L’abitazione del mammasantissima di San Luca era diventata un luogo di pellegrinaggio per i candidati a Palazzo Campanella. Quarto degli eletti nella lista del Pdl con 11052 voti, Zappalà non si è tirato indietro davanti a una tappa obbligata per chi vuole rastrellare voti negli ambienti mafiosi. Una sorta di santuario dove chiedere consensi in cambio di appalti.
Ambienti dai quali, come ha affermato nel corso di un’intercettazione telefonica lo stesso Giuseppe Pelle, potrebbero essere eletti ben sei consiglieri regionali. Un partito della ‘ndrangheta seduto allo stesso tavolo della politica e delle istituzioni. Nel corso delle indagini, i carabinieri del Ros aveva filmato Zappalà mentre, a bordo della sua Alfa 159, arrivava a Bovalino intercettando anche le conversazioni con il boss il quale ha garantito il suo appoggio e quello della potente famiglia mafiosa dei Pelle.
“Da parte nostra, dottore, ci sarà il massimo impegno” è la frase che il figlio del patriarca ‘Ntoni Gambazza ha riferito a Zappalà che conferma la tendenza di come, oggi, siano i politici a rivolgersi ai mafiosi e non viceversa. Un impegno non disinteressato certo. Se Zappalà chiede i voti, la cosca pretende una contropartita. Un “do ut des” insomma che, oltre all’odore delle schede elettorali, aveva il sapore degli appalti.
Ed è un imprenditore, Giuseppe Antonio Mesiani, presente all’incontro tra il mafioso e il politico, a spiegare le condizioni del “patto elettorale”: “Quando sposo una causa e quindi io e gli amici miei diamo il massimo, nello stesso tempo noi desidereremmo avere quell’attenzione per come poi ce la accattiviamo, per simpatia ma per amicizia prima di tutto”.
Chiaro, gentile ma, allo stesso tempo, fermo e consapevole di fornire a Zappalà l’unica condizione possibile per usufruire dei voti dei “santolucoti”: la ‘ndrangheta garantisce l’elezione, il politico gli appalti alle ditte di riferimento della cosca. Non si scappa. L’ex sindaco di Bagnara Santi Zappalà, però, non era il solo ad aspirare al pacchetto di voti di Peppe Pelle. Con lui, a dicembre, sono stati arrestati, altri candidati (di centrodestra e di centrosinistra) al consiglio regionale della Calabria che si erano recati durante la campagna elettorale a casa del boss.
Zappalà era stato arrestato inizialmente con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. Il primo reato, però, è caduto davanti al Tribunale della Libertà che, pur lasciando in carcere il consigliere regionale, aveva ridimensionato l’impianto accusatorio nei suoi confronti. Impianto accusatorio che rimane, tuttavia, grave e che oggi ha portato alla condanna a 4 anni di carcere per Santi Zappalà e di tutti gli altri candidati coinvolti nell’inchiesta.
Mafiosi e politici alla sbarra. Ritornando alla sentenza, infatti, il gup ha condannato anche il boss Giuseppe Pelle (20 anni di reclusione), Rocco Morabito (20), Giovanni Ficara (18), Costantino Carmelo Billari (8), Domenico Pelle (12), Sebastiano Pelle (10), Giuseppe Antonio Mesiani (8 anni e 8 mesi), Antonio Pelle cl.87 (10 anni e 8 mesi), Mario Versaci (8), Pietro Antonio Nucera (8), Filippo Iaria (8), Antonio Pelle cl.86 (4), Sebastiano Carbone (4), Giuseppe Frantone (4), Giorgio Macrì (6), Francesco Iaria (2 anni e 8 mesi), Liliana Aiello (2 anni e 2 mesi).
L’inchiesta “Reale” è molto più vasta di quella che, ieri, è arrivata a sentenza. Non solo politica. Alcuni filoni dell’indagine portano alla talpa Giovanni Zumbo che, informava, i boss Giovanni Ficara e Giuseppe Pelle sull’operazione “Crimine” e “Infinito” e sulle altre attività investigative dei carabinieri sulle rispettive famiglie mafiose. Un commercialista, coinvolto in un giro di servizi segreti e ‘ndrangheta, sulla cui figura ancora aleggiano tante, troppe ombre.
Uno squarcio anche sull’Università di Reggio Calabria dove il figlio del boss Pelle era in grado di sostenere un numero elevato di esami in pochi mesi, per poi scrivere le lettere dal carcere con errori grammaticali che lasciano pensare ai compiti di uno scolaro delle elementari.