sabato 18 giugno 2011

"Riforma o il governo vada via" Calderoli dà ragione a Cisl e Uil


Angeletti e Bonanni minacciano lo sciopero generale. Il ministro leghista: "Scendo in piazza anch'io, e non più come rappresentante dell'esecutivo". Nel Pdl scalpita Giovanardi: "Aiuti alle famiglie o lasciamo il partito". La Camusso (Cgil): "Risorse senza penalizzare i deboli". Maroni: condivido la richiesta, anche perché non viene dalla Cgil

ROMA - Il governo deve fare la riforma fiscale altrimenti "se ne può pure andare". È il messaggio lanciato dal leader della Uil, Luigi Angeletti, dal palco della manifestazione nazionale organizzata con la Cisl sul fisco. E se l'esecutivo non risponderà a questa urgenza, sarà sciopero: "È l'ultima volta che la Uil fa una manifestazione di sabato - ha annunciato Angeletti -. La prossima si farà di venerdì", ha detto, spiegando che questa iniziativa è stata fatta di sabato per evitare di far perdere i soldi ai lavoratori. La prossima manifestazione sarà di venerdì, e ciò significa che sarà a supporto di uno sciopero.

Ad Angeletti fa eco il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, che chiede al governo una manovra correttiva in cui ci sia un "forte ridimensionamento della spesa inefficiente e improduttiva" a partire da quella politica. A proposito dell'avvertimento di Moody's 1 sul possibile declassamento dell'Italia, Bonanni ha affermato che va rafforzata la lotta contro l'evasone fiscale. "C'è un'Italia parassita che deve sparire per fare emergere l'Italia che lavora".

Alle voci dei leader sindacali si unisce quella del ministro della Semplificazione, il leghista Roberto Calderoli: "Sottoscrivo completamente quanto affermato da Bonanni ovvero che non è più tempo di litigi, ma che bisogna mettersi tutti insieme per realizzare la riforma sul fisco. Così come sottoscrivo le parole di Angeletti quando dice che o il Governo fa le riforme oppure è meglio che se ne va a casa. Sono d'accordo con loro, perché la riforma fiscale va fatta e va fatta subito, diversamente dovrò partecipare anch'io al loro minacciato sciopero generale e dovrò essere in piazza con loro e non più come rappresentante di un Governo", aggiunge il ministro leghista. Quanto alla possibile attesa svolta nei rapporti tra Lega e Pdl che potrebbe arrivare domani da Pontida, Calderoli se la cava con una battuta: "Credo che domani gli (a Berlusconi, ndr) arriverà qualche segnalino". Altro tema che potrebbe essere trattato al raduno leghista, fa capire il ministro della Semplificazione, sarà ancora una volta quello del decentramento dei dicasteri. "Alcuni ministeri devono rimanere a
Roma, come la Giustizia ma non vedo perché l'Economia non possa avere sede a Milano o lo Sviluppo Economico a Torino, o l'Agricoltura a Mantova", rilancia Calderoli.

Al centro delle tensioni resta comunque la riforma fiscale che, avverte la presidente del Pd, Rosy Bindi, non si può fare in deficit: "La Lega pone una questione seria intorno alla riforma fiscale e ha avuto anche risposte abbastanza serie. Tutte le riforme non si possono fare in deficit. Mi chiedo come sarà possibile accogliere le richieste della riforma fiscale di fronte all'avvertimento al quale abbiamo assistito in questi giorni. Questo - ha aggiunto - è un motivo in più per dire che non ci sono le condizioni più perché questo governo possa stare in piedi. I governi servono al Paese non alle forze politiche che ne fanno parte: o dimostrano di essere utili all'Italia o se ne devono andare".

E sui contenuti della riforma interviene anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, nel corso dell'assemblea nazionale di tutti i Democratici Cristiani nel Pdl: "O nella riforma fiscale del governo c'è il fattore famiglia o non la votiamo", ha minacciato. "Non ci interessa - ha sottolineato il sottosegretario - una riforma fiscale che non tenga conto in qualche modo del fattore famiglia e cioè dell'assoluta necessità per il nostro paese di aiutare coloro che accumulano quel capitale sociale fondamentale per tutti che sono i figli".

Nessuna alternativa alla riforma. "Non ci sono alternative - ha detto Angeletti - questo governo deve fare sul serio la riforma fiscale oppure non c'è bisogno che sopravviva". "Dobbiamo ridurre le tasse - ha sottolineato poi Angeletti - sul lavoro e sulle pensioni. La riforma fiscale è l'atto di giustizia più grande che possiamo compiere". "La riforma fiscale - ha aggiunto ancora il leader della Uil - deve essere la vera rivoluzione di giustizia sociale nel paese. È ora di finirla col prendere i soldi dalle tasse di lavoratori e pensionati". L'attuale sistema, ha sottolineato il leader della Uil, "garantisce sprechi e privilegi per la casta e per chi dichiara 10 mila euro di reddito e poi è proprietario di barche e case".

Taglio del 40% a emolumenti dei politici
. "Non si azzardino a fare una manovra senza il taglio del 40% agli emolumenti dei politici", ha dichiarato il segretario generale della Cisl, Bonanni che si è rivolto al Governo chiedendo il taglio delle spese elettorali, del finanziamento ai partiti e la riduzione drastica del costo di "regioni che sembrano stati, comuni che non si reggono in piedi, province che non si sa a cosa servano". "Sulla manovra c'è chi annuncia innalzamento dell'eta pensionabile delle donne - ha proseguito il leader della Cisl - chi parla di contratti pubblici, ma nessuno ha in testa di tagliare la politica".

Ottantamila in piazza. Alla manifestazione a sostegno della riforma fiscale hanno partecipato circa 80 mila persone. Il dato è stato fornito dagli organizzatori. Le due sigle sindacali hanno organizzato oltre mille pullman da tutte le regioni italiane oltre a treni speciali, aerei e auto per raggiungere la Capitale.

Camusso: "Risorse senza penalizzare i deboli". "Ci parleranno di sacrifici: sì, bisogna fare sacrifici, ma non tocca ai lavoratori dipendenti e ai pensionati che hanno fatto già abbastanza. Li faccia qualcun altro. E vorrei dirlo a Cisl e Uil: troviamo una parola d'ordine sui contenuti da cui partire per trovare risorse senza penalizzare i più deboli. Cominciamo dalle rendite finanziarie e dai grandi patrimoni". È quanto ha detto Susanna Camusso, leader della Cgil, aggiungendo poi: "non è nemmeno una proposta di sinistra, ma è una proposta della Merkel, di Sarkozy, della destra europea. Tassare le rendite finanziarie si può e quel 10% di famiglie più ricche del Paese può pagare di più". La leader della Cgil ha, poi, puntato il dito contro l'aumento dell'Iva che colpirà le famiglie con redditi più bassi: "Ci sono undici milioni di cittadini incapienti, terrificante espressione per definire chi ha un reddito così basso che non può pagare le tasse e l'aumento dell'Iva sui prodotti significa dire a quelle persone che dovranno spendere di più sui consumi obbligati. In questo modo ripartirà l'inflazione e i redditi bassi varranno ancora meno. Ci vuole un pò di respiro in più - ha concluso Camusso - non difficoltà in più. Ma l'Iva è anche la tassa più evasa in questo Paese".

Brunetta: "Riforma è già nelle cose". ''Aspettate due settimane'': a distanza il ministro per l'Innovazione, Renato Brunetta, risponde ai segretari di Uil e Cisl. ''Come è già nelle cose - ha spiegato Brunetta -, lo
ha detto Tremonti e lo dirà nei prossimi giorni il presidente Berlusconi, è in cantiere nell'arco delle prossime settimane la delega fiscale con i relativi decreti legislativi''. ''Abbiamo due anni davanti - ha concluso - e saranno impiegati in rigore, sviluppo, riforma fiscale e piano per il Sud''.

Maroni: condivido le richieste di Cisl e Uil. Il ministro dell'interno, Roberto Maroni, dà ragione a Cisl e Uil sulla necessità di una riforma fiscale. Il ministro appoggia le richieste dei sindacati anche perchè si tratta di "due sindacati che non hanno un atteggiamento ideologico, nè a favore, nè contro la maggioranza di governo. Mi sembra che la loro richiesta sia una dichiarazione impegnativa e importante di cui bisogna tenere conto". Diverso sarebbe il discorso se questa sollecitazione arrivasse dalla Cgil "che ha sempre tenuto una posizione nettamente contraria al governo". Maroni sottolinea inoltre di aver 'condiviso' e sostenuto la necessità di una riforma fiscale.



Finmeccanica e le talpe in procura una rete per proteggere Guargaglino. - di Carlo Bonini


Così Bisignani mosse Papa dopo la doppia inchiesta di Napoli e Roma sulla società oggetto di indagine.



ROMA - Che tipo di informazioni riservate trafficava la rete di Luigi Bisignani? In che occasioni si attivò o venne attivato l'ex pubblico ministero e deputato del Pdl Alfonso Papa? Nell'ordinanza napoletana si rintracciano interferenze significative su inchieste giudiziarie che hanno segnato l'agenda politica dell'ultimo anno. Riferisce l'avvocato Patrizio Della Volpe, uno dei testimoni ascoltati dai pubblici ministeri Francesco Curcio e Henry John Woodcock: "Ricordo che mi venne detto che Papa era particolarmente interessato ai procedimenti penali riguardanti la P3 (Procura di Roma ndr), Guido Bertolaso, il G8 e la "Cricca" (Procure di Firenze e Perugia ndr.), il coordinatore del Pdl Denis Verdini (Procura di Firenzendr)". E' un elenco significativo, che dà la misura del valore che certe notizie avevano o potevano avere al mercato del "ricatto". Cui va aggiunta una vicenda - anche questa giudiziaria e politica - che come quelle elencate da Della Volpe ha messo a rumore per mesi Palazzo Chigi e di cui i pubblici ministeri napoletani afferrano un bandolo.

L'affaire Finmeccanica. Esattamente un anno fa, maggio 2010, due inchieste - una della Procura di Roma, l'altra della Procura di Napoli - stringono contemporaneamente sulla holding a partecipazione pubblica. A Roma, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo lavora alla vicenda "Digint" e all'ipotesi di fondi neri creati dal gruppo. A Napoli, è sotto inchiesta la "Elasac datamac"
società di Finmeccanica che ha vinto l'appalto per la costruzione della "Cittadella della polizia". Il vertice del Gruppo vive giorni infernali. Pierfrancesco Guarguaglini, presidente che gode della protezione e benevolenza di Gianni Letta, sua moglie Marina Grossi, amministratore delegato di Selex, Lorenzo Borgogni, potente capo delle relazioni esterne, entrano in un vortice che si alimenta di paure, sospetti, voci, indiscrezioni.

Si muove la rete di Luigi Bisignani che, interrogato dai pm di Napoli il 9 marzo scorso, racconta: "Papa si propose e propose, per il mio tramite, di interessarsi e intercedere sulle vicende giudiziarie riguardanti il dottor Lorenzo Borgogni di Finmeccanica. Ricordo bene che Papa mi disse di essersi informato, attraverso fonti accreditate, e di aver appreso che nei confronti di Borgogni non vi erano provvedimenti restrittivi della libertà".

Il ricordo è confermato da Anselmo Galbusera, un imprenditore amico di Borgogni, che ha accesso a Luigi Bisignani e che Borgogni, in quel frangente, sollecita per avere notizie. Mette a verbale Anselmo: "Andai negli uffici di Bisignani a piazza Mignanelli e gli chiesi espressamente se c'era un mandato di cattura spiccato nei confronti del mio amico Borgogni, che era in uno stato di prostrazione e che io avrei visto la sera stessa a cena. Bisignani mi disse seccamente che aveva saputo da Papa che nei confronti di Borgogni non c'era alcun mandato di cattura. Sapevo che Bisignani disponeva di notizie giudiziarie di "prima mano" e ribadisco che in quella circostanza mi disse che la sua fonte era Papa".

Il cerchio si chiude con le parole di Borgogni. Interrogato il 12 marzo, dice: "Effettivamente, ho vissuto una condizione di angoscia, prostrazione e preoccupazione per la mia sorte processuale. Ne parlai con il mio amico Anselmo Galbusera e lui mi disse che aveva parlato dei miei problemi e di quelli del gruppo Finmeccanica con Bisignani". Il che, a quanto spiega ancora Borgogni, era accaduto anche per altri "amici" in difficoltà. "Sicuramente si è rivolto a Bisignani Marco Zanichelli, oggi presidente di Trenitalia".

La Procura di Napoli, per quel che se ne sa, non è riuscita sin qui a dare un nome alle "fonti giudiziarie di Papa" in grado di rassicurare Borgogni (e verosimilmente non solo lui) sull'inchiesta Finmeccanica. E' un fatto che, tra la fine di giugno e i primi di luglio di quel 2010, dunque poco tempo dopo il colloquio tra Galbusera e Bisignani in piazza Mignanelli, Borgogni (che ignora di essere intercettato) è al telefono con il presidente di Enav Luigi Martini impegnato a discutere su come "bloccare" comunque l'indagine del procuratore aggiunto Capaldo. Martini assicura che al magistrato arriverà "una botta". Di che genere? Era forse un'altra di quelle "informazioni giudiziarie di prima mano" raccattate dalla rete di Bisignani che dovevano o potevano essere utilizzate per grippare l'inchiesta di Roma?



Tutti in piedi - Marco Travaglio


venerdì 17 giugno 2011

Il trafficante di segreti che mancava alla destra. - di Fabio Martini

Il parlamentare Pdl già pupillo del procuratore Cordova da Napoli a via Arenula, fa carriera grazie ai misteri (veri o presunti).


ROMA
Glielo hanno detto così: «Alfonso, hai saputo?». Cortile di Montecitorio, mercoledì mattina: gli amici del Pdl - Denis Verdini, Maurizio Paniz - si avvicinano ad Alfonso Papa e, senza tanti perifrasi, sono costretti a dargli la notizia: i magistrati di Napoli lo vogliono arrestare. Lui, sempre così spavaldo e allusivo, sbianca. E, con gli occhi rossi, il primo pensiero è per la moglie. Le telefona e le dice: «Usciranno tante menzogne sul mio conto, non è vero niente!». A qualcuno dei colleghi che nel frattempo ingrossano il capannello, torna in mente una delle battute preferite da Alfonso: «E’ che a me piacciono troppo e’ femmene...».

Certo, nelle carte della pubblica accusa compaiono diverse e colorite testimonianze femminili, eppure ben altro è il tratto originale del personaggio, ciò che ne fa un prototipo senza precedenti. Ex magistrato, da quando era diventato deputato Pdl, Alfonso Papa si era inventato un ruolo scoperto nella destra italiana: il trafficante di informazioni segrete provenienti dalle Procure. Merce preziosissima per lo schieramento di centrodestra che ai giudici ha dichiarato guerra 17 anni or sono, sposando un atteggiamento diversissimo dalla Dc, che per mezzo secolo aveva trasformato la Procura di Roma nel «porto delle nebbie», ma anche dalla sinistra, che da due decenni mantiene rapporti di ottimo «vicinato» con la magistratura.

La specialità di Papa, secondo l’accusa, era promettere e in qualche caso fornire informazioni su segreti giudiziari, terrorizzare imputati reali (o solo potenziali), in cambio di regali, soldi, posizioni. Un millantatore? Un arruffone napoletano di quelli che ti dicono, conosco quello, stai tranquillo e poi non succede nulla? Lo dirà l’inchiesta. Ma Alfonso Papa, a Napoli e a Roma, era conosciuto anche prima che si occupassero di lui i magistrati. Quarantuno anni, napoletano, figlio di un piccolo imprenditore di scuole private dell’alto Casertano (zona di Teano) a suo tempo lambito da fastidi giudiziari, prima di compiere 30 anni Papa entra nella Procura di Napoli e diventa uno dei pupilli del Procuratore capo Agostino Cordova.

Sono anni in cui mostra un piglio investigativo con esiti controversi. Nel 1999, sui pontili napoletani, sequestra ormeggi e oltre cinquecento imbarcazioni, iscrive nel registro degli indagati un’ottantina di persone, ma un anno più tardi si sgonfia tutto. Per far carriera in magistratura, talora, è utile iscriversi ad una delle sue correnti, Papa sta con Unicost, della quale fa parte anche il suo amico Umberto Marconi, col quale rompe ed oggi è diventato un suo accusatore. Vice-capo di gabinetto del Guardasigilli leghista Roberto Castelli, promosso alla direzione generale degli Affari civili dal Guardasigilli unionista Clemente Mastella, nel 2008 Papa fa il salto nella politica romana.

E nel salto c’è tutto il personaggio. La sua ascesa, come dimostrano le testimonianze raccolte dai pm, non è il premio ad un merito, ma l’opera collettiva di tante mani, di tante spinte più o meno oscure. Ha detto l’ex notabile democristiano Alfredo Vito: «La candidatura fu conseguenza di un intervento diretto del generale Nicola Pollari, essendo Papa legato all’ambiente dei servizi segreti», oltreché «vicino a Nicola Cosentino». Per Fulvio Martusciello «la voce era quella che fu candidato tramite Previti», mentre Luigi Bisignani, che suggerisce Alfonso a Denis Verdini, mette a verbale: «Papa fu sicuramente appoggiato da Pera e da Castelli».

La ciliegina è di Gianni Letta: «Berlusconi mi disse che per la candidatura di Papa si erano già espresse altre persone autorevoli». Un battesimo collettivo, che a differenza di quanto scrivono i magistrati nella richiesta di arresto, non frutta a Papa «l’inserimento in un posto sicuro». Nella lista Pdl Campania-1 Papa è inserito al diciannovesimo posto, al di sotto della soglia di sicurezza, fissata a quota 15. E una volta entrato in Parlamento, Papa confida di «voler diventare ministro». Aspirazione stroncata, pare, per effetto di un intervento dell’avvocato Nicolò Ghedini, ma rilanciata, come racconta Gianni Letta: «Papa mi chiese di fare il sottosegretario, ma non è mai stato accontentato».

Ma anche senza poltrone dorate, Papa dispiega il suo mestiere: trafficante di segreti più o meno autentici. Avvalendosi di supporti speciali. Ha raccontato il magistrato Marconi: «Papa era solito girare per Napoli con un servizio di accompagnamento della Finanza», «intrecciando rapporti con i Servizi» e avendo «a disposizione “truppe” che utilizza per perseguire scopi personali». E’ così che Papa scardina segreti istruttori. Dalla Procura di Nola riesce a sapere in anticipo la dritta giusta: vogliono arrestare l’ex convivente di Bisignani. Ma Papa regala dritte a tutti. A Letta, a Verdini.

A parlamentari intimoriti da voci sul loro conto. A tanti imprenditori. In cambio ottiene favori e regali, conducendo una vita sbrigliata: dispone di una casa per ognuno dei suoi ménages, si fa vedere con una Jaguar d’argento, una verde e una Mercedes. Ma quando è lui a fare regali, induce in qualche sospetto. Diverse amiche raccontano di aver ricevuto braccialetti e orologi in scatole anonime, senza garanzie o logo del negozio. Ha raccontato una delle ragazze: «Mi diede il Rolex così, “nudo”...». E intanto, nei confronti di Papa, magistrato in aspettativa, la Corte di Cassazione ha avviato una pratica di accertamento disciplinare, mentre l’Anm ha aperto un’istruttoria «per valutare la compatibilità di alcuni comportamenti con l’appartenenza all’Associazione».



Vespa: "Ogni lunedì Berlusconi mi telefona per dirmi chi devo invitare" (Otto e mezzo 09/06/2011)



Telefonata di Bruno Vespa alla trasmissione "Otto e mezzo" di Lilli Gruber: "Ogni lunedì mattina Silvio Berlusconi mi chiama e mi detta la scaletta degli ospiti della settimana, compresa quella della puntata di Avetrana, la prossima volta gli caldeggerò un invito per lei, così gli ascolti di Porta a porta risaliranno e il Pdl trionferà alle prossime elezioni"
Al centro del nuovo battibecco tra il conduttore di Porta a porta e il presidente della regione Lombardia sempre le presenze di Formigoni alla trasmissione di Vespa, con il politico che è tornato a ribadire di avervi preso parte 1 volta in 5 anni e il conduttore che ha invece contato 5 apparizioni in 4 anni.


Invece - Secondo livello - Concita De Gregorio


Quando più di un anno fa, nel mese di maggio del 2010, chiesi da queste colonne cosa ci facesse un tipo come Luigi Bisignani nelle stanze di palazzo Grazioli, ospite fisso munito di ogni comfort tecnologico e non solo, e quale ruolo esattamente avesse nello staff del Presidente del Consiglio ricevetti la mattina dopo, molto presto, quattro telefonate. Una era di un ex direttore di giornale che si congratulava, mi disse, per “aver avuto il coraggio di mettere il dito nella piaga”. Un’altra di una collega celebre e sempreverde, fonte occulta e abituale di un sito di regolamenti di conti, uno di quei posti on line dove chiunque fa sapere quel che non può dire in modo da poterlo poi “riprendere” come se fosse una notizia: chiedeva se ne sapessi di più.

La terza di un parlamentare di lunghissimo corso di area una volta andreottiana. L’ultima, la più importante, direttamente da palazzo Grazioli via centralino del Viminale, la Batteria. “Mia cara signora - mi disse costui - per la stima che ho di lei mi permetto di metterla in guardia da eventuali errori. Non vorrei davvero che avesse a dolersene. Lei sa meglio di me quanto certi terreni siano insidiosi e fitti di trappole. Stia attenta a non farsi strumentalizzare, a non dar credito a voci denigratorie e interessate. Sarebbe un peccato: dovremmo fare a meno di una voce che è così importante, invece, nel nostro panorama”. Credo che non vi sfugga il sottotesto muto.
Tempo dopo di Bisignani hanno cominciato a parlare in molti. Se cercate in rete trovate articoli dettagliatissimi che raccontano la sua storia e le sue amicizie.

Da Licio Gelli, lo scopritore del suo talento, ai Ferruzzi e Tavaroli passando per lo Ior e quella celebre volta in cui fece transitare le tangenti Enimont su un conto corrente destinato ad un’associazione di bambini poveri. Trovate anche qualche nota di colore, come si dice in gergo: che sia stato legato da affettuosissima amicizia a Daniela Santanchè e in quanto tale sponsor della sua fulminea carriera, che sia una delle principali fonti (un’altra era il non da tutti compianto Francesco Cossiga) del sito Dagospia, quella pagina internet dove una compagnia di giro fa circolare allo stesso livello facezie e carte sporche, veline e foto di salotti in uno spaccato del Paese per nostra fortuna lontanissimo da quello che si è espresso nel voto di maggio e giugno, un paese di loschi potenti e affari di pochi - esattamente quello che da qualche giorno sembra vecchio di trent’anni.

Mummie, pterodattili. Pericolosissimi, certo, ma preistorici e destinati alla polvere. E’ questo l’effetto che fanno, del resto, certi dibattiti tv e certe riflessioni lette in queste ore: è come se in una settimana fossero passati dieci anni, come se da ieri a oggi tutto il resto fosse diventato in bianco e nero.
Certo prima o dopo sapremo con certezza dalle carte giudiziarie e dai processi in quale oscura trama fosse coinvolta la cosiddetta P4, la loggia di affaristi e facilitatori di negozi di cui Bisignani è accusato di far parte. Sentiremo tremare i vetri dei palazzi, se è vero e non ne dubito quel che mi diceva il mio quarto interlocutore. Aspettiamoci palate di fango, e forse peggio. Resta il fatto che il secondo livello di questa nuova impresa collettiva, quella culminata con il voto di 27 milioni di cittadini, è spazzare via le cricche, le mafie, le corruttele. Un’impresa titanica perchè il paese ne è infiltrato a tutti i livelli e a tutte le latitudini politiche, leggete le cronache di oggi.

La corruzione è il cancro di questo sistema: lo dicevo l’altro giorno al ministro Fitto ricevendone in cambio insulti, eppure non facevo che ripetere le ultime parole da governatore di Mario Draghi. Non ci sarà crescita senza legalità. Non ci sarà lavoro nè futuro per i giovani che sono andati domenica alle urne finchè le leve del comando saranno nelle mani delle eminenze nere. Quelle che hanno l’ufficio a Palazzo Grazioli, per esempio, e nessuno ci ha ancora spiegato per fare che cosa, per conto di chi.



Luigi Bisignani, l'uomo che collega. - di Gianni Barbacetto


Ai bei tempi della P2 era una promessa. Mantenuta: oggi, a un passo da Gianni Letta, conta più di un ministro. È il punto di collegamento alto tra lobbisti della P3, uomini della cricca, personaggi della banda larga di Finmeccanica.

Non troverete il suo nome nelle carte giudiziarie delle tante inchieste in corso sugli scandali di questa caldissima estate 2010. Eppure è il nome che le collega tutte. Non parliamo di responsabilità penali, che son faccende da magistrati. Ma di rapporti, contatti, relazioni. Chi è l'uomo che unisce, a un livello alto, lobbisti della "nuova P2", uomini della "cricca", personaggi della "banda larga" di Finmeccanica? Luigi Bisignani è un punto di convergenza. Certo, definirlo "consulente di palazzo Chigi" è impreciso da un punto di vista formale. E non è bella neppure la battuta che circola a Roma, secondo cui Bisignani è stato nominato da Silvio Berlusconi sottosegretario di Stato per interposta persona (in realtà sulla poltrona di sottosegretario è seduta la sua compagna, Daniela Santanché). Eppure Bisignani è, di sicuro, uomo dalle molteplici relazioni, incrocia mondo imprenditoriale e mondo dell'informazione, controlla tante persone, collega molti ambienti. Ed è ascoltatissimo da Gianni Letta, tanto da essere oggi certamente più influente di un sottosegretario.

Non ama apparire. A differenza di tanti altri animali del circo berlusconiano, ritiene che l'esibizione sia, oltre che di cattivo gusto, anche nemica del potere vero. Così, lui che ha tanti amici fedeli nei giornali e nelle società di pubbliche relazioni (quelle che contano), non li attiva mai per una citazione, per una notizia su di sé. Anzi, è difficile trovare negli archivi perfino qualche sua fotografia da pubblicare. È ben altro quello che chiede, quello che ottiene.

Al piano inferiore del caos italiano si muovono bande, cricche e logge, poi subito derubricate, raccontate come l'agitarsi di "tre pirla", "quattro sfigati", improbabili "amici di nonna Abelarda". Al piano di sopra, al riparo da rischi e incursioni giudiziarie, almeno per ora, stanno i registi e gli utilizzatori finali. Bisignani è personaggio di grande simpatia, dalla mente lucida e dall'intelligenza rapidissima. Scrive romanzi gialli e parla, oltre che con Letta, con Angelo Balducci, con Guido Bertolaso, con Denis Verdini, con Pier Francesco Guarguaglini, con Cesare Geronzi...

Ha un certo know-how. Ha sempre negato l'appartenenza alla P2, quella classica, eppure le carte e la tradizione orale gli attribuiscono la tessera 1689 e la qualifica di reclutatore. Nel 1981, quando Giuliano Turone e Gherardo Colombo scoprirono a Castiglion Fibocchi gli elenchi della loggia segreta di Licio Gelli, il ragazzo aveva solo 28 anni. Brillante giornalista dell'Ansa, precoce capoufficio stampa del ministro del Tesoro Gaetano Stammati (piduista) nei governi Andreotti degli anni Settanta. Era una giovane promessa. Mantenuta: dieci anni dopo ha attraversato la stagione di Mani pulite solo con qualche fastidio in più. Una condanna (3 anni e 4 mesi per aver smistato la maxitangente Enimont, ridotti in Cassazione a 2 anni e 8 mesi) che dimostra che il ragazzo, nel 1993, a 40 anni, potente responsabile delle relazioni esterne del gruppo Montedison, era cresciuto. Anche in abilità e coperture, visto che il peggio di quella stagione resta ancor oggi segreto. Qualcosa ha raccontato Gianluigi Nuzzi nel suo libro "Vaticano Spa". Negli anni Novanta, infatti, zitto zitto Bisignani manovra una gran quantità di soldi parcheggiati in Vaticano. Con l'aiuto di monsignor Donato de Bonis, già segretario di Paul Marcinkus, cardinale e indimendicato compagno di scorrerie dei bancarottieri Michele Sindona e Roberto Calvi. L'11 ottobre 1990, dunque, Bisignani apre, con 600 milioni in contanti, un conto riservatissimo presso lo Ior . È il numero 001-3-16764-G intestato alla Louis Augustus Jonas Foundation (Usa). Finalità: "Aiuto bimbi poveri".

"Bisignani ha ottimi rapporti con lo Ior da quando si occupava di Calvi e dell'Ambrosiano", raccontò poi de Bonis in un'intervista. "La sua è una famiglia religiosissima; suo padre, Renato, un alto dirigente della Pirelli scomparso da anni, era un sant'uomo, la madre, Vincenzina, una donna tanto perbene. Bisignani è un bravo ragazzo. L'Istituto si occupa di opere di carità e gli amici aiutano i poveri, quelli che non hanno niente. Anche il sarto Litrico mi diceva 'io vesto i ricchi per aiutare i poveri'".

I bimbi poveri, in realtà, non ebbero gran giovamento dai soldi della Jonas Foundation. Il 23 gennaio 1991, de Bonis si presenta allo Ior con quasi 5 miliardi di lire in titoli di Stato, li monetizza e suddivide il ricavato su due conti: 2,7 miliardi sul deposito dell'amico Bisignani, mentre quasi 2,2 li accredita sul conto Cardinale Spellman, che gestisce in proprio e per conto di "Omissis", come viene chiamato in Vaticano Giulio Andreotti. Dal conto Spellman parte subito un bonifico da 2,5 miliardi al conto FF 2927 della Trade Development Bank di Ginevra: è la prima tranche della supermazzetta Enimont, "la madre di tutte le tangenti", che andrà a irrorare, a pioggia, i partiti politici italiani per benedire il divorzio di Stato tra Eni e Montedison.

Nel giro vorticoso della lavanderia vaticana, sul deposito Jonas Foundation di Bisignani entrano 23 miliardi. E lui, fra l'ottobre 1991 e il giugno 1993, ne ritirerà in contanti 12,4. Che l'uomo sia sveglio lo si capisce già nell'estate del 1993, quando annusa il disastro (i magistrati di Mani pulite stanno per arrivare alla maxitangente Enimont): così il 28 giugno di quell'anno corre allo Ior, ritira e distrugge i documenti che vi aveva lasciato all'apertura dei conti e chiude il Jonas Foundation. Ritira, in contanti, quel che resta: 1 miliardo e 687 milioni. Non avendo borse abbastanza capienti, deve fare due viaggi per portar via il malloppo. Un mese dopo è latitante. È il momento più nero di Mani pulite. Tre protagonisti della vicenda Enimont muoiono in circostanze drammatiche: il presidente dell'Eni Gabriele Cagliari con un sacchetto di plastica in testa in una cella di San Vittore; il regista sconfitto dell'operazione Enimont, Raul Gardini, con un colpo di calibro 7,65 nella sua dimora milanese; il direttore generale delle Partecipazioni statali, Sergio Castellari, con il volto spappolato nella campagna romana.

Tanti conti non tornano, in questa storia. Anche quelli dei soldi. La tangentona Enimont, rivelano i documenti vaticani messi a disposizione da Nuzzi, era ben più grossa di quella individuata dai magistrati di Mani pulite. E molti personaggi sono stati coperti dai silenzi vaticani. Tra questi, l'ineffabile "Omissis". Almeno 62 miliardi sono stati nascosti, si sono volatilizzati. E di questo tesoro rimasto segreto, 1,8 miliardi sono passati sul conto di Bisignani.

Quattordici anni dopo, un altro magistrato bussa alla sua porta. Si chiama Luigi De Magistris, alle prese con l'inchiesta Why not. Sta indagando su un comitato d'affari attivo in Calabria, ma con la testa a Roma. È convinto che sia organizzato come un'associazione segreta, una nuova P2, tanto che contesta ai suoi indagati proprio il reato previsto dalla legge Anselmi. È convinto che Bisignani di questa nuova P2 sia uno dei punti di riferimento. Il 5 luglio 2007 si presenta di persona, a sorpresa, ai suoi indirizzi romani, l'abitazione e la sua azienda Ilte (Industria Libraria Tipografica Editrice) di piazza Mignanelli. Ha un mandato di perquisizione. Bottino scarso: qualche documento e un Blackberry 7230 blu. "Ho avuto l'impressione che fosse stato avvertito: lui era volato improvvisamente a Londra", dice oggi De Magistris. "Dopo quella perquisizione, le manovre contro di me hanno un'accelerazione. Due mesi dopo mi sottraggono l'indagine".

Di Why not restano oggi soltanto i rapporti accertati degli indagati. Bisignani, per esempio, era in contatto con molti politici, imprenditori, manager, uomini degli apparati. Tra questi, Clemente Mastella, allora ministro della Giustizia, Walter Cretella Lombardo, potente generale della Guardia di finanza, Salvatore Cirafici, il dirigente di Wind responsabile della gestione delle richieste di intercettazioni e tabulati inviate all'azienda telefonica da tutte le procure italiane.

Oggi, tre anni dopo, nuova indagine, nuovo comitato d'affari, nuova P2. Luigi Bisignani resta a guardare, dall'alto. Ha visto sbriciolarsi la Prima Repubblica, la Dc, il Psi. Non s'impressiona certo per la decomposizione del berlusconismo.

http://www.societacivile.it/focus/articoli_focus/bisignani.html