Il quadro drammatico delle casse statali impone delle scelte. Per riaprire i cantieri del Valico dei Giovi, ad esempio, si rinuncia alle ultime assegnazioni per la ricostruzione degli edifici in Abruzzo e alla ristrutturazione delle scuole meridionali: a tutt’oggi, i fondi bloccati per completare questi due interventi ammontano a circa 600 milioni. In pratica, manca all’appello il 40% di ciò che è stato previsto dopo il terremoto abruzzese per la ricostruzione di edifici pubblici e privati e circa la metà di quanto promesso dal Cipe nel 2009 alle opere medio-piccole del Mezzogiorno. Quindi, perché secondo il Cipe l’antipasto della Tav Genova-Milano è prioritario rispetto ai terremotati abruzzesi e agli studenti meridionali? Se qualcuno lo chiede al segretario del Comitato, Gianfranco Miccichè, si sente rispondere che i soldi stanziati dall’ultimo governo vanno solo verso le opere del Nord e che «bloccheremo tutti i fondi se non arrivano i fondi anche per le opere nelle altre regioni». Invece, il sindaco de L’Aquila Massimo Cialente ha un’altra spiegazione: «In Italia si pensa prima a rifare il salotto buono e poi la cucina, cioè prima si pensa alla grande opera e poi a quelle essenziali per il territorio. Perché? L’infrastruttura nuova si annuncia, crea consenso elettorale, invece i soldi impiegati per le piccole opere non hanno visibilità. Ma prima di fare il Ponte sullo Stretto bisogna mettere in sicurezza il Paese. Ed è il governo in carica che decide quali siano le priorità».
«Il Governo farebbe bene a decidere quali infrastrutture sono prioritarie e a minor impatto ambientale, sociale ed economico», tuonava qualche tempo fa il Wwf. E il governo lo ha fatto: due su tre sono al Nord. Riprende Cialente: «Mi sono dimesso da vicecommissario alla ricostruzione per i ritardi nelle assegnazioni dei finanziamenti selezionati dal Fas: un miliardo di euro che non possiamo usare perché la governance che sovrintende i lavori, decisa dal governo, è inadeguata. A volte mi viene il sospetto che sia fatto tutto apposta per non farci usare i fondi. Ma noi come facciamo a non essere prioritari con 14mila persone che ancora non hanno ripreso possesso della propria casa?». Sarà anche perché scarseggiano gli sponsor per l’Abruzzo e per le opere di manutenzione al Sud. Mentre per il Valico dei Giovi non mancano: in primis, l’ex ministro Claudio Scajola e quindi il viceministro alle Infrastrutture Roberto Castelli. Scajola, in particolare, al Valico è legato per provenienza: ligure d’origine e dominus di molti progetti infrastrutturali in regione, l’ex ministro sa che la Tav Milano Genova è il sogno di molti conterranei. A cominciare dai 150mila pendolari che transitano ogni mattina tra il capoluogo lombardo e quello ligure, per proseguire con gli abitanti delle zone interessate che vedrebbero occupazione e sviluppo, e concludere con gli imprenditori che collegando il porto genovese a Milano incrementerebbero ricavi e investimenti.
Infatti nel caso del Terzo Valico il problema non è la volontà, ma la disponibilità: l’opera è antieconomica. Pian piano l’hanno ammesso tutti: la Banca europea per gli investimenti, l’Ispa (Cassa depositi e prestiti), gli imprenditori. Il tratto costa oltre sei miliardi e per ora la Ue non ha intenzione di sborsare un euro. Tant’è che l’estate scorsa Giovanni Calvini, presidente di Confindustria Genova ha dichiarato a proposito del Valico: «A questo punto sarebbe meglio rinunciare. Le abbiamo provate tutte ma da soli non ce la facciamo». Ed è comprensibile visto che con questi chiari di luna dovuti alla crisi è improbabile che lo Stato sborsi sei miliardi per un tratto della Tav considerato tra i più cari d’Europa: 6.200 milioni per 54 chilometri di tracciato, 114 milioni di euro per chilometro. Per alleggerire il peso sull’Erario Castelli ha proposto di spalmare la cifra necessaria per tutti gli anni di lavoro, almeno altri otto secondo le previsioni: in pratica, una tassa in più. E poi una volta terminato il Valico, secondo alcune stime i costi di gestione ricadrebbero per l’85% sullo Stato: la tassa, quindi, sarebbe definitiva.
A proposito del Valico, un anno fa il Wwf ha acceso il sospetto di cantieri rilanciati per soli fini elettorali: «Alcuni commi della finanziaria appena votata alla Camera rischiano di trasformare i primi cantieri delle Grandi Opere in colossali incompiute, cattedrali nel deserto». In effetti uno dei commi stabilisce che «il contraente generale o l’ affidatario dei lavori nulla abbia a pretendere nel caso dell’eventuale mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera o di lotti successivi». E perfino l’Ance (Associazione nazionale dei costruttori edili) è d’accordo con gli ambientalisti: «I timori del Wwf sono condivisibili – spiega Stefano Delle Piane, vicepresidente nazionale di Ance – (…) È come se lo Stato dicesse: sappi che oggi i quattrini ci sono ma non potrai eccepire se in futuro non arriveranno. Diciamo che io, che lavoro con i miei soldi, un contratto del genere non lo firmerei».
Il Valico però si deve fare, costi quel che costi, anche se a spese del costruttore. Fin dal 1994 – quando l’opera valeva appena 1,5 miliardi di euro – la vicenda è stata ricca di previsioni definitive e smentite categoriche. Con alcuni esponenti politici in rilevanza. Uno di questi è il senatore Luigi Grillo, fedelissimo di Scajola, finito sotto l’occhio degli inquirenti nel 1999: alcune associazioni ambientaliste avevano denunciato i tempi e i costi dei lavori per il Valico che lievitavano in maniera irrazionale. Il 24 febbraio 1998 si decide il sequestro dei cantieri aperti nell’alessandrino, tra Franconalto e Voltaggio, e nel 1999, per decreto del ministro Ronchi, i cantieri sono chiusi. Intanto, a tal proposito, la Procura di Milano rinvia a giudizio per truffa aggravata nei confronti dello Stato proprio il senatore Luigi Grillo (al tempo presidente della Commissione ambiente del Senato) ed Ercole Incalza, che ha qualcosa in comune con Scajola: anche lui sembra abbia usato soldi ricevuti dalla “cricca” per acquistare una casa a Roma. A proposito dell’inchiesta sull’opera alessandrina, nel 2006 i reati cadono in prescrizione: Grillo, Incalza ed altri manager fruiscono della legge ex Cirielli. In ogni caso, nel 2005 Grillo è di nuovo sui cantieri auspicando la pronta ripresa dei lavori e a giugno del 2010 il senatore è ancora a Voltaggio per promettere che presto la Tav si rimetterà in moto: a ottobre, però, non c’era ancora nessuno a popolare i prefabbricati cantieristici, abbandonati o quasi da almeno tre anni.
Ma è Claudio Scajola il vero promoter del Valico durante i governi Berlusconi. Nel 2001, Lunardi inserisce il tratto tra le opere prioritarie del governo e la Banca europea per gli investimenti promette fondi che nel 2007 ritirerà: è un’infrastruttura antieconomica. Il governo rilancia: l’opera sarà pagata tramite obbligazioni dell’Ispa (Infrastrutture Spa). Ma nel 2006 il presidente della società, Andrea Monorchio, smentisce in maniera categorica: «Si sapeva da sempre che la Milano-Genova non era finanziabile con le modalità finora seguite per le altre tratte dell’alta velocità. Costa 5 miliardi e l’opera non è redditiva perché i ricavi valgono solo il 15% dei costi». E anche Mauro Moretti, ad di Ferrovie dello Stato, affermava tre anni fa: «Nessuno vuole cancellare il progetto del Terzo Valico, però oggi le priorità sono altre». Ma quando nel 2008 Berlusconi torna al governo e Scajola approda al ministero dello Sviluppo economico, Moretti cambia idea sull’importanza dell’opera, che torna ad essere prioritaria. E alla prima riunione del Cipe il Valico dei Giovi ottiene subito lo stanziamento dei primi 500 milioni. Soldi che un mese fa sono stati confermati e che rimetteranno in moto i cantieri per un altro anno – forse qualcosa di più – poi si vedrà. Intanto, la ristrutturazione in Abruzzo e le piccole opere del Mezzogiorno dovranno aspettare il prossimo giro: i soldi non possono bastare se le priorità sono altrove.
di Gianluca Schinaia – FpS Media