Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 15 agosto 2011
Le mani sporche della sinistra - Marco Travaglio
Mr. B., la vendetta!
Ops! Mr. B. non s'era accorto che quel farabutto di Tremonti aveva inserito nella manovra il contributo di solidarietà, quello sui redditi che superano i 90milaeurini all'anno, e ora vuole toglierlo.
Quel contributo, che grava pochissimo sulle tasche dei più ricchi è anche detraibile, lo sapevate?
http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2011/08/14/contributi-dei-ricchi-macelleria-di-verita/
Ma mr B. vuole ugualmente cancellarlo, non vuole essere mollato anche da chi non ha problemi per arrivare a fine mese, vuole punire solo quei cittadini che percepiscono stipendi da fame e hanno avuto la tracotanza di promuovere tre referendum che gli hanno tolto la possibilità di battere cassa ed intascare e fare intascare mazzette a chi lo ha portato sulla seggiola del potere con la privatizzazione dell'acqua e la costruzione di centrali nucleari.
Abbiamo osato troppo e la sua mente mafiosa non può accettare imposizioni dal basso!
“ LES CITOYENS " di Fortebraccio e da Claudia Petrazzuolo
Ho dato una scorsa ai giornali di oggi e, eliminati gli scontati titoli da manuale presenti in ogni testata, il succo comune a tutti, compresi i bollettini parrocchiali sul tipo di Libero ed Il Giornale, è quello di una manovra economica che fa degli italiani una “tartare” in attesa di essere gustata al tavolo dei sacrifici al dio mercato: ossequianti sua santità il denaro e le Loro Signorie i poveri cristi. Ma di questo ciascuno, tra tutti coloro che leggono, ha certamente la sua personale opinione in funzione della quale trae la sua personale ricetta risolutiva parallela, contraria, intersecante, similare per cui, parlarne ancora risulta noioso oltre che inutile: le schiena che si romperanno sono e restano comunque sempre le stesse!.
Ciò su cui mi piacerebbe attrarre l’attenzione è quella esigenza, da alcuni espressa, da altri sentita in modo forse sub liminale, da tutti sperata, di riuscire ad essere una forza tale da riuscire determinante per le sorti del nostro paese. Più o meno in tutti questa esigenza induce un desiderio di unitarietà, di aggregazione tale che esalta in maniera parossistica la rabbia derivante dallo STATU QUO e dal vedere i milioni di rivoli in cui lo sdegno, la sofferenza, in una parola la frustrazione da impotenza, si suddividono e si esprimono. Da 150 anni questo paese è unito in una nazione unica, ma questo secolo e mezzo non è riuscito ad unificare in un unico sentire l’Italia dei comuni, dei feudi, delle signorie e dei principati se è vero come è vero che persino nell’ambito di una stessa città le differenze accentali consentono di localizzare la provenienza da quel rione o da quell’altro; si capisce, perché e quindi, come mai lì dove non ci fosse la presenza di un capo, a qualsiasi titolo carismatico, le divisioni e i distinguo sono all’ordine del giorno: vedi, ad esempio, la sinistra-centro, di parlamentare localizzazione. Facebook in questo non fa eccezione. Il comune sentimento di ribellione ad un sistema ritenuto fallito, opprimente per vari versi, vessatorio per tutti i versi, umiliante per i più, che serpeggia tra le genti, seppure fortissimo ed evidente in ogni commento o post che vi compare, non fa altro che produrre distinzioni, precisazioni, critiche nel senso dell’ignavia e dell’immobilismo o al contrario della troppa audacia, dell’irresponsabilità, dell’incitamento alla violenza. In base ad ognuno da queste caratteristiche un qualcuno ha aggregato intorno alla propria particolare visione un discreto, a volte ingente, numero di persone che, più o meno, si attestano intorno alle stesse posizioni. Ma anche, per fortuna secondo alcuni, in uno stesso gruppo, di tanto in tanto qualcuno si sente tradito da una affermazione, da una critica, da una espressione concettuale che lo mette in crisi e lo induce ad abbandonare l’improvvisato progetto comune. L’IMPROVVISATO PROGETTO COMUNE!. Mi permetto di evidenziare anche questo aspetto, il sub strato di fondo comune a tutti e presente nella capsula di cultura politica di face book genera, infatti e diciamocelo una buona volta, una infinità di improvvisati progetti che desiderosi, ognuno, di costruire qualcosa di buono e di innovativo, alla fine risultano inconcludenti e dispersivi facendo, tutto sommato, il gioco di quel sistema che si vorrebbe cambiare. Il SISTEMA, pur temendo, perché la teme, la VOX POPULI, lascia fare con preoccupata e finta democrazia monitorante, essendosi reso conto della assoluta vacuità di sfogo rappresentata dal social network in questione che sostituisce validamente i palchetti a disposizione dei cittadini in Hide park a Londra dall’alto dei quali chiunque può dire qualsiasi cosa senza nessuna paura, ma anche senza nessuna conseguenza. E’, questa, una autocoscienza di resa?, no care amiche ed amici, è QUESTO un invito serio a che qualcuno di ciascun gruppo presente in face book si coordini rispettivamente con qualcun altro di ciascuno degli altri gruppi affinché insieme si decidano a creare un'unica espressione in cui siano convogliate tutte le anime della protesta, ciascuna delle quali potrà, se crede e nel prosieguo e nell’ambito del proprio gruppo originario, contribuire all’evolversi della vita e della prosecuzione all’obbiettivo, del movimento così creatosi.
Tutto ciò è necessario, a MENO CHE il tutto non rappresenti L’ENNESIMO SQUALLIDO ESEMPIO DEL COSA E DEL PERCHE’ L’ITALIA E’ IN QUESTO MODO.
FORTEBRACCIO “
domenica 14 agosto 2011
Vaciago: “Una manovra a rischio di recessione Su crescita e riforme strutturali è il nulla”. - di Andrea Di Stefano
L'economista stronca il provvedimento del governo: "Il risanamento del Paese è rinviato per l'ennesima volta. Nessun intervento sulla spesa per le opere pubbliche, sulla giustizia civile, sulla competizione di mercato".
Professore andiamo con ordine: i tagli alla politica, almeno quelli, li possiamo salvare?
“Sono cosette: abolire 36 province e 1500 comuni non fa certo male, ma non siamo di fronte a provvedimenti che risanano e fanno crescere la produttività. Il 13 luglio Mario Draghiall’Assemblea dell’Abi e Ignazio Visco alle commissioni riunite della Camera e Senato ci dicono cose molto chiare: è urgente, ma molto urgente, stimolare la crescita e ridurre il debito risanando il paese. Si parla di competitività e di potenziale di rilancio dell’economia: le stesse parole del Bollettino della Bce e nella lettera che Jean-Claude Trichet ha inviato, con i governatori delle banche centrali di Roma e Madrid, ai governi d’Italia e Spagna. Io purtroppo nei provvedimenti varati ieri non trovo nulla di tutto questo: solo una manovra che rinvia il risanamento ancora una volta. Draghi è dal 2006 che lo chiede e invece ho sentito ieri Giulio Tremonti dire che questa crisi è inaspettata! E’ iniziata il 9 agosto 2007. Dov’era Tremonti? Impegnato a trasferire banconote in contanti?”
Quindi secondo la sua analisi non abbiamo affrontato nessun problema strutturale?
“Nessuno. Non ho mai visto una crisi così voluta, ignorata sin dalle premesse. Ignazio Visco, che è capo economista dell’Ocse, ricordava che bisogna incrementare la competitività delle imprese, migliorare la spesa delle infrastrutture (che da noi costano il 30% in più per la corruzione), ridurre drasticamente i tempi della giustizia civile, stimolare la competizione del mercato. Mi dica lei dove si trova anche solo uno di questi interventi nella manovra di venerdì?”
Per esempio si parla di privatizzazione delle ex municipalizzate e di validare i contratti aziendali anche quando derogano a quelli nazionali….
“Nel primo caso siamo al capitolo delle promesse, delle buone intenzioni e nulla di più. Sono quindici anni che mi occupo in prima persona di questi temi e non abbiamo ancora ottenuto nulla, o quasi. La tanto decantata lenzuolata di Bersani al massimo avrà inciso sull’1% del sistema e ci siamo arrivati dopo opposizioni feroci. Per quanto concerne i contratti aziendali, mi sembra solo un intervento demagogico che punta a produrre una spaccatura tra Cgil e Fiom. In Germania, la Grande coalizione quando ha siglato il patto con le parti sociali ha imposto regole molto chiare: teniamo fermi i salari, ma in cambio gli imprenditori si impegnino ad investire nel Paese. Qui nessuno ha chiesto a Marchionne di garantire realmente che saranno effettuati gli investimenti promessi in Italia.”
Default Italia 89 Giorni al Fallimento: Etica e Manovra Bis! Da www.mentecrtica.net
Libertà di licenziare il fallito e il suo fiscalista.
Per una volta sono d’accordo con Tremonti. Bisogna avere le mani più libere nel licenziare in questo paese. Soprattutto e, per primi, vanno licenziati il fallito ed il suo fiscalista.
Come premessa bisogna dire che il fallito ed il fiscalista di cui sopra sono solo dei volonterosi carnefici, i sonderkommando della situazione. Stanno solo eseguendo gli ordini di un’oligarchia sovranazionale con caratteristiche di associazione per delinquere di stampo mafioso e terroristico che, rifiutandosi di accettare che il capitalismo per come lo conosciamo è ormai un cadavere gonfio e puzzolente che butta fuori da tutti i buchi, assassinato da quella neoplasia maligna che si chiama neoliberismo, crede di salvare il proprio potere corrotto cancellando tutto ciò che di diritti dei lavoratori e walfare state è rimasto nei nostri paesi.
L’oligarchia scatena le sue cellule terroristiche finanziarie ed in un pomeriggio mette a ferro e fuoco un paese dopo l’altro. Poi manda lettere minatorie ai volonterosi governanti di questi paesi affinché imbraccino la mannaia e facciano pagare ai lavoratori e alle fasce più deboli della popolazione il costo dei loro vizi e della loro infinita ingordigia. Per poter ancora di più divaricare la forbice tra ricchi e poveri, per sentirsi loro ancora più ricchi, gettando nella disperazione intere popolazioni, devono distruggere l’architettura stessa degli stati nazionali, la sicurezza di chi lavora, la vita di milioni di persone. Ma chi era Bin Laden in confronto?
Eppure nessuno li ferma, perché i governanti delle varie nazioni, gli avventizi che occupano i posti di rappresentanza nei governi e che fanno la passerella al G8 come i pagliacci al circo, sono i loro camerieri e le loro puttane, gente che abbindola il popolo alle elezioni con il populismo più ributtante, fa promesse e poi in realtà fa solo quello per il quale è stata eletta: fare gli interessi dell’oligarchia e in subordine i propri come regalia da parte del potere superiore.
L’Italia è un caso particolare. C’è al potere un servo padrone che, invece di fare gli interessi dei superiori, ha perso tutto questo tempo ad evitare di finire in galera, impegnando il Parlamento del suo paese nella logorante legiferazione ad personam in difesa del suo flaccido e delle sue aziende. Come direbbero a Roma, si è allargato un po’ troppo. Tra l’una e l’altra delle quaranta leggi fattegli su misura, badava a dire che la crisi, ovvero la scaletta di macelleria sociale da eseguire per conto dei superiori, non esisteva e che era solo un disturbo della percezione. Non crediamo che l’abbia fatto per pura magnanimità nei nostri confronti, per risparmiarci le lacrime ed il sangue. Era semplicemente con la testa da un’altra parte, a seguire i suoi affari. In Italia e all’estero, con gli amici figli di Putin e i compagni di bunga bunga nel deserto.
Come aggravante nel caso Italia c’è da considerare il paradosso che questo signore che ci governa è uno che, nonostante un’opposizione più comprensiva di una mamma e che considera le sue aziende “patrimonio culturale del paese” (cit. D’Alema), l’utilizzo intensivo a scopo propagandistico del suo monopolio mediatico – che nessuno in questi anni ha osato infrangere (vedi alla voce opposizione); nonostante, ripeto, una quarantina di leggi ad personam tagliate su misura per sé e per le sue aziende, l’utilizzo dell’arma della corruttela e di una sorta di compulsione allo shopping di deputati e senatori, rimane un imprenditore sempre sull’orlo del fallimento, come fosse colpito da un’oscura maledizione faraonica. La sua azienda ammiraglia, Mediaset, nonostante operi in regime di quasi assenza di concorrenza, soprattutto in termini di raccolta pubblicitaria, in un anno ha fatto registrare in Borsa una perdita del – 47,14%. Ecco perché l’altro giorno il nostro in Parlamento, con la crisi che prendeva ad asciate la porta, si è messo a dare i consigli per gli acquisti: “Comprate titoli Mediaset, peffavore signo’ “.
Il secondo elemento che rende il caso italiano particolare è il fatto che uno abituato alla gabola ed alla via traversa non poteva che mettere al governo dell’economia italiana, cioè al governo delle entrate e delle uscite, un tributarista fiscalista, ovvero la persona meno adatta del mondo per fare gli interessi dello Stato. Il fiscalista può anche aver scritto libri e tenuto lezioni all’Università ma, per definizione, studia il modo per far pagare meno tasse ai suoi clienti e quindi sottrae per mestiere risorse allo Stato. E’ simile all’avvocato che deve far di tutto per non farti condannare, soprattutto se sei colpevole.
Il fiscalista nasconde i profitti aziendali per evitare di farti salire nello scaglione superiore di aliquota e farti pagare più tasse, utilizza la falsa fatturazione sempre per farti rimanere sotto un certo livello. E, soprattutto, se l’Agenzia delle Entrate o la GdF ti entra da tergo sui garretti lo stesso perché i conti sono comunque sbagliati, lui non è responsabile. Al massimo cambi consulente perché fargli causa costerebbe troppo.
Vi meravigliate quindi che questi due ci abbiano condotti a questo punto? Non sarà facile rimediare ai danni da loro prodotti ma almeno intanto lasciamo che siano vittime dei loro stessi proclami. Licenziati in tronco, senza preavviso. E di giuste cause ce n’è una marea.
Default Italia 89 Giorni al Fallimento: Etica e Manovra Bis
La cicala e la formica.
La manovra c’è. O quasi: nel senso che a giudicare dalla conferenza stampa di Tremonti e Berlusconi sembrerebbe di capire che alcune poste, pur valorizzate nel loro ammontare finale, debbano essere ancora definite nella composizione e, forse anche determinazione dei loro addenti, probabilmente questa notte stessa dai funzionari del Ministero dell’Economia, guidati dallo stesso Ministro e dai suoi più stretti collaboratori. (Con ogni probabilità mancherà il prezioso contributo dell’on. Milanese, ma, insomma, si farà di necessità, virtù).
La manovra c’è, anche se una manovra c’era già, varata da appena qualche giorno e già scaduta, manco fosse una confezione di latte fresco. La manovra c’è, ma non è detto che non sia semplicemente di passaggio, nel senso che fra qualche giorno o qualche mese ve ne potrebbe essere un’altra ancora più robusta e, soprattutto, più capiente, in grado cioè di recepire altre misure, non alternative a quelle precedenti, ma aggiuntive. Il cliente ha sempre ragione: se ordina del prosciutto e non ne specifica la quantità, il povero pizzicagnolo non può fare altro che affettare e aggiungere, almeno finché il cliente non gli dirà che va bene così.
La manovra c’è, perché è giusto che ci sia. Mettiamola giù così: cos’altro puoi fare se hai il terzo o quarto debito del mondo, ma non hai la terza o quarta economia del mondo? E ancora: l’esplosione del debito risale agli settanta ed ottanta, nella seconda repubblica l’incremento è di pochi decimali. Insomma, fra un mantra e l’altro l’allusione alla favola di Esopo riproposta nella poesia di La Fontaine sembra molto chiara: che cosa avete fatto quest’estate? Avete cantato? E adesso ballate.
E noi balliamo, un po’ per simpatia/invidia nei confronti di John Travolta e un po’ perché ci vergogniamo di aver fatto la figura delle cicale, specialmente quanto ci sferzano, ricordandoci di essere ladri del futuro dei nostri stessi figli. Ballando, ballando ci dimentichiamo di non essere stati noi a portare i capitali in Svizzera o negli altri paradisi fiscali, anche perché le nostre entrate non ci hanno consentito mai di fuoriuscire dagli inferni fiscali; di non avere ville in Sardegna, né yacht o jet per arrivare sin lì; non abbiamo avuto la fortuna di essere corrotti, né concussi; non possediamo la Ferrari e neppure un Suv (per quanto, ad essere onesti, abbiamo l’impianto a gas ed anche la finanziaria).
Acqua passata, non macina più. L’importante è che adesso, grazie alla manovra, ci salviamo, anche se il nostro patrimonio patirà qualche piccola sofferenza. E se dovessimo essere licenziati senza giusta causa o giustificato motivo? E se ci taglieranno la liquidazione che avevamo già mentalmente impegnato per sposare la figlia e per togliere lo scoperto? E se i nostri redditi resteranno limati al punto di non poter più conguagliare quello del figlio precario in una grande città del nord? Come dice Checco Zalone in una splendida caricatura di Vendola: “Bambino, ma tu, da me, che cazzo vuoi?”
Basta, siamo seri. Non ho la competenza in materia economica per capire se questa manovra potrà realmente salvarci o se finiremo comunque come la Grecia (o come le tigri del sud-est asiatico). La mia impressione, intanto, è che siamo parte di un sistema che può paragonarsi alle costruzioni poste in essere con le carte da gioco, dove la sottrazione di una carta fa franare l’intera impalcatura, per cui non è affatto scontato che, malgrado questa sanguinosa manovra, non si finisca comunque nel baratro.
Ma, pur non volendo replicare le argomentazioni di una parte politica alla quale va comunque imputata carenza di proposta (oltre che gravi responsabilità gestionali per gli anni nei quali ha governato), mi sembra evidente che andremo incontro ad una ulteriore caduta della domanda interna a causa della massiccia flessione dei redditi di fasce larghissime della popolazione (peraltro, già stremate). Questa accelerazione di una tendenza già in atto andrà a combinarsi con una scarsa competitività sui mercati esteri di aziende, che in linea di massima, una volta private della leva della svalutazione, hanno agito pressoché esclusivamente sulla riduzione dei costi (a partire da quelli del personale), preferendo trasferire nei patrimoni personali qui surplus, che andavano reinvestiti nella ricerca e nell’innovazione.
Francamente non vedo come potremo uscire vivi dal combinato disposto della caduta della domanda interna e della scarsa competitività delle esportazioni, atteso che negli ultimi decenni (segnatamente negli anni della seconda repubblica) i governi di destra e di sinistra che si sono alternati hanno vivacchiato alla giornata, impegnati angosciosamente ad inseguire le scadenze del debito pubblico, a rubare e a rubacchiare, senza mai provare a misurarsi con un vero progetto di società per il futuro del Paese e (questa volta sì) per i nostri figli.
Questa, secondo me, è la colpa più grave della cosiddetta casta, altro che gli scandali delle case o i menù delle (fraterne) mense di Camera e Senato, che tanto appassionano oggi i frequentatori rabbiosi dei network più pensosi, al pari dei fruitori voraci di X Factor e del Grande Fratello. A pensarci bene, la casta non è altro che la proiezione verso il potere di un Paese (ma forse bisognerebbe dire di un Occidente), nel quale l’egoismo e l’individualismo più sfrenato hanno fatto smarrire ai singoli cittadini il senso del rapporto con la società di appartenenza. La ricerca del piacere e della soddisfazione dei nostri piccoli e grandi desideri ci ha lentamente, ma inesorabilmente spinti a ritenerci sciolti da ogni responsabilità verso il Paese, il comune, gli amici, perfino la famiglia.
Mi rendo conto che apparirò stravagante, eppure mi sono convinto che la fuoriuscita dalla crisi economica passa attraverso la strettoia del superamento della crisi sociologica. Solo una vera e propria rivoluzione etica, che veda protagonisti le nuove generazioni e segnatamente le donne, potrà avere la credibilità per avviare un percorso di risanamento morale ed economico, rivitalizzando con nuova linfa la fondamentale relazione fra il singolo individuo e la società, intesa come spazio e tempo, destinati a produrre vita ben oltre la vita stessa dei singoli individui.
Penso ad un percorso difficile e ricco d’incognite, lungo il quale si rende oramai necessario governare i processi di accumulazione, di cui vanno ridisegnati i limiti ed i confini, coniugandoli con una radicale sensibilità sociale, che metta a lavoro tutte le energie disponibili, dispiegandole secondo i meriti, ma senza mortificarne le debolezze. Penso, ad esempio, ad un percorso virtuoso, che neghi la possibilità di un rapporto di 1 a 470 fra la retribuzione massima e minima dei dipendenti di una stessa azienda.
Penso, tanto per rendere meno serioso il discorso, ad un Paese nel quale i calciatori milionari che minacciano lo sciopero, vengano messi ai minimi contrattuali, facendo spazio alle giovani riserve (un Paese, voglio dire, che sia indotto ad affrontare con serenità il rischio di vedere fuggire all’estero i pallonari più talentuosi ed anche performance meno esaltanti dei club nazionali e della stessa Nazionale).
Non è il caso che continui con i mille esempi possibili e comunque non esaustivi. Quello che serve è un recupero totale del concetto di responsabilità in ogni posto di lavoro e, più in generale, nella vita sociale. Ecco, per me, questo sarebbe economicamente più produttivo di qualunque manovra o, quanto meno, ne costituirebbe un presupposto indispensabile per l’effettivo successo.
Così la manovra fa alzare la tensione nel governo.
CALDEROLI: MODIFICHE SI' A SALDI INVARIATI
E la base della Lega è furiosa (leggi qui), tanto da spingere il ministro Calderoli ad avvisare:chi dissente è fuori. Poi cerca di scendere a patti: «Il testo può essere modificato soltanto a saldi invariati ma non può essere smontato perché si rischierebbe il default economico del Paese».
Tutte le misure: pensioni,
feste abolite, tfr, tagli a servizi pubblici
Berlusconi e Tremonti: cuore gronda
sangue, ma tagliate 54mila poltrone
Regioni ed enti locali in rivolta:
è disastro sociale (Formigoni, Rossi, Errani, Alemanno...)
«Certamente la manovra è aperta al confronto in Parlamento con le forze dell'opposizione ma essa non è allo sbando né può essere rovesciata come un guanto», dice il presidente dei deputati del Pdl Cicchitto. Stesso atteggiamento difensivo è quello dimostrato Ignazio La Russa. «La manovra è perfettibile e passerà al vaglio del Parlamento che potrà migliorarla», dice il ministro. E del resto, tra le file dello stesso Pdl c'è già chi pensa agli emendamenti da proporre, dopo aver definito il provvedimento di Tremonti «deludente». Sono in nove, al momento, i frondisti capeggiati dall'ex ministro Antonio Martino, ma le fila sono destinate a ingrossarsi.
A loro prova a rispondere Stefano Saglia, sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico: «Ai colleghi che alzano il dito e dicono non ci sto dico basta. È un inutile stillicidio. Tutti sono pronti a dire che la manovra non va ma pochi hanno idee alternative». «È tempo - continua il sottosegretario - di smetterla di giocare. Il Pdl si dimostri partito. Gli emendamenti si devono presentare solo con il consenso del segretario Alfano e del Capogruppo. Se la manovra si può migliorare lo si deve fare stando nel perimetro della maggiorana. Sennò tutti a casa».
Sarà, però un altro ministro mette le mani avanti sulle possibile dimissioni di Giulio Tremonti. A farlo è Saverio Romano, che certo giustifica il possibile cambio di passo con un «se lasciasse, sarebbe solo per stanchezza». Meno dorotee le parole di un altro ministro ancora. Stefania Prestigiacomo, addirittura, accusa Tremonti di aver inserito tra i tagli, quello al Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti. «Cancellare il Sistri, magari per rendere la vita più facile alla categoria dei parrucchieri, come è stato surrealmente argomentato, è un errore gravissimo, una follia. Quanti predicano legalità e rigore dovrebbero farsi un esame di coscienza, e capire che stavolta hanno fatto un regalo alle ecomafie».