 17 mafiosi alleati diTotò Riina restarono sull’asfalto, crivellati di colpi. Il Corvo attribuì quella mattanza nel “triangolo della morte’’ (Bagheria, Altavilla, Casteldaccia), alla caccia spietata di Contorno, e la responsabilità di aver fatto rientrare il pentito in Sicilia ‘’con licenza di uccidere’’ proprio a De Gennaro, accusato di avere ideato con Falcone ‘’l’utilizzazione dinamica del collaboratore sul territorio’’. Accuse poi dissolte nel nulla; in quell’occasione il superpoliziotto si difese con grande fair play ed efficacia, e uscì incolume da quei veleni, ma la Commissione Antimafia dovette secretare centinaia di pagine di intercettazioni telefoniche che documentavano anche i contatti tra il De Gennaro e il pentito, presunto giustiziere, poi prosciolto da ogni accusa.

Contemporaneamente, nel giugno dell’89, una borsa con 58 candelotti di esplosivo veniva rinvenuta sulla scogliera dell’Addaura, a pochi metri dalla villa dove risiedeva Giovanni Falcone che, scampato alla morte per un soffio, attribuì quel fallito attentato a “menti raffinatissime’’. Anche stavolta, il capo del Dis ha reagito con la solita compostezza alle accuse di Ciancimino junior che lo vogliono ‘’vicino al signor Franco’’. E dopo aver incaricato i suoi legali di denunciare il teste per calunnia, si e’ limitato a dichiarare: “Le affermazioni del signor Ciancimino – ha detto – mi lasciano del tutto indifferente, tanto evidente e’ la loro falsita’. Non mi lascero’ intimidire da quest’ennesimo attacco mafioso, cosi’ come non mi hanno mai fermato e intimidito i ripetuti attentati alla mia vita’’.

martedì 14 dicembre 2010

Concessa la cauzione ad Assange Ricorso della Svezia. Nuova udienza entro 48 ore.



La Svezia ha deciso di fare ricorso contro il rilascio su cauzione di Julian Assange. Lo hanno comunicato i rappresentati della procura britannica, che parlano a nome delle autorità svedesi. Nel pomeriggio la magistratura inglese ha concesso la libertà su cauzione per la cifra di 240mila sterline a Julian Assange, accusato dalla magistratura svedese di stupro e molestie nei confronti di due donne (Leggi l’articolo).

In attesa della prossima udienza, che si terrà entro 48 ore, il fondatore di Wikileaks dovrà presentarsi ogni giorno alla polizia per garantire che non ha lasciato il Paese. La decisione die magistrati di rilasciare Assange era stata accolta da applausi dentro e fuori la corte. Un legale in rappresentanza della Svezia aveva subito annunciato di voler presentare ricorso contro la decisione dei magistrati inglesi.

L’avvocato di Assange, Geoffrey Robertson,aveva detto che l’hacker australiano è pronto a restare “agli arresti domiciliari” a casa di Vaughan Smith, il fondatore del Frontline Club, il circolo per giornalisti dove Assange ha risieduto a più riprese prima dell’arresto.

Il magistrato di Westminster che ha concesso la libertà su cauzione per Julian Assange ha imposto alcune restrizioni. Il 39enne australiano avrà un obbligo di domicilio, potrà uscire solo a orari prestabiliti e dovrà indossare un braccialetto elettronico per essere sempre localizzabile. Il giudiceHoward Riddle ha spiegato che rispetto alla prima udienza del 7 dicembre si è attenuato il pericolo di fuga. Tuttavia ha imposto per Assange l’obbligo di firma in un commissariato ogni giorno alle 18 e il divieto di uscire di casa dalle 10 del mattino alle 14 e dalle 22 alle due del mattino successivo.

Assange, giaccia nera e camicia bianca, non ha mai parlato nell’aula ai giornalisti che affollavano l’aula. In precedenza aveva fatto uscire una dichiarazione in cui sfidava chi lo attacca: “Faccio appello al mondo perché protegga il mio lavoro e i miei cari da questi atti illegali e immorali”, ha affermato in una dichiarazione raccolta al telefono dalla madre Catherine a cui è stato negato il permesso di visitarlo in carcere. “Le mie convinzioni non si indeboliscono, resto fedele agli ideali che ho espresso”. Assange ha anche attaccato Visa, Mastercard e PayPal che hanno sospeso la raccolta di offerte per il suo sito e che ha definito “uno strumento della politica estera americana”. Intanto il governo britannico si prepara a fronteggiare un’ondata di cyberattacchi nel caso fosse concessa l’estradizione di Assange: nel mirino degli “hactivisti” ci sarebbe in particolare il sito delle imposte. L’avvocato britannico di Julian Assange, Mark Stephens, ha riferito che a Washington sarebbe stato creato “in segreto un gran giuri’” per definire le prove che possono essere raccolte negli Stati Uniti contro il fondatore di Wikileaks. Se quet’affermazione fosse vera, significherebbe che l’incriminazione è vicina.

Quanto alla popolarità dell’hacker australiano, se Assange raccoglie sostegno in Europa, un sondaggio del Washington Post e Abc, registra come l’opinione degli americani sia controversa e tendenzialmente negativa. Secondo il rilevamento, il 69% degli intervistati è convinto che i dispacci diplomatici pubblicati abbiano messo a rischio gli interessi degli Stati Uniti ed il 59% crede che Assange debba essere incriminato e arrestato dagli Stati Uniti. Le autorità federali stanno valutando la possibilità di incriminare il fondatore del sito che nei mesi scorsi ha diffuso centinaia di migliaia di documenti riservati del dipartimento di Stato e del Pentagono sulla base dell’Espionage Act. Ma la possibilità che i magistrati di Londra – dove è Assange è detenuto dallo scorso 7 dicembre – possano decidere una sua estradizione in Svezia, dove è accusato di stupro, potrebbe complicare le cose. Naturalmente si registra una certa differenza nei giudizi espressi dagli intervistati più giovani, e più appassionati ad Internet ed ai nuovi modelli di comunicazione e informazione: il 30% degli intervistati tra i 18 e i 29 anni, una percentuale doppia di quelli over 50, ritiene infatti che le pubblicazioni di Wikileaks siano state utili per l’interesse pubblico, e per il 46% Assange non deve essere considerato un criminale.

Secondo i lettori di Time Magazine Julian Assange è invece l’uomo dell’anno. Il sondaggio online realizzato dai lettori del settimanale statunitense, che si è appena concluso, lo vede ampiamente in testa con oltre 380mila voti, davanti al premier turco Tayyip Erdogan (oltre 233mila) e la cantante Lady Gaga (oltre 146mila voti). Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama giunge al sesto posto con poco più di 27mila voti.

Alla fine dell’udienza Julian Assange ha lasciato il tribunale di Westminster in un furgone bianco diretto alla prigione di Wandsworth dove ha passato l’ultima settimana. “Julian è arrabbiato – ha detto il suo legale -. Sa di aver ragione e si batterà per tornare libero”.

Roma, disordini su Ponte Cavour al passaggio degli studenti.