venerdì 28 gennaio 2011

Ecco come il presidente del Consiglio pagò il silenzio di Ruby Rubacuori.


Nell'agendina della marocchina c'è la prova dei cinque milioni chiesti a Berlusconi per non raccontare gli incontri di Arcore. Nel frattempo sulla scena entra anche la cocaina sequestrata al fidanzato di Marysthell Polanco condannato a 8 anni di carcere

Pochi numeri annotati a penna. Una scansione breve ma decisiva per decifrare il modo con cuiSilvio Berlusconi ha pagato il silenzio di Ruby. Eccola allora la pistola fumante. Minuziosamente trascritta nell’agendina della giovane marocchina. La si trova a pagina 132 del secondo fascicolo inviato dalla procura di Milano alla giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera.

Eccola allora la contabilità di Ruby Rubacuori: “50mila euro per il libro, 12mila per campagna intimo, 200mila da Luca Risso (fidanzato di Ruby, ndr), 70mila da Dinoia (attuale legale della ragazza, ndr), 170mila conservati da Spinelli (il tesoriere del premier, ndr)”. La somma si ferma a 502mila. Dopodiché Ruby annota questa frase: “Quattro milioni e mezzo da Silvio Berlusconi che ricevo tra due mesi”. Il tutto fissa il totale a cinque milioni. Esattamente la cifra di cui Ruby parla al telefono con la signora Grazia, mamma dell’amico Sergio Corsaro. E’ il 26 ottobre 2010. Da lì a pochi giorni lo scandalo dei festini ad Arcore esploderà sui giornali. Ruby, però, parla a ruota libera: “Io ho parlato con Silvio gli ho detto che voglio uscire di almeno con qualcosa, cioè mi dà 5 milioni, però 5 milioni a confronto del macchiamento del mio nome”

E’ grigia aritmetica. Ma così stanno i fatti. E i fatti aggiungono altri episodi che aiutano a disegnare il grande ricatto al Cavaliere. Prima di quel 26 ottobre, infatti, è già successo qualcosa che serve a mettere a fuoco lo scenario. E’ il 22 settembre. Ruby, che è già stata interrogata dai magistrati a luglio, passeggia per le strade di Genova. Viene fermata per un controllo dalla polizia. E dalla sua borsetta saltano fuori 5mila euro in contanti. Un bel tesoretto che la minorenne (compirà la maggiore età il primo novembre) giustifica con un regalo fattole dalla segreteria di Lele Mora. Qualcosa, però, non torna. Le carte dei magistrati rimettono a posto le tessere del mosaico. Il 14 e il 15 settembre, infatti, Ruby telefona a Giuseppe Spinelli per “dire a Lui (il premier, ndr) che sono veramente in condizioni non gradevoli, e se mi può essere di aiuto… Sto nella cacca… Lui mi aveva detto che mi avrebbe aiutato per tutto il periodo, però poi non l’ho più sentito… Comunque mi servono solamente 5 mila euro”. C’è di più: il 22 settembre il tesoriere del presidente del Consiglio viene intercettato dalla polizia giudiziaria mentre sta spiegando alla stessa Ruby come raggiungerlo a Milano2. Dal canto suo Spinelli dice di aver visto la ragazza “quattro o cinque volte” e di averle versato massimo 8.500. Nel luglio scorso, poi, Ruby si sarebbe fatta sentire insistentemente a Milano 2. Spinelli, però, dice di non averla più pagata. E che solo il suo assistente le ha dato 100 euro per pagarsi il taxi. In quel periodo ad Arcore tutti sanno che lei non è la figlia di Mubarak e che non ha 24 anni, bensì 17.

Di nuovo le intercettazioni raccontano un’altra storia. Il 26 settembre (quattro giorni dopo il fermo di Genova) Ruby è di nuovo al telefono. Questo volta non risponde Spinelli, ma una segretaria. “Sono Ruby – dice la marocchina – avevo da riferirle un messaggio se lo poteva riferire al Presidente?”. L’altra annuisce. La ragazza prosegue: “Può dire quando sale per il lunedì mi può contattare”. La telefonata prosegue. “E se lo può ringraziare per il regalo?”. Il disegno si completa con le telefonate di Ruby a Luca Giuliante, suo avvocato fino al 29 ottobre quando passerà sotto la tutela di Massimo Dinoia. Anche in queste conversazioni l’elemento decisivo è “una grande cifra” da chiedere al premier.

Questo, però, è uno scandalo dalle mille facce. Ci sono i festini, le buste con i soldi, il sesso, le menzogne. E c’è anche la droga. Cocaina per la precisione. Tanta e non poca: 12 chili di polvere bianca, sequestrati il 3 agosto in diversi luoghi di Milano. Tre chili in via Portalupi vicino a via Mecenate. E ben nove in un garage di via Olgettina 65, il palazzo in cui il Cavaliere ospitava le ragazze. Il box della droga è di una di loro. Si tratta di Marysthell Polanco, la domenicana che fa la soubrette a Colorado cafè. Non solo, quella cocaina è del suo fidanzato che il 26 gennaio è stato condannato dal gup di Milano a 8 anni di carcere e 120 mila euro di multa. Si tratta di Ramirez de La Rosa fermato il 3 agosto a bordo di una Mini cooper intestata al consigliere regionale del PdlNicole Minetti. Insomma, siamo davanti a un’operazione antidroga in piena regola. E la regola vorrebbe che uno spacciatore fermato su un’auto non sua dia il via a una perqusizione in casa della titolare della macchina. Ma Nicole MInetti non riceve la visita degli investigatori. E nemmeno Marysthell viene toccate. Né indagata, né tantomeno arrestata. Il garage, ricordiamolo, è intestato a lei. Di più: in casa gli investigatori durante le perquisizioni del 14 gennaio le trovano una macchinetta conta soldi.

Il 5 agosto, però, Barbara Faggioli ne parla con la Minetti. “Mi hanno detto di non parlarne con te al telefono, non so cosa hanno trovato. Mi ha detto, dì alla Nicole di fare una denuncia alla sua macchina”. Chi sia questo misterioso consigliere resta un mistero. Dopodiché l’ex igienista dentale del premier racconta tutto: “Hanno trovato stupefacenti. Non so che fare”. Quindi il sospetto della Faggioli: “Ma Marysthell l’ha fatto apposta a chiederti la macchina?”. Nicole Minetti è decisamente furiosa con la domenicana: “Se potessi sparerei a Merysthelle, non avrei mai pensato che mi facesse una cosa del genere” (dm)



Caso Ruby, le bugie di B. e dalle carte emerge un secondo depistaggio.


Le nuove carte dell'inchiesta aggiungono particolari a un quadro giudiziario già chiaro. Le intercettazioni così rivelano anche il consiglio di B per sviare le indagini sul sequestro di droga

Cocaina, sesso, soldi, ricatti, sogni, idoli politici. E tante, troppe bugie. Almeno nove. Le nuove carte inviate alla giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera aggiungono particolari a una quadro già piuttosto chiaro. Quello che ne emerge è un scenario desolante sul quale si muove un presidente del Consiglio del tutto fuori controllo e totalmente ricattato. Un premier che nonostante lo scandalo esploso a fine ottobre, ancora il 6 giugno organizza festini a villa San Martino, con oltre venti ragazze, tutte ospitate nella sala del bunga bunga con il solito Emilio Fede e l’amico Apicella. Il premier va avanti. Toni e spartiti non cambiano. Anzi si aggiungono particolari: c’è una nuova minorenne, un nuovo depistaggio, altre bugie. Vediamole.

Almeno nove bugie

La prima: il Cavaliere dice di non aver mai fatto sesso con Ruby. Particolare smentito da diversi documenti. A raccontare la versione opposta ci sono intercettazioni, sms e testimonianze dirette.Seconda: per B. è la stessa Ruby a scagionarlo. In realtà, fin da subito la marocchina svela il bunga bunga. E continua a farlo anche durante un interrogatorio fantasma andato in scena il 6 ottobre. Davanti la ragazza ha Lele Mora e un misterioso emissario del premier. Terza: dice di aver chiamato una sola volta in Questura. In realtà le chiamate agli uffici di via Fatebenefratelli sono diverse. Non solo: è lui a far girare “la balla” (così la definirà il questore Vincenzo Indolfi) della nipote di Mubarack. Al termine di quella notte, Ruby verrà affidata illegittimamente a Nicole Minetti. Quarta: nel suo primo discorso pubblico, dopo lo scandalo, racconta della 28° persecuzione giudiziaria. In realtà è la 16°. Dalla conta, poi, emergono tre assoluzioni. Quinta: il premier racconta di essere spiato dal gennaio 2010. Lui in realtà non è mai stato spiato né intercettato. Sotto la lente degli investigatori sono finiti invece i cellulari delle ragazze. Sesta:nessuna violazione della sua casa come ha detto più volte il presidente del Consiglio. Le indagini degli investigatori si sono sempre fermate fuori dai cancelli di villa San Martino. Settimo: per bocca dei suoi legali ha fatto sapere che “i magistrati di Milano sono incompetenti”. Dottrina e giurisprudenza danno, invece, ragione alla procura. Ottava: il Cavaliere punta il dito contro i metodi della polizia. Dice: “Ragazze maltrattate”. Il quadro viene smentito dagli stessi poliziotti. Ma anche dal tesoriere di Arcore Giuseppe Spinelli: “Poliziotti garbati”. Nove: “Mai pagata una donna”. Inverosimile, intercettazioni e testimonianze, rivelano il contrario. Il pagamento è uno dei motivi principali per cui le ragazze frequentavano la villa di Berlusconi.

La coca, l’auto e la denuncia

Il 3 agosto scorso il fidanzato di Marysthell Polanco viene fermato a bordo di una Mini cooper. Addosso gli uomini della Finanza gli trovano oltre un etto di cocaina. A bordo c’è Carlos Ramirez de la Rosa e un altro uomo. Dopo il fermo, la perquisizione si sposta in via Olgettina. Qui, nel garage della Polanco, saltano fuori oltre tre chili di cocaina (altri nove verranno trovati in un altro appartamento). De la Rosa va in carcere. Sarà condannato a 8 anni. Ma che succede i giorni successivi all’arresto? Lo rivelano le intercettazioni. Da queste emerge un dato inquietante. L’invito del premier alla Minetti di dire il falso. Il consiglio del Cavaliere è infatti quello di denunciare la scomparsa dell’auto. E’ una bugia evidente. La Mini cooper la Minetti l’ha prestata all’amica Marysthell. Il consigliere regionale, infatti, è in vacanza. Lei non seguirà il consiglio, convinta (e in effetti sarà così) di poter dimostrare la propria estraneità ai fatti. Racconta l’ex igienista dentale diBerlusconi: “A un certo punto, ero a cena, mi chiama la Barbara Faggioli e mi dice che lui (Berlusconi,ndr) l’ha chiamata e le ha detto chiama subito Nicole e dille che deve denunciare la scomparsa dell’auto” . Il Cavaliere richiama la Minetti. “Lui mi chiama e mi dice: guarda che mi ha chiamato un giornalista e mi ha detto ch è successo questo e questo, che hanno fermato un individuo sulla tua macchina con degli stupefacenti e che non è la prima volta. Subito fai questo, subito…“.

Allarme Ruby, già il 17 ottobre

L’auto, la droga, il garage. In fondo sono particolari. Perché il vero scandalo è Ruby e le sue confessioni, il cui contenuto è noto ai protagonisti di questa storia già il 17 ottobre, vale a dire dieci giorni prima che la notizia deflagrasse sui giornali. Spiega la Minetti all’amica Polanco: “Lui me lo ha detto, è per questa perché è successo un po’ un casino… perché ‘sta stronza della Ruby… Ma comunque guarda che io oggi vado da quello che la segue… praticamente mi dice tutto quello che lei ha detto alla sua amica”. La notizia gira tra le ragazze che ne parlano al termine dell’ennesimo festino. Sempre il 17 Minetti chiama Emilio Fede. “Io sono qua in questo preciso momento da Luca Giuliante che ti saluta”. Fede: «Ah sì, eh, per quella vicenda lì, eh… La sto seguendo anch’io su un altro fronte». Minetti: «Eh immagino… c’è da mettersi le mani nei capelli». Fede concorda: «Sì, c’è da mettersi le mani nei capelli… Eh io parlo… ti dico subito… ci sono… nell’entourage tre telefoni sotto controllo da parte…». Minetti: «Ah sì?». Fede: «Sì, sì, poi ti dico. Io non ho avuto notizie, ma lui stasera mi aveva accennato che ci vedevamo stasera (…) No, gli devo parlare assolutamente… per fortuna ho trovato delle strade…”.

Politica modello Carfagna. “Tanto pagano i cittadini”

Dalle carte, poi, emerge dell’altro. Emergono i sogni politici di Nicole Minetti e Barbara Faggioli. Le due ne parlano spesso. Riflettono sulla crisi politica del momento e sulla possibilità di andare alle urne in dicembre. Le due pensano al Parlamento. Dopodiché la Minetti riassume: “Litigare tutti i giorni con tutti, metterla nel culo a quello di fianco a te, a quello dietro”. Eccolo qua il suo manifesto politico. L’argomento viene poi sviscerato con Barbara Faggioli. Minetti: ”Quando ho parlato con lui a me m’ha detto, l’ultima volta che m’ha chiamato e m’aveva chiamato per far farmi i complimenti perché tutti gli dicevano che ero bravissima e tutte ste cose, ha detto: oh, mi raccomando eh! Cioè, allora, sei dei miei, di qua di là”. Faggioli: “Sì, anche a me l’ha detto, ma non pensare. Anche a me me l’ha detto davanti alla Rosi, a Maria Rosaria Rossi. Te lo giuro”. Minetti: “Boh, non lo so, Giancarlo m’ha detto mmm devi vedere, devi aspettiamo vediamo. Comunque meno male un po’ di gavetta l’ho fatta”. Faggioli: “Eh va be’, ma non vuol dire”. Minetti: “Beh, insomma. Non pensare che Mara ne abbia fatta tanta di più. Faggioli: “Ma stai scherzando?”. Minetti:” Cosa?”. Faggioli: “Prima di diventare Ministro è stata un anno in Parlamento amore!”. Minetti: “Certo, un anno”.

Per fare politica, poi, bisogna scegliere: Roma o Milano? La Minetti non ha dubbi: “Perché io sto troppo bene lì a Milano! Ba, chi cazzo me lo fa fare? Pensaci. Alla fine guadagnerei uguale, perché guadagni duemila euro in più. Chi se ne frega per duemila euro. Io me ne sto lì dove sono. Tanto poi io sto da Dio lì. C’ho la mia casa, la mia palestra, c’ho il mio fidanzato. Figurati!”. E comunque sia il loro destino dipende tutto da quello di Berlusconi. “Cade lui, cadiamo noi”. Minetti: “Dipendi sempre da qualcun altro cioè, un domani, succede un cazzo, un altro a me mi schiacciano”. Barbara: “A lui gli fa comodo capito? Mettere no… a lui, no, a lui gli fa comodo mettere… Nicole: “Barbi a me mi scacciano via dal Consiglio…”. Barbara: “Ascolta… a lui… gli fa comodo mettere me e te in Parlamento, perché dice, bene, me le son levate dai coglioni, le pagano lo stipendio lo Stato”. Nicole: “Sì brava! Brava! Sì sì”. Barbara: “I cittadini no?”.

Ricatti, ricatti, ricatti. “Partiamo cattive”

Il punto era stato già messo sul tavolo dalle gemelline De Vivo. Dicevano di Berlusconi: “E’ un vecchio, è più di là che di qua”. Loro giovani, giovanissime. Gli altri, ultrasettantenni, un po’ tristi, un po’ arrapati. Niente di meglio per spillare denaro, regali, gioielli. Se poi davanti hai uno degli uomini più ricchi del mondo, la conclusione è quasi chiamata. Eppure non sempre va bene. In alcuni casi, il ragioniere della famiglia Berlusocni, tira la cinghia, prova a fare la morale alle ragazze: “Questi soldi un operaio li guadagna in cinque mesi”. Ma le parole di Giuseppe Spinellinon piacciono. “Cioé, scusami – dice Aris – se volevo fare il muratore andava a farlo, oppure a fare l’operaio”. Le confessioni tra le ragazze proseguono. Hanno qualche dubbio. Quelle feste in fondo, e lo abbiamo capito, hanno ben poco di normale. La Minetti dice: “Anche io sai quanto è che non vado? Saranno stati due mesi, guarda sto schifoso porca puttana. Ma vaffanculo, dopo tutto quello che è successo questa sera ho detto dai e invece un par di palle!”. Insomma, lì è uno schifo. Ma il gioco vale comunque. La Ruby, infatti, si è “presa sessanta”. Il tono, alla fine, lo dàMarysthell Polanco: “Va bene, amò, bisogna partire cattive comunque, perché non va bene così, quando non va bene un cazzo”

la sala del bunga bunga.




Così si è salvato Lele Mora.




Berlusconi lo stava lasciando fallire. Ma proprio mentre scoppiava il Rybygate, si è improvvisamente ricordato del suo «amico in difficoltà». E lo ha riempito di soldi.

Lunedì 10 gennaio 2011 al palazzo di giustizia di Milano. Si riprende dopo le ferie e i sostituti procuratori Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci interrogano Dario Mora, detto Lele, per la bancarotta della sua Lm management, sepolta da un buco di circa 18 milioni di euro. Come da rito, il pm chiede all'indagato generalità e titoli di studio. L'agente di dive e tronisti, all'occorrenza accompagnatore di fanciulle economicamente disagiate verso l'Ostello della Gioventù di Arcore, rivela un curriculum in formato Bankitalia: laurea in economia e commercio all'Università di Bologna e laurea honoris causa in Scienze della comunicazione allo Iulm di Milano. Fusco, un veterano dei processi Parmalat e Bpl, incassa e rilancia dicendo che gli fa piacere parlare con una persona così qualificata, visto che il processo è per un reato finanziario. Ma il know-how economico di Lele non è passato dalle aule accademiche. Tutto guadagnato sul campo.

A una verifica de "L'espresso", infatti, l'Alma Mater di Bologna risponde "sconosciuto al battaglione". Mora non risulta né laureato, né iscritto, in base ad archivi che risalgono fino al 1933. La storia dello Iulm è più recente, ma l'università privata milanese dà la stessa risposta.

Benvenuti nel mondo di Mora, dove sogno e realtà sembrano fondersi in "vite parallele", per usare la stessa espressione con cui Karima detta Ruby ha giustificato il suo dietrofront sui festini a luci rosse a casa del premier. Se fino all'estate scorsa, l'allora minorenne marocchina era una testimone d'accusa, ora si è trasformata in un pilastro della difesa, scagionando Berlusconi prima con i suoi avvocati e poi in un'intervista televisiva con Alfonso Signorini.

Anche per Lele i dilemmi si sprecano. Agente delle star o accompagnatore e sfruttatore di prostitute, compresa Ruby? Ex parrucchiere veneto pregiudicato per spaccio di cocaina o imprenditore laureato? Ricchissimo o poverissimo?

Ai magistrati che indagano sulla Lm management interessa solo il terzo interrogativo. Mora ha già confessato di aver prelevato più di tre milioni di euro dalle casse della società fallita, usando lo stesso giro di fatture false del suo amico fotografo Fabrizio Corona (che, smentendolo, nega di averli mai intascati come ipotetico regalo amoroso). Ma non basta. Il curatore del fallimento, Salvatore Sanzo, ha scoperto che Lele usava il conto dell'azienda come un Bancomat personale, con prelievi accertati fino a 2,8 milioni e uno scoperto finale di un milione e 200 mila euro, mentre il fisco reclama tasse non pagate per altri 15 milioni. Di qui l'istanza di mettere all'asta non solo la Lm managament, ma tutti i beni della galassia Mora, in Italia e all'estero, comprese le proprietà personali e i patrimoni delle società ancora attive, formalmente intestate ai figli Mirko e Diana ma secondo l'accusa gestite da Lele.

Lo spettro del fallimento ora incombe anche sulla Lm productions, che continua a gestire i personaggi della scuderia. Qui l'altro socio è Andrea Carboni, figlio di Flavio (il faccendiere del crac Ambrosiano appena scarcerato per l'affare P3). Ma a rischio è soprattutto il tesoro dell'Immobiliare Diana, controllata dalla lussemburghese, Feva investments. Dagli atti del fallimento, come ha verificato "L'espresso", risulta che l'immobiliare Diana è proprietaria di sei appartamenti a Milano: gran parte del palazzo di viale Monza 9, dove Mora ha il suo quartier generale, una casa da 14 vani in via Battaglia (zona Loreto) e un'altra da 12 più box in via Meda. Negli ultimi anni, la Diana ha comprato e venduto altri quattro immobili: due case a Milano e due ville in Costa Smeralda.

La più piccola è stata venduta nell'ottobre 2003 a Simona Ventura, quando la showgirl era ancora nella scuderia di Lele. Poi c'è un appartamento in via Settembrini a Milano. Mora lo compra da Umberto Smaila e lo rivende a fine 2007 a Luisa Corna, la più amata dalla Lega. E ora attenzione alle date: il fisco notifica le accuse più gravi tra il 2007 e l'inizio del 2008. È allora che si creano le premesse della bancarotta. E poco dopo la Diana srl vende i pezzi più pregiati. Lo stesso giorno, il 15 maggio 2008, cede l'intero primo piano del palazzo di viale Monza e la villa più grande di Porto Cervo (13 vani).



giovedì 27 gennaio 2011

Boccassini, Anm replica al Giornale: "Non ci faremo intimidire".




Un messaggio intimidatorio è arrivato all'Associazione nazionale magistrati dopo che il presidente ha definito "di inaudita gravità" l'attacco del 'Giornale' a Ilda Boccassini, uno dei pm di Milano che indagano sul caso Ruby

Una e-mail contenente minacce al presidente Luca Palamara è arrivata a un indirizzo di posta elettronica dell’Associazione nazionale magistrati. “Sta per arrivare la vostra ora”, c’è scritto tra l’altro nel testo. Le frasi di minaccia si riferiscono alla posizione di Palamara che questo pomeriggio in conferenza stampa ha detto che non subirà intimidazioni per quanto riguarda la difesa della magistratura tutta e in particolare dei magistrati della procura di Milano e di Ilda Boccassini attaccata oggi dal Giornale.

”Il metodo ‘Mesiano’ non ci intimidisce e non ci intimidirà – ha assicurato Palamara -. Come Anm esprimiamo solidarietà ai colleghi di Milano e alla Boccassini che ha ricevuto un attacco di inaudita gravità da ‘Il Giornale’ per la sola ‘colpa’ di applicare la legge come prevede la Costituzione”.

”E’ un attacco di una gravità inaudita – ha proseguito il presidente dell’Anm – perché non riguarda tutti i titolari dell’inchiesta che sono ben tre, ma uno solo, la Boccassini, con l’intento di personalizzare lo scontro. Se il prezzo di poter svolgere un’indagine è quello di subire ritorsioni, diciamo, a chi si serve di questi metodi denigratori, che non faremo un solo passo indietro”.

Le parole di Palamara si sono aggiunte a quelle del procuratore della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati, che ha così commentato l’articolo del Giornale: ”Le campagne di denigrazione e l’attacco personale si qualificano da soli”.



Il vuoto degli uomini inutili.



Mi sono spesso chiesta qual'è il motivo che spinge alcuni uomini a voler possedere altri esseri viventi.
L'uomo potrebbe vivere di ciò che la natura gli offre e che gli necessita, un riparo dalla pioggia, indumenti per proteggersi dal freddo, cibo per nutrirsi.
Eppure ciò che necessita e la natura offre non gli basta.
E' evidente, allora, che il desiderio di possedere più di ciò che necessita denota il bisogno di colmare un vuoto più vasto.
Se lo stomaco è vuoto si cerca di riempirlo, se si ha sete si beve.
Se si hanno carenze affettive, si cerca di colmarle dando affetto con la speranza di averlo ricambiato.
Qual'è, allora, il vuoto che spinge questi uomini a cercare di possedere altri esseri viventi sia mentalmente che fisicamente?

Un vuoto di etica? Un vuoto di morale? Un vuoto di cultura?

E mi sono data una spiegazione: solo un uomo insicuro delle proprie capacità fisiche e mentali cerca di colmare le sue insicurezze acquisendo, anche disonestamente, beni materiali per catturare altre anime.
E' la pochezza del loro animo che li spinge a crearsi una sicurezza apparente.

Questi uomini sono vuoti a perdere.


Alle elezioni con la nuova legge antimafia.


di Rita Guma - 27 gennaio 2011
Come ben sanno i lettori di ANTIMAFIADuemila, non di rado in Italia un politico viene condannato per associazione mafiosa o un consiglio comunale viene sciolto per infiltrazione o condizionamento mafioso.


Certo il condizionamento potrebbe esserci anche dopo, ma più spesso avviene prima: la mafia appoggia un suo candidato alle elezioni e si assicura una presenza nelle istituzioni, dove si fanno le leggi e dove si prendono tante decisioni importanti, come quelle sugli appalti.

Dalle prossime competizioni elettorali politiche e amministrative, tuttavia, una nuova legge contrasterà la propaganda politica da parte dei mafiosi. Essa è entrata in vigore nell’autunno scorso e prevede il "divieto di svolgimento di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione", con la pena del carcere sia per i sorvegliati speciali che facciano propaganda elettorale, sia per i candidati che se ne avvalgano consapevolmente.

Ma c’è di più: i candidati riconosciuti con sentenza definitiva colpevoli di aver accettato la propaganda della criminalità organizzata vengono condannati all'interdizione dai pubblici uffici e quindi alla ineleggibilità per la stessa durata della pena detentiva.
E tutto questo può anche spiegare l’interesse di alcuni a cercare di rimandare le elezioni politiche.

In realtà il progetto di legge è stato presentato e approvato con il sostegno dei parlamentari
di diversi partiti, da Sabina Rossa (PD) e Angela Napoli (oggi FLI) – prime presentatrici di due pdl analoghi, di cui Napoli è stata anche relatrice in Commissione Giustizia della Camera – fino al Sen. Carlo Vizzini (PdL), relatore del pdl a Palazzo Madama, passando per i deputati Misiti (IdV), Oliverio (PD), Occhiuto (UdC) e Tassone (UdC), firmatari di progetti di legge unificati nel testo infine approvato alla Camera e al Senato a larga maggioranza dei presenti e divenuto legge dello Stato il 13 ottobre 2010.

Tuttavia nei giorni dell’approvazione mancavano, non sempre per ragioni ufficiali, a Montecitorio 234 deputati e a Palazzo Madama 69 senatori. Inoltre alla Camera il testo è stato approvato solo a maggioranza – seppure larga – dei presenti, e vi sono stati alcuni astenuti o contrari.
Certo alcuni parlamentari non avranno gradito la proposta di legge per proprie posizioni eccessivamente garantiste, ma – visti i precedenti di condanne illustri per relazioni con la mafia – è lecito pensare che alcuni politici avessero il timore di non potersi ripresentare alle elezioni con questa normativa.
Ma anche negli enti locali ci saranno molti politici timorosi di andare a nuove elezioni, visto il numero (oltre 200 negli ultimi anni) dei consigli comunali sciolti per inquinamento mafioso fra Campania, Calabria, Sicilia e Puglia, nonché in altre regioni (ad es in Lazio Ardea e Nettuno).

Insomma, un provvedimento di grande impatto. Eppure il grande pubblico e molti addetti ai lavori non conoscono questa legge, tanto che l’Osservatorio sulla legalità e sui diritti ONLUS ha organizzato un convegno di illustrazione della normativa dal titolo "Difendere le Istituzioni dalle infiltrazioni mafiose", che si terrà venerdì 28 gennaio 2011 dalle 17 alle 19.30 presso la sala GAM, in via Galileo Ferraris 30 a Torino con l’intervento del Presidente aggiunto onorario della Corte di CassazioneRomano De Grazia, ideatore del provvedimento legislativo, dei magistrati della Procura della Repubblica di Torino Raffaele Guariniello e Andrea Padalino, e del giornalista Beppe Gandolfo, inviato del TG5 in Piemonte e Valle d'Aosta.

L'incontro – aperto a tutti - prevede ampio spazio per gli interventi del pubblico, che si annuncia costituito non solo da giuristi, politici e amministratori locali, ma dalla società civile impegnata contro la mafia, che in questa legge può trovare la risposta a molte sue istanze.

Infatti, dato che il Decreto Legislativo che dispone il commissariamento degli enti locali in conseguenza di infiltrazioni e condizionamento mafioso colpisce solo quelle province e comuni in cui la situazione è gravemente compromessa e poiché la normativa sul voto di scambio è poco efficace a causa della difficoltà di provare il reato, nelle istituzioni continuano ancor oggi ad esservi politici collusi con la mafia.
La nuova legge invece agisce in modo preventivo, e non lede la libera scelta degli elettori, come avviene invece sciogliendo i consigli degli enti locali, i cui amministratori onesti ed effettivamente rappresentativi dei cittadini perdono il seggio come quelli eletti con i voti decisivi dei criminali.