giovedì 17 febbraio 2011

Le elezioni sono il male minore. - di Luigi La Spina




Un futuro da brivido. E’ quello che aspetta l’Italia nei prossimi mesi sull’asse Milano-Roma. Da una parte, al tribunale di Milano, un processo a Silvio Berlusconi che rischia di essere tutt’altro che breve e sicuramente pieno di ostacoli, come ha spiegato, ieri su «La Stampa», Carlo Federico Grosso. Con imbarazzanti e imbarazzate sfilate di giovani testimoni, al bivio tra la difesa personale e quella del premier. Un rito, destinato a una via crucis dilatoria, tra eccezioni di incompetenza, appelli al legittimo impedimento, richieste di annullamento di atti, e stretto tra le contemporanee udienze di altri tre procedimenti, sempre a carico del presidente del Consiglio.

Dall’altra parte, nelle aule del Parlamento, un governo che, con una risicatissima maggioranza, cercherà di far approvare riforme fondamentali, come quella sul federalismo o quella sulla giustizia, che richiederebbero un larghissimo consenso. Sia per superare gli ostacoli di una opposizione disposta a tutto pur di non farle passare, sia per evitare, come già successo, che l’arma del referendum vanifichi il risultato di tanti sforzi. Se questo è il cupo profilo che si staglia sul nostro orizzonte, aggravato probabilmente da un conflitto istituzionale tra poteri e ordini dello Stato quale non si è mai verificato nella storia della nostra Repubblica, l’augurio non può essere quello che il meglio prevalga sul peggio, ma solamente che, tra i mali, vinca almeno il male minore.

Da molte settimane, ormai, l’interrogativo dominante è uno solo: saranno le elezioni anticipate a far uscire il Paese, in qualche modo, da questa drammatica situazione? L’ipotesi viene caldeggiata o osteggiata, alternativamente, solo per le opposte convenienze elettorali. In una prima fase, l’aveva minacciata il presidente del Consiglio, per convincere i «responsabili» a evitare il rischio di non essere più eletti nel prossimo Parlamento e per chiudere la porta a eventuali successori a Palazzo Chigi nel corso della legislatura. L’opposizione, invece, avrebbe preferito evitare la prova del voto, per avere il tempo di organizzare un’offerta elettorale agli italiani più convincente dell’attuale.

Negli ultimi giorni, le parti si sono invertite. I sondaggi sui consensi a Berlusconi non sembrano troppo rassicuranti per il presidente del Consiglio. Ma le travagliate vicende del neonato partito di Fini, con lo sfilacciamento dei suoi parlamentari, impediscono di pensare che un altro governo riesca a essere sostenuto da una maggioranza diversa. In più, il sorprendente successo delle manifestazioni delle donne ha indotto a sospettare, forse con troppo semplicismo e con forzature magari arbitrarie, che sia mutato il clima psicologico e morale dei cittadini italiani davanti ai costumi pubblici e privati del Cavaliere.

Questa improvvisa inversione tra speranze e paure ha rovesciato ipocriticamente le tesi. Berlusconi, da sempre fautore del consenso popolare come unica patente di legittimità a governare, da sempre fustigatore degli intrighi romani, delle trasmigrazioni di deputati e senatori da un partito all’altro è diventato il più rigoroso difensore della, una volta negletta, «centralità del Parlamento». Scrupoloso e legalistico cultore della «libertà di mandato» che la Costituzione prevede per i rappresentanti del popolo nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama. Senza considerare che, proprio dal punto di vista politico, lo schieramento vittorioso quasi tre anni fa era del tutto diverso dall’attuale, perché comprendeva un partito che aveva in Fini addirittura il cofondatore.

L’opposizione, invece, galvanizzata, forse con troppo entusiasmo, dai verbali delle intercettazioni, dalle piazze, dai numeri dei sondaggi pensa sia questo il momento della spallata elettorale al premier. Nella convinzione, probabilmente fondata, che Berlusconi non sia minimamente disposto a lasciare la poltrona di Palazzo Chigi a un suo erede, Tremonti, Alfano o Letta che sia. E nella speranza, altrettanto probabilmente fondata, che, alla fine, sia Bossi l’unico possibile becchino di questo governo.

Come si è visto, i sofismi dialettici, le ipocrisie ideologiche possono giustificare l’inosservanza di qualunque scrupolo costituzionale, di qualunque coerenza politica e, persino, di qualunque regola della logica. L’anomalia italiana, rispetto alle democrazie occidentali più evolute, è tale, poi, da rendere del tutto inutile un confronto internazionale per trovare una via d’uscita. E’ vero che, all’estero, un primo ministro che si trovasse investito da accuse quali vengono rivolte a Berlusconi si sarebbe subito dimesso e presentato ai giudici per dimostrare, con la massima rapidità, la sua innocenza. Ma, in Francia, in Germania o in Inghilterra il detentore di un così grande potere mediatico e plutocratico non sarebbe mai arrivato a presiedere un governo e, quindi, quelle magistrature non sarebbero state messe nelle condizioni di dirimere una legittimità politica, come, di fatto, è avvenuto nel nostro Paese.

E’ vero, infine, che le elementari regole di un ordinamento liberale non affidano al popolo e alla sua maggioranza elettorale il verdetto su un caso giudiziario. Ma, nella realistica valutazione delle convenienze, questa volta degli italiani, il voto anticipato non può risolversi come il male minore?



La Consulta si smarca sul caso Ruby: su giurisdizione decide la Cassazione.





Fonti della Corte costituzionale: sulla questione della competenza inammissibilità sarebbe scontata.

ROMA
Se l’obiettivo è trasferire il processo a carico del premier Berlusconi sul "caso Ruby" dal tribunale di Milano a quello dei ministri, il conflitto tra poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale rischia di cadere nel vuoto e di essere fermato da una pronuncia di inammissibilità. E questo perchè - spiega all’ANSA un’importante e qualificata fonte di Palazzo della Consulta - sulle questioni di giurisdizione decide la Cassazione e non la Corte Costituzionale, «secondo quanto previsto dall’art.37, secondo comma, della legge 87 del 1953» sul funzionamento della Consulta.

Negli stessi ambienti si auspica che tali norme siano tenute in conto nel caso in cui la Camera o la Presidenza del Consiglio decidano di sollevare il conflitto. La norma citata prevede che il conflitto tra poteri dello Stato è risolto dalla Corte costituzionale «se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali». Ma la stessa norma, al secondo comma, precisa che «restano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione». Quindi, se la questione verrà posta per risolvere il nodo della competenza funzionale (nel telefonare in questura a Milano per chiedere il rilascio di Ruby Berlusconi ha agito o no abusando della sua funzione di premier tanto da dover essere giudicato dal tribunale dei ministri?) la Consulta dovrebbe rigettarla, dichiarandola inammissibile e senza entrare nel merito.

La sollecitazione in ambienti di Palazzo della Consulta è dunque quella di «valutare bene» la strada del conflitto tra poteri. E se questo dovesse essere sollevato, si tenga conto che il conflitto non sospende il procedimento in corso. Inoltre - fa notare la stessa fonte qualificata - tra ammissibilità e decisione nel merito mediamente passa oltre un anno prima che la Consulta si esprima sui conflitti. «Potremmo anche ridurre i tempi arrivando a sei mesi ma - viene ribadito - non si dimentichi che è la Cassazione a decidere sulle questioni di competenza».


http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/389478/



«Ruby, le telefonate, i bonifici» di Giuseppe Guastella


Le conclusioni del gip Cristina Di Censo che ha deciso il processo per Silvio Berlusconi.


MILANO - Silvio Berlusconi aveva «l'evidente scopo» di nascondere il reato di aver avuto rapporti sessuali a pagamento con una minorenne e voleva «assicurarsene l'impunità» che «la giovane e poco controllabile Karima El Mahroug ben avrebbe potuto porre a rischio», quando fece pressioni sulla Questura di Milano affinché la 17enne marocchina fosse affidata con una «procedura macroscopicamente anomala» alla consigliera regionale Nicole Minetti. Nelle 27 pagine del decreto notificato ieri a Silvio Berlusconi e alle parti lese il giudice Cristina Di Censo spiega perché, rinviando a giudizio immediato il premier per la vicenda Ruby, ritiene che i pm Ilda Boccassini, Piero Forno e Antonio Sangermano abbiano nelle mani quella «prova evidente» (che nulla ha a che vedere con la colpevolezza) richiesta dal codice per saltare l'udienza preliminare e sostenere l'accusa nel processo che comincerà il 6 aprile in Tribunale di fronte ai giudici della quarta sezione penale.

Abuso di potere da parte del premier
Secondo l'accusa, la sera del 27 maggio 2010 Silvio Berlusconi, allertato da Milano sul cellulare personale dalla prostituta brasiliana Michelle Conceicao mentre era a Parigi ad un vertice internazionale, chiamò il capo di gabinetto della Questura di Milano Pietro Ostuni per fare pressioni affinché «Ruby» fosse affidata alla Minetti invece che a una comunità per minorenni. Con quelle pressioni, che servivano ad evitare che emergessero i suoi rapporti con la giovane, per la Procura Berlusconi avrebbe commesso il reato di concussione. La difesa del premier ha sostenuto che non ci fu alcun reato e, se mai ci fosse stato, esso dovrebbe essere giudicato dal Tribunale di ministri e non da quello ordinario. Una tesi seguita anche dalla Camera dei deputati respingendo la richiesta di perquisizione dell'ufficio di Giuseppe Spinelli, l'amministratore del «portafoglio» personale di Silvio Berlusconi dal quale sarebbero partiti i pagamenti per le ragazze del bunga bunga. Il gip risponde a queste obiezioni scrivendo che, dopo aver esaminato le fonti di prova, si è convinta che la tesi della Procura non è campata in aria e che ci sono parecchi elementi che i giudici del Tribunale dovranno valutare. «È evidente che l'ipotizzato, indebito, intervento» su Ostuni e, a cascata, sugli altri due funzionari che quella sera furono investiti del problema, fu fatto da Berlusconi «sicuramente con abuso della qualità di presidente del Consiglio». Ma questo avvenne «al di fuori di qualsivoglia prerogativa istituzionale e funzionale propria» del premier. Come dire, si mosse con il peso emotivo che la sua carica poteva esercitare sui funzionari, ma non con quello proprio del premier perché come tale non ha «nessuna competenza» sulla «identificazione e affidamento dei minori» né ha «poteri di intervento gerarchico sulla Polizia che dipende solo dal ministro degli Interni.

Nipote di Mubarak «non è logico»
In una memoria allegata agli atti, i difensori di Silvio Berlusconi, gli avvocati-parlamentari Niccolò Ghedini e Piero Longo, sostengono che quella fatidica sera il premier intervenne per «salvaguardare le relazioni internazionali con l'Egitto», dato che riteneva «erroneamente» che Karima El Marough fosse la nipote del presidente egiziano. È una tesi «apertamente contraddetta dalla logica degli accadimenti», sostiene il giudice: in primo luogo, Silvio Berlusconi quando parlò con Ostuni «fece riferimento in termini generici e dubitativi all'illustre consanguineità della minorenne»; in secondo luogo, non risulta che la presidenza del Consiglio, «per tutelare le relazioni diplomatiche con l'Egitto», abbia in qualche modo contattato «le autorità di quello stato per la verifica della nazionalità e dell'identità» di Ruby. Quando poi fu chiaro che si trattava di una marocchina di 17 anni, sbandata, fuggita da una casa di accoglienza in Sicilia, la ragazza «non fu affidata a una qualsivoglia delegazione diplomatica, ma consegnata alle cure del consigliere regionale Nicole Minetti». La Minetti, 25 anni, eletta alle ultime regionali nel listino bloccato Pdl di Roberto Formigoni su indicazione di Berlusconi, di cui è stata igienista dentale, è imputata con il direttore del Tg4 Emilio Fede e l'impresario dello spettacolo Lele Mora per favoreggiamento della prostituzione, anche minorile, nell'inchiesta dalla quale è stata stralciata la posizione del premier e che sarà chiusa con il deposito degli atti la prossima settimana.

Assicurarsi l'impunità Ruby è poco controllabile
Il gip scrive che «l'esito della vicenda» in Questura, «storicamente certo», conferma «la ricostruzione dell'accusa» e, cioè, che Berlusconi intervenne per un «interesse» diretto che «riguardava la ragazza e non le parentele extracomunitarie» della giovane. Ma quale sarebbe stato questo interesse? Evitare che ciò che Ruby sapeva sulle feste ad Arcore finisse nelle mani della polizia. Il processo dovrà stabilire se, come sostiene la Procura, «la sottrazione della minore alla sfera di controllo della polizia» aveva per Berlusconi lo scopo di «occultare» il reato di prostituzione minorile e «assicurarsene l'impunità», che «la giovane e poco controllabile Karima El Mahroug ben avrebbe potuto porre a rischio». I due reati, per il giudice, non sono separabili in distinti processi e vanno giudicati insieme dal Tribunale di Milano. Pertanto non c'è alcuna «violazione di legge nella scelta del Pm di mantenere unificate le due contestazioni».


Le prove in 14 pagine Spuntano le auto delle ragazze
La documentazione raccolta nelle indagini, divisa per aree tematiche, riempie 14 delle 27 pagine del decreto di giudizio immediato. Sono «plurime e variegate le fonti di prova», tutte «riferite e pertinenti ai fatti di imputazione». Si va dai momenti della notte in Questura, passando per le relazioni di servizio firmate dai poliziotti che, due mesi dopo i fatti, innescarono in parte l'inchiesta per passare ai cinque interrogatori di Ruby dinanzi ai pm tra il 2 luglio e il 3 agosto fino agli interrogatori delle ragazze che partecipavano alle feste, tra le quali la brasiliana Iris Berardi, presente di notte anche quando era minorenne. Ci sono poi le intercettazioni (mai di parlamentari) e la documentazione bancaria raccolta recentissimamente. Tra cui alcune verifiche su assegni e bonifici dal conto corrente 2472 intestato a Spinelli nella Banca popolare di Sondrio, soldi usati per acquistare autovetture. Accertamenti preceduti da verifiche sulla proprietà di auto intestate ad alcune delle ragazze. Seguono i movimenti di denaro tra Berlusconi, Spinelli, Mora e Fede oltre all'esame, attraverso i tabulati telefonici, dei presenti alle feste di Arcore anche a novembre e dicembre 2010. «Fonti prova di natura dichiarativa documentale, intercettativa e investigativa pura» che, a parere del giudice Cristina Di Censo, «convergono nel senso della ricostruzione delittuosa prospettata dall'accusa». Elementi che, «allo stato degli atti», non paiono essere «efficacemente contrastati dai contenuti delle investigazioni» fatte dalla difesa del premier che, anzi, «in più punti stridono in termini netti con le acquisizioni dell'indagine pubblica». Una ragione in più perché tutto sia valutato in un processo.


Parti lese Il ministro Maroni
Si tratta di Ruby, presunta vittima del reato di prostituzione minorile, dei tre funzionari della Questura di Milano vittime della presunta concussione: Giorgia Iafrate, che si occupò dell'affidamento della marocchina alla Minetti, del capo di gabinetto Ostuni e del funzionario Ivo Morelli, dirigente dell'Ufficio Prevenzione Generale. Se i dipendenti del ministero dell'Interno furono vittime del premier, è logico che anche lo stesso ministero, attraverso il suo rappresentante «pro tempore», il leghista Roberto Maroni, compaia tra le parti lese.

La copia del verbale: http://media2.corriere.it/corriere/pdf/verbale2.pdf

Nella foto il Gip Cristina Di Censo.

http://www.corriere.it/cronache/11_febbraio_17/guastella-ruby-telefonate-bonifici_e7016e98-3a62-11e0-a00e-b467f0f3f2af.shtml

Perchè va alla sbarra. da Piovono rane di Alessandro Gilioli.



Il decreto originale con cui il Gip di Milano ha rinviato a giudizio Silvio Berlusconi.


http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/02/17/perche-va-alla-sbarra/


Caso Ruby, nelle carte le prove della concussione di B: “Niente foto segnaletiche”.




Il punto di forza è la concussione. Sono legate soprattutto alle telefonate di Silvio Berlusconi in Questura la notte tra il 27 e il 28 maggio le “prove evidenti” che motivano il “sì” del gip Cristina di Censo alla richiesta di rito immediato. Un documento di 27 pagine che contiene le ragioni per cui il premier deve essere processato a Milano e non dal tribunale dei ministri. Molte di quelle “evidenze” ruotano attorno alla notte della telefonata per salvare la nipotina di Mubarak. Berlusconi, parlando al telefono con Piero Ostuni, capo di gabinetto della Questura di Milano, non si limitò a chiedere che Ruby venisse lasciata andare contravvenendo le disposizioni del pm dei minori, ma si preoccupò di non lasciare tracce, ordinando di evitare tutte le procedure. Tanto che finirono per saltare anche le iniziative di prassi, come la fotosegnalazione: “Non fotosegnalatela”, fu l’ordine arrivato dai piani alti della questura. A riportarlo non sono testimonianze in ordine speso, ma una relazione di servizio della polizia finita sul tavolo del pm Antonio Sangermano lo scorso 28 luglio. Quella da cui sono partite le indagini.

“Durante l’ultima telefonata – si legge nella relazione riportata oggi da La Stampa – l’assistente Landolfi veniva ragigunto di gran corsa (…) dal commissario capo dottoressa Iafrate Giorgia, la quale riferiva di aver ricevuto una comunicazione telefonica da parte del capo di gabinetto della Questura dottor Ostuni, dove si doveva lasciar andare la minorenne e che non andava fotosegnalata”. E’ soprattutto grazie al resoconto di due funzionari di polizia che il gip Di Censo, nel documento che accompagna la sua decisione, può scrivere che Silvio Berlusconi agì “sicuramente con abuso della qualità di presidente del Consiglio, ma, altrettanto certamente, al di fuori di qualsiasi prerogativa istituzionale e funzionale propria del presidente del Consiglio dei ministri, al quale nessuna competenza spetta in materia di identificazione e affidamento dei minori e che, più in generale, non dispone di poteri di intervento gerarchico nei confronti dell’autorita’ della polizia di Stato ovvero della polizia giudiziaria, impegnata nell’espletamento di compititi d’istituto”.

Certo, non c’è solo questo. Perché le “evidenze” emergono anche dai verbali di Ruby, in cui la ragazza spiega come la storiella della “nipote di Mubarak” fosse un’idea di Silvio Berlusconi, e di come il presidente si sia speso per procurarle i documenti: “Non preoccuparti, ci penso io”. Ma soprattutto, quello che emerge, è che sia Silvio Berlusconi, sia Nicole Minetti sapevano che Ruby era minorenne ben prima della notte in questura. Su Berlusconi, Ruby nell’interrogatorio del 3 agosto dice: “Fino a quel momento, la sera del 14 febbraio, Berlusconi sa che ho 24 anni. La volta successiva, mi ricordo era in marzo (…) torno ad Arcore e là, parlando con altre ragazze invitate, vengo a sapere che chi stava con lui, con Silvio, poteva avere la casa gratis”. Così decide di rivelargli l’età aggiungendo che non ha i documenti. Lui non si scompone, le consiglia di dire che è la nipote del presidente egiziano per giustificare la vita agiata che farà grazie ai suoi versamenti. E le dice anche “non preoccuparti dei documenti, me ne occuperò io”). Stesso discorso per la Minetti: Dice sempre Ruby il 3 agosto: “Nicole sapeva fin dall’inizio che ero minorenne. Era consapevole della mia minore età prima del mio ingresso ad Arcore, il giorno di San Valentino”. Un po’ il carattere di Ruby, un po’ il suo “problema” anagrafico. Così, quando la notte del 27 maggio la Minetti viene scelta dal Cavaliere di andare in Questura, lei è “un po’ titubante”. E definisce Ruby una “ragazza problematica” pur dicendo di conoscerla poco: “Ci siamo incontrate due o tre volte”. Anche se risultano 122 contatti telefonici tra febbraio e giugno 2010.

E mentre ieri dall’ufficio del giudice delle indagini preliminari sono partite le notifiche del decreto che dispone il giudizio e della richiesta di giudizio immediato dei pm – un plico di poco meno di 800 pagine, recapitato al Presidente del Consiglio e ai suoi difensori e a Ruby, ai tre funzionari della Questura di Milano e, tramite l’avvocatura della Stato, al ministero dell’Interno – emergono altri aspetti che arricchiscono il quadro accusatorio. Come la documentazione bancaria raccolta nelle ultime settimane. Tra cui alcuni movimenti su un conto corrente intestato a Giuseppe Spinelli, il tesoriere del premier: assegni e bonifici utilizzati per acquistare autovetture (lo stesso Berlusconi ha ammesso di avere “regalato mini cooper” a bisognose).

Se da un lato, quindi, i magistrati sono prudenti sulle dichiarazioni contenute nei cinque verbali di Ruby (quello del 3 agosto scorso è stato redatto in due tempi), ritenute credibili a “segmenti” perché contraddittorie in più punti. Dall’altro però nelle carte ci sono anche una serie di intercettazioni che testimoniano non solo come i suoi genitori, M’Hamed El Mahrog e la moglie Naima, fossero “a conoscenza di fatti riguardanti la vita di Ruby” ed evidentemente le sue frequentazioni milanesi, ma come lei stessa avesse cercato di impedire che la madre li rivelasse alla polizia che si era recata a Letojanni (Messina) per sentire la donna: “Devi dire alla mamma di alzarsi e dichiarare di non voler rispondere nulla”, dice Ruby al padre, che risponde: “La mamma sa quel che sta dicendo”.




IL SIGNORE DEI PANNELLI. - DI EUGENIO BENETAZZO




Da alcuni mesi ricevo settimanalmente centinaia di email di lettori e simpatizzanti che mi chiedono se l’investimento in infrastrutture fotovoltaiche sia realmente conveniente oppure rappresenti una moda passeggera o peggio ancora una bolla finanziaria simile alle dot com durante i primi anni duemila. Queste perplessità hanno iniziato ad emergere dopo che si è sparsa in rete la notizia che anch’io a livello imprenditoriale avevo investito nella realizzazione di un parco solare dalle dimensioni considerevoli in Puglia. Nello specifico la preoccupazione dominante che ho potuto constatare è legata alla sostenibilità delle tariffe incentivanti riconosciute per la produzione di energia da FER (fonti di energia rinnovabile) qualora il nostro Paese dovesse affrontare una crisi finanziaria e di credibilità istituzionale simile a quella greca o irlandese.

Già qui si evince molta confusione infatti la copertura finanziaria necessaria al sostegno degli incentivi per le fonti di energia rinnovabile attraverso l'erogazione dei famosi contributi Conto Energia è garantita da un prelievo tariffario obbligatorio (denominato A3) presente sulla bolletta di ogni utenza elettrica (pesa per il 4% in quelle domestiche e per il 6% in quelle industriali).

Pertanto non è lo Stato con la fiscalità diffusa che sostiene i contributi al fotovoltaico quanto piuttosto tutti coloro che sono intestatari di un’utenza elettrica e ne pagano il relativo servizio di erogazione. Sino ad oggi gli italiani (generalmente parlando) sono stati molto scettici nell’investire in questo settore, pur considerando che il nostro Paese vanta il miglior irraggiamento solare nelle regioni meridionali di qualsiasi altro paese europeo.

La reticenza degli italiani è stata ampiamente battuta dall’intraprendenza e lungimiranza di una moltitudine di investitori esteri (soprattutto fondi di investimento) che hanno investito sul territorio italiano milioni e milioni di euro, cavalcando proprio la diffidenza italiana. Il fotovoltaico in Italia è forse uno dei pochi settori in cui ha ancora senso investire, non è un caso che il nostro Paese garantisca la migliore reddittività del mondo (tra il 15 ed il 18% su base annua). Persino nella mia regione in provincia di Rovigo è stato recentemente completato uno tra i più grandi impianti fotovoltaici a terra di tutta Europa: sorprende sapere che l’investimento di oltre 270 milioni di Euro è stato effettuato dalla First Reserve, notissima società di investimento statunitense.

Nella mia modesta dimensione imprenditoriale, se rapportata ai numeri di questi giganti del mondo finanziario, attraverso la holding di investimento che amministro sono riuscito a replicare la medesima architettura finanziaria della First Reserve ovvero investire in un sottostante non cartaceo che possa produrre flussi di cassa a prescindere dalle oscillazioni dei mercati finanziari. L’operazione che ad oggi rappresenta un vanto del microcapitalismo italiano, dimostra che anche il piccolo, se si organizza e si aggrega, può spuntare rendimenti finanziari non replicabili dai tradizionali prodotti del risparmio gestito. Rimango invece molto scettico sulla scelta di preferire il diritto di superfice all’acquisto del terreno su cui si è deciso di installare l’intera infrastruttura fotovoltaica.

Nello specifico la stragrande maggioranza di chi investe sul fotovoltaico usufruisce del diritto di superfice a 20 anni concesso dal proprietario del terreno: questa scelta potrebbe generare un dannoso effetto boomerang sulla redditività complessiva dell’operazione alla fine del periodo di concessione, infatti nessuno al momento può sapere se sarà oggettivamente conveniente smaltire i moduli fotovolatici oppure se converrà lasciarli continuare a produrre (variante economicamente possibile e conveniente solo per chi ha scelto di acquisire anche il terreno su cui è sito l’intero parco solare, cosa tra l'altro che io stesso ho preferito).

Per quanto riguarda il cosidetto “impatto ambientale” preferisco di gran lunga trovarmi a vivere di fianco ad un impianto fotovolatico piuttosto che avere come vicino di casa un sito per lo smaltimento dei rifiuti (leggasi termovalorizzatore) o una centrale termonucleare. I moduli fotovoltaici di ultima generazione a distanza di 30 anni subiranno forse un degrado di efficienza di appena il 25 %, pertanto quando il costo dell’energia elettrica sarà abbondamente salito (nel 2040 saremo oltre 9 miliardi di persone), a distanza di anni dalla fine del piano di incentivazione, chi si troverà ad avere un parco solare su terreno di proprietà potrà vantarsi di possedere una piccola miniera a cielo aperto.

Eugenio Benetazzo
Fonte: www.eugeniobenetazzo.com
Link: http://www.eugeniobenetazzo.com/fotovoltaico-investimenti.htm


POSSIAMO CAMBIARE OBAMA CON CHAVEZ ? - DI MIKE WHITNEY




Lunedì, mentre Barack Obama si stava divertendo con i suoi amici della Camera di Commercio statunitense, Hugo Chavez era occupato a distribuire computer portatili ai bambini delle medie in una scuola di Caracas. Dopo di che, il presidente venezuelano si è precipitato in un impianto di distribuzione alimentare che mette a disposizione 110 milioni di dollari in cibi pre-confezionati per i poveri del Venezuela. Infine, ha concluso il pomeriggio facendo un'apparizione in uno dei molti cantieri dove sono in costruzione nuove case per le vittime delle massicce inondazioni di gennaio. E' tutto per quanto riguarda la giornata lavorativa di Hugo Chavez.

Mentre Obama si è rivelato essere il presidente più deludente dell'ultimo secolo, Chavez continua a stupire con la sua volontà di migliorare le vite dei comuni lavoratori. Per esempio, in soli dodici anni, Chavez ha creato un fiorente servizio sanitario nazionale pubblico con 553 centri diagnostici e strutture sanitarie diffuse in tutta la capitale.

L'assistenza sanitaria è gratuita e da quando Chavez ha inauguratp il programma Mision Barrio Adentro sono state effettuate 55 milioni di visite mediche. In confronto al “misero” omaggio in denaro di Obama al gigante americano HMO, che ha cercato di promuovere l'assistenza sanitaria universale. Che bello scherzo.

Chavez ha anche aperto la strada ad un maggiore impegno e attivismo politico mediante l'istituzione di oltre 30.000 consigli comunali e 236 comuni, tutti incentrati nel far entrare il maggior numero di persone nel processo politico e permettendo loro di portare avanti il cambiamento. Negli Stati Uniti, le organizzazioni di base sono state emarginate da leader di partito che prendono ordini da élite ben celate che controllano entrambi i partiti. Da parte sua, Obama è perfino meno interessato del suo predecessore George W.Bush a ciò che i suoi sostenitori vogliono.

E cosa ha fatto Chavez per allentare la morsa delle imprese sui media? Ecco cosa dice Gregory Wilpert nel suo articolo intitolato “Una valutazione della rivoluzione bolivariana del Venezuela nei suoi dodici anni”:

“Per quanto riguarda i media, i comuni venezuelani ora partecipano alla creazione di centinaia di nuove radio comunitarie indipendenti e di emittenti televisive in tutto il paese. I precedenti governi perseguitavano i media comunitari, me adesso le istituzioni statali li supportano attivamente – non con finanziamenti, ma attraverso la formazione e l'avviamento degli impianti.

Secondo l'annuale i sondaggio di opinione Latinobarometro, che consente un confronto con le altre democrazie in America Latina, la combinazione tra una maggiore coesione e una maggiore partecipazione ha portato ad una maggiore accettazione del sistema politico democratico del Venezuela. Cioè, più venezuelani credono nella democrazia rispetto ai cittadini di qualsiasi altro paese dell'America Latina. L' 84% dei Venezuelani dicono che “la democrazia è preferibile a qualsiasi altro sistema di governo”. (“Una valutazione della rivoluzione bolivariana del Venezuela nei suoi dodici anni”, Gregory Wilpert, Venezuelanalysis.com)

La settimana scorsa Chavez si è unito alla lotta contro la Coca-Cola partecipando ad una manifestazione di operai in sciopero nella città di Valencia, che ospita il principale impianto di imbottigliamento della Coca-Cola in Venezuela. Chavez ha deluso la Coca-Cola affermando che se non vuole seguirne “la Costituzione e le leggi” il Venezuela potrebbe “vivere senza di essa”.

Continua così Hugo, dì alla Coca-Cola di impacchettare la sabbia!

I 1.300 lavoratori in sciopero stanno solo chiedendo un misero aumento per far fronte alle loro maggiori spese, ma ovviamente ciò diminuirebbe i profitti dell'azienda, dunque la Coca-Cola sta combattendo le loro richieste da strozzini.

Riuscite ad immaginare uno scenario nel quale l' “amico degli affari” Obama combatte una grande azienda?

La settimana scorsa Chavez ha annunciato che il suo governo avrebbe speso altri 700 milioni di dollari per combattere il problema dei senza-tetto e costruire altre 40.000 abitazioni. Il presidente ha intensificato i suoi sforzi da quando le inondazioni che hanno devastato il paese all'inizio dell'anno hanno lasciato decine di migliaia di persone senza riparo. Chavez è determinato a non commettere gli stessi errori di Bush dopo l'uragano Katrina, quando le vittime del disastro furono abbandonate a loro stesse costringendo un terzo della popolazione di New Orleans a fuggire in altre zone del paese per trovare rifugio.

E quale effetto ha avuto Chavez sull'economia venezuelana? Ecco ancora Wilpert:

“Così come il governo di Chavez ha democratizzato il sistema politico del Venezuela nel corso degli ultimi dodici anni, lo stesso ha fatto con il suo sistema economico, sia a livello macro che micro-economico.

A livello macro-economico ciò è stato ottenuto aumentando il controlla statale sull'economia e smantellando il neo-liberismo in Venezuela. Il governo di Chavez ha ripristinato il controllo statale sul prima quasi autonomo settore del petrolio nazionale. Il governo ha nazionalizzato i subappalti privati dell'industria petrolifera e li ha integrati nella società petrolifera di Stato, garantendo così ai lavoratori maggiori vantaggi e una retribuzione migliore. Ha anche nazionalizzato le operazioni delle compagnie petrolifere transazionali in modo che non potessero detenere più del 40% del controllo di un determinato sito di produzione del petrolio. Inoltre, il governo ha eliminato la pratica degli “accordi di servizio”, in base ai quali le compagnie petrolifere transazionali godevano di concessioni lucrative per la produzione di greggio. E, cosa più importante, il governo ha aumentato le royalties provenienti dalla produzione di petrolio dall'1% ad un minimo del 33%.

Nel settore non petrolifero il governo ha nazionalizzato industrie-chiave (precedentemente privatizzate) in settori quali la produzione di acciaio (Sidor), le telecomunicazioni (Cantv), la distribuzione di energia elettrica (la produzione era già nelle mani dello Stato), la produzione di cemento (Cemex), e ancora nel settore bancario (Banco de Venezuela) e nella distribuzione degli alimenti (Éxito).” (“Una valutazione della rivoluzione bolivariana del Venezuela nei suoi dodici anni”, Gregory Wilpert, Venezuelanalysis.com)

Le persone sono quindi in condizioni finanziarie migliori con le società di telecomunicazioni ed elettriche di proprietà privata come la Enron (e gli altri pirati di Wall Street) o queste dovrebbero essere trasformate in settori di pubblica utilità?

E riguardo al petrolio? La British Petroleum e la Exxon sono più adatte a svolgere il loro compito rispetto al settore pubblico?

Per non parlare di quello bancario: vi sentireste più al sicuro con lo zio Sam o Goldman Sachs?

Chavez ha ridotto drasticamente dimezzato il tasso di povertà, ha abbassato la disoccupazione dal 15% del 1999 al 7% di oggi, e ridotto le diseguaglianze al livello più basso di tutta l'America Latina. In Venezuela le persone sono sempre più sane e vivono più a lungo. Sono meglio retribuite e più impegnate politicamente. “L'84% dei venezuelani dice di essere soddisfatto della propria vita, che è la seconda percentuale più alta dell'America Latina.” E, indovinate un po', Chavez sta rafforzando la sicurezza sociale e i programmi di pensionamento, invece di cercare di distruggerli consegnandoli a Wall Street sotto forma di conti privati.

Inoltre la generosità di Chavez non si è limitata al solo Venezuela: è stato infatti il primo leader mondiale ad offrire aiuti sotto forma di medicinali e alimenti alle vittime dell'uragano Katrina. Provvede ancora a fornire carburante gratis per il riscaldamento ai poveri del nord-est degli Stati Uniti. L'azienda Citgo di proprietà venezuelana si è associata a Citizens Energy “ per fornire centinaia di migliaia di litri di gasolio per il riscaldamento gratis e a basso costo per le famiglie bisognose americane e rifugi per i senzatetto negli Stati Uniti.” Afferma il presidente di Citizens Energy Joseph P. Kennedy: “Ogni anno chiediamo alle maggiori compagnie petrolifere e alle nazioni produttrici di petrolio di aiutare i nostri cittadini più anziani e poveri a cavarsela durante l'inverno e solo una società, la Citgo, e un Paese, il Venezuela, hanno risposto ai nostri appelli”.

Proprio così. Nessun'altra compagnia petrolifera ha dato neanche un solo misero centesimo in beneficenza. Dal 2005 Chavez ha fornito oltre 170 milioni di galloni di petrolio per il riscaldamento.

Al contrario, Barack Obama non ha fatto nulla per i poveri, i senzatetto, i comuni lavoratori o la classe media. E' stato di un'incompetenza assoluta eccetto che per i più ricchi fra i ricchi. Forse dovremmo scambiarlo con Chavez?

Vale la pena di provare.

Mike Whitney
Fonte: www.informationclearinghouse.info
Link: http://www.informationclearinghouse.info/article27431.htm
8.02.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di PASCAL SOTGIU