mercoledì 20 aprile 2011

Mafia, l'opzione del terrore. - di Umberto Lucentini


Ci sono diversi motivi per cui Cosa Nostra può tornare a mettere le bombe. Ad esempio, per una prova di forza dei boss detenuti verso alcuni partiti. O per regolare rapporti con le componenti politiche con le quali Cosa nostra ha ancora una interlocuzione».

«La scelta di iniziare una sanguinosa stagione stragista rimane sempre, tra le tante, una delle possibili opzioni della politica criminale di Cosa nostra». Paolo Guido, il pm antimafia che a Palermo segue da più anni le indagini sulla cattura di Matteo Messina Denaro, legge questi giorni di caos istituzionale dal suo osservatorio privilegiato. Ed è un'analisi da valutare con attenzione.

Guido, sostituto procuratore della Dda di Palermo, si occupa delle indagini sul boss di Castelvetrano protagonista delle bombe del '92 e '93 ma anche delle inchieste sulla trattativa tra pezzi dello Stato e mafia, sulle complicità di massoneria e uomini delle istituzioni.

Procuratore, ci sono segnali sul fatto che Matteo Messina Denaro potrebbe essere tentato dal ritorno alla strategia stragista firmata Cosa nostra? L'allarme è stato lanciato di recente da suoi colleghi come il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e da esponenti della società civile come Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo. La ritiene una eventualità probabile? Ci sono segnali in questo senso?
«Sulla esistenza di segnali ovviamente non posso rispondere. Posso però fare qualche riflessione. La scelta di iniziare una sanguinosa stagione stragista rimane sempre, tra le tante, una delle possibili opzioni della politica criminale di Cosa nostra. Opzione che deve corrispondere ad un preciso obiettivo dell'associazione. In passato è stato quello, tutto corleonese, di mettere in ginocchio lo Stato e costringerlo a trattare.
Oggi potrebbe essere una prova di forza dei grandi boss detenuti in carcere, unici, a loro dire, a pagare per le trascorse collusioni tra Cosa nostra e alcune forze politiche; o la necessità di regolare rapporti con singole componenti politiche o sociali con le quali Cosa nostra ha ancora una interlocuzione, o dalle quali teme ostacoli nei grandi affari pubblici. In ogni caso, Messina Denaro sarebbe l'unico uomo d'onore in grado di governare tali scelte, e ciò per due ragioni. La prima perché è l'ultimo dei boss stragisti ancora latitante; la seconda perché probabilmente è custode dei segreti più inquietanti che hanno attraversato la storia di Cosa nostra».

Sono ipotizzabili complicità istituzionali deviate - come nei casi di Totò Riina e Bernardo Provenzano- che potrebbero favorire la latitanza di Matteo Messina Denaro, inafferrabile dal 1992?
«Tutti i grandi capi di Cosa nostra – e Messina Denaro lo è certamente – sono arrivati al punto di avere, come dicono i pentiti, "i cani attaccati", cioè ad avere rapporti privilegiati con circuiti istituzionali in grado di informarli preventivamente di iniziative giudiziarie e/o investigative».

Si può dire che oggi Matteo Messina Denaro sia il capo di Cosa nostra in Sicilia?
E' difficile oggi affermare che Cosa nostra abbia, in questa fase della vita associativa falcidiata da un incessante intervento repressivo, una stabile struttura gerarchica, e quindi un capo riconosciuto, che governa ogni iniziativa criminale. Probabilmente sta cercando un modulo organizzativo in grado di stare al passo con i tempi, ben più snello e rapido nelle decisioni. E però un fatto è certo: il Dna che storicamente connota l'associazione, i geni della violenza sistematica, dell'omertà e del soffocamento di ogni più elementare legge di mercato, sopravvivono e si perpetuano grazie a chi mafioso lo è stato dalla nascita. Messina Denaro vive in modo direi monastico principi e regole di Cosa nostra, anche quelli più ortodosse: il suo codice genetico è, da questo punto di vista, purissimo».

Non le chiediamo di svelare particolari di indagini, ma ci sono segnali recenti sulla presenza di Matteo Messina Denaro in Sicilia?
«Chi si occupa di mafia sa bene che, all'interno di Cosa nostra, un capo, per continuare ad esserlo, non può lasciare il suo territorio per troppo tempo. Quindi, al di là delle risultanze investigative, sulle quali naturalmente non posso rispondere, Messina Denaro, per governare, deve rimanere in Sicilia e far sentire il suo respiro su ogni affare di rilievo, in ogni passaggio delicato che, di volta in volta, l'associazione si troverà ad affrontare, soprattutto in una fase di riorganizzazione come questa».

Il fratello di Matteo Messina Denaro, il bancario Salvatore, arrestato per mafia, in una recente udienza preliminare che deve decidere sulla vostra richiesta di rinvio a giudizio, ha detto: voi mi accusate di aiutare la latitanza di mio fratello, ma io sono detenuto da un anno e non lo avete preso. Cosa può significare una frase del genere?
«Credo che sia, tra le tante, una tesi difensiva, in verità sin troppo suggestiva. In ogni caso, secondo l'impostazione accusatoria, condivisa sino ad ora da diversi organi giurisdizionali, Salvatore Messina Denaro ha fatto ben altro che occuparsi della sola latitanza del fratello: ha retto le sorti del mandamento mafioso di Castelvetrano, quello più caro al latitante, dove ci sono il suo sangue ed i suoi affetti.»

Il titolare di un bar di un paesino vicino Castelvetrano, non immaginando di essere intercettato dalla polizia, disse: "Noi a Matteo lo dobbiamo adorare". E' una frase che svela complicità inaspettate?
«No. E' la tragica realtà di tante zone della Sicilia, dove ancora la mafia, tra la resistenza di pochi ed il consenso di troppi, governa indisturbata».

Dalle indagini siete riusciti a tracciare un profilo psicologico del boss? E' vero che Matteo Messina Denaro adora giocare con la Playstation? Potrebbe utilizzare Skype e, in caso affermativo, che strumenti avete per intercettare questo tipo di conversazioni?
«Oggi le investigazioni giudiziarie fanno fatica a stare al passo con i progressi della tecnologia e con le molteplici utilizzazioni che di essa ne fanno anche i criminali. I mafiosi non si sottraggono a questa realtà, e soprattutto in materia di comunicazioni, ricorrono, oltre che alla messaggistica tradizionale, anche a Internet, a Skype. Quanto a Messina Denaro, è un capo cui piace la Playstation, usa con grande padronanza il computer, ma non abbandonerà mai i "pizzini", che rappresentano ancora, in Cosa nostra, lo strumento di comunicazione ritenuto più affidabile.»

Tratto da:
espresso.repubblica.it



Inchiesta Mediaset, il governo solleverà il conflitto di poteri davanti alla Consulta.



La presidenza del Consiglio chiederà l’annullamento della decisione con cui i giudici di Milano non ritennero legittimo impedimento, il primo marzo del 2010, l’assenza in udienza di Silvio Berlusconi, imputato per frode fiscale

La presidenza del Consiglio solleverà il conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte Costituzionale per chiedere l’annullamento della decisione con cui i giudici di Milano del processo Mediaset non ritennero legittimo impedimento, il primo marzo del 2010, l’assenza in udienza di Silvio Berlusconi, imputato per frode fiscale, nonostante quel giorno il premier fosse impegnato a presiedere un consiglio dei ministri. Il governo ha dato mandato all’Avvocatura generale dello Stato di presentare il conflitto, il cui testo è in via di definizione. Il conflitto – si è, inoltre, appreso – sarà prossimamente depositato alla Consulta.

Il consiglio dei ministri del primo marzo 2010 era stato fissato inusualmente di lunedì, in una data successiva a quella in cui era già stata stabilita l’udienza Mediaset (altre tre udienze erano precedentemente saltate) . I giudici della prima sezione del Tribunale di Milano, presieduti daEdoardo D’Avossa, rifiutarono di considerare quel Cdm come legittimo impedimento del premier in quanto – scrissero nell’ordinanza – “nulla è stato dedotto” riguardo la necessità e l’inderogabilità della riunione a Palazzo Chigi. Quel giorno il Consiglio dei ministri varò il ddl sull’anticorruzione (messo però a punto nella sua stesura definitiva diverse settimane dopo e poi arenatosi al Senato).

La decisione dei giudici di Milano fu considerata dal premier un atto di aperta ostilità, venne stigmatizzata dal ministro della Giustizia Angelino Alfano durante il Cdm e fece dire agli avvocati-parlamentari del premier, Niccolò Ghedini e Piero Longo, che ricorrevano gli estremi per sollevare un conflitto davanti alla Corte Costituzionale. Ma il ricorso non venne presentato perchè nel giro di un mese, in aprile, entrò in vigore la legge-ponte che integrava i casi di “legittimo impedimento” di premier e ministri, e grazie alla quale il premier poteva rimanere lontano dalle aule di giustizia per i successivi 18 mesi. L’esigenza di proporre il conflitto sarebbe tornata di attualità dopo che, lo scorso gennaio, la Consulta ha bocciata in molti punti la legge sul ‘legittimo impedimentò. L’avvocatura generale dello Stato starebbe preparando il testo del conflitto per lamentare la lesione del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato. Il governo chiederà pertanto l’annullamento dell’ordinanza con cui i giudici del processo Mediaset non concessero il legittimo impedimento a Berlusconi. In quella circostanza Ghedini non solo si disse certo dell’accoglimento di un eventuale conflitto, ma fece notare che “anche la Cassazione non potrà che annullare questo processo e il suo prosieguo”.



Cartello Libor, in arrivo il ciclone class action. - di Matteo Cavallito



Le grandi banche del pianeta sospettate di manipolazione del Libor, il tasso di riferimento per un immenso mercato da 360 mila miliardi di dollari. Temendo la truffa, l’hedge viennese Ftc ha deciso di portare gli istituti in tribunale. Aprendo potenzialmente la strada a una valanga di cause di risarcimento

Si chiama Ftc Capital GmbH, è un fondo speculativo (hedge fund) con base a Vienna e, nonostante il sostanziale anonimato che lo circonda, potrebbe assumere presto una diffusa celebrità. Come capostipite di un procedimento legale capace di scatenare una battaglia di proporzioni potenzialmente enormi. Venerdì i suoi avvocati hanno presentato una denuncia formale presso una corte federale di New York accusando alcuni big della finanza mondiale di aver danneggiato i propri clienti, che operano nei mercati degli eurodollar futures (titoli derivati utilizzati per “scommettere” sull’andamento dei tassi di interesse), attraverso una colossale manipolazione di mercato. Con una ricaduta potenziale da 360 mila miliardi di dollari.

A rivelare la notizia è stato il Wall Street Journal, lo stesso quotidiano che, nei giorni scorsi, aveva reso nota in esclusiva l’esistenza di un’inchiesta congiunta del Dipartimento di giustizia e dellaSecurities and Exchange Commission (Sec) degli Stati Uniti. Nel mirino degli inquirenti erano finite nientemeno che le relazioni periodiche sul costo del denaro dei grandi nomi del sistema bancario. Istituti di enorme portata come Bank of America, Citigroup e Ubs, unitamente ad altri di cui non si era fatto il nome. Tutti sotto inchiesta per un’ipotesi di reato a dir poco inquietante: la manipolazione, attraverso la costituzione di un cartello, dei dati sul Libor, il tasso di riferimento calcolato a Londra.

Tra il 2006 e il 2008, sospettano gli inquirenti, gli istituti si sarebbero accordati per sottostimare i costi sostenuti per acquisire i prestiti sui capitali determinando così una manipolazione del Libor stesso, il cui valore è calcolato di volta in volta base ai report presentati proprio dagli istituti. Una mossa capace di determinare un vantaggio per le banche penalizzando al tempo stesso chi erogava i prestiti sui capitali ottenendo un interesse più basso rispetto a quello che un mercato più trasparente avrebbe garantito. Gli istituti, in altri termini avrebbero continuato a ricevere denaro ad un prezzo più basso mostrandosi, al contempo, più solidi di quanto non fossero. Ma il problema non si esaurisce qui. Perché siccome l’ammontare dei titoli indicizzati sul Libor è a dir poco enorme, a farne le spese lavorando su dati sottostimati sarebbero stati tutti gli operatori di mercato coinvolti nell’immenso magma finanziario. Il controvalore dei prestiti calcolati sul Libor ammonta a 10 mila miliardi. Quello dei titoli derivati vale 35 volte tanto. Fatti i conti si tratterebbe di un mercato complessivo da 360 mila miliardi di dollari (sei volte il Pil globale) completamente alterato a partire da un vizio originale.

“Se il Libor fosse stato stimato in modo corretto, i miei clienti non avrebbero avuto un danno nelle operazioni sul mercato eurodollar” ha dichiarato al Journal David Kovel, l’avvocato che presiede la causa di Ftc. Kovel non ha fornito dettagli sulle operazioni contestate e non ha specificato, per ora, alcuna stima sull’ammontare dei danni. E’ noto, comunque, che il numero delle banche coinvolte risulta considerevole. Nell’istanza presentata al tribunale compaiono infatti Credit Suisse,Bank of America, J.P. Morgan, HSBC Holdings, Barclays, Lloyds, West LB, Ubs, Royal Bank of Scotland, Deutsche Bank, Citigroup e Norinchukin Bank.

Tra le banche, per ora, regna il silenzio e chi rilascia dichiarazioni si affretta a liquidare la causa come priva di fondamento. Ma i sospetti restano anche richiamando alla memoria lo scetticismo espresso tre anni or sono da alcuni economisti della Banca dei regolamenti internazionali che, all’epoca, avevano espresso una certa perplessità sulla correttezza dei dati resi noti dagli istituti. Di certo si sa che l’azione di Ftc potrebbe dare il via a una serie di iniziative analoghe. Dando vita, in caso di sentenza favorevole, a cause di risarcimento di proporzioni colossali. Una prospettiva per ora lontana. Ma che non può essere esclusa.



Costituzione, Pdl propone modifica all’art.1 Bersani: “Repubblica è fondata su Scilipoti”.


Il deputato della maggioranza Remigio Ceroni ha presentato nei giorni scorsi una proposta di legge alla Camera. L'idea sarebbe quella di spostare dal 'popolo' al 'Parlamento', che ne è espressione, il fondamento dell'ordinamento democratico

Il deputato Pdl, Remigio Ceroni propone di modificare l’articolo 1 della Costituzione

“L’attività del Parlamento viene spessomortificata“. Per questo il deputato Pdl, Remigio Ceroni propone di modificare l’articolo 1 della Costituzione. Che diventerebbe: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro e sullacentralità del Parlamento“. Titolare “supremo” della rappresentanza politica della volontà popolare, espressa con le elezioni. “Gli suggerirei di scrivere direttamente che la Repubblica italiana è fondata su Scilipoti…”, ha commentato il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Ma il deputato Pdl ha già presentato nei giorni scorsi una proposta di legge, per bloccare “il nascere e svilupparsi di un’eversione e soprattutto il sopravvento di poteri non eletti dal popolo e privi di rappresentanza politica”, ha spiegato. Un’iniziativa fatta a titolo personale, sottolinea Ceroni, “Non ne ho parlato con Berlusconi né con altri dirigenti del Pdl”. La proposta non ha infatti suscitato scalpore nella maggioranza. ”Credo che in Parlamento di iniziative di singoli parlamentari ce ne siano oltre 15mila”, ha commentato Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, “Se dovessimo aprire un dibattito su ognuna non ne usciremmo più. Pensiamo a discutere di cose più serie”.

Ma Ceroni, nella sua proposta, fa riferimento persino a Giorgio Napolitano. “Spesso ci troviamo”, ha spiegato Ceroni, “Dopo aver approvato una legge, con il presidente della Repubblica che non la controfirma. Dobbiamo ripristinare gerarchia ed equilibrio dei poteri, in assenza del quale, si deve riportare l’ordine“. Una polemica non troppo velata con Napolitano, di cui il deputato Pdl dice: “L’ho votato, ho stima della sua storia e delle sue qualità ma non ho gradito alcune ingerenze, alcuni punti di vista fatti trapelare, al momento della valutazione delle leggi da parte del Parlamento con una conseguente influenza sul nostro lavoro”. Ingerenza che non verrebbe soltanto dal presidente della Repubblica, secondo Ceroni, che cita anche la Corte Costituzionale che “ad esempio, sul lodo Alfano si è pronunciata prima in un modo e poi in un altro esprimendo posizioni politiche”. Oppure ancora i magistrati che “mentre si discute una legge, sparano a zero su un provvedimento. Questa non è una ingerenza?”.

E alcune parole Ceroni le spende anche per chiarire la sua posizione riguardo alle consultazioni dirette: “Spesso se ne è abusato. Raccogliere 500mila firme non è difficile, ma non è detto che porti effetti positivi. Potremmo indire referendum su ogni legge”. Come quello del prossimo giugno, in cui il deputato Pdl dubita “che si raggiungerà il numero di votanti che possa convalidare la tornata, dopo l’emendamento approvato ieri, sul nucleare”. Uno stop con non poche ricadute, quindi, ma che non è definitivo. Si tratta più di “una seria e doverosa ulteriore pausa di riflessione”. “E significa che siamo attenti agli umori della gente“, ha aggiunto Ceroni. Umori necessari da assecondare, soprattutto in periodo di elezioni amministrative. ”Quando in un Paese ci sono forze politiche rigide, la cui unica attività è strumentalizzare giornalmente tutto”, conclude il deputato, “Bisogna comunque adeguarsi e fare fronte alle necessità”.

Dall’opposizione arrivano a Ceroni suggerimenti ironici. “Scrivano ‘La Repubblica italiana è fondata su Scilipoti’…”, ha commentato il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Il riferimento è al parlamentare che nel dicembre 2010 ha lasciato l’IdV per fondare il gruppo misto deiResponsabili e, ancora dalle fila dell’opposizione, ha votato la fiducia ak governo. “Vogliono rifare la Costituzione?”, gli ha fatto eco il leader di Sel, Nichi Vendola, “Propongo allora che scrivano la verità: l’Italia è una repubblica televisiva fondata sulla compravendita dei parlamentari”. Non riesce invece proprio a scherzare Leoluca Orlando, portavoce dell’IdV, che dichiara: “Come recita l’articolo 1, la sovranità appartiene al Popolo e non al dittatore del bunga bunga. Dal Pdl arriva un vero e proprio attentato alla Costituzione”.



Legge elettorale, il Pdl ci riprova Porcellum bis contro il rischio Senato.


I Responsabili al premier: nomine o salta il governo. Pisanu: "Resterò nel partito finché potrò dire la mia senza essere mal sopportato" di GIOVANNA CASADIO

ROMA - Doppio registro. Da un lato il Pdl si preoccupa di mettersi al riparo da rischi, se si va alle elezioni anticipate. Perciò fa ripartire a Palazzo Madama una modifica della legge elettorale, il cosiddetto Porcellum-bis, che "blinda" la maggioranza del Senato, evitando che possa essere diversa da quella della Camera. Dall'altro a Palazzo Chigi si cerca di trovare una soluzione per accontentare i Responsabili.

La stampella del governo - detta anche "terza gamba" - ha posto l'ultimatum. I Responsabili vogliono i posti di governo promessi e sono sul piede di guerra. O le nomine entro Pasqua, cioè subito, oppure arrivederci. Non è più tempo di girarci attorno. "Pacta sunt servanda", ripetono, e il Cavaliere non ha più alibi sul rimpasto. L'incontro tra il responsabile Luciano Sardelli e il coordinatore del Pdl, Denis Verdini è andato male. Da qui, lo sfogo e la prima minaccia: "Il gruppo può saltare". Mario Pepe, altro responsabile, rettifica a stretto giro di posta: "No, il gruppo resta compatto, perché solo unito è più forte". Ancora più esplicito è Francesco Pionati, aspirante sottosegretario: "Berlusconi aveva preso l'impegno di nominare i sottosegretari entro Pasqua. Ha nominato ministro Saverio Romano; ha accontentato Storace con la nomina di Nello Musumeci. L'errore del premier è stato spacchettare.

Adesso trovi il modo di rispettare l'impegno anche con noi, che siamo bravi, buoni ma non fessi Io gli ho messo 28 liste in tutta Italia e sono tutte in sostegno del Pdl. Non è previsto un consiglio dei ministri entro fine settimana? Lo convochi. Se il 14 dicembre avesse fatto il patto con l'Udc, già il 17 ci sarebbero stati i nuovi ministri e sottosegretari centristi".

Siamo insomma ai ferri corti. Il giuramento ieri a Palazzo Chigi di Musumeci, sottosegretario al Lavoro, ha fatto traboccare il vaso della pazienza dei Responsabili. Oggi presentano il loro programma che è un pre-allerta. In questo clima, Beppe Pisanu, il presidente della commissione antimafia - che con il leader pd, Walter Veltroni qualche giorno fa ha proposto un governo di decantazione - avverte: "Resterò nel Pdl fino a quando posso esprimere le mie opinioni senza sentirmi mal sopportato". Anche questo un preavviso.
In bilico tra Fini e Berlusconi restano Adolfo Urso e Andrea Ronchi, che ieri hanno presentato "FareItalia", una nuova associazione, che dovrà essere - hanno sottolineato - "la nuova casa dei moderati". No all'antiberlusconismo, hanno detto, che porta al fallimento. La stoccata è a Bocchino.

La coalizione di governo insomma è dentro un moltiplicatore di tensioni. In questo quadro va inserita l'accelerazione sulla legge elettorale. La proposta presentata ad ottobre da Gaetano Quagliariello, il vice capogruppo del Pdl a Palazzo Madama, sembrava destinata al dimenticatoio. Eccola invece ricomparire come base di discussione e riprendere l'iter parlamentare. Prevede l'estensione anche al Senato del premio di maggioranza su base nazionale (mentre ora è su base regionale). La preoccupazione principale del Pdl è infatti, in caso di elezioni anticipate, di ottenere la maggioranza a Montecitorio ma di non riuscire ad afferrarla a Palazzo Madama. Per questo vuole introdurre il correttivo studiato da Quagliariello.

'Così Striscia vuole farmi tacere' - di Lara Crinò



La giornalista Barbie Nadeau aveva scritto per 'Newsweek' un'inchiesta sull'immagine sessista proposta da Mediaset. Si è ritrovata con i poliziotti in casa e una denuncia per diffamazione: «Cercano di intimidire i corrispondenti stranieri in Italia»

Vive in Italia da quindici anni, e dice che lo considera "il posto migliore dove far crescere i figli". Aggiunge pure che la nostra società "è difficile da capire, ci sono così tante variabili" e che per uno straniero questa complessità è una sfida stimolante. Barbie Latza Nadeau è americana e scrive per 'Newsweek', uno dei magazine americani più prestigiosi, per la sua costola online 'The Daily Beast' e collabora con la CNN.

Ha seguito il caso dell'omicidio di Meredith Kirker e ha scritto un libro sul processo all'accusata Amanda Knox, dal titolo 'Angel Face: The True Story of Student Killer Amanda Knox'. E' una giornalista esperta, abituata più alla chiarezza delle testate anglosassoni che a bizantinismi dei nostri media. Eppure, per la prima volta da quando lavora, ha paura di quel che scrive.

Questo perché, come ha raccontato ieri online e oggi anche sul nuovo numero di Newsweek, una sera dello scorso febbraio un poliziotto ha bussato alla porta della sua casa romana. "Ero a casa da sola con i bambini" racconta "e sono rimasta sconcertata quando ho visto l'agente. Mi ha detto che dovevo andare alla stazione di polizia per qualcosa che aveva a che fare con ciò che avevo scritto per Newsweek su Mediaset e Silvio Berlusconi".

Il giorno dopo Barbie Nadeau si è recata alla polizia e ha scoperto di essere stata denunciata da 'Striscia la notizia' per diffamazione, a seguito di un suo articolo apparso a novembre 2010 su Newsweek dal titolo 'Italy's Women Problem'. Nella sua documentata inchiesta sulla sconfortante situazione delle donne italiane, lontane dalla parità in tutti gli ambiti, Nadeu notava che persino nel programma più visto del prime time italiano, 'Striscia la notizia', la rappresentazione femminile era affidata alle Veline. Signorine "con addosso un abito ornato di lustrini fornito di tanga e profondo scollo a V che arriva oltre l'ombelico" a cui i conduttori possono dire "Vai, girati, fatti dare un'occhiata" toccando loro il didietro. Dopo la denuncia, in accordo con 'Newsweek', la giornalista si è presa un avvocato che la difenderà. Ma qui ci spiega perché l'azione legale di Striscia non è, secondo lei, "una mera coincidenza.

Signora Nadeau, nel suo articolo esprimeva una critica al modo in cui le tv di Berlusconi e in particolare 'Striscia la notizia', rappresentano la donna. Un argomento che la stampa cavalca da anni. Come mai, secondo lei, da Mediaset è partita una denuncia?
A dire il vero nemmeno io me lo spiego fino in fondo. Posso solo fare delle supposizioni, e dirle che non credo nelle coincidenze. L''idea di avere una denuncia sulla testa mi mette profondamente a disagio. Considero 'Striscia' un programma intelligente e nel mio pezzo mi limitavo a mettere in luce una contraddizione. Ovvero che persino Striscia propaganda un'immagine che ritengo lesiva per la donna. La mia copertina di Newsweek ha ispirato a marzo un 'panel' di un convegno sulle donne a New York; hanno partecipato anche Emma Bonino e Violante Placido. Avevo appena avuto la notifica della denuncia e non ho voluto fare il nome di Striscia. Quindi, come vede, ha già funzionato su di me come una forma di intimidazione. Anche se ovviamente il mio giornale mi chiede di continuare a scrivere e seguire la questione.

Non pensa che denunciarla per diffamazione possa essere per Mediaset una 'misura preventiva' in vista dell'aprirsi del processo sul caso Ruby? Insomma un modo per alzare il tiro, mandando un messaggio ai corrispondenti stranieri in Italia in un momento particolarmente delicato per Berlusconi?
Parlare di Arcore, delle escort e di Ruby è dal punto di vista giornalistico ovviamente una miniera d'oro. Ma è una strada fin troppo facile, che in accordo con 'Newsweek' non ho mai seguito. Quel che mi interessa mostrare a un pubblico di lettori internazionali sono le contraddizioni della condizione femminile in questo paese. E come l'immagine femminile veicolata dai media e dalla pubblicità non possa che danneggiare la ricerca della parità lavorativa e sociale. Tutte queste cosce nude, questa esibizione di corpi manda un messaggio subliminale continuo all'uomo italiano: che le donne hanno a che fare con il sesso, che non sono una controparte seria e affidabile in politica o sul lavoro.



Cosa non si fa per evitare un referendum. - di Tommaso Labate


Il quorum era possibile. Così il governo ferma (per ora) la realizzazione degli impianti e cancella il quesito più attuale tra quelli previsti il 12 giugno, per non correre rischi sul legittimo impedimento.

Nella foto: Paolo Romani ministro sviluppo economico

«È stato un colpo da maestro. Diamo una prospettiva al nucleare e, visto che ci siamo, cancelliamo ogni possibilità che i referendum raggiungano il quorum». Ieri pomeriggio, quando la decisione del governo di cancellare il piano nucleare sta facendo il giro di tutti i mezzi d’informazione, un esponente dell’esecutivo racconta dietro la garanzia dell’anonimato un altro film. Possibile titolo: «Il delitto perfetto».
L'impresa non era delle più semplici. Anche per la presenza di mille variabili impazzite. A Berlusconi serviva dare una minima speranza agli investimenti sul nucleare dopo Fukushima, tenere insieme i tanti malpancisti del governo (a cominciare dal ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo), soddisfare l’immancabile pretesa tremontiana (nel senso di Giulio) di tenere chiusi i cordoni della borsa (il piano nucleare costa, eccome se costa), togliere il dossier dalla campagna elettorale delle amministrative e, last but non least, cancellare le minime speranze che il referendum sul legittimo impedimento raggiungesse il quorum, magari trainato dai quesiti anti-atomo. Cinque obiettivi. Raggiunti in un sol colpo ieri.
Quando il gruppo del Senato guidato da Maurizio Gasparri e dall’ex radicale (esperto, quindi, di referendum) Gaetano Quagliariello segnala al governo la presenza di un emendamento firmato da Francesco Rutelli (altro ex radicale) nelle discussione sul decreto omnibus, ecco che gli uffici di Palazzo Chigi si trovano di fronte all’occasione che aspettavano. Il colpo del «delitto perfetto» in grado di colpire tutti e cinque i bersagli. All’emendamento del leader dell’Api, che cancellava ogni traccia normativa sulla prevista realizzazione delle centrali, il governo esprime parere favorevole. C’è una triangolazione tra Paolo Romani e Giulio Tremonti, il raccordo con il gruppo del Pdl a Palazzo Madama «e il gioco», aggiunge la fonte governativa, «si conclude. Infatti nessuno ci vieta di ripresentare il piano l’anno prossimo, quando magari l’eco del disastro giapponese si sarà spenta...».
Ovviamente, anche il delitto perfetto del governo ha qualche limite. Perché con gli effetti collaterali del disastro giapponese il mondo dovrà fare i conti per molti anni a venire. D’altronde, come spiega Benedetto della Vedova dando una boccata di sigaro nel cortile di Montecitorio, «mi pare che di nucleare non si parlerà più». Ma è altrettanto vero, e il capogruppo dei finiani alla Camera lo riconosce, che «stavolta la maggioranza ha preso due piccioni con due fave».
Il secondo piccione di cui parla Della Vedova è, ovviamente, il referendum. Con l’approvazione dell’emendamento anti-atomo del decreto omnibus, il quesito che avrebbe trainato quelli sull’acqua e il legittimo impedimento scomparirà dalle schede della consultazione del 12 giugno. Domanda: ma c’era qualche minima speranza che, per la prima volta dopo un decennio, un referendum passasse il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto? La risposta poteva anche essere affermativa. Almeno a prendere per buono un sondaggio riservato commissionato da Federutility (la federazione che riunisce le aziende di servizi pubblici, interessata al quesito sull’acqua), che una settimana fa fissava la partecipazione al voto in una forbice tra il 48 e il 52 per cento. Speranze che, senza il traino del voto sull’atomo, ovviamente si riducono al lumicino. Con tanti saluti alla partita sul legittimo impedimento.
Con la mossa del Senato, il governo si garantisce una giornata con l’happy end. Con Paolo Romani, uno degli artefici della partita, che si concede il lusso di annunciare «un nuovo piano energetico entro l’estate». E con l’opposizione che, ieri, ha finito per dividersi. Perché quando arriva la notizia della cancellazione del piano per il nucleare, Pier Luigi Bersani esulta: «È una nostra vittoria». Al contrario di Antonio Di Pietro, che invece convoca una conferenza stampa per «denunciare il colpo di mano del governo sul referendum del legittimo impedimento». Il segretario del Pd, più tardi, aggiusterà il tiro. Prima con una dichiarazione alla stampa («La decisione del governo? È positivo ma non lo è abbastanza: perché è chiaro che vuole solo scappare dal confronto sul referendum»), poi con una battuta affidata ai fedelissimi: «Dal “governo del fare” erano diventati il governo del “faremo”. Adesso si sono trasformati nel governo del “non faremo più”». Anche Massimo D’Alema, come Di Pietro, lega la cancellazione del piano nuclerare al referendum: «Berlusconi vuole solo far fallire il quorum». Morale della favola: alla Camera, sulla riconversione del decreto omnibus, l’opposizione marcerà a ranghi separati. «Decideremo dopo averne parlato», dice l’udc Roberto Rao a metà pomeriggio. Ma i rutelliani voteranno a favore, visto che l’emendamento accolto dall’esecutivo era firmato dal loro leader. «Anche io sarei tentato di votare sì. Ma, visti i numeri della Camera, è irrilevante», scandisce il finiano Della Vedova. Il Pd ne parlerà alla ripresa dei lavori dopo Pasqua. «Se hanno cambiato idea è merito di Alberto Losacco», è la battuta di Dario Franceschini, che rimanda al «profetico» appello anti-atomo firmato giusto ieri dal suo fedelissimo sull’Unità. I dipietristi, invece, voteranno compatti contro. Opposizione divisa. «Delitto perfetto», insomma.

http://www.ilriformista.it/stories/Prima%20pagina/385048/