L'inchiesta giornalistica de I QUADERNI DE L'ORA fa saltare i nervi ad un gruppo di ex simpatizzanti di Lotta Continua.
Nell’Italia mediatica di oggi non c’è niente di più rassicurante e quindi di sicuro -meritevole del timbro della “verità indiscutibile” - di una tesi che mette d’accordo due antichi antagonisti sul palcoscenico della cronaca: le indagini di uno Stato che scopre i colpevoli mafiosi dell’omicidio Rostagno e il coro stonato dei nipotini di una stagione esaltante sul piano delle emozioni, ma fallimentare su quello politico, perché strizzava l’occhio alla violenza e definiva “giustizia” l’omicidio. Rassicurante a tal punto da coprire di insulti il lavoro giornalistico, lo stesso per il quale, secondo questa tesi, è morto Mauro Rostagno.
Quello che colpisce è il livore dei toni e la violenza verbale, ben oltre i confini della diffamazione. Ci hanno definiti "sciacalli","fiancheggiatori" della mafia, hanno chiamato "merda" il nostro lavoro, ci hanno persino accusati di prendere soldi – non si sa bene da chi – per depistare le indagini. Accuse di cui ciascun crociato di questa guerra santa della disinformazione on-line dovra’ – al piu’ presto - rispondere in Tribunale. Tutto questo perche’?
Noi de I Quaderni de L’Ora abbiamo provato semplicemente a mettere in fila dubbi e interrogativi, riproponendo ai nostri lettori un percorso giornalistico a 360 gradi per ricostruire un caso controverso della cronaca con le sue luci ed ombre, con tutte le sue sfaccettature. Non un fatto, un episodio, un verbale, non un solo dato della ricostruzione è stato contestato dal coro di nostalgici indignati: saremmo “depistatori” solo perché osiamo stimolare la riflessione su un movente e su mandanti ancora oscuri, come sostengono, allargando le braccia, gli stessi pubblici ministeri.
Il paradosso e’ che Maddalena Rostagno, figlia di Mauro, e’ tra coloro che gridano ‘’merda’’ contro di noi per l’unica ragione che -dietro l’esecuzione di mafia - ipotizziamo una committenza piu’ alta nell’uccisione di suo padre. In trent’anni di mestiere e’ la prima volta che veniamo accusati dai familiari di una vittima di mafia per aver chiesto luce sui mandanti occulti. E’ come se il padre dell’agente Nino Agostino, che da undici anni non taglia la sua barba per testimoniare la sua aspettativa di giustizia, ci insultasse per aver scritto un articolo che chiede la verita’ completa sulla matrice, non solo mafiosa, dell’uccisione di suo figlio. E’ come se Giovanna Maggiani Chelli, madre di una delle ragazze ferite nella strage dei Georgofili, e presidente dell’associazione familiari delle vittime di quell’eccidio, ci bacchettasse ricorrendo addirittura al turpiloquio per aver posto domande sui committenti ancora misteriosi del tritolo del ’93. Noi rispettiamo il dolore di tutti i parenti di tutte le vittime di mafia, terrorismo, servizi "deviati" e di qualunque agenzia della violenza abbia seminato morte e lutti nel paese, ma non comprendiamo la ratio di questa aggressione violenta e immotivata. Le contumelie, gli insulti, le parolacce non sono certo l’espressione di una divergenza di opinioni – ovviamente legittima, anche se diventa una radicale contrapposizione di idee – serena e democratica.
Ma allora? Di che sono espressione? Perche’ questi toni scomposti? C'e' un'indagine aperta alla Dda di Palermo ancora oggi a caccia del movente e dei retroscena nascosti dell’omicidio Rostagno. Si scava dietro un delitto che riassume, in modo paradigmatico, tutti i misteri di una stagione ancora irrisolta dei rapporti tra mafia, terrorismo e servizi segreti. E' lecito -in assenza di certezze -porsi tutte le domande e i dubbi del caso? Agitare ancora lo striscione con lo slogan “la mafia è una montagna di merda” (azione utilissima negli anni ’70), oggi, nel 2011, può non bastare più e rischia di essere, questo sì, riduttivo e davvero depistante.
Significa non avere compreso struttura ed evoluzione di una Cosa Nostra trasformata, in questi anni, in una “Cosa Nuova”, nelle sue relazioni con apparati dello Stato - come tante indagini sulle stragi hanno portato a galla - individuando l’origine di questa mutazione proprio nella fine degli anni ’80, lo stesso periodo in cui il piombo mafioso ha ucciso Rostagno. Significa, per un giornalismo sensibile alle onde mediatiche diffuse da un’oggettiva saldatura di obiettivi, dimenticare che la prima regola del giornalista è riferire i fatti coltivando i dubbi.
Specie in presenza di un’indagine sui mandanti occulti del delitto Rostagno, che va oltre la mafia, come adesso scrivono anche numerosi colleghi nelle loro cronache. Nessuno mette in dubbio il livello mafioso, nell’ideazione e nell’esecuzione dell’omicidio Rostagno, ma il dubbio che per qualcuno possa trasformarsi in una coperta di Linus che riscalda le coscienze e copre tutti i buchi neri di un passato in cui Mauro fu protagonista, dopo quest’offensiva mediatica di insulti e contumelie, si rafforza.
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