venerdì 28 gennaio 2011

la sala del bunga bunga.




Così si è salvato Lele Mora.




Berlusconi lo stava lasciando fallire. Ma proprio mentre scoppiava il Rybygate, si è improvvisamente ricordato del suo «amico in difficoltà». E lo ha riempito di soldi.

Lunedì 10 gennaio 2011 al palazzo di giustizia di Milano. Si riprende dopo le ferie e i sostituti procuratori Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci interrogano Dario Mora, detto Lele, per la bancarotta della sua Lm management, sepolta da un buco di circa 18 milioni di euro. Come da rito, il pm chiede all'indagato generalità e titoli di studio. L'agente di dive e tronisti, all'occorrenza accompagnatore di fanciulle economicamente disagiate verso l'Ostello della Gioventù di Arcore, rivela un curriculum in formato Bankitalia: laurea in economia e commercio all'Università di Bologna e laurea honoris causa in Scienze della comunicazione allo Iulm di Milano. Fusco, un veterano dei processi Parmalat e Bpl, incassa e rilancia dicendo che gli fa piacere parlare con una persona così qualificata, visto che il processo è per un reato finanziario. Ma il know-how economico di Lele non è passato dalle aule accademiche. Tutto guadagnato sul campo.

A una verifica de "L'espresso", infatti, l'Alma Mater di Bologna risponde "sconosciuto al battaglione". Mora non risulta né laureato, né iscritto, in base ad archivi che risalgono fino al 1933. La storia dello Iulm è più recente, ma l'università privata milanese dà la stessa risposta.

Benvenuti nel mondo di Mora, dove sogno e realtà sembrano fondersi in "vite parallele", per usare la stessa espressione con cui Karima detta Ruby ha giustificato il suo dietrofront sui festini a luci rosse a casa del premier. Se fino all'estate scorsa, l'allora minorenne marocchina era una testimone d'accusa, ora si è trasformata in un pilastro della difesa, scagionando Berlusconi prima con i suoi avvocati e poi in un'intervista televisiva con Alfonso Signorini.

Anche per Lele i dilemmi si sprecano. Agente delle star o accompagnatore e sfruttatore di prostitute, compresa Ruby? Ex parrucchiere veneto pregiudicato per spaccio di cocaina o imprenditore laureato? Ricchissimo o poverissimo?

Ai magistrati che indagano sulla Lm management interessa solo il terzo interrogativo. Mora ha già confessato di aver prelevato più di tre milioni di euro dalle casse della società fallita, usando lo stesso giro di fatture false del suo amico fotografo Fabrizio Corona (che, smentendolo, nega di averli mai intascati come ipotetico regalo amoroso). Ma non basta. Il curatore del fallimento, Salvatore Sanzo, ha scoperto che Lele usava il conto dell'azienda come un Bancomat personale, con prelievi accertati fino a 2,8 milioni e uno scoperto finale di un milione e 200 mila euro, mentre il fisco reclama tasse non pagate per altri 15 milioni. Di qui l'istanza di mettere all'asta non solo la Lm managament, ma tutti i beni della galassia Mora, in Italia e all'estero, comprese le proprietà personali e i patrimoni delle società ancora attive, formalmente intestate ai figli Mirko e Diana ma secondo l'accusa gestite da Lele.

Lo spettro del fallimento ora incombe anche sulla Lm productions, che continua a gestire i personaggi della scuderia. Qui l'altro socio è Andrea Carboni, figlio di Flavio (il faccendiere del crac Ambrosiano appena scarcerato per l'affare P3). Ma a rischio è soprattutto il tesoro dell'Immobiliare Diana, controllata dalla lussemburghese, Feva investments. Dagli atti del fallimento, come ha verificato "L'espresso", risulta che l'immobiliare Diana è proprietaria di sei appartamenti a Milano: gran parte del palazzo di viale Monza 9, dove Mora ha il suo quartier generale, una casa da 14 vani in via Battaglia (zona Loreto) e un'altra da 12 più box in via Meda. Negli ultimi anni, la Diana ha comprato e venduto altri quattro immobili: due case a Milano e due ville in Costa Smeralda.

La più piccola è stata venduta nell'ottobre 2003 a Simona Ventura, quando la showgirl era ancora nella scuderia di Lele. Poi c'è un appartamento in via Settembrini a Milano. Mora lo compra da Umberto Smaila e lo rivende a fine 2007 a Luisa Corna, la più amata dalla Lega. E ora attenzione alle date: il fisco notifica le accuse più gravi tra il 2007 e l'inizio del 2008. È allora che si creano le premesse della bancarotta. E poco dopo la Diana srl vende i pezzi più pregiati. Lo stesso giorno, il 15 maggio 2008, cede l'intero primo piano del palazzo di viale Monza e la villa più grande di Porto Cervo (13 vani).



giovedì 27 gennaio 2011

Boccassini, Anm replica al Giornale: "Non ci faremo intimidire".




Un messaggio intimidatorio è arrivato all'Associazione nazionale magistrati dopo che il presidente ha definito "di inaudita gravità" l'attacco del 'Giornale' a Ilda Boccassini, uno dei pm di Milano che indagano sul caso Ruby

Una e-mail contenente minacce al presidente Luca Palamara è arrivata a un indirizzo di posta elettronica dell’Associazione nazionale magistrati. “Sta per arrivare la vostra ora”, c’è scritto tra l’altro nel testo. Le frasi di minaccia si riferiscono alla posizione di Palamara che questo pomeriggio in conferenza stampa ha detto che non subirà intimidazioni per quanto riguarda la difesa della magistratura tutta e in particolare dei magistrati della procura di Milano e di Ilda Boccassini attaccata oggi dal Giornale.

”Il metodo ‘Mesiano’ non ci intimidisce e non ci intimidirà – ha assicurato Palamara -. Come Anm esprimiamo solidarietà ai colleghi di Milano e alla Boccassini che ha ricevuto un attacco di inaudita gravità da ‘Il Giornale’ per la sola ‘colpa’ di applicare la legge come prevede la Costituzione”.

”E’ un attacco di una gravità inaudita – ha proseguito il presidente dell’Anm – perché non riguarda tutti i titolari dell’inchiesta che sono ben tre, ma uno solo, la Boccassini, con l’intento di personalizzare lo scontro. Se il prezzo di poter svolgere un’indagine è quello di subire ritorsioni, diciamo, a chi si serve di questi metodi denigratori, che non faremo un solo passo indietro”.

Le parole di Palamara si sono aggiunte a quelle del procuratore della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati, che ha così commentato l’articolo del Giornale: ”Le campagne di denigrazione e l’attacco personale si qualificano da soli”.



Il vuoto degli uomini inutili.



Mi sono spesso chiesta qual'è il motivo che spinge alcuni uomini a voler possedere altri esseri viventi.
L'uomo potrebbe vivere di ciò che la natura gli offre e che gli necessita, un riparo dalla pioggia, indumenti per proteggersi dal freddo, cibo per nutrirsi.
Eppure ciò che necessita e la natura offre non gli basta.
E' evidente, allora, che il desiderio di possedere più di ciò che necessita denota il bisogno di colmare un vuoto più vasto.
Se lo stomaco è vuoto si cerca di riempirlo, se si ha sete si beve.
Se si hanno carenze affettive, si cerca di colmarle dando affetto con la speranza di averlo ricambiato.
Qual'è, allora, il vuoto che spinge questi uomini a cercare di possedere altri esseri viventi sia mentalmente che fisicamente?

Un vuoto di etica? Un vuoto di morale? Un vuoto di cultura?

E mi sono data una spiegazione: solo un uomo insicuro delle proprie capacità fisiche e mentali cerca di colmare le sue insicurezze acquisendo, anche disonestamente, beni materiali per catturare altre anime.
E' la pochezza del loro animo che li spinge a crearsi una sicurezza apparente.

Questi uomini sono vuoti a perdere.


Alle elezioni con la nuova legge antimafia.


di Rita Guma - 27 gennaio 2011
Come ben sanno i lettori di ANTIMAFIADuemila, non di rado in Italia un politico viene condannato per associazione mafiosa o un consiglio comunale viene sciolto per infiltrazione o condizionamento mafioso.


Certo il condizionamento potrebbe esserci anche dopo, ma più spesso avviene prima: la mafia appoggia un suo candidato alle elezioni e si assicura una presenza nelle istituzioni, dove si fanno le leggi e dove si prendono tante decisioni importanti, come quelle sugli appalti.

Dalle prossime competizioni elettorali politiche e amministrative, tuttavia, una nuova legge contrasterà la propaganda politica da parte dei mafiosi. Essa è entrata in vigore nell’autunno scorso e prevede il "divieto di svolgimento di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione", con la pena del carcere sia per i sorvegliati speciali che facciano propaganda elettorale, sia per i candidati che se ne avvalgano consapevolmente.

Ma c’è di più: i candidati riconosciuti con sentenza definitiva colpevoli di aver accettato la propaganda della criminalità organizzata vengono condannati all'interdizione dai pubblici uffici e quindi alla ineleggibilità per la stessa durata della pena detentiva.
E tutto questo può anche spiegare l’interesse di alcuni a cercare di rimandare le elezioni politiche.

In realtà il progetto di legge è stato presentato e approvato con il sostegno dei parlamentari
di diversi partiti, da Sabina Rossa (PD) e Angela Napoli (oggi FLI) – prime presentatrici di due pdl analoghi, di cui Napoli è stata anche relatrice in Commissione Giustizia della Camera – fino al Sen. Carlo Vizzini (PdL), relatore del pdl a Palazzo Madama, passando per i deputati Misiti (IdV), Oliverio (PD), Occhiuto (UdC) e Tassone (UdC), firmatari di progetti di legge unificati nel testo infine approvato alla Camera e al Senato a larga maggioranza dei presenti e divenuto legge dello Stato il 13 ottobre 2010.

Tuttavia nei giorni dell’approvazione mancavano, non sempre per ragioni ufficiali, a Montecitorio 234 deputati e a Palazzo Madama 69 senatori. Inoltre alla Camera il testo è stato approvato solo a maggioranza – seppure larga – dei presenti, e vi sono stati alcuni astenuti o contrari.
Certo alcuni parlamentari non avranno gradito la proposta di legge per proprie posizioni eccessivamente garantiste, ma – visti i precedenti di condanne illustri per relazioni con la mafia – è lecito pensare che alcuni politici avessero il timore di non potersi ripresentare alle elezioni con questa normativa.
Ma anche negli enti locali ci saranno molti politici timorosi di andare a nuove elezioni, visto il numero (oltre 200 negli ultimi anni) dei consigli comunali sciolti per inquinamento mafioso fra Campania, Calabria, Sicilia e Puglia, nonché in altre regioni (ad es in Lazio Ardea e Nettuno).

Insomma, un provvedimento di grande impatto. Eppure il grande pubblico e molti addetti ai lavori non conoscono questa legge, tanto che l’Osservatorio sulla legalità e sui diritti ONLUS ha organizzato un convegno di illustrazione della normativa dal titolo "Difendere le Istituzioni dalle infiltrazioni mafiose", che si terrà venerdì 28 gennaio 2011 dalle 17 alle 19.30 presso la sala GAM, in via Galileo Ferraris 30 a Torino con l’intervento del Presidente aggiunto onorario della Corte di CassazioneRomano De Grazia, ideatore del provvedimento legislativo, dei magistrati della Procura della Repubblica di Torino Raffaele Guariniello e Andrea Padalino, e del giornalista Beppe Gandolfo, inviato del TG5 in Piemonte e Valle d'Aosta.

L'incontro – aperto a tutti - prevede ampio spazio per gli interventi del pubblico, che si annuncia costituito non solo da giuristi, politici e amministratori locali, ma dalla società civile impegnata contro la mafia, che in questa legge può trovare la risposta a molte sue istanze.

Infatti, dato che il Decreto Legislativo che dispone il commissariamento degli enti locali in conseguenza di infiltrazioni e condizionamento mafioso colpisce solo quelle province e comuni in cui la situazione è gravemente compromessa e poiché la normativa sul voto di scambio è poco efficace a causa della difficoltà di provare il reato, nelle istituzioni continuano ancor oggi ad esservi politici collusi con la mafia.
La nuova legge invece agisce in modo preventivo, e non lede la libera scelta degli elettori, come avviene invece sciogliendo i consigli degli enti locali, i cui amministratori onesti ed effettivamente rappresentativi dei cittadini perdono il seggio come quelli eletti con i voti decisivi dei criminali.





G8, Pm Perugia: “Sesso e soldi a Bertolaso in cambio degli appalti”.


La procura di Perugia chiude le indagini sulla "cricca"

Appartamento, soldi e una donna disponibile al Salaria Village: sono alcuni dei “favori e utilità” che il costruttore romano Anemone ha riservato all’ex capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, in cambio della concessione degli appalti per il G8 alle ditte del costruttore secondo la procura di Perugia. I capi di imputazione sono contenuti nell’avviso di conclusione indagini con cui i magistrati perugini si apprestano a chiedere il rinvio a giudizio di Bertolaso per corruzione.

Guido Bertolaso, nella sua qualità di capo Dipartimento della Protezione Civile, avrebbe compiuto “scelte economicamente svantaggiose per la Pubblica Amministrazione” ricavandone “favori e utilità” di vario genere, proseguono i pubblici ministeri. Nelle 23 pagine del provvedimento, a Bertolaso viene contestata la corruzione assieme a Diego Anemone. Secondo la procura, l’ex capo della protezione civile, “nel compiere atti contrari al proprio ufficio, connessi all’affidamento e alla gestione degli appalti, illegittimamente favoriva l’imprenditore edile Diego Anemone, interessato all’aggiudicazione degli appalti gestiti dalla struttura di missione incardinata presso il Dipartimento” per lo sviluppo e la competitività del turismo della presidenza del consiglio dei ministri. In particolare, i pm contestano tre appalti, tutti a La Maddalena: quello per la realizzazione “del palazzo della conferenza e area delegati”, quello per la costruzione della “residenza dell’Arsenale” e quello per “l’area stampa e servizi di supporto”.

Il pubblico ufficiale Guido Bertolaso, “da solo o in concorso di volta in volta con altri soggetti – scrivono i magistrati – compiva scelte economicamente svantaggiose per la Pubblica Amministrazione e favorevoli al privato, illegittimamente operava e consentiva, nella sua posizione di vertice, che i funzionari sottoposti operassero affinchè le imprese facenti capo a Diego Anemone (da solo o in Ati con altre facenti parte del medesimo gruppo) risultassero aggiudicatarie degli appalti e consentiva che il costo dell’appalto a carico della Pa aumentasse considerevolmente rispetto a quello del bando, anche mediante l’approvazione di atti aggiuntivi successivi e a fronte di spese incongrue o meramente eccessive, al solo scopo di favorire stabilmente il privato imprenditore appaltatore, agli interessi del quale poneva stabilmente la propria funzione pubblica recependone continuativamente favori ed utilità di vario genere”.

L’avviso di chiusura indagini riguarda alcuni dei principali personaggi finiti al centro dell’inchiesta sugli appalti per i Grandi eventi. Tra loro l’ex capo della protezione civile Guido Bertolaso e il costruttore Diego Anemone. Il provvedimento è stato inoltre disposto, tra gli altri, per i funzionari Angelo Balducci, Mauro Della Giovampaola e Fabio De Santis, l’ex magistrato romano Achille Toro. Sono comunque complessivamente 22 gli indagati per i quali è stato disposto l’avviso di conclusione indagini. Tra i reati contestati a vario titolo la corruzione, anche in atti giudiziari.

L’avviso di conclusione indagini prevede che “qualora il pubblico ministero non deve formulare richiesta di archiviazione” fa notificare il provvedimento agli indagati. Solitamente prelude quindi alla richiesta di rinvio a giudizio. Nell’avviso non compaiono invece i nomi dell’ex ministro Pietro Lunardi e del cardinale Crescenzio Sepe. Per questo filone d’inchiesta la procura di Perugia ha infatti chiesto l’autorizzazione a procedere alla Camera.

L’avviso di conclusione delle indagini è stato firmato dal procuratore di Perugia Giacomo Fumu, dall’aggiunto Federico Centrone e dai sostituti Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi che hanno coordinato le indagini dei carabinieri del Ros e del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza.



Bunga bunga: i fatti. - di Paolo Biondani e Mario Portanova




Sull'inchiesta che riguarda il premier si è alzata una cortina fumogena, specie in tv. Serve a nascondere gli eventi, abbastanza lineari, emersi dalle intercettazioni. Eccoli, a scanso di dimenticanze o di prescrizioni.

Sono passati pochi giorni dall'esplosione del nuovo scandalo che riguarda il premier - con l'inchiesta giudiziaria per prostituzione minorile e per sfruttamento - e già si è alzata una cortina fumogena mediatica: si discute se i Pm milanesi hanno speso troppo, se Nicole Minetti è o meno una persona intelligente, se la competenza territoriale dell'inchiesta è di Milano o di Monza. Si sfumano, così, alcuni eventi emersi dall'inchiesta in corso e che in ogni altro Paese al mondo avrebbero effetti politici devastanti. Dopo aver letto queste intercettazioni e queste testimonianze, può essere utile confrontarle con i recenti video del premier per farsi un'idea se il Cavaliere menta oppure no.

I reclutatori.
Le intercettazioni telefoniche identificano almeno 14 ragazze, compresa la minorenne Karima El Mahroug detta Ruby, che confermano ad amici e parenti di aver fatto sesso col premier in cambio di soldi, consegnati "direttamente da lui" o dal suo fidato tesoriere Giuseppe Spinelli. L'inchiesta registra 19 festini notturni ad Arcore solo dal primo gennaio al 12 luglio 2010, altri party con decine di ragazze a Roma o in Sardegna e almeno cinque serate orgiastiche in autunno, di nuovo a Villa San Martino.

«Ne vedrai di ogni», spiega la Minetti alla sua compagna di liceo M.T.: «C'è la zoccola, c'è la sudamericana che non parla l'italiano e viene dalle favelas, c'è quella un po' più seria, c'è la via di mezzo tipo Barbara Faggioli e poi ci sono io che faccio quel che faccio».

Le ragazze si mettono in luce tra discoteche, locali alla moda e casting televisivi. Il grande reclutatore è Lele Mora, il "fabbricante di carriere tv", che le raduna nel suo ufficio di viale Monza 9, le istruisce e le accompagna ad Arcore, suggerendo i trucchi per sedurre Berlusconi. «Ti metti lo stetoscopio e un camicione: tu sarai l'infermiera ufficiale», dice Mora, il 13 agosto 2010, alla miss piemontese Roberta Bonasia, che risponde: «Con sotto niente, ovviamente».

Mora è solo il più potente e fidato dei reclutatori di "Papi Girls". Ce ne sono altri, persino intermediari improvvisati. Al punto da recapitare ad Arcore «due valchirie che sembravano transessuali», come protesta Mora dopo la notte del 24 agosto. Ma basta intervistare Poliana Gomes, una delle amiche a cui Ruby parlava di Silvio, per sentirsi confermare che esistono altri accompagnatori ancora sconosciuti: «Anch'io sono stata ad Arcore, ma solo a cena», spiega la brasiliana, che lavora in Rai e Mediaset, «e mi ha portato una persona diversa da Mora. Per entrare nel giro bisogna frequentare i locali giusti di Milano».

Gli esaminatori.
Caricate su furgoni, taxi o auto private, le ragazze di Lele passano prima di tutto al vaglio di Emilio Fede: il direttore del Tg4 le esamina di persona, «è lui a dire questa sì, questa no», e poi parte per Arcore, dove è tra i pochi uomini (tre al massimo) ammessi nella sala sotterranea del bunga bunga. All'occorrenza, però, torna in scena Licia Ronzulli, oggi europarlamentare, già indicata dalla escort barese Patrizia D'Addario come responsabile dell'accoglienza delle "Papi Girls" nell'estate 2008 in Sardegna: il 22 agosto 2010 è di nuovo lei, con Nicole, a selezionare il plotone delle nove ragazze che passeranno la notte con Silvio.

Le preferite, peraltro, vengono «contattate direttamente da Berlusconi»: tra tutte spicca la romena Ioana Visan detta Annina, 23 anni, che tra gennaio e settembre 2010 ha inanellato 53 giornate ad Arcore. Un riscontro vivente: già due anni fa il barese Giampaolo Tarantini confessò d'averla pagata per andare a letto col premier a Roma. Ma ormai sono decine le ragazze che hanno i numeri privati di Berlusconi e lo chiamano perfino di notte (o in ospedale) per sollecitare un invito e reclamare soldi. Troppe. Il 4 ottobre Nicole annuncia che Silvio, «con questi casini politici», vuole ridurre le cene ad Arcore: «Solo una alla settimana». Al che l'italo-brasiliana Iris, 18 anni, s'infuria: «Già ci dà una miseria, è ora di rubare qualcosa da casa, magari una sua foto da giovane per venderla su eBay».

Il Bunga Bunga.
All'ingresso, nessun controllo: «Basta dire il nome e i carabinieri ti fanno entrare», si meravigliano le novizie con i videofonini che sembrano preoccupare solo Fede.

All'inizio si cena con altri ospiti: politici, imprenditori, gente di spettacolo. Berlusconi si presenta con un nugolo di belle ragazze: una battuta per tutti e un brindisi. Poi menù mediterraneo, barzellette e canzoni di Silvio.

Finita la cena, il capo decide chi resta. «Attorno a mezzanotte sentii alcune delle 20 ragazze dire: "Scendiamo al bunga bunga"», ricorda l'universitaria M. T., testimone suo malgrado.

Descrive «una sala con divanetti, un palo da lap dance, un banco bar e dei bagni dove le ragazze si cambiano per la notte».

Qui, tra una sexy-infermiera e una finta poliziotta in topless, le ragazze fanno a gara per diventare "una delle favorite". La notte del 12 luglio, ad Arcore, ci finisce anche Maria M., una danzatrice maghrebina che racconta «l'orgia» in diretta a un superpoliziotto, il prefetto Carlo Ferrigno, scandalizzato quanto lei: «C'erano Berlusconi, Mora e Fede: loro tre e 28 ragazze. Erano tutte senza reggipetto, solo le mutandine quelle strette... Tutte in braccio a Berlusconi, seminude... C'era pure la Minetti col seno da fuori che baciava Berlusconi in continuazione.... Stavano tutte discinte, mezze ubriache, lui le baciava e le toccava tutte... Alla fine sai chi è rimasto a scopare con lui? Le sorelle De Vivo e la "Fio"...».

Il prezzo.
La massa delle Papi girls trova spazi in tv, tra "pupe", "meteorine", "coloradine" o "Grande Fratello". Oltre alle promesse di successo, decine di ospiti ricevono «buste di denaro da Berlusconi»: lo confermano loro stesse al telefono, mentre la Minetti deve pacificare liti e invidie tra Aris che «ha avuto 6,5», «Iris 7», «Francesca solo 2 mila euro e un braccialetto d'oro con la F e un diamantino...».

Almeno 14 tra le più gettonate incassano uno stipendio fisso dal cassiere Spinelli. Sul gradino più alto troneggiano le otto privilegiate (compresa Elisa Toti, presunta fiamma di Renzo Bossi, figlio del leader leghista) che, in aggiunta, vivono gratis negli appartamenti di via Olgettina 65, accanto a Milano 2.

Il solito Spinelli paga gli affitti (da 600 a 1.400 euro al mese) all'immobiliare Friza srl. Le bollette sono saldate nell'ufficio postale interno a Mediaset, con imbarazzanti versamenti "contestuali" a favore di due figli del Cavaliere, Barbara e Piersilvio, e delle amichette di papà. L'unico bonifico di Silvio (10 mila euro) premia Alessandra Sorcinelli. Per il resto, sempre e solo buste di contanti.

La tenutaria.
Accusata di induzione e favoreggiamento della prostituzione anche minorile, Nicole Minetti ha in mano la gestione completa delle case di via Olgettina: fa da tramite per tutte le spese tra le Papi Girls, Silvio e Spinelli. «Il presidente mi ha delegato per la questione appartamenti», precisa al cassiere. E quando una gemellina napoletana prova a scavalcarla, rivendica la sua autorità: «Ci devo essere io perché ho la benzina io, capito?». La "benzina che finisce", per le ragazze, sono i soldi che non bastano mai.

Tra settembre e ottobre Nicole Minetti e Barbara Faggioli progettano «una garanzia per il futuro»: farsi comprare appartamenti «da 10-12 mila euro al metro», «come fanno tutte le amanti», perché «senza Silvio è finita».

Tre "olgettine" intanto si attrezzano per arrotondare con altri clienti: «Stasera vado al ristorante da Giannino, devo concludere». Mentre Barbara si lamenta delle concorrenti dei «giri di Roma», dove «fanno cene anche tre volte alla settimana con Valeria, Rafia, Cinzia...». E Iris protesta con Imma: «Alla fine quel che ti dà Papi non è così alto... Se vengo a Roma, mi deve sganciare più di due... Che palle 'sto vecchio, guarda... Però Papi, qua, è la nostra fonte di lucro».

I soldi alla minorenne.
In questo carnaio, tra il 14 febbraio e il primo maggio 2010, quando aveva appena 17 anni, Karima ha passato, come segnala il suo telefonino, almeno otto notti ad Arcore. Ora nega, ma con gli intimi ammetteva di aver fatto sesso con Berlusconi. A un amico carabiniere, che ora è testimone, spiegò fin da allora di aver detto «già al secondo incontro» la sua vera età al premier, che invece ora giura di averla sempre creduta ventiquattrenne.