giovedì 5 maggio 2011

Pdl, così a Milano le ‘ndrine si mettono il lista.


Boss, appalti e favori all'ombra della Madunina. Dopo il caso dei manifesti anti pm di Roberto Lassini e le intercettazioni con i clan di Marco Clemente, ecco le storie meno note di altri candidati ed esponenti del centro destra


“Speriamo che muoia come un cane”. Così parla (intercettato) il candidato al Comune Marco Clemente, riferendosi al titolare di un locale sotto estorsione dalla ’ndrangheta. Altro che liste pulite, a Milano. Dietro chi aspira a diventare sindaco, si muove una piccola schiera di candidati impresentabili. Soprattutto per relazioni con boss mafiosi. Ecco le loro storie.
Il capolista del Pdl a Milano è Silvio Berlusconi, che ha deciso di sovrapporre la sua faccia a quella di Letizia Moratti, per cercare di scongiurare una sconfitta del centrodestra che sarebbe disastrosa. Sono note la sua storia giudiziaria, le prescrizioni, le indagini e i processi. Meno note le storie degli altri candidati.

Giulio Gallera è capogruppo del Pdl al comune e terzo nella lista del partito. Durissimo oppositore in Consiglio della commissione comunale antimafia, fatta naufragare nel 2009 dalla maggioranza, è citato nell’ordinanza antimafia “Parco sud”, firmata dal gip Giuseppe Gennari, che porta in carcere tra il 2009 e il 2010 due personaggi con cui Gallera è in contatto: Michele Iannuzzi, consigliere comunale del Pdl a Trezzano sul Naviglio, e Alfredo Iorio, uomo d’affari e presidente della società Kreiamo, con sede in via Montenapoleone. La Kreiamo è considerata il braccio finanziario del clan Papalia-Barbaro, originario di Platì, in Calabria, ma operativo a Buccinasco.

L’uomo che dice “Speriamo che muoia come un cane” è Marco Clemente, candidato nella lista Pdl, molto vicino a Ignazio La Russa. È un nuovo acquisto della politica: finora ha fatto l’imprenditore, è socio di maggioranza della discoteca milanese Lime light. Ha contatti ravvicinati con gli uomini della ’ndrangheta: il 17 febbraio 2008 viene intercettato all’interno della discoteca Babylon, mentre parla con Giuseppe Amato, in seguito arrestato per associazione mafiosa con l’accusa di essere il luogotenente del boss Pepè Flachi per la riscossione del pizzo nei locali notturni. Amato era il terrore degli “after hour”: taglieggava sistematicamente gli organizzatori, minacciando chi si rifiutava di pagare. “Due settimane e non fanno più after, la prossima volta che si permettono, che fanno, gli spacco tutto”, dice a Clemente, che poi, riferendosi a Bartolo Quattrocchi della discoteca Pulp, pesantemente minacciato dal clan, sbotta: “Speriamo che muoia come un cane”.

Due informative di polizia del 2008 aggiungono che Clemente avrebbe attivato contatti con il giovane boss di Buccinasco Salvatore Barbaro. “Il deputato Ignazio La Russa”, si legge nella prima informativa, “attraverso un suo diretto familiare e tale Clemente, socio di una nota discoteca, avrebbe fatto contattare Salvatore Barbaro al quale i due avrebbero chiesto un intervento della sua famiglia su tutta la comunità calabrese presente in provincia di Milano, al fine di far votare alle prossime consultazioni elettorali la lista del Pdl (…). Salvatore Barbaro si sarebbe impegnato attivamente (…) garantendo che i voti sarebbero andati sicuramente alla lista”.
Dopo le elezioni dell’aprile 2008, vinte dal Pdl, i boss si presentano a riscuotere il compenso per il loro sostegno. Lo afferma la seconda informativa, che racconta un incontro in un ristorante milanese tra Marco Clemente e Salvatore Barbaro, il quale si presenta in compagnia di Domenico Papalia (figlio del superboss all’ergastolo Antonio Papalia), considerato il nuovo referente della ’Ndrangheta in Lombardia. I due giovani delfini delle cosche chiedono a Marco Clemente “informazioni sugli appalti promessi prima delle elezioni in cambio di un sostegno elettorale”.

Il nome di Clemente è presente anche nelle carte dell’inchiesta “Infinito” che nel luglio 2010 ha portato in carcere 169 presunti mafiosi impiantati in Lombardia. I carabinieri di Monza intercettano il padrone del Lime light mentre parla al telefono con Loris Grancini, capo ultrà dei Viking dellaJuventus e campione di poker, considerato vicino a Cosa Nostra. Grancini nel novembre 2008 era all’opera “per tentare di far ottenere dei benefici carcerari a Giovanni Lamarmore”, il padre del capo della “locale” di ’ndrangheta di Limbiate. Nelle telefonate, annotano gli investigatori, i due dicono che “sfruttando conoscenze di personaggi politici che gravitano nell’area di An hanno fatto recapitare una lettera al direttore del carcere di San Giminiano… Lamarmore è rimasto contento per questo intervento e vuole sdebitarsi scrivendo una lettera a Clemente”. In coppia con Clemente si muove Marco Osnato, candidato Pdl. È il “famigliare di La Russa” citato nell’informativa del 2008: ha infatti sposato la figlia di Romano La Russa, fratello di Ignazio. Osnato avrebbe avuto, con Clemente, contatti con Salvatore Barbaro, a cui avrebbe chiesto i voti della comunità calabrese. “In cambio”, si legge nell’informativa, “il familiare di La Russa avrebbe garantito a Barbaro che dal 2009 in poi ci saranno numerosi appalti da assegnare e se le elezioni dovessero essere vinte dal Pdl i lavori più consistenti li commissionerebbero a una società pulita e di copertura che a sua volta li subappalterebbe a lui e ad altri calabresi”.

Osnato è ben conosciuto anche da Iannuzzi e Iorio, i due della Kreiamo poi finiti in galera. In un’intercettazione dopo le elezioni del 2008, il primo dice al secondo, riferendosi proprio a Osnato: “Quando lo vado a trovare, prepariamo un elenco di tutti i vari comuni dove noi abbiamo portato dei voti, così li vanno a verificare. E poi andiamo da lui con la lista della spesa”. Osnato è anche consigliere dell’Aler, l’ente che gestisce le case popolari di Milano. In questa veste è indagato per turbativa d’asta e corruzione. In un’intercettazione, Iannuzzi dice a Iorio, sempre riferendosi a Osnato: “Mi ha chiamato ieri Marco e mi ha detto: Michele, guardi che l’hanno chiamata dei miei collaboratori perché ci sono dei lavori all’Aler”.

Un vecchio lupo della politica è Armando Vagliati, consigliere comunale di Forza Italia dal 1997, membro della segreteria cittadina del partito e ora di nuovo in corsa con il Pdl. Vagliati ha un rapporto stretto con i fratelli Lampada, imprenditori calabresi considerati il braccio finanziario a Milano della cosca Condello. Francesco Lampada finisce in cella il 1 luglio 2010, coinvolto nel blitz che porta in carcere l’intero clan Valle. Giulio Lampada, il fratello delegato a tenere i rapporti con la politica, è un grande amico di Vagliati. I due vanno spesso a cena con le rispettive mogli e più volte Lampada cita “l’Armando” nelle sue telefonate (intercettate). “Eravamo alla festa insieme ad Armando! Tutti i consiglieri comunali, provinciali, regionali. C’era pure il presidente del Parlamento europeo Mario Mauro. Eravamo nel tavolo io, lui”. E ancora: “Siamo accreditati, c’è la fiducia, capisci cosa voglio dire. Perché lui sa che sputazza non ne ho fatto mai e si butta a capofitto. Dice: vuoi questo, facciamo quello che cazzo ti interessa”. “Lui” è Vagliati. “L’attività investigativa”, si legge nei rapporti dei carabinieri, “permetteva di accertare che Armando Vagliati costituiva l’elemento di riferimento dei Lampada con il comune, per la risoluzione delle diverse problematiche di ordine amministrativo”. Dal canto suo Vagliati, secondo i carabinieri, “era a conoscenza della loro appartenenza al gruppo criminale”.
“L’Armando” nel febbraio 2010 firma un emendamento al nuovo Pgt, il Piano di governo del territorio, che propone di rendere edificabile un’area industriale in zona Ripamonti. Una nota della polizia giudiziaria segnala poi che Giulio Lampada “starebbe acquistando in zona Ripamonti un terreno agricolo che dovrebbe ottenere il cambio di destinazione d’uso grazie all’intervento del consigliere comunale Armando Vagliati”.

L’assessore uscente Giovanni Terzi, della lista “Milano al centro” (pro-Moratti), partecipa al bar Magenta a un aperitivo con Francesco Piccolo, il luogotenente del boss della ’ndrangheta Pepè Flachi. Spiega Piccolo: “Deve parlare per le votazioni… Sta aiutando a tutti, poi ti spiego… È utile anche per noi!”.
Roberto Lassini è sotto inchiesta per i manifesti “Via le Br dalle Procure”. Passi indietro, nessuno: “Se sarò eletto, restarò al mio posto”. Poi ha confermato che l’ispirazione gli è arrivata dalle parole di Berlusconi. Meno noto Rosario Scuteri, detto Saro, candidato in Comune nella lista “Io amo Milano” di Magdi Cristiano Allam. Il nome di Scuteri, imparentato con la famiglia mafiosa dei Mammoliti di Oppido Mamertina, compare più volte nell’inchiesta “Parco sud”. Compra un terreno da Iorio (quello della Kreiamo), ma si mette di mezzo la cosca dei Muià diBaggio. A comporre i conflitti interviene allora Andrea Madaffari (vicepresidente della Kreiamo). A questo punto, “il ringraziamento di Scuteri a Madaffari”, scrive il gip Gennari, “non è un grazie qualsiasi, ma il riconoscimento di una gratitudine che andrà sdebitata”. Da consigliere comunale?

di Gianni Barbacetto e Davide Milosa


Alla fine Berlusconi diserta Palermo.



Nonostante gli annunci il premier non è intervenuto al San Paolo Palace Hotel dove invece lo attendevano alcuni contestatori
di Andrea Turco

E alla fine Berlusconi non è venuto. L’attesa venuta del premier a Palermo, in occasione delle “Giornate di studio del Partito Popolare Europeo”, non si è concretizzata. Davanti l’hotel San Paolo Palace, in via Messina Marine, lo attendevano questa mattina i contestatori. Pochi, una cinquantina al massimo, tenuti a debita distanza dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa. “Siamo in pochi per poter chiedere di stare più avanti” – constatano con amarezza i presenti: e si accontentano di presidiare l’incrocio con via Adorno, a un centinaio di metri dall’hotel in cui è prevista la presenza, nei prossimi giorni, di Angela Merkel, di Schifani e di Alfano.

Una misura considerata , eccessiva così come le precauzioni in generale, col traffico deviato già a partire da via Lincoln. E’ quello che lamentano i commercianti della zona: oggi gli unici ad essere penalizzati siamo noi, ci dicono.

Va comunque riconosciuto un merito al presidente del Consiglio, questo sì incontestabile: quello di saper riunire, nel fronte di chi si oppone alle sue politiche, i gruppi più eterogenei, che nulla hanno in comune e ben poco hanno da dirsi. Erano presenti, infatti: grillini, popolo viola, collettivi, lavoratori della Gesip, e un trans vestito da infermiera. Con la quale quelli della Gesip si fanno fotografare divertiti, mentre rivendicano la differenza rispetto agli altri manifestanti: "noi siamo tifosi di Berlusconi".

ZEROGAS.IT - DUBAI: La città da non imitare



Si trova a sud del golfo persico nella penisola araba. Dubai ha la più grande popolazione ed è il secondo più grande emirato per area dopo Abu Dhabi. L'organizzazione energetica del luogo è completamente dipendente dal petrolio... tutto viene creato ad hoc... Come se si potesse fare a meno della natura e del rispetto delle sue regole... Non abbiamo ancora capito quale sia la strada giusta...


Brusca: "Il committente del papello era Mancino, Dell'Utri si mise a disposizione"


L'ex boss di San Giuseppe Jato sentito come teste sulle stragi del '93 al tribunale di Firenze:"Riina mi fece il nome di Mancino".
di Giuseppe Pipitone

Giovanni Brusca"Riina non mi disse il tramite del papello, ma il committente finale si, mi fece il nome di Mancino". Sono le ultimissime dichiarazioni di Giovanni Brusca, l'ex boss di Cosa Nostra detto 'u verru (il porco),sentito come teste al processo sulle stragi del 1993, in corso al tribunale di Firenze. Per l'ex boss di San Giuseppe Jato quindi, il capo dei capi indicò nell'allora ministro dell'Interno il "committente finale" del papello, la lista delle richieste di Cosa Nostra allo Stato per trattare sulla fine delle stragi. "Si sono fatti sotto" avrebbe detto Riina a Brusca, aggiungendo che "si sono rappresentati Dell'Utri e Ciancimino che gli volevano portare la Lega e un altro soggetto." Il riferimento alla Lega sarebbe forse proprio alla Lega Nord. Non è mancata la risposta di Nicola Mancino che ha immediatamente replicato a Brusca. "Se Riina ha fatto il mio nome è stato per vendicarsi dato che da ministro ho chiesto e ottenuto il suo arresto".

Sempre secondo Brusca di "papello" si sarebbe parlato prima della strage di Via D'Amelio, che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta, e immediatamente dopo l'assassinio di Giovanni Falcone a Capaci, il 23 maggio 1992. L'assassinio di Falcone sarebbe stato programmato molto prima del 1992, e rinviato più volte. "Le stragi - ha aggiunto il teste - non furono in risposta al 41 bis ma al maxi processo. Servivano per far tornare lo Stato a trattare" Ma dopo la strage di via D'amelio, la trattativa si arenò. A riverarlo a Brusca sarebbe stato lo stesso Riina: "MI diceva: non c'è più nessuno" ha spiegato il pentito.

In seguito Cosa Nostra avrebbe cercato di agganciare Silvio Berlusconi. "Nel 1993 - racconta sempre u'verru -mandai Mangano a Milano ad avvertire dell'Utri e, attraverso lui, Berlusconi che si apprestava a diventare premier, che senza revisione del maxiprocesso e del 41 bis le stragi sarebbero continuate. Mangano tornò dicendo di avere parlato con Dell'Utri che si era messo a disposizione."

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=247


Via D'Amelio, Tranchina accusa Graviano: ''Mi disse: mi metto comodo in giardino''



Dopo le bugie di Scarantino e i silenzi degli altri collaboratori, partita la caccia ai riscontri. Anche Giovambattista Ferrante aveva parlato di un muro dietro cui si era nascosto uno degli attentatori.
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

Come Brusca a Capaci, anche per la strage di via D’Amelio Cosa Nostraavrebbe scelto un capo militare cui affidare il telecomando di morte: l’ora x sarebbe scattata dietro un muretto di cemento che taglia via D’Amelio, un muretto all’ombra del quale il boss Giuseppe Graviano si sarebbe appostato fin dalle prime ore del pomeriggio a pochi metri dall’autobomba imbottita di esplosivo, per far saltare Paolo Borsellino e gli uomini della scorta. Dopo 19 anni trascorsi tra le bugie di Scarantino, l’assenza di indicazioni di pentiti e numerose ipotesi investigative cadute nel vuoto un collaboratore di giustizia indica per la prima il luogo dove si apposto’ il commando di morte di via d’Amelio aggiungendo anche il nome di chi aziono’ il pulsante: Giuseppe Graviano, capo mandamento di Brancaccio. La rivelazione e’ di Fabio Tranchina uomo di fiducia di Graviano e recente neo pentito dopo due tentativi di suicidio compiuti nel carcere di Pagliarelli. Tranchina avrebbe compiuto alcuni sopralluoghi in via d’Amelio prima della strage, accompagnando il suo boss: ‘’mi chiese di trovargli un appartamento in via d’Amelio e visto che non l’avevo trovato ebbe a dirmi che allora si sarebbe messo comodo nel giardino. Dov’e’ avvenuta la strage in effetti c’era un muro e un giardino’’.

E’ li’, dietro quel muro che interrompe l’asfalto della strada e protegge un piccolo giardino, che Madre Natura (questo il soprannome del padrino di Brancaccio), dunque, avrebbe schiacciato il pulsante per provocare l’impulso elettrico e scatenare l’esplosione assassina. Un nascondiglio ravvicinato, a pochi metri dal portone del palazzo dove abita la madre diBorsellino, dove Graviano avrebbe potuto ascoltare direttamente le sirene delle blindate che, quella domenica del 19 luglio 1992, alle ore 16,58, accompagnarono il giudice in via D’Amelio. Da quel punto esatto, il boss avrebbe potuto seguire agevolmente tutte le fasi cruciali del piano di morte, controllando il suo bersaglio dall’abbandono della Croma, parcheggiata al centro della strada, al momento della citofonata alla madre, che coincide con la deflagrazione. Fin qui la ricostruzione inedita fatta nei giorni scorsi ai magistrati di Firenze, e poi ai pm di Caltanissetta e di Palermo, dal neo pentito che dice di averla appresa direttamente dallo stesso Graviano. Alla procura di Caltanissetta e’ partita la caccia ai riscontri, e gli inquirenti stanno rileggendo la dichiarazione di un altro collaboratore, Giovambattista Ferrante, che disse di aver saputo come durante l’eliminazione di Borslelino, qualcuno del commando appostato dietro un muretto di via D’Amelio per la violenza dell’esplosione aveva temuto che la parete di cemento crollasse e lo seppellisse sotto i detriti. I pm, inoltre, ritengono ‘’perfettamente coerente’’ la partecipazione diretta di un capomandamento sul luogo della strage ricordando, come riferimento analogo, l’esempio di quanto accaduto sull’autostrada di Capaci, dove a pigiare il telecomando per uccidereFalcone e’ il boss Giovanni Brusca, componente del gotha mafioso. Quella del neo pentito Tranchina e’ comunque una ricostruzione, tutta ancora da verificare, che, se accertata, spazzerebbe via, dopo vent’anni, l’ipotesi investigativa finora piu’ accreditata: quella cioe’ che il pulsante del telecomando fosse stato premuto dagli stragisti appostati nei pressi del Castello Utveggio, in cima al monte Pellegrino, che dall’alto offre una visuale da cartolina di tutta la via D’Amelio.


Su quella montagna, secondo il vicequestore Gioacchino Genchi (che partecipo’ alle prime fasi delle indagini, scoprendo una serie di contatti telefonici tra uomini di Cosa nostra e alcune utenze del Cerisdi, il centro di eccellenza ospitato all’interno del Castello Utveggio), era attiva una cellula ‘’coperta’’ del Sisde. La pista diGenchi, che per la prima volta lanciava le indagini verso una ipotesi di possibili ‘’coperture’’ di pezzi dei servizi sulla strage di via D’Amelio, e’ tuttora all’attenzione dei pm di Caltanissetta che nei mesi scorsi hanno iscritto nel registro degli indagati l’ex agente del Sisde Lorenzo Narracci, ipotizzando a suo carico il reato di concorso in strage con finalita’ terroristiche. L’esistenza di quella base segreta del servizio civile, che poi sarebbe stata smantellata in fretta e furia per sparire nel nulla, non e’ mai stata confermata ufficialmente dai vertici del Sisde.

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=256



K-Pax - Da Un Altro Mondo (K-PAX)




Trama

Lo psichiatra Mark Powell comincia ad occuparsi di un paziente che afferma di chiamarsi Prot e di venire da K-Pax, un pianeta distante anni luce dalla Terra. Secondo il racconto di Prot, su K-Pax non esistono legami familiari e tutti vivono in pace tra loro. Prot riesce a vedere i raggi ultravioletti e dimostra di avere conoscenze scientifiche superiori agli scienziati convocati per esaminarlo. La presenza di Prot nell'ospedale, inoltre, semina entusiasmo negli altri pazienti: i suoi racconti su K-Pax danno la speranza di poter vivere in un mondo diverso. Prot dice che farà ritorno a K-Pax il 27 luglio, e promette che porterà con sé uno dei pazienti. Nel frattempo, per capire chi sia in realtà Prot, Powell decide di farlo regredire trasmite ipnosi e scopre che si tratta di un uomo qualunque, Robert Porter, un macellaio che, dopo aver ucciso - il 27 luglio di cinque anni prima - l'assassino di sua moglie e sua figlia, è caduto in uno stato catatonico. Nel frattempo, però, la data fatidica si avvicina.

Un film di Iain Softley. Con Kevin Spacey, Jeff Bridges, Alfred Woodward, Mary McCormack, Peter Gerety, Saul Williams, David Patrick Kelly, Celia Weston, Frank Collison. Genere Drammatico, colore 120 minuti. - Produzione USA 2001.


E non scordiamo che....




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