venerdì 19 agosto 2011

Contenziosi, leggine e altre astuzie Così B. non paga 500 milioni di tasse. - di Marco Lillo.


Mondadori potrebbe versare i 300 milioni chiesti da vent'anni dalle Agenzie delle Entrate. Da Mediolanum, che paga in Irlanda un tax rate pari al 18 per cento, potrebbero arrivare circa 200 milioni di euro tra tasse, sovrattasse e sanzioni.

Mezzo miliardo di tasse. È quello che Silvio Berlusconi potrebbe, anzi dovrebbe, pagare per contribuire a risanare le casse devastate dell’Erario. Il Cavaliere e il suo ex fiscalista, ora ministro, Giulio Tremonti si dannano da giorni per trovare il modo di risanare le finanze senza pesare troppo sui cittadini. Invece di guardare alle buste paga dei lavoratori che pagano già un’aliquota marginale del 43 per cento, dovrebbero riprendere in mano le carte delle cause del gruppo Berlusconi. Scoprirebbero così l’uovo di Colombo: basterebbe che i legali, capeggiati dallo studio fondato dal ministro Tremonti, smettessero di impedire al Cavaliere, (con le loro consulenze e i loro cavilli) di fare fino in fondo il suo dovere di contribuente, per ridurre il contributo di solidarietà in un colpo solo dal 5 al 2,5 per cento nel 2011.

Se la “bancassicurazione” Mediolanum, controllata da Silvio Berlusconi e da Ennio Doris, con quote di un terzo ciascuno, ottemperasse agli accertamenti fiscali delle Fiamme Gialle e dell’ Agenzia delle Entrate, immediatamente nelle casse dello Stato entrerebbe una somma che oscilla tra i 188 milioni di euro e i 282 milioni di euro. A quel punto il Governo potrebbe battere cassa anche nella provincia editoriale dell’impero di Berlusconi. Mondadori potrebbe finalmente versare i 300 milioni (173 di imposte più sanzioni e interessi) chiesti da venti anni dall’Agenzia delle Entrate di Milano per l’antica fusione con la Amef del 1991.

Il processo in Cassazione (dopo che la società aveva vinto i primi due gradi) è stato ucciso sul più bello – quando la Cassazione aveva cominciato a fare “la faccia feroce”, mediante una leggina ad aziendam. Mondadori ha già versato 8,6 milioni per chiudere il contenzioso pagando solo il 5 per cento delle imposte contestate. Ma non è mai troppo tardi. Se il Cavaliere e la figlia Marina volessero, potrebbero approfittare dell’ultimo treno: il ricorso della Corte italiana alla Corte di Giustizia europea. Se fosse accolto, la Cassazione rientrerebbe in gioco e il Cavaliere potrebbe finalmente contribuire al risanamento.

È stato lui, in fondo, leccando il gelato con i nipotini sul molo di Porto Rotondo, la location giusta per pronunciare un simile discorso alla nazione, a dichiarare sotto il solleone di ferragosto: “Il contributo di solidarietà è stato introdotto non perché dia un grande introito, visto che secondo i nostri calcoli darà un gettito di molto meno di un miliardo di euro, ma per un fattore di giustizia, per equilibrare i sacrifici”. Parlando con il cuore, ancora “grondante di sangue” perché aveva dovuto “mettere le mani nelle tasche degli italiani”, il nostro B. ha pronunciato due parole, che stanno alla sua bocca come la parola “scusa” su quella del vecchio Fonzie di Happy days: “giustizia” ed “equilibrio”.

Una soluzione ci sarebbe per non mettere più le mani nelle tasche degli italiani: provare a frugare meglio nelle proprie. Il presidente a dire il vero paga un grande ammontare di imposte e non manca mai di ricordarlo. Anche perché è l’uomo più ricco d’Italia. Ma se si va a verificare quanto pagano alcune sue società, come, e soprattutto a chi, si scoprono delle sorprese. L’uomo che prometteva l’aliquota doppia al 23-33 per cento (salvo pretendere il 48 dai contribuenti onesti) paga con la sua società Mediolanum il 18 per cento di aliquota reale, come si può leggere sui bilanci. Non basta: in questo caso il proverbiale pulpito da cui viene la predica si trova a Dublino. Grazie alla controllata irlandese Mediolanum International Funds che amministra oltre 17 miliardi di euro raccolti per lo più in Italia sotto forma di sottoscrizioni di fondi comuni d’investimento, il gruppo Mediolanum paga sui 257 milioni di profitti lordi made in Dublin, solo 32 milioni di tasse. Ma soprattutto quei soldi vanno a ripianare il debito irlandese, non quello italiano. Grazie alla zavorra dell’esoso erario nostrano, alla fine il tax rate si aggirava nel 2010 intorno al 18 per cento, mentre in Irlanda non arrivava al 13 per cento.

La situazione non è piaciuta all’Agenzia delle entrate e alla Guardia di Finanza. Peccato che quando gli uomini del colonnello Vincenzo Tomei sono entrati nella sede della società nel settembre 2010 hanno trovano una mail nella quale i dipendenti si chiedevano cosa fare perché qualcuno li aveva avvertiti. La relazione semestrale del 5 agosto di Mediolanum racconta il seguito: “Il 28 febbraio 2011 si è conclusa l’attività ispettiva del Nucleo di Polizia Tributaria con l’emissione di un verbale per le annualità dal 2006 al 2009, con il quale sono stati contestati maggiori imponibili per complessivi 121,4 milioni di euro, tutti aventi a riguardo i livelli di retrocessioni commissionali da parte della controllata irlandese MIFL. …il 29 ottobre 2010 la Guardia di Finanza”, prosegue la relazione, “aveva emesso un analogo verbale per l’anno 2005, contestando in quel caso maggiori imponibili ai fini dell’Ires e dell’Irap per 48,3 milioni di euro. … è stata inoltre contestata alla Banca la mancata regolarizzazione dell’IVA nelle fatture emesse dai promotori finanziari con previsione di sanzioni pari a 64 milioni di euro”.

La banca ha presentato una memoria il 29 aprile nella quale afferma la “correttezza del comportamento”. Anche la parte assicurativa di Mediolanum è stata sottoposta ad accertamento da parte dell’Agenzia delle entrate. Per uscirne, scrivono gli amministratori nella relazione: “Il 18 febbraio 2011 Mediolanum Vita ha presentato istanza di “accertamento con adesione” a fronte della notifica di due avvisi relativi al periodo di imposta 2005,(rispettivamente ai fini IRES e IRAP) emessi dall’Agenzia delle Entrate, notificati in data 23 dicembre 2010 e con i quali sono state confermate le riprese a tassazione di maggiori imponibili per 47,9 milioni di euro”. Il fisco però non ha voluto conciliare e così ”in data 23 maggio 2011, Mediolanum ha opposto ricorso presso la Commissione Tributaria Provinciale di Milano”. Ora ci riproverà chiedendo la “conciliazione giudiziale”.

L’azione dell’Agenzia delle Entrate si somma a quella delle Fiamme gialle ed era già stata anticipata con un primo verbale per gli anni precedenti, 2006 e 2005, con contestazione di “maggiori imponibili ai fini IRES e IRAP per complessivi 86 milioni di euro (47,9 milioni di euro per il 2005 e 38,1 milioni di euro per il 2006)”. Cosa accadrà se il Fisco non farà nessuna conciliazione e se Mediolanum perderà i suoi ricorsi? Lo hanno chiesto gli azionisti agli amministratori. Ecco la risposta di Mediolanum, (che non teneva conto dell’ultimo verbale della Finanza di Milano) “i maggiori imponibili contestati ammontano complessivamente a 255 milioni … le maggiori imposte teoriche sono pari a 94 milioni di euro e sanzioni da 94 milioni a 188 milioni”. Sempre che non arrivi un condono, come è accaduto per Mediaset. Sempre che non arrivi una leggina ad aziendam, come per Mondadori, o una prescrizione, come per Mediatrade.


Bossi cacciato dalla sua Padania: non era mai successo.

E' finita. Umberto Bossi costretto a fuggire dalla sua "Padania". Così la chiamava, questa magnifica terra. Prima ha dovuto annullare un comizio per timore delle proteste, proprio qui, a Calalzo di Cadore, terra di estremo Nordest, dove il Senatur è di casa, e la Lega la fa da padrona. Poi sì è beccato una di quelle contestazioni che nemmeno nei suoi incubi peggiori. Poi è stato tutto il giorno rintanato in albergo. Poi è uscito 10 minuti per accogliere Tremonti, e si è immediatamente circondato di guardie del corpo, proprio lì, sul terrazzo, come a creare uno scudo tra lui e la gente del posto. Più poliziotti che fan, scene mai viste. Con le auto che sfrecciavano, e gli insulti che volavano. Poi all'ultimo minuto è stato cambiato il programma, e si è "festeggiato" il compleanno del Ministro dell'Economia nella baita ultrablindata del Ministro dell'Economia - con tanto di forze dell'ordine a presidiare il cancello d'ingresso. Infine Umberto Bossi ha deciso di lasciarel'hotel nella notte, di nascosto, assieme alle 6 guardie del corpo, sospirando "Brutto, brutto, brutto, andiamo via".

http://www.agoravox.it/Bossi-cacciato-dalla-sua-Padania.html

L’origine del debito pubblico italiano? Brunetta, Tremonti e Sacconi consulenti di Craxi


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3nding scrive: “a metà degli anni ‘80 il governo Craxi aveva tre consulenti economici di alto livello che aprirono la voragine del debito pubblico italiano passato dal 73% del Pil nel 1984 al 96% del 1988. I loro nomi? Maurizio Sacconi, Renato Brunetta, e soprattutto Giulio Tremonti.”

Il fatto che siano tutti e tre nell’attuale Governo in una crisi del genere è spaventoso. Questa infografica chiarisce poi meglio chi ha creato, attenuato ed aperto il debito pubblico italiano negli anni:

http://dariosalvelli.com/wp-content/uploads/2011/08/debito-pubblico-pil.jpg
clicca sull’immagine per ingrandire

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E di chi è il debito pubblico italiano, 1577 miliardi di euro? Il 15% delle banche italiane, il 14,6% dei gruppi assicurativi esteri e fondi comuni europei, il 14% di investimenti privati, il 12,3% di banche estere, l’11,4% di compagnie assicurative italiane, l’11,1% di altri investitori internazionali.

Eppure secondo l’Economist rispetto agli altri debiti pubblici non siamo messi poi così male.

http://solleviamoci.wordpress.com/2011/08/18/sorpresa-l%E2%80%99origine-del-debito-pubblico-italiano-brunetta-tremonti-e-sacconi-consulenti-di-craxi/

La casta non vuole lavorare, tanto vale eliminarne la metà.

La casta non vuole lavorare: tanto vale eliminarne metà
Niente,non c’è niente da fare. Non lo vogliono capire. Fuori dai loro palazzi privilegiati c’è un paese che non ne può più della Casta e questi che fanno? Bigiano la seduta del Senato, quella introduttiva alla manovra lacrime e sangue. Imbarazzante, per non dire penoso. Come le scuse che tirano fuori per giustificare quel vuoto di poltrone impressionante.

«Ma non era una seduta importante», hanno balbettato un po’ tutti. Come se un dipendente o un dirigente potesse andare a lavorare solo quando ci sono cose importanti da fare o da decidere! Nella vita lavorativa capitano giornate più o meno impegnative; talune lo possono essere fino a spaccare la schiena (ma non è mai il caso dei politici, tranquilli…) e altre non lo sono affatto. Però al lavoro si va lo stesso. In parlamento evidentemente no: ognuno fa quello che gli pare. Vanno e vengono, ci sono o non ci sono: dipende da come si svegliano la mattina. Ieri l’altro è stata l’apoteosi: solo undici senatori in aula. Altre assenze però ci sono state anche in passato; non poche volte il governo è persino andato sotto in aula per la mancanza dei deputati.

COSE EVIDENTI
A questo punto appaiono evidenti due cose. La prima è che un parlamento di circa mille politici mestieranti non serve a nulla, è un dispendio di soldi pubblici inutile. Perché se gli scranni sono vuoti, il Senato comunque gira a pieno con tutti i suoi costi di personale e di funzionamento vario. E chi lo paga il conto? Noi, cioè quegli stessi cittadini contribuenti che da anni chiediamo un dimagrimento della Cosa pubblica ma che ci ritroviamo solo l’ennesima batosta fiscale da pagare.

Anticipo l’obiezione: in questa manovra c’è una forte riduzione della politica. L’ho già scritto: non credo finché non vedo. È davvero difficile fidarsi di chi dall’oggi al domani perderebbe di colpo una serie di privilegi. E veniamo al secondo punto: le tasse noi dobbiamo versarle subito, i tagli alla politica invece necessitano sempre di una commissione che valuti, che rifletta, che non penalizzi eccetera eccetera. Che ci vuole a scrivere due righe secche: a partire dalla prossima legislatura i parlamentari saranno la metà di quelli attuali. Non dico di abolire il bicameralismo perfetto (ci avevano provato, va ammesso) in quattro e quattr’otto ma almeno dimezzare gli onorevoli, questo va fatto e pure alla svelta. Con progressiva normalizzazione pure del personale che gira attorno al parlamento.

MANCA LA VOLONTA'
Diciamo che non c’è la volontà. E la sfacciataggine con cui i parlamentari umiliano le istituzioni (quelle istituzioni che diventano sacre quando c’è da salvaguardare la poltrona) ne è la prova. Al lavoro si va quando si ha genio, il ristorante con prezzi da mensa dei poveri ma con menu da ristorante per ricchi. E poi i privilegi, pensioni e vitalizi, insomma tutte voci che ci hanno promesso mille volte di togliere e invece restano lì perché quando una mano li toglie l’altra li rimette. Si può andare avanti così? No.

Con che spirito, domando, la classe politica pensa di affrontare gli affanni dell’Italia quando coi fatti dimostra di essersi messa su un piedistallo? Forse non se ne sono resi conto ma nel Paese sta montando la rabbia. La politica dimostri di essere umile, si ricordi di essere al servizio del Paese e non al traino. E soprattutto si rassegni a dimagrire: la velocità con cui le Borse e gli andamenti economici mettono a soqquadro il pianeta si scontra con la lentezza della Casta.

di Gianluigi Paragone.


- POTA CONTRO PATO di Marco Travaglio per Il Fatto Quotidiano.


Ma sì, in fondo che sarà mai. La Borsa di Milano perde un altro 6%, consolidandosi all'ultimo posto in Europa, ma solo perché Africa e Asia non sono pervenute. La Fiat di quel genio di Marchionne che piace a destra ma pure a sinistra ("un vero socialdemocratico", lo benedisse Fassino) chiude a -11,8 per questioni di dettaglio: la gente non compra le sue auto nemmeno a spararle. Tonica anche Fondiaria-Sai di quell'altro gigante di Ligresti (-4,7).

TREMONTITREMONTIberlusconi merkelBERLUSCONI MERKEL

Quando si dice la classe dirigente. La famosa manovra-bis da 20 miliardi o giù di lì che doveva rassicurare l'Europa e i mercati, mettendo in fuga gli speculatori cattivi, è evaporata nel breve spazio di cinque giorni: la rapina ai fessi che pagano le tasse non piace al rapinatore per motivi elettorali (pare che lo voti anche qualche contribuente onesto), la rapina agli statali non piace agli statali, i tagli agli enti locali non piacciono alla Lega (che controlla molti enti locali), Tremonti è talmente suonato che non riesce neppure a spostare due o tre festività.

I Responsabili, o come diavolo si chiamano, si fanno vivi dalle località balneari proponendo "emendamenti al decreto": e certo la notizia che si muove anche Scilipoti deve aver ulteriormente elettrizzato i mercati. Rimane la liberalizzazione di alcuni canili municipali, se ce la fanno. Si era pensato tassare un pochino i ladroni scudati, ma qualcuno al governo s'è sentito chiamato in causa e non se n'è fatto nulla.

BOSSIBOSSI

Alla parola "scudo" il Cainano ha avuto un sussulto e, ridestatosi improvvisamente come ai bei tempi quando arrivava la Carfagna, ci ha preso gusto e ha proposto di farne un altro. Ma gli è andata buca pure quella: e se non riesce più nemmeno a fare la cosa che gli veniva meglio - i condoni - la situazione dev'essere seria. In compenso il premier si consola con una bitumatura parietale nuova di zecca: come ogni estate, s'è rifatto il manto stradale. Senza badare a spese: gli asfaltatori ci hanno dato giù pesante sul capino del Capo, ora mancano solo le striscioline pedonali per Brunetta.

Umberto Bossi - foto di Stefano CavicchiUMBERTO BOSSI - FOTO DI STEFANO CAVICCHIIL 'COMPAGNO' MARCHIONNEIL 'COMPAGNO' MARCHIONNE

Bossi intanto non esce più di casa. L'altroieri ha dovuto annullare il comizio a Calalzo: non tanto perché la metà del pubblico non ci avrebbe capito niente, quanto perché l'altra metà avrebbe capito tutto. Insomma, rischiavano di materializzarsi i famosi "trecentomila padani pronti alle armi", ma per sforacchiargli i pantaloni. Ieri poi è apparso in Cadore per alcuni secondi: l'hanno osteso brevemente come la Sindone, in canotta di ordinanza, poi l'hanno prontamente ritirato, prima che ridesse del nano a Brunetta e rimostrasse il manico alla "Boniver bonazza", che ora siede al governo insieme con lui. Subito sul luogo del disastro sono accorsi alcuni pensionati della bocciofila, tra i quali Calderoli in salopette tirolese e Tremonti in maniche di camicia, che ieri compiva gli anni: 64 prima della chiusura dei mercati, 84 dopo.

Era prevista anche una cena di compleanno, ma è stata annullata perché alcuni elettori padani avevano scoperto il ristorante. L'astuto Calderoli, in arte Pota, ha frattanto individuato il buco nero che inghiotte le migliori risorse del Paese: gli stipendi dei calciatori. Sono loro, insieme agli speculatori, a cospirare contro la nostra sanissima economia: bisognerà tosarli come meritano. Chissà che ne pensa Pato, fidanzato di Barbara B. Ecco: un duello rusticano Pota-Pato è proprio quel che ci vuole per rassicurare i mercati.

CALDEROLI   IL TROTA   UMBERTO BOSSI   FABIO RIZZI   TREMONTICALDEROLI IL TROTA UMBERTO BOSSI FABIO RIZZI TREMONTICALDEROLI E BOSSI NUOVE SEDI MINISTERIALI PONTIDACALDEROLI E BOSSI NUOVE SEDI MINISTERIALI PONTIDA

Peccato che rischi di incrinare i già fragili equilibri nella Real Casa di Arcore. Manca ancora che il pover'ometto, nel fuggifuggi generale, venga scaricato pure dalla prole. L'ex ministro Martino, all'alba del 18° anno, ha finalmente scoperto che B. non è liberale ("Con Frattini, Brunetta, Tremonti, Sacconi, altro che partito liberale di massa: questo è il partito socialista di Carrara..."). Pure Ostellino è colto dai primi, timidi dubbi sul liberalismo di B., mollato persino da Belpietro, il che è tutto dire. Resistono Sallusti e Fede, che finiranno come i gatti: a leccarsi il culo da soli.

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/1-ma-s-in-fondo-che-sar-mai-la-borsa-di-milano-perde-un-28840.htm

Lega contestata, Bossi “scappa” nella notte. - di Davide Vecchi


Dopo due giorni di insulti e proteste, il leader del Carroccio decide di lasciare il Cadore. "Brutto, brutto, brutto: andiamo via", si sfoga con pochi intimi all'interno di un hotel Ferrovia blindato. Il clima è talmente pesante che la cena per il 64esimo compleanno di Tremonti è spostato all'ultimo secondo nella baita a Lorenzago del ministro dell'economia

“Brutto, brutto, brutto: andiamo via”. Umberto Bossi nella notte decide di lasciare l’hotel Ferrovia di Calalzo di Cadore per timore di altre proteste. Ci sono voluti due giorni di contestazioni dell’ormai ex popolo leghista bellunese e decine di insulti dei passanti, per far comprendere al leader del Carroccio che la base ha superato il limite di sopportazione. Tornare indietro ora è difficile. Da contadino della politica quale è, Bossi ha compreso che non più salvarsi dal Titanic: affonderà insieme a Silvio Berlusconi.

Mercoledì sera ha dovuto cancellare il comizio in piazza per timore delle proteste leghiste, capitanate dal presidente della Provincia di Belluno che si è presentato con la bandiera dell’ente listata a lutto. Ieri ha ricevuto insulti dalle auto che passavano davanti all’albergo. Si è nascosto per tutto il giorno all’interno insieme a Roberto Calderoli. E i dieci minuti che è uscito per accogliere l’amico Giulio Tremonti, i tre sono stati costretti a farsi circondare da una decina di uomini della scorta. Prigionieri a casa loro. Tanto che ieri sera la tradizionale festa di compleanno del ministro dell’economia all’hotel Ferrovia è stata trasferita all’ultimo minuto (nella speranza di depistare proteste e giornalisti) nella baita di Tremonti a Lorenzago. La stessa baita dove i quattro saggi del centrodestra stilarono il federalismo che fu poi bocciato dagli elettori con il referendum.

La baita è raggiungibile solo attraversando un cancello ovviamente ieri notte sigillato e sotto stretta sorveglianza. Nascosti nella loro terra, in fuga dagli ex elettori che per venti anni hanno regalato alla Lega la sensazione di potere e immortalità che adesso comincia a franare. Alberto da Giussano non può fare nulla, l’inesistente padania comincia a essere ridimensionata agli occhi di Bossi. Le proteste fanno male. Anche ieri per tutto il giorno è stato un continuo susseguirsi di manifestazioni e contestazioni davanti all’albergo. Dal sindaco Pdl del Comune di Calalzo al presidente provinciale di Confcommercio, dagli ex leghisti e autonomisti, al Pd ai cittadini. Qui era impensabile fino a pochi mesi fa che qualcuno potesse criticare il Capo. All’hotel Ferrovia di Gino Mondin era un continuo pellegrinaggio di complimenti, mani da stringere, baci e foto ricordo tutti sorridenti col ministro leghista di turno. Dalle macchine che passavano davanti all’albergo è sempre stato un “viva Bossi, viva la Lega”. Da due giorni invece la strada è piena di contestatori e manifestanti. E dalle auto il conducente più delicato gli ha gridato contro “cialtrone”.

Il livello di sopportazione è ampiamente superato, ma la realtà non ha ancora preso forma nella mente del Carroccio. Il nervosismo è palpabile. A un giornalista della Rai regionale che lo segue imperterrito persino all’inaugurazione di una piccolissima centrale elettrica, Bossi si mostra molto infastidito. “Vaffanculo, siete anche qui”.

Così, dopo essersi nascosto per tre giorni, Bossi sceglie di scappare. Lo fa di notte. Mentre cenava nella baita, poco dopo le una di questa mattina, i sei uomini della scorta del leader leghista hanno pagato il conto dell’albergo (che era prenotato per Bossi fino a venerdì), fatto le valigie, caricato le macchine. Poi sono andati a prelevare il Capo e lo hanno portato lontano dalle contestazioni. Presumibilmente a Gemonio, a casa sua. Dove almeno una bandiera della Lega rimarrà alta: quella che ha nel suo giardino.

Calderoli è invece rimasto a dormire in albergo perché G., il figlio della compagna Gianna Gancia(presidente della Provincia di Cuneo) ha undici anni ed era stanco. Partiranno all’alba, ha fatto sapere il ministro per la semplificazione. Quando i giornalisti presumibilmente dormono e, soprattutto, i contestatori non saranno tornati qui davanti.

A ripercorrere gli eventi di questi tre giorni appare evidente come la Lega deve fare i conti con una inaspettata realtà: non ha più il polso del territorio. La base è stanca, non ne può più di leggi ad personam, nuove tasse. Da mesi gli elettori del Carroccio chiedono a Bossi di staccare la spina al governo e lasciare Berlusconi. La base lo ha chiesto talmente ad alta voce attraverso i canali consueti, che il Carroccio invece di dialogare con i malpancisti, ha preferisco censurarli chiudendo persino gli interventi liberi a Radio Padania. Ora è troppo tardi. Berlusconi non si può più scaricare. Ed è lo stesso Senatùr ad averlo compreso. “Silvio ha vinto grazie a noi e ora noi perdiamo grazie a lui”, si è confidato in uno sprazzo di spietata lucidità. Il gioco è finito. Le proteste fanno male. Meglio tornare a casa, durante la notte. Al buio, di soppiatto, senza farsi vedere da nessuno.