domenica 24 aprile 2011

Al pronto soccorso con la sorella la moglie raccontò delle percosse. - di Sandra Amurri



Ieri Vittorio Feltri dalle pagine di Libero ha definito l’articolo pubblicato da Il Fatto sull’onorevole Remigio Ceroni (“Vuole riformare la Costituzione e mena la moglie”, questo il titolo) “lacunoso” e privo di “particolari utili per comprendere l’accaduto”. Facendo seguire una serie di domande: “Dove Ceroni ha menato la moglie fino a renderne necessario il ricovero al pronto soccorso? In quale ospedale la poveraccia è stata medicata? Quale prognosi i medici hanno emesso? Quali le cause del pestaggio?”. Concludendo: “Neanche un cenno di risposta ai basilari interrogativi.

Pazienza. A volte anche i cronisti provetti e i loro capi lavorano maluccio e con risultati deludenti...”

È VERO A VOLTE anche i giornalisti provetti e i loro capi lavorano maluccio ma non è questo il caso, visto che il Fatto Quotidiano ha pubblicato una notizia dopo averla verificata e documentata esattamente come è in grado di dimostrare. “È facile sbagliare - ancora Feltri - l’importante è riparare. Il problema è un altro e ben più grave. La signora Ceroni alla domanda sulle percosse postale da Libero, ha sorriso ed ha risposto candidamente anche un pò stupita e un po’ divertita: “L’unica volta che sono stata in un letto d’ospedale è stato quando ho partorito”. Allora, conclude Feltri, le ipotesi sono due o Il Fatto o la sposa del deputato ha detto una bugia pietosa...

Quando un parlamentare che fino a un giorno prima era un “signor nessuno” fa una battaglia politica, a prescindere che la faccia al servizio di Berlusconi o meno, è normale che ci si chieda chi sia quest’uomo, che si raccolgano notizie, che se ne tracci un ritratto. E quando si fa un ritratto si può scoprire di tutto. Anche, come in questo caso, che l’onorevole Ceroni ha usato violenza sulla moglie. A quel punto si ha il dovere di pubblicare la notizia seppure non c’entri nulla con la modifica della Costituzione da lui proposta. Lo abbiamo fatto con il dispiacere e la malinconia del cronista che indaga su fatti a volte illuminanti della personalità e del carattere. Non c’è nessun fango.

Nelle famiglie accade che si litighi, ma un litigio è diverso dal picchiare la moglie. E nessuno può solidarizzare con chi lo fa.

Non crediamo che Feltri picchi o abbia mai picchiato sua moglie e ci stupisce che ci rimproveri di non aver scritto “quali sarebbero le cause del pestaggio”. Perché - ipotizziamo - se la signora fosse stata sorpresa con un altro uomo, il marito sarebbe stato legittimato a menarla? Poi una donna può decidere di restare con chi vuole ma che il marito parlamentare l’abbia picchiata resta una notizia vera.

È QUESTA la ragione per cui non commentiamo le dichiarazioni della signora: “C’è chi si inventa tali falsità e le scrive sui giornali. Tutta pubblicità per mio marito. Lui è un uomo pacifico, inoffensivo. Se mio marito mi avesse picchiato non saremmo arrivati a 38 anni di matrimonio”. Noi comprendiamo il suo stato d’animo, purtroppo, comune a molte donne nella sua stessa situazione. Così come sorvoliamo sulle offese a chi scrive rese ai giornali e scritte su Facebook dalle figlie e ci stupiamo di vedere pubblicata su Libero la foto della famiglia Ceroni compresa quella della figlia minorenne. E prendiamo atto che l’onorevole Ceroni che ha invocato l’intervento delPresidente della Repubblica e del Presidente della Camera, mente quando afferma che si tratta di “volgari menzogne. Non farei mai del male alla donna che amo appartiene alla fantasia di questa giornalista”. E mente quando dichiara che chi scrive ha telefonato a metà paese alla ricerca di gossip.

I fatti. La signora Silvia Di Stefano, moglie di Remigio Ceroni ai tempi sindaco di Rapagnano, l’11febbraio del 1998 alle ore 9:48:52 riferisce ai medici di guardia del Pronto soccorso dell’ospedale Augusto Murri di Fermo - dove si è recata accompagnata dalla sorella - “di essere stata percossa dal marito” che il fatto è accaduto “ieri alle 22.30 circa presso la propria abitazione”.

I medici redigono il referto e lo inviano in copia all’autorità giudiziaria. Questa la diagnosi: “Ecchimosi spalla destra, spalla sinistra, braccio destro, contusione escoriata gamba destra, ematoma gamba destra, ecchimosi guancia destra, ematoma orbitario sinistro, contusione piramide nasale”. E queste le prestazioni eseguite: “Visita medica, medicazione, fasciatura semplice ig tetano bendaggio elastico. Esami richiesti: rx orbita zigomo sinistro ossa nasali più Ect Muscolare gamba destra consulenza oculistica e otorino”. Prognosi: venti giorni.

La signora è stata accompagnata al Pronto Soccorso la mattina seguente perché subito dopo essere stata picchiata è scappata di casa facendo perdere le sue tracce. Ascoltata dai carabinieri ha confermato il referto aggiungendo che avrebbe sposto querela nei confronti del marito. Cosa che ha ribadito ad un avvocato da cui si è recata alcuni giorni dopo accompagnata dalla sorella.

Questi i fatti: l’onorevole Ceroni intanto annuncia che querelerà Il Fatto.

Da: Il Fatto Quotidiano.

Gentilmente fornito da:

http://ilgiornalieri.blogspot.com/2011/04/il-referto-ce-ma-ceroni-annuncia.html


sabato 23 aprile 2011

Dopo 17 anni sboccia il fiore che sa di cadavere.


Si è finalmente aperto a Basilea l’Aro gigante , il fiore dall’odore inconfondibile e dalla forma fallica

Grande sorpresa nelGiardino Botanico di Basilea. Nella città renana è finalmente sbocciato l’enorme fiore chiamato Aro gigante. Dopo moltissimi anni il raro fiore, che cresce solo inIndonesia, si è così aperto attirando un’enorme massa di curiosi, stabilendo un record di partecipazione per il giardino botanico della città svizzera che confina con la Germania e con la Francia. Una folla che non è stata per nulla scoraggiata da una delle caratteristiche principali del fiore, l’odore di cadavere che emana.

LUNGA ATTESA - Diciassette anni ci sono voluti perchè l’Aro gigante, conosciuto anche come il pene di Titano per la sua inconfondibile forma fallica, sbocciasse completamente. Il clima dell’Indonesia è ovviamente difficilmente ricreabile lungo le sponde del Reno, e il lungo periodo trascorso è comunque servito per apprezzare ancora di più la fioritura, a giudicare dalla partecipazione all’evento registrata Venerdì Santo nella città renana. A Basilea l’apertura del fiore che sa di cadavere e assomiglia ad un fallo, una combinazione ossimorica tra eros e tanathos che avrebbe fatto impazzire Sigmund Freud, ha attirato diecimila persone, accorse al Giardino Botanico, e altrettante sono attese per il lungo weekend pasquale.

EVENTO RARO - L’Aro gigante era già fiorito in Svizzera, ben settantacinque anni fa come ricorda il Blick. I particolarissimi petali a forma di ombrello arrivano a misurare quasi un metro, che fanno da corredo alla maestosa dimensione del fiore, circa quattro metri, mentre il suo odore caratteristico è avvertibile ad un distanza di quasi un chilometro. Il sapore di cadavere viene emesso quando il fiore vuole essere impollinato, ed è solitamente più intenso durante le ore notturne. Il boom di visitatori ha fatto registrare anche un’impennata del merchandising, e le bancherelle del giardino botanico che vendevano souvenir dell’enorme fiore fallico sono andate esaurite in pochissimo tempo.

http://www.giornalettismo.com/archives/122614/dopo-17-anni-sboccia-il-fiore-che-sa-di-cadavere/


Bologna, le continue gaffe del candidato sindaco fanno tremare il Pd. - di Ferruccio Sansa


Il peggior nemico di Virginio Merola sono le sue figuracce. Dal "sogno" rossoblu di andare in serie A, alla sconfitta contro il Brescia, fino al bidone per la festa della Liberazione. Tutti assist insperati per il candidato del centrodestra

Virginio Merola? È meglio di Filippo di Edimburgo”. Ormai anche quelli del Pd bolognese ci scherzano su. A denti stretti. Il loro candidato sindaco si è guadagnato una fama di gaffeur da far tremare il marito della Regina d’Inghilterra. Prima il Bologna, adesso la festa della Liberazione. Ma ogni battuta fa scendere i sondaggi. Le ingenuità di Merola sono diventate un’arma politica per gli avversari che gli cuciono addosso l’etichetta di portasfiga.

L’ultima battuta che circola a Bologna: “L’avversario del Pd? Merola”. I cronisti assiepati ai dibattiti stringono la penna pronti a cogliere ogni defaillance. Più delle questioni politiche si discute delle battute del probabile futuro sindaco.

A cominciare dal Bologna Calcio. E pensare che Merola è un politico navigato: da casellante autostradale, sedici anni fa è diventato presidente di quartiere, quindi assessore all’Urbanistica con Cofferati, infine consigliere provinciale. Una carriera sotto l’ala del Partito. Eppure Merola ignora una regola aurea della politica: gli italiani perdonano concussione e prostituzione minorile, ma non le mancanze verso la squadra del cuore.
Così mentre Merola navigava con i sondaggi in poppa (venti punti sull’avversario leghista) se n’è uscito con una frase kamikaze: “Spero che il Bologna vada in serie A”. Peccato che in serie A ci sia già. Scoppia uno scandalo che neanche un’indagine per mazzette. E Merola va nel pallone: “Ho solo detto che speravo che il Bologna tornasse in serie B”. Oddio, addirittura la serie B. Poi arriva Report. L’intervistatore ricorda: oggi si gioca con il Brescia. E Merola trionfante: “Il Brescia non ha speranze”. Detto, fatto: il Bologna incassa un secco 3 a 1.

Aperta la breccia, gli avversari ci si buttano a capofitto. Quelli del centrodestra, ma anche quelli interni, perché il Pd non ha accettato compatto la candidatura. Le cronache ricordano che Merola era arrivato terzo alle primarie precedenti, dietro Flavio Del Bono e Maurizio Cevenini. Poi il destino, e il Pd, ci mettono lo zampino: il sindaco Del Bono viene indagato (patteggerà una condanna a un anno e sette mesi) e si dimette. Il testimone passa a Cevenini. Ma il candidato più caro alla Curva che al Partito, viene colto da un malore e rinuncia. Il partito, scartata l’eventualità di ricorrere a un esorcista, sonda la società civile: si parla di Lorenzo Sassoli De Bianchi, presidente di Valsoia e amico di Luca Cordero di Montezemolo. Poi di Andrea Segré, preside di Agraria di Bologna e padre del Last minute market. Ma qui Merola si comporta come un esperto terzino: vede gli attaccanti distratti, parte dalle retrovie e segna. Coglie il Pd alla sprovvista e si candida: alle primarie prende il 58%. Certo, Merola non è l’ultimo arrivato, può contare per esempio sull’appoggio dei vertici di Unipol.

La strada è spianata: il Pdl ha candidato Manes Bernardini, un leghista. E la Lega, per quanto in crescita, alle Regionali non ha superato l’8%. Ma a frenare la corsa del Pd ci si mette proprio lui, Merola. Così Antonio Amorosi, ex assessore della Giunta Cofferati uscito dopo aver denunciato uno scandalo nell’assegnazione delle case popolari, rispolvera una registrazione radiofonica in cui il candidato parlerebbe con voce un po’ “impastata”. Amorosi sul suo blog scrive: “Sembra alticcio”. Una battuta? La notizia comunque finisce sui quotidiani nazionali. Ed ecco un dibattito con i suoi avversari. Merola tiene testa agli altri candidati fino allo scivolone: “Da dieci anni non è in declino la città, ma il suo ceto politico”. E la claque dei leghisti gli salta al collo: “Ritirati!”.
Fino alla festa della Liberazione, che a Bologna si celebra il 21 aprile. Come ogni anno l’Anpi si ritrova in piazza. Sorpresa: l’unico candidato presente è il leghista. Merola? “È malato”, spiegano i suoi. Peccato che due ore dopo sia stato visto a un incontro con i dipendenti dell’azienda di trasporto pubblico. “Si era sentito meglio”, è la spiegazione ufficiale.

La Lega si frega le mani, pregusta un ballottaggio che sarebbe un successo. E nel Pd qualcuno si lascia scappare: “Virginio sarà sindaco. Ma speriamo che quando ricorderemo la strage della stazione, il 2 agosto, lui non faccia il ponte”.



“Quelli del Pdl hanno cercato di comprarmi”.


Una telefonata della Gelmini e poi l'offerta di un posto sicuro in Mondadori per fare pace con Nicole Minetti. A parlare è Sara Giudice, l'ex pidiellina, adesso passata a Fli, che ha criticato i metodi di selezione del suo ex partito

“Mi hanno offerto un posto in Mondadori per rientrare nei ranghi”. Se proprio in quel momento non fosse arrivata in studio la notizia della solidarietà espressa da B. a Roberto Lassini, (l’uomo dei manifesti “Fuori le Br dalle procure”), forse Sara Giudice, la giovane ex pidiellina che ha raccolto 12 mila firme per chiedere le dimissioni di Nicole Minetti dal Consiglio regionale della Lombardia, lo avrebbe detto in diretta ad ‘Annozero‘. Invece ha avuto solo il tempo di raccontare che qualcuno aveva cercato di “comprarla”. Ecco la storia completa.

Sara, chi ha cercato di comprarla?
Poco più di un mese fa ho ricevuto una telefonata di Maria Stella Gelmini. Ero appena stata daGad Lerner, la famosa puntata della chiamata di Berlusconi in cui parlava di “cosiddette signore” e stavo per essere ospitata ad ‘Annozero‘. La Gelmini mi chiese di non partecipare alla trasmissione di Santoro, perché la mia presenza, in un momento di estrema difficoltà per il presidente del Consiglio, non era opportuna.

A che titolo le ha telefonato?
La Gelmini è stata coordinatore regionale del Pdl e abbiamo lavorato insieme.

E lei cosa ha risposto?
Ho rivendicato il diritto di discutere nel merito la questione che ponevo, cioè il metodo di selezione della classe dirigente all’interno del Popolo della Libertà, cosa che ho tentato, invano, di fare anche con Berlusconi.

E il ministro come ha reagito al suo rifiuto?
Ne ha preso atto. Il giorno dopo ha rilasciato un’intervista a Repubblica accusandomi di aver raccolto le firme perché, a differenza della Minetti, ero stata esclusa dal listino bloccato. Una questione personale insomma.

E poi cos’è successo?
Qualche giorno dopo sono stata avvicinata da alcuni dirigenti del Pdl, che so per certo essere persone di fiducia di Maria Stella Gelmini. Mi hanno proposto un caffè con Nicole Minetti in favore di telecamera, una specie di “carrambata” per chiudere l’incidente. E per essere convincenti, conoscendo la mia condizione di lavoratrice precaria, mi hanno fatto capire che se avessi accettato ci sarebbe stato un posto sicuro in Mondadori per me.

E lei?
Ovviamente ho rifiutato. É stato in quel momento che ho capito che non c’era più niente da fare e ho lasciato il Pdl per Fli.



Milano, Letizia Moratti regala una scuola alla Lega nord. - di Gianni Barbacetto


L'edificio di Quarto Oggiaro è stato assegnato alla Guardia nazionale padana. Insorgono le associazioni di quartiere: "Non sapevamo niente della gara d'appalto". La verità è che il sindaco si deve guadagnare il sostegno del Carroccio nella difficile campagna elettorale in corso

Una scarna nota dell’ufficio stampa del Comune di Milano comunica che l’edificio di via Lessona 65, nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro, è stato assegnato alla Guardia Nazionale Padana. È una ex scuola elementare, da anni inutilizzata. Chi scrive – passatemi per una volta un riferimento personale – nelle sue aule ha frequentato la quinta. “Il bando di gara per l’assegnazione dell’immobile si è tenuto lo scorso novembre”, ci informa la nota. “La destinazione si inserisce nell’ambito delle funzioni di protezione civile assegnate al Comune di Milano. L’Amministrazione ha sviluppato nel corso di questi ultimi anni numerose forme di collaborazione con soggetti pubblici e privati in grado di supportare le strutture comunali ed in particolare proprio la Protezione Civile. Lo stabile di via Amoretti, che si estende su circa 1000 metri quadrati, pur trovandosi in discrete condizioni necessita di una seria opera di manutenzione, si trova in una zona a rischio vandalismi e occupazioni abusive. Si è ritenuto che l’utilizzo dell’immobile da parte di un’associazione onlus quale la Guardia Nazionale Padana possa essere funzionale alle strategie di sviluppo sociale perseguite dall’amministrazione”.

Proviamo a interpretare il burocratese. Il Comune, dopo aver lasciato nell’abbandono l’edificio per anni, ora non ha i soldi per ristrutturarlo. Dunque lo affida a qualcuno che provvederà a sue spese, par di capire, salvando la ex scuola da vandalismi e possibili occupazioni abusive. Chi provvederà è la Guardia Nazionale Padana, accostata, non si capisce bene come, a non meglio precisate “funzioni di protezione civile”. Dovrà ristrutturare l’edificio, chissà con quali finanziamenti.

La onlus del Carroccio, dice il comunicato, ha vinto una gara che si è “tenuta lo scorso novembre”. E qui le associazioni del quartiere insorgono: nessuno a Quarto Oggiaro sapeva della gara. Non il Circolo Perini presieduto da Antonio Iosa, che da decenni sviluppa attività culturale nella zona. Non Quarto Oggiaro Vivibile e i tanti altri gruppi attivi in questa porzione di Milano agli estremi confini nord della città. Come è stata pubblicizzata, a novembre, questa gara? Chi vi ha partecipato? Chi ha giudicato le eventuali candidature proposte? In base a quali criteri ha vinto la Guardia Nazionale Padana? Che cosa ci farà in quell’edificio, come lo utilizzerà?

La verità è che Letizia Moratti, non molto amata dalla Lega, si deve guadagnare il sostegno del Carroccio nella difficile campagna elettorale in corso. Anche a costo di regalare una sede alla Guardia Nazionale Padana. A farne le spese, questa volta, un quartiere da cui è passato un pezzo della storia di Milano.

Quarto Oggiaro nasce negli anni Sessanta come “quartiere dormitorio”, sorge per ospitare l’immigrazione dal Sud Italia (di quei “terroni” che sono stati i primi nemici della Lega, poi sostituiti dagli extracomunitari). È un “quartiere operaio” all’inizio senza servizi (viene chiamato “Corea”, o “Barbon City”), ma è anche un esempio di quel riformismo ambrosiano ormai irrimediabilmente perduto che comunque riusciva in pochi anni a creare migliaia di nuovi alloggi e ad accogliere migliaia di “nuovi milanesi”. Poi il quartiere vede il crescere delle lotte sociali, dei movimenti popolari e, insieme, di una piccola frangia di terroristi. Infine, l’aumento del disagio sociale, il dilagare della droga, la silenziosa occupazione delle famiglie legate alla ’ndrangheta. Negli ultimi anni Quarto Oggiaro, anche per merito delle sue associazioni e dei suoi preti, ha intrapreso un orgoglioso cammino, rivendicando una sua buona “normalità”, pur fra tanti problemi. Ha bisogno di presenza dello Stato, di cultura e di luoghi d’aggregazione. Invece Letizia Moratti gli manda le Guardie Padane.




Vietato parlar male della Croce Rossa.



Il provvedimento è stato preso nei confronti di Anna Montanile, ex funzionaria del settore vendite del patrimonio immobiliare dell'ente pubblico, che aveva rilasciato un'intervista al programma di Milena Gabanelli. Motivato dalla "rivelazione del segreto di ufficio". Due mesi di sospensione dallo stipendio, in pratica l'anticamera del licenziamento. E tocca anche al volontario Daniele Tosoni

Il lavoratore denuncia sprechi e malagestione? L’ente se la prende con lui invece di ringraziarlo. Questa volta la persona punita per aver rivelato le storture e il sistema di gestione patrimoniale di un ente pubblico ha il volto e il nome di una donna che lavora alla Croce Rossa Italiana: Anna Montanile. Una dei quasi 3mila dipendenti di Cri (1300 circa di ruolo, 1600 precari, militari esclusi).

La sua colpa? Aver parlato con i giornalisti di Report nella puntata dedicata all’ente di soccorso, dal titolo “La croce in rosso”, trasmessa su Rai3 il 5 dicembre scorso. Un provvedimento disciplinare durissimo: “Due mesi di sospensione” e “interruzione dello stipendio” a partire da questa settimana.

Un provvedimento che equivale all’anticamera del licenziamento. La commissione disciplinare in seno alla Croce Rossa, presieduta dal capodipartimento del personale, Nicola Niglio, avvia il procedimento disciplinare l’11 gennaio scorso, poche settimane dopo la messa in onda della trasmissione. Giovedì 14 aprile arriva l’esito del procedimento, per la commissione la Montanile è colpevole di “violazione del segreto di ufficio”, della “fuoriuscita di documenti interni senza autorizzazione” e “dichiarazioni non corrette”. Colpa ‘grave’ per i vertici di un ente commissariato da anni. La donna ha denunciato ai videogiornalisti che lavorano nel programma della Gabanelli che la Cri ha un patrimonio immobiliare sommerso e di conseguenza non lo valorizzerebbe abbastanza. Quell’enorme patrimonio immobiliare che possiede e che potrebbe in buona parte coprire la voragine di bilancio.

L’inchiesta, firmata da Sabrina Giannini, finiva proprio col ‘botto’, il racconto circostanziato di Anna Montanile, ex funzionaria del settore vendite del patrimonio immobiliare della Cri. La Montanile dichiarava che per mettere nella dichiarazione fiscale gli immobili di proprietà, già dal 2007 aveva dovuto incrociare i dati del catasto con l’inventario della Cri. E un inventario degli immobili aggiornato, incredibile ma vero, non c’era. “Ho avuto quindi la possibilità – raccontava nell’intervista tv la funzionaria romana – di riscontrare che c’era un patrimonio immobiliare sommerso, non dichiarato fiscalmente”. Non solo edifici, ma anche terreni edificabili di valore. Secondo Report sono 68 gli immobili di cui si sono perse le tracce. La Montanile segnala con dovizia di particolari e cifre ai dirigenti della Croce rossa. Poi a settembre del 2009 la funzionaria viene trasferita ad altro incarico, e cioè nell’archivio storico dell’ente. Tra i compiti di ‘alta responsabilità’ quello, come racconta alle telecamere di Rai3, “di reperire tre bandiere storiche per poterle poi portare all’interno dei musei della Croce rossa italiana”. E, come risulta ailfattoquotidiano.it, la funzionaria è ancora lì all’archivio storico.

Ma Anna Montanile non è sola: lo stesso trattamento è stato riservato a Daniele Tosoni, volontario della Croce Rossa di Carlino (in provincia di Udine) che, sempre a Report, aveva parlato del comitato abruzzese della Cri, il cui Presidente è Maria Teresa Letta, sorella di Gianni. Il volontario è stato sospeso per un mese: ha fatto ricorso, ma non ha ricevuto alcuna risposta da Roma, e la sospensione l’ha già scontata. Non vuole rilasciare altre dichiarazioni, per il bene del Comitato locale di cui fa parte e per quello “di tutti i volontari”.

Già, perché nel frattempo, l’11 novembre 2010 la Croce rossa ha approvato un codice etico e di condotta che ha suscitato molte polemiche fra gli appartenenti all’Ente. Il codice, di fatto, vieta ai membri dell’Associazione di rilasciare interviste, e prevede sanzioni in caso di violazione. Il tutto accade con un tempismo straordinario e sospetto: la puntata di Report, infatti, andò in onda il 5 dicembre 2010 ed era già in lavorazione da diversi mesi.

La Cri è un costo per i contribuenti: finanziata da 4 ministeri percepisce circa 170 milioni di euro l’anno (184.437.664 nel 2004, 180.021.377,55 nel 2005, 174.219.737305 nel 2006166.305.527,22 nel 2007), anche se non mostra un bilancio alla Corte dei conti dal 2005. Un fiume di denaro pubblico affluisce nelle sue casse. Poi ci sono le donazioni dei privati. L’inchiesta tv denunciava tutto questo: sprechi, le clientele durante le ultime campagna elettorali, il caos che regnava con le donazioni dei cittadini, specie dopo i terremoti dell’Abruzzo e di Haiti. E poi la confusione nell’amministrazione del cespite più grande in mano alla Cri: le proprietà immobiliari. Donati o comprati negli anni da generosi benefattori. Immobili, in molti casi, lasciati andare in rovina.

Ma qualche certezza c’è in Croce rossa: la sospensione per una impiegata che guadagna circa 1500 euro al mese e che avrebbe potuto e voluto far recuperare milioni di euro all’ente; la sospensione di chi parla con i giornalisti.


di David Perluigi e Alberto Puliafito