sabato 12 febbraio 2011

Gioie del sesso e devoti di regime.




di Paolo Flores d’Arcais, il Fatto quotidiano, 12 febbraio 2011

“In mutande ma vivi” è l’esibizionistico titolo che Giuliano Ferrara ha voluto dare alla manifestazione indetta “contro il moralismo puritano e ipocrita” di chi si ostina a pensare che il comportamento di Berlusconi sia incompatibile con i requisiti minimi di un politico (“statista” sarebbe parola grossa) delle liberaldemocrazie occidentali. L’iniziativa si svolgerà questo pomeriggio a Milano al Teatro Dal Verme, nome perfettamente propiziatorio e provvidenzialmente adeguato (dappoiché nomina sunt consequentia rerum).

Lo scopo dell’adunata di cotanta goliardia tristemente appassita nel servo encomio di “Lui Culomoscio” (definizione di una fan e pupilla del medesimo – la classe non è acqua – non di esecrabili “azionisti”) è fornire ai minzolini di tutte le testate di regime l’occasione per svillaneggiare in anticipo la manifestazione promossa da alcune donne, non certo in nome del moralismo e nemmeno della moralità, ma della necessità di una seppur minima decenza nel comportamento sulla scena pubblica (che del resto è richiesta dall’articolo 54 della Costituzione – anche per questo invisa alle cheerleader di Forza Arcore? – che recita: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”). Manifestazione che domenica dilagherà in decine e decine di piazze con centinaia di migliaia di partecipanti, nel minimalismo dei pennivendoli di regime.

Del resto, la manifestazione “Dal Verme” è solo il diapason di una campagna che la setta dei libertini devoti, falsamente libertini ma effettivamente devotissimi al già menzionato “Lui C.”, va sviluppando da mesi sul superdeficitario Foglio (malgrado i milioni elargiti ogni anno dal governo e pescati nelle tasche degli irrisi non-evasori), e che ha segnato una trafelata accelerazione da quando Ilda Boccassini, Pietro Forno e Antonio Sangermano, hanno doverosamente aperto un’inchiesta per una concussione platealmente rivelata dal medesimo “Lui” – altresì “utilizzatore finale” (l’espressione è del suo avvocato onorevole Ghedini) di una prostituta, questa volta minorenne – con una telefonata alla Questura di Milano (su una linea ufficiale che registra): per ottenere, grazie al peso della sua carica, una “altra utilità”, cioè l’indebito rilascio della minorenne che avrebbe potuto inguaiarlo. Il manipolo dei finti libertini di Giuliano Ferrara vuole infatti da mesi far credere che gli avversari (soprattutto le avversarie) del regime liberticida di Berlusconi, in gioventù sessantottina teorizzanti e talvolta anche praticanti “porci con le ali” delle gioie della liberazione sessuale, si siano trasformate/i in occhiuti bacchettoni e laide beghine e vogliano imputare a “Lui”, in sinergia con i “guardoni” delle procure, quanto vorrebbero ancora ma non possono. Invidia e risentimento, insomma, altro che legalità e moralità.

Ferrara e la sua coorte di devotissimi di “Lui” sanno benissimo di mentire per la gola. Ma con la cassa di risonanza di un controllo televisivo quasi totalitario è molto facile far diventare bianco il nero. Contano su questo, sull’incubo orwelliano della neolingua sontuosamente realizzato da “Lui-con-quel-che-segue”.

E invece. Libertari e garantisti siamo rimasti (e libertini talvolta, ma questa è irrinunciabile privacy). Libertari: pensiamo che in fatto di sesso, tra adulti consenzienti, di tutto e di più. Adulterio, masturbazione, orge, sadomasochismo, uso di pornografia e “gadget” sessuali, scambio di coppie, prostituzione, financo sesso con animali (se non si dà luogo a maltrattamento), e chi più ne ha più ne metta, il tutto sia in chiave etero che omo che transessuale. Nessuno, magistrato o giornalista che sia, in questa sfera privata deve poter mettere becco.

Le righe che precedono le ho scritte oltre un mese fa, sul sito del Fatto (quasi duecentomila visitatori al giorno), e gli unici dissensi sono stati di qualche lettore animalista. Bacchettoni e beghine, si tranquillizzi il devotissimo Ferrara, non albergano da queste parti. Quanto alla tutela della privacy, noi giustizialisti-giacobini-girotondini-azionisti (sempre e comunque trinariciuti nel nostro affetto per la Costituzione nata dalla Resistenza), siamo più rigidi della Comunità europea, per non parlare degli Usa (“che hanno sempre ragione” secondo il lapidario servilismo di “Lui”, prono-americano solo se si tratta di guerre) dove la tutela della privacy della persona pubblica è per legge infinitamente minore di quella del privato cittadino. Noi no. Noi pensiamo che debba essere la stessa, catafratta, e che solo il politico possa stabilire le eccezioni che lo riguardano. Se fa della difesa della famiglia un tema per ottenere consensi, legittima qualsiasi domanda o inchiesta sulle proprie infedeltà. Se si dedica a campagne contro i gay non può invocare la privacy qualora si scopra un suo penchant omosessuale, se propone leggi draconiane contro la prostituzione (clienti compresi) ogni sua utilizzazione di prostituta diventa fatto pubblico, se dichiara che certe cose non le ha mai fatte, anziché limitarsi al secco “fatti miei”, rende legittima la curiosità giornalistica sull’eventuale menzogna. Altrimenti no. Chiaro il criterio, devotissimo Ferrara?

Quanto alla gioiosa libertà sessuale: cosa c’entra il sesso libero, che è condiviso e reciproco piacere per il piacere (o per amore, o per curiosità, gioco, sperimentazione...) con l’acquisto a ore di un corpo, o di un’infornata di corpi, mossi non già da gioiose voglie ma da “danaro o altra utilità”, auri sacra fames capace di compensare lo schifo, confessato pre e post alle amiche, per le carni in smottamento alla cui virilità chimico-meccanicamente artefatta devono dedicarsi? Se non capisci la differenza lascia perdere, devotissimo Ferrara: non parlare di cose che non conosci.




Il golpe di Marchionne e quello di Berlusconi. - di Riccardo Orioles




Stanno salvando l’Italia, ora mentre scriviamo, e stanno preparando il dopoberlusconi. Dove? A Milano. Chi? i congressisti del nuovo partito di Fini, i “futuristi”. A loro l’Italia perbene, giornalisti e politici, si affida. Il capo, proprio a Milano, o almeno il portavoce, era quella Tiziana Maiolo che, dopo brillanti e varie carriere “di sinistra”, alla fine è approdata ai berlusconiani; e da questi ai finiani, sempre rispettatissima e riverita. E’ quella che l’altro giorno, di fronte alla morte atroce di quattro zingarelli: “Più facile educare dei cani – ha commentato – che degli zingari bambini”.

* * *

Si chiamavano Raul, Fernando, Patrizia e Sebastian. Erano nella loro baracca, morti bruciati mentre si riparavano dal freddo. Quattro bare a via Appia Nuova. Quattro rom bambini. Attorno alle bare le famiglie. Soli da sempre. Campi zeppi di topi. Oggi come dieci anni fa a Casilino 700, nell’anno del Giubileo, quando era vietato raccontare le stragi dei ragazzini nei ghetti, e quell’anno là ne morirono almeno dieci.

A Roma ci sono più case sfitte che in ogni altra città d’Europa: centomila alloggi, dieci milioni di metri cubi di case vuote, come mille stadi di serie A. Ma per i poveri, per i Rom non c’è posto. Ghetti, tendopoli, miseria e spesso morte. Ma quale giornale, quale politico lo dice? Stiamo perseguitando gli zingari esattamente come ieri perseguitavamo gli ebrei. Ma la “politica”, a quanto sembra, è un’altra cosa.

La “politica” si affida alle Maiolo e ai Renzi, alle soluzioni indolori. ai dopoberlusconi tranquilli, con tutto che resta com’è salvo (forse) Berlusconi. Chi parla più della Fiat? Chi pensa più agli operai? Eppure è stato appena deciso (anche qui, esattamente come sotto il fascismo) che di diritti non ne hanno più, neanche uno. Ma la “politica”, a quanto pare, è un’altra cosa.

Il golpe è questo qua, ed è bilaterale. C’è il golpe di Berlusconi, vecchio imbecille vizioso, che minaccia e ricatta e mobilita i suoi puttani. Ma c’è anche quello di Marchionne e soci, che vogliono fare miliardi sulla pelle dei ragazzi. Nessuno, sotto i trent’anni, sa più come sarà il suo avvenire.

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Sono momenti incredibili, in cui davvero è possibile il cambiamento. Purché sia cambiamento vero – a cominciare dallo spazzare via i mafiosi, che sono il cuore del Sistema – e purché si sia disposti a far sul serio e non solo balletti “politici”. Perché il mondo è cambiato. I vecchi non se ne accorgono, ma i giovani sì. L’Egitto è un paese giovane. E ha vinto, alla faccia di tutti.Ma c’è un’altra politica, quella vera. La politica che ha appena mandato via Mubarak, senza violenza. La politica che non è affatto isolata (che dite, ora, di Obama?) e che sa cogliere le occasioni. “Qua bisogna puntare sui ragazzi di Ammazzateci Tutti” ha detto – secondo Wikileaks – l’uomo di Obama in Calabria. Chi se ne è accorto? Vorrà dire qualcosa, politicamente?

* * *

Sicilia: qua tutto è lento. Ma si muove. Catania: sono bastati pochi giornalisti e cittadini coraggiosi – ma al culmine di una catena lunghissima, lunga trent’anni – per mettere in crisi la camera di compensazione del Sistema locale, a Palazzo di giustizia. Vorrà dire qualcosa, politicamente?

Informazione libera e movimenti, lavorando insieme, possono sperare di vincere, in questa città. E’ già quasi successo una vita, coi Siciliani. Perché non riprovare?

Per l’informazione, in particolare, è arrivato il momento della verità. Il caso Procura di Catania ha fatto da cartina di tornasole: chi si è schierato e chi si è messo da parte, chi ha detto la verità e chi l’ha nascosta. Chi se l’è presa coi funzionari infedeli e chi coi “dossieraggi” che li smascheravano. Adessso, bisogna scegliere. O da una parte o dall’altra.

E’, finito, fra l’altro, l’equivoco di Sudpress, diviso fra l’onesta ingenuità dei giornalisti e le grevi ambizioni dei proprietari. Ora è il momento di riprendere la strada dei Siciliani, tutti insieme. A questo sta servendo, da tre anni in qua, questo nostro giornale, con tutto ciò – e non è poco – che gli vive attorno.

Non siamo, e non vorremmo essere, autosufficienti. Ma abbiamo una storia e delle idee chiarissime e decise, le uniche che nessuno qui potrà mai equivocare. E’ un patrimonio per tutti, per tutta la comunità che ci appartiene: cerchiamo di usarlo bene, con decisione e tutti insieme ed essendone sempre degni.

http://www.gliitaliani.it/2011/02/il-golpe-di-berlusconi-e-quello-di-marchionne/


Incontro-scontro tra Napolitano e Berlusconi: “Fatti giudicare”. - di Sara Nicoli


Al Quirinale il premier alza la voce: "Mi perseguitano". Il capo dello Stato lo gela: "Basta, il giusto processo c'è già". Inutili le raccomandazioni di Letta: B. minaccia nuovi conflitti con i magistrati, tensione al Colle.

A un certo punto l’urlo: “Ma io mi devo difendere! E devo difendere il Parlamento, c’è un vero e proprio accanimento contro di me…”. Fuori controllo, anche se solo per un attimo, Silvio Berlusconi deve essersi sentito perso quando il capo dello Stato, con sguardo gelido e fermezza istituzionale, gli ha risposto “si calmi”, costringendolo a proseguire un colloquio che però, a quel punto, era ormai compromesso.

NON È ANDATA per niente bene ieri sera al Quirinale. Napolitano, dopo il lungo pressing esercitato dal mediatore Gianni Letta che finalmente era riuscito a ottenere l’incontro “chiarificatore”, sperava forse di ascoltare dalla bocca del premier parole diverse dalla solita litania, da quel continuo cercare di spiegare le proprie ragioni e di difendersi dalle accuse invocando la persecuzione giudiziaria. Invece no, nonostante Letta l’avesse indottrinato per più di un’ora sull’atteggiamento da tenere per evitare di mandare di nuovo tutto per aria. Niente, il Caimano ancora una volta non ha resistito. Superati i convenevoli, è partito a cercare di convincere il presidente della Repubblica del fatto che le accuse della Procura di Milano cadranno nel nulla “perché non c’è nulla di penalmente rilevante”, che “continuo a essere vittima di un’offensiva giudiziaria senza pari che ha il solo obiettivo di farmi fuori”. E che è “stata violata la mia privacy in modo mostruoso”. A quel punto, il Cavaliere avrebbe detto di “credere che sia venuto il momento di difendermi anche sollevando il conflitto d’attribuzione davanti alla Corte con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato…”.

Ecco, è stato più o meno a questo punto del colloquio che Napolitano ha alzato un muro invalicabile per il premier, ripetendo quanto aveva detto in mattinata ricevendo il vicepresidente del Csm Vietti e, di fatto, mandando un segnale preciso di quelli che avrebbe voluto fossero i toni del colloquio successivo. “Il giusto processo – ha quindi detto Napolitano – è garantito dalla Carta, basta strappi sulla giustizia”. Un messaggio netto, senza possibilità di interpretazioni sulle sfumature del grigio. Il capo dello Stato ha fatto capire chiaramente a Berlusconi che ogni sua necessità di difesa è già garantita dalla Costituzione. E che non c’è alcuna necessità di sollevare nuovi e più pesanti conflitti istituzionali, perché “i riferimenti di principio e i canali normativi e procedurali” ci sono davvero tutti per garantire il “giusto processo”. Insomma, meno “strappi mediatici, che non conducono a conclusioni di verità e giustizia” ma più attenzione alle regole. In poche parole, Napolitano ha invitato il Caimano a farsi processare. Con una stoccata pesante: “Come dice il suo stesso legale Pecorella, il conflitto di attribuzione si solleva nel processo, non in Parlamento”. È stato lì, a quel punto che la rabbia di B. è esplosa perché ha capito che non avrebbe mai trovato sponda nel Colle per fare quello che vuole: l’ennesimo strappo sulla giustizia per la sua difesa.

E TUTTAVIA il Cavaliere su un punto è stato chiaro: la maggioranza ha i numeri e quindi il “dovere” di fare le riforme, il che per lui significa soprattutto intercettazioni e processo breve. “Quello che sta accadendo – ha ribadito Berlusconi – non è solo un problema mio, ma fango che ricade sull’intero Paese”. Ancora gelo. Perché Napolitano non si fida e teme un nuovo crescendo di tensione istituzionale con i giudici che, tuttavia, ha chiarito anche a Gianni Letta, di non essere disposto a tollerare. Come ha chiarito di aver digerito malissimo l’estemporanea manifestazione di protesta davanti al Tribunale di Milano dove dovevano essere presenti anche i ministri milanesi e dove invece, alla fine, a fare da incendiaria c’è rimasta solo la Santanchè.

All’uscita dal Quirinale, Berlusconi era livido. Ma più di lui era scuro in volto Gianni Letta che per tutta la giornata di ieri aveva fatto una pesantissima opera di convincimento, arrivando a chiudersi in una stanza da solo con il Cavaliere per indottrinarlo sull’atteggiamento “cauto, mite” da tenere davanti al capo dello Stato. In gioco, in fondo, “c’è anche il federalismo” e il proseguimento della legislatura. Parole al vento. “Governo e Parlamento non possono essere commissariati dal potere giudiziario!”, ha tuonato ancora Berlusconi. “Io devo poter governare senza condizionamenti!”.

Dopo un’ora di colloquio, il più lungo forse da un anno a questa parte, Berlusconi è tornato a Palazzo Grazioli. Con uno stop così pesante avuto ieri dal Quirinale, adesso dovrà rivedere completamente tutta la strategia d’attacco che aveva messo giù durante l’ultimo “consiglio di guerra” di qualche giorno fa. Adesso sa che qualunque strappo sarà respinto “in maniera plateale” dal Quirinale, ma seguire le regole significa anche farsi processare, subire quasi certamente una condanna a breve sul processo Mills. E chissà poi cosa potrà accadere su Ruby e sulle altre.

NEL PDL giurano che “Silvio farà di testa sua”, che “cercherà comunque una strada per non andare a processo perché i cittadini sono con lui e capiranno, continueranno a capire – sostiene un famiglio del premier – che senza di lui si ferma tutto, che le riforme non si faranno mai”. Non seguirà le regole come gli ha detto Napolitano, questo sembra essere una certezza tra i suoi. Ora, però, è all’angolo. E la difesa, qualsiasi difesa, diventa sempre più difficile.



venerdì 11 febbraio 2011

Bugiardino Rai: una notizia ogni otto giorni con contraddittorio.


Proposta Pdl: un tema a settimana. Nel mirino Annozero e Ballarò (per il no alla telefonata di B.). Lucia Annunziata: "Elezioni vicine, preparano il bavaglio"



Il Fatto Quotidiano, nell’edizione del 20 gennaio, aveva lanciato l’allarme sulla bozza di atto di indirizzo sul pluralismo, presentata da Alessio Butti, senatore del Pdl, in Commissione parlamentare di Vigilanza. Il testo sarà votato la settimana prossima con una maggioranza schiacciante e prevede tre grosse limitazioni per la Rai, una volta che sarà recepito dal Consiglio di amministrazione: temi non sovrapponibili per otto giorni; se il lunedì Porta a Porta parla del caso Ruby, il giovedì Annozero deve occuparsi di altro; doppio opinionista, ad esempio Marco Travaglio contraddetto da un secondo ‘editorialista’; doppio conduttore, uno con il governo e uno contro.

Ecco l’articolo. Qui è possibile scaricare l’atto di indirizzo del centrodestra

Già il titolo promette tanto: atto di indirizzo sul pluralismo della Commissione parlamentare di Vigilanza per la Rai. Istruzioni per l’uso per il Consiglio di amministrazione di viale Mazzini che – ricordate la serrata per la par condicio? – può interpretarle a modo suo. Il deputato Alessio Butti, capogruppo del Pdl in Vigilanza, ieri ha presentato la sua bozza. Un manifesto, in pochi punti, per dire: noi, maggioranza al governo, vediamo così il servizio pubblico. O meglio, prescriviamo: “Per garantire l’originalità dei palinsesti è opportuno, in linea generale – si legge – che i temi prevalenti trattati da un programma non costituiscano oggetto di approfondimento di altri programmi, anche di altre reti, almeno nell’arco di otto giorni successivi alla loro messa in onda”.

Tradotto: se il lunedì Porta a Porta (Raiuno), nel suo stile, parla di Ruby e dei festini di Arcore,Ballarò (Raitre) il martedì e Annozero (Raidue) il giovedì devono tacere. Ma se il pensiero è unico, il conduttore è doppio. Perché Butti immagina due “giornalisti di diversa estrazione culturale” (di che tipo?) a moderare un dibattito in studio: “La Rai deve studiare e sperimentare”. Gianluigi Paragone (l’Ultima parola) boccia l’idea: “Sbagliata. C’è il rischio che il talk-show sia monopolizzato dai conduttori e che si crei confusione”. E sui temi da non sovrapporre è ironico: “A me che vado in onda il venerdì resta solo l’anticipo della Domenica sportiva”. Lucia Annunziata (In Mezz’ora) sente odore di chiusura: “S’avvicinano le elezioni. E per questo si preparano a sospendere l’informazione”. E c’è un secondo indizio, rivelato la settimana scorsa dalFatto Quotidiano, il direttore generale Masi ha congelato i palinsesti che vanno da marzo a giugno, proprio nella parentesi utile per il voto.

Ma nel dibattito in Vigilanza, in un’aula deserta, non poteva mancare l’argomento Annozero, editoriale di Marco Travaglio e contraddittorio. Butti non l’ha dimenticato, e l’ha inserito nel suo documento che, soltanto tra un paio di settimane, verrà votato nella commissione presieduta daSergio Zavoli e poi recepito dal Cda di viale Mazzini: “Quando la trasmissione prevede l’intervento di un opinionista a sostegno di una tesi, è indispensabile garantire uno spazio adeguato anche alla rappresentazione di altre sensibilità culturali”. Il testo del Partito democratico, relatore Fabrizio Morri, è (molto) più morbido e fa soltanto un riferimento ad Augusto Minzolini: “I direttori di rete e di testata devono evitare di rappresentare i propri giudizi personali o valutazioni che non siano improntati alla massima imparzialità e obiettività”.

Ieri in Rai e dintorni politici erano impegnati a polemizzare con Giovanni Floris che, a differenza di sempre, non ha passato in diretta la telefonata di Silvio Berlusconi, ma l’ha invitato in studio per martedì prossimo sul tema Ruby e per le inchieste della Procura di Milano. L’accusa più significativa è arrivata dal consigliere di viale Mazzini in quota Pdl, anzi fedelissimo del premier,Antonio Verro: “È intollerabile che il conduttore di una trasmissione del servizio pubblico si permetta di decidere di non mandare in onda la telefonata del presidente del Consiglio”. E Floris s’è difeso citando i precedenti, ovvero lunghi e incontenibili interventi senza rispondere alle domande: “Abbiamo pensato che fosse meglio fare così, visto come erano andate le cose le ultime volte che aveva chiamato, e visto che domenica scorsa lo avevamo invitato a partecipare alla puntata di ieri. Già martedì potrà venire a Ballarò per confrontarsi con noi e gli altri”.



Beppe Grillo - Annozero 10 02 2011 VIA CON TE? 6/13


Ecco la Milano di Ruby. - di Manfredi Barca





Dallo storico Nephenta, dietro Piazza del Duomo, al The Beach di via Corelli. Dal modaiolo Just Cavalli alla Filetteria di via Lecco. E poi il Mas Que Nada, il Karma, il Pelle d'oca. Fino al solito Giannino, gran ritrovo dei berlusconiani. Dall'inchiesta emergono i luoghi e gli indirizzi di quella subcultura che si è fatta potere in Italia.

Trucco deciso e gonna che inizia quasi sempre troppo tardi: è la divisa delle Papi girls per le loro notti in discoteca. Con partenza da via Olgettina in giro per tutta la Milano che una volta si sarebbe chiamata "da bere", ma che ora è meglio non definire se non si vuole cadere nel trivio.

Pelle d'oca, The Club, Mas Que Nada, Filetteria, Karma, perfino il vecchio Nephenta, locale porno-soft di trent'anni fa proprio dietro piazza del Duomo, che da qualche tempo ha ripreso fortuna come «dinner club dove si gusta un happy hour con i fiocchi» (così recita il sito): sono gli indirizzi che spuntano - uno dopo l'altro - negli atti dell'inchiesta milanese sul Rubygate. Qui si ritrovavano le ragazze di via Olgettina, quando non erano chiamate alla corte del sultano per i suoi festini rosa.

Una mappa della città, quella che emerge dalle carte della procura, in cui c'è tutta la subcultura velinara-berlusconiana: fatta di calciatori, tronisti, ex gieffini, meteorine, coloradine, attrici e vallette famose per qualche motivo. Fuori, gente che famosa non è, ma che come i vip parla, si veste e spende.

Al Nephenta, dietro la celebre "porta nera" del club, ecco i trentenni dal corpo palestrato color mattone, messo ben in evidenza dalla camicia chiusa non prima del terzo bottone, accanto agli over cinquanta dai capelli brizzolati ma il portafoglio rigonfio, che alzano il braccio per ordinare "una boccia" di champagne. Se poi le ragazze al tavolo sono più di due, si moltiplicano anche le bottiglie: «Non puoi fare la figura del pezzente. Qui ti guardano tutti e il secchiello deve essere sempre pieno: se sul tuo tavolo hai il Cristal o il Dom Perignon, le modelle o le aspiranti tali ti girano intorno come le mosche», spiega un cliente.

Per la cena, l'appuntamento più frequente è invece da Giannino, «tempio del gusto nel centro di Milano» secondo il suo sito, ma anche «l'ufficio di Galliani», come spiega un assiduo frequentatore: «Qui c'è tutto l'universo Milan, dirigenti, giocatori e simpatizzanti. Da Beckham con la moglie a Inzaghi, tutti sono passati da questi tavoli». Spesso, tra un moscardino affogato con polenta e un branzino in crosta di sale, finiscono sul piatto anche i milioni di importanti trattative di calciomercato. Se vuoi farti benvolere dall'universo berlusconiano, devi venirci e soprattutto farti vedere: che tu sia un aspirante show girl, un consigliere comunale, un piccolo imprenditore in rapporti con Mediaset. Tra le habitué del ristorante, Barbara Faggioli, scuderia Lele Mora, una delle "preferite" del premier con residenza in via Olgettina.

In alternativa a Giannino, c'è la Filetteria di via Lecco, altro indirizzo finito nei verbali della Procura. Che cos'é? «Un locale di concetto», spiega il patron Riccardo Sibaldi: «Un contesto che fa del food comunicazione», qualsiasi cosa significhi. Si può cenare dalle 18 alle 2 di notte, fra mattoni a vista, legno, ferro e bolle trasparenti di vetro sospese. Si trova a due passi da corso Buenos Aires, il luogo in cui tutto è cominciato, il giorno che Ruby fu fermata dalla polizia per aver rubato qualche migliaio di euro alla coinquilina.

Look total white e luci più soffuse al The Beach di via Corelli (sì, quella dell'ex centro di permanenza degli immigrati, a est della città), dove dopo cena il dj sale in console e si balla finché ce n'è. I dintorni sono quelli un po' tristi della periferia milanese, ma siamo a cinque minuti dalla mitica via Olgettina e da Milano 2, la città satellite costruita da Berlusconi quando era giovane, dove ha il suo ufficio il ragionier Spinelli: quello incaricato dal Cavaliere di foraggiare economicamente le ragazze.

Lo stesso vantaggio che ha il Pelle d'oca di via Forlanini, sullo stradone che dal centro porta a Linate, subito dopo la tangenziale: ristorante e music bar dagli ampi spazi e chiuso solo il lunedì, dove fino a pochi anni fa c'era solo campagna.

Ma basta prendere il Suv, la Mini Cooper (tante quelle verdi, Minetti's style) o la Smart, per raggiungere a tutta velocità l'Hollywood o il Toqueville, locali di culto per chi ama questo mondo: musica assordante, luci ipnotiche, tavolo rigorosamente prenotato e mani sempre pronte ad agguantare un drink. All'Hollywood Alessandra Sorcinelli, ex meteorina di Fede e destinataria di numerosi bonifici da parte del premier, sorseggiava in tempi non sospetti calici di champagne insieme all'ex fidanzato tronista, Cristiano Angelucci. Qui, come al The Club di corso Garibaldi, il venerdì sera le coloradine e le pupe di via Olgettina erano di casa, e qualcuna di loro è stata avvistata anche nelle ultime settimane.



Pochi ricavi ma supervalutate c'è una nuova bolla per il web?


Prendendo spunto da Twitter desiderata da Facebook e Google, il Wall Street Journal analizza la congiuntura dell'economia digitale. Troppe aziende con valutazioni monstre ma che incassano ancora troppo poco. Con tutti i rischi del casodi MAURO MUNAFO'

C'È UNA nuova bolla speculativa dietro l'angolo per il web? A chiederselo è il Wall Street Journal 1, che mette assieme alcuni degli ultimi numeri legati all'economia digitale: Huffington Post venduto ad Aol per 315 milioni di dollari, Facebook valutato 50 miliardi dall'investimento di Goldman Sachs e Twitter il cui valore è adesso stimato tra gli 8 e i 10 miliardi. Nello stesso articolo in cui si sottolinea il mai sopito interesse di Google e Facebook per acquisire proprio Twitter 2, il giornale finanziario ritorna su un argomento ormai all'ordine del giorno nei blog di settore e nelle riviste specializzate: la paura per una nuova bolla speculativa.

Dopo l'entusiasmo degli anni '90 e la delusione del 2000, con il crollo dell'indice Nasdaq e l'esplosione della prima bolla delle "dot.com", negli ultimi tempi la fiducia verso le società tecnologiche è cresciuta e anche gli investimenti, almeno in Silicon Valley, hanno iniziato a farsi consistenti. Aziende nate negli ultimi anni, con pochi dipendenti, un'enorme base di utenti ma con ricavi ancora ridotti o del tutto assenti, stanno animando il mercato a colpi di valutazioni miliardarie e offerte di acquisto a dieci cifre. I dubbi che adesso sorgono sono però legati al reale valore di queste società, al di là delle proposte stellari di acquisizione.

Il barometro utilizzato dal Wsj è proprio Twitter. Il servizio di microblogging ha duecento milioni di utenti registrati, è conosciuto globalmente per il suo uso nelle recenti rivolte africane e asiatiche, ma alla voce entrate avrebbe fatto segnare nel 2010 solo 45 milioni di dollari per le pubblicità, anche a causa di forti investimenti in server e strumentazioni. Da fonti citate dalla stampa (non essendo Twitter una società quotata) sembrerebbe che nel 2011 il sito dell'uccellino blu conti di arrivare a poco più di 100 milioni di dollari di ricavi, appena un centesimo della sua valutazione più recente. Nell'ultimo giro di finanziamenti dei venture capitalist raccolti lo scorso dicembre, il sito era però stato valutato poco meno di 4 miliardi di dollari. Il suo "prezzo" sarebbe quindi più che raddoppiato in appena due mesi: un andamento non certo normale. Un discorso simile a quello di Twitter si può fare con l'Huffington Post, appena rilevato da Aol per 315 milioni di dollari, ma capace di generare in un anno non più di 30 milioni di dollari grazie alle pubblicità.

Se il valore di queste società non è nei loro ricavi attuali, allora è da cercarsi nei dati che possiedono sui loro utenti, soprattutto quando si parla di social network come Twitter, Facebook o LinkedIn (che ha annunciato il suo sbarco in borsa entro l'anno). Dati che valgono oro per il mercato pubblicitario su cui si regge gran parte dell'economia della rete. Alla luce dell'ultima valutazione, ogni utente su Twitter (vero o falso che sia) vale tra i 40 e i 50 dollari (a dicembre erano 21 dollari), contro i 100 dollari a persona di Facebook e i circa 30 dollari di LinkedIn stimati proprio sulla base del suo sbarco in borsa (qui il "listino" degli account dello scorso dicembre realizzato da Repubblica 3).

Le cifre che si possono ricavare dalle valutazioni dei venture capitalist e dai pochi dati finanziari diffusi dalle società cambiano ogni mese, anche a causa della natura privata di queste aziende. Se ai tempi della prima bolla tutte le dot.com andavano in borsa per ottenere finanziamenti, oggi preferiscono aspettare e il loro prezzo lo stabiliscono le contrattazioni sui cosiddetti "mercati secondari" in cui i dipendenti rivendono le loro azioni agli investitori più intraprendenti: siti come Sharespost.com o SecondMarket.com sono ormai da anni la vera borsa per il settore.

Resta però da capire chi potrebbe investire su una società che non genera utili e le cui azioni costano tanto. Il Wsj, citando fonti interne a Twitter, segnala la volontà del sito di microblogging di creare un business da cento miliardi di dollari. Una cifra al momento incredibile, a meno che nell'equazione non si inserisca un agente esterno: Google. Il motore di ricerca e dominatore del mercato pubblicitario online ha più volte cercato di mettere le mani su Twitter dopo i ripetuti fallimenti nel settore dei social network: Orkut conosciuto solo in Brasile, il flop di Buzz, l'acquisto del clone di Twitter, Jaiku, nel 2007 (poi chiuso nel 2009), l'acquisto di DodgeBall e la sua chiusura (che ha dato il via al successo di FourSquare). Il previsto rilancio nei social network per Google, con il progetto Google Me, potrebbe necessitare di una base di partenza solida come Twitter, l'unica grande società in vendita che permetterebbe di riconquistare terreno su Facebook. Diversi blog di settore e tweet di analisti caldeggiano proprio l'ipotesi che sia il gioco al rialzo tra Facebook e Google ad alimentare la bolla di questi mesi: e tra i due giganti che lottano, chi gode è il supervalutato Twitter.