Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 7 settembre 2011
Manovra, ridotti i tagli alla Casta e arriva un salvacondotto agli evasori fiscali.
La manovra arriva al Senato protetta dallo scudo del voto di fiducia e accompagnata da un maxiemendamento che, per quanto prometta il pareggio di bilancio nel 2013, contiene due clamorose retromarce rispetto a quanto annunciato in queste settimane da Silvio Berlusconi eGiulio Tremonti. I tanto sbandierati tagli agli stipendi dei parlamentari sono stati ulteriormente ridotti e la lotta all’evasione è accompagnata da una sorta di salvacondotto: per evitare il carcere basta non evadere le tasse per più del 30% del volume d’affari.
Complessivamente il provvedimento vale 4,3 miliardi di euro in più per il 2012. Viene introdotto un punto percentuale in più all’Iva (dal 20 al 21%) e dal 2014 un aumento dell’età pensionabile per le donne. Il cosiddetto contributo di solidarietà, inoltre, è fissato al 3% per i redditi superiori ai 300mila euro, cioè per circa 35 mila contribuenti. Da questo contributo arriveranno 53,8 milioni nel 2012. Nel maxiemendamento, inoltre, c’è una correzione al condono del 2002: i termini per l’accertamento ai fini dell’imposta sul valore aggiunto “pendenti al 31 dicembre sono prorogati di un anno”.
Ma ciò che colpisce maggiormente, come detto, sono le modifiche ai tagli dei parlamentari e al carcere per gli evasori fiscali. Tagli più leggeri delle indennità parlamentari, per chi percepisce anche un reddito da attività lavorativa. Nella manovra approvata il 12 agosto è prevista una decurtazione dell’indennità pari al 50%, mentre nel maxiemendamento si stabilisce che “la riduzione dell’indennità parlamentare si applica in misura del 20% per la parte eccedente i 90.000 euro e in misura del 40% per la parte eccedente i 150.000 euro”.
Per quanto riguarda la norma che prevede il carcere per chi evade oltre 3 milioni di euro, invece, il maxiemendamento allenta la stretta: perché scattino le manette l’ammontare dell’imposta evasa dovrà essere superiore al 30% del volume d’affari. Si prevede infatti che la sospensione condizionale della pena prevista all’articolo 163 del codice penale “non trova applicazione nei casi in cui ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore al 30% del volume d’affari; l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/07/manovra-ridotti-i-tagli-alla-casta-e-un-salvacondotto-agli-evasori-fiscali/155898/
Mora ai pm: “Chiesi a Berlusconi 3 milioni. All’incontro c’era anche Emilio Fede
Nell'inchiesta è indagato anche il direttore del Tg4 Emilio Fede: avrebbe trattenuto 1,2 milioni di euro, parte della somma che il premier aveva ceduto all'agente dei vip attualmente è in carcere per bancarotta.
“Vidi Berlusconi in ottobre e gli chiesi altri 3 milioni di euro. All’incontro partecipò anche Emilio Fede”: lo ha ribadito questa mattina Lele Mora ai pm del tribunale del Riesame nell’ambito dell’inchiesta che lo ha portato in carcere per bancarotta.
Dopo aver avuto dal premier un prestito di 2,8 milioni per tentare di evitare il fallimento della sua società il manager delle star gliene chiese altri 3. Soldi che però non ricevette mai, la sua richiesta passò in secondo piano quando, nell’ottobre scorso, scoppiò il caso Ruby. All’incontro, ha raccontato Mora, prese parte anche il direttore del Tg4 Emilio Fede, che invece davanti ai pm aveva negato questa circostanza.
La decisione di chiedere ancora soldi al premier, Mora la prese in seguito ad un consiglio dei suoi legali: poichè la sua società, la LM Management, era in seria difficoltà, gli avevano suggerito di provare la strada del concordato preventivo. Ma, per avviarlo, servivano 3 milioni di euro. L’agente dei vip ha raccontato anche che di fronte alla nuova richiesta Berlusconi gli domandò che fine avevano fatto gli oltre 2,8 milioni di euro del primo prestito. Una somma, questa, di cui, secondo il racconto di Mora, una parte pari a 1,2 milioni di euro, sarebbe stata trattenuta da Fede. Il presidente del consiglio inizialmente prese tempo ma poi, quando venne a galla il caso Ruby, decise di non prestargli il denaro.
La versione dei fatti raccontata da Mora sarebbe in parte confermata da Patrick Albisetti, funzionario di una banca di Lugano, ascoltato per rogatoria lo scorso 8 agosto dai pubblici ministeri di Milano Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci: il direttore del Tg4 – che nell’inchiesta è indagato per concorso nella bancarotta – avrebbe preso 300mila euro in contanti in Svizzera. Poi, per lui, sarebbe stato aperto e svuotato anche un altro conto da 200mila euro.
Per Mora, però, la cifra intascata da Fede è più alta: il giornalista avrebbe tenuto per sé 1,2 milioni di euro degli oltre 2,8 che l’agente dei vip avrebbe ricevuto in prestito da Silvio Berlusconi, attraverso il manager Giuseppe Spinelli.
Secondo il racconto di Albisetti, inizialmente fu lo stesso Mora a chiedere di poter prelevare 500mila euro in contanti dal suo conto svizzero per girarli a Fede. Ma quando la banca negò il prelievo, il direttore del Tg4 andò di persona a Lugano, nell’aprile dello scorso anno, dove gli vennero dati 300mila euro in contanti e venne aperto un conto a suo nome con altri 200 mila euro. Conto che fu rapidamente prosciugato.
Per ora gli inquirenti hanno accertato che nelle tasche di Fede sono finiti 350 mila euro: 200mila del conto svizzero e altri 150mila in assegni circolari. Quest’ultimi, secondo la versione di Mora, sarebbero stati dati dal premier all’agente dei vip e da questi girati a Fede, che avrebbe ricevuto anche un’altra somma, di circa 450mila euro, direttamente dalle mani di Mora in un incontro che avvenne negli uffici Mediaset
Il prestito di Berlusconi al manager, secondo le indagini, avvenne in tre tranche: circa un milione di euro nel gennaio 2010, circa 1,5 milioni di euro nel marzo dello stesso anno e altri 300mila euro nell’autunno successivo. Soldi che, secondo l’accusa, il talent scout avrebbe fatto sparire senza metterli nelle casse della sua società per cui era già partita la procedura fallimentare.
La vicenda del giro di soldi tra Mora e Fede era venuta fuori anche da alcune intercettazioni sul caso Ruby, nel quale i due sono imputati per induzione e favoreggiamento della prostituzione. Telefonate trascritte e acquisite ora dai pm Fusco e Carducci nell’inchiesta che ha portato all’arresto del manager. Quest’ultimo, intanto, ha chiesto al Riesame di essere messo ai domiciliari.
Dopo aver avuto dal premier un prestito di 2,8 milioni per tentare di evitare il fallimento della sua società il manager delle star gliene chiese altri 3. Soldi che però non ricevette mai, la sua richiesta passò in secondo piano quando, nell’ottobre scorso, scoppiò il caso Ruby. All’incontro, ha raccontato Mora, prese parte anche il direttore del Tg4 Emilio Fede, che invece davanti ai pm aveva negato questa circostanza.
La decisione di chiedere ancora soldi al premier, Mora la prese in seguito ad un consiglio dei suoi legali: poichè la sua società, la LM Management, era in seria difficoltà, gli avevano suggerito di provare la strada del concordato preventivo. Ma, per avviarlo, servivano 3 milioni di euro. L’agente dei vip ha raccontato anche che di fronte alla nuova richiesta Berlusconi gli domandò che fine avevano fatto gli oltre 2,8 milioni di euro del primo prestito. Una somma, questa, di cui, secondo il racconto di Mora, una parte pari a 1,2 milioni di euro, sarebbe stata trattenuta da Fede. Il presidente del consiglio inizialmente prese tempo ma poi, quando venne a galla il caso Ruby, decise di non prestargli il denaro.
La versione dei fatti raccontata da Mora sarebbe in parte confermata da Patrick Albisetti, funzionario di una banca di Lugano, ascoltato per rogatoria lo scorso 8 agosto dai pubblici ministeri di Milano Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci: il direttore del Tg4 – che nell’inchiesta è indagato per concorso nella bancarotta – avrebbe preso 300mila euro in contanti in Svizzera. Poi, per lui, sarebbe stato aperto e svuotato anche un altro conto da 200mila euro.
Per Mora, però, la cifra intascata da Fede è più alta: il giornalista avrebbe tenuto per sé 1,2 milioni di euro degli oltre 2,8 che l’agente dei vip avrebbe ricevuto in prestito da Silvio Berlusconi, attraverso il manager Giuseppe Spinelli.
Secondo il racconto di Albisetti, inizialmente fu lo stesso Mora a chiedere di poter prelevare 500mila euro in contanti dal suo conto svizzero per girarli a Fede. Ma quando la banca negò il prelievo, il direttore del Tg4 andò di persona a Lugano, nell’aprile dello scorso anno, dove gli vennero dati 300mila euro in contanti e venne aperto un conto a suo nome con altri 200 mila euro. Conto che fu rapidamente prosciugato.
Per ora gli inquirenti hanno accertato che nelle tasche di Fede sono finiti 350 mila euro: 200mila del conto svizzero e altri 150mila in assegni circolari. Quest’ultimi, secondo la versione di Mora, sarebbero stati dati dal premier all’agente dei vip e da questi girati a Fede, che avrebbe ricevuto anche un’altra somma, di circa 450mila euro, direttamente dalle mani di Mora in un incontro che avvenne negli uffici Mediaset
Il prestito di Berlusconi al manager, secondo le indagini, avvenne in tre tranche: circa un milione di euro nel gennaio 2010, circa 1,5 milioni di euro nel marzo dello stesso anno e altri 300mila euro nell’autunno successivo. Soldi che, secondo l’accusa, il talent scout avrebbe fatto sparire senza metterli nelle casse della sua società per cui era già partita la procedura fallimentare.
La vicenda del giro di soldi tra Mora e Fede era venuta fuori anche da alcune intercettazioni sul caso Ruby, nel quale i due sono imputati per induzione e favoreggiamento della prostituzione. Telefonate trascritte e acquisite ora dai pm Fusco e Carducci nell’inchiesta che ha portato all’arresto del manager. Quest’ultimo, intanto, ha chiesto al Riesame di essere messo ai domiciliari.
Da www.mentecritica.net.
Giudica Chi ha Governato l’Italia. La Seconda Tornata di Imputati
L’Italia è sull’orlo del fallimento. Al disastro democratico derivato dall’abolizione del diritto di voto e all’attacco concentrico al diritto del lavoro si è aggiunta la catastrofe economica aggravata dalla crescita incontrollata della spesa pubblica e dalla devastante evasione fiscale.
Di chi è colpa? E come pagherà?
Abbiamo iniziato a giudicare gli uomini e le donne che hanno gestito il potere in questi ultimi anni. Leggi il post a questo link e giudica gli imputati. Se qualcuno pensa di cavarsela andando in pensione tranquillamente per scrivere le sue memoria non si deve fare illusioni.
Giudica e condividi!
Default Italia, 65 Giorni al Fallimento. Dar Via il Culo per Salvare Silvio
65 giorni? Stamattina sembrano davvero tanti. Le cose si sono messe male. I tedeschi iniziano a svegliarsi e a chiedersi per quale cazzo di motivo debbano tassarsi per aiutare gli italiani a fare i pulcinella. L’Italia sarà anche una potenza industriale, ma al momento il suo peggiore problema non è la produzione, il valore che i cittadini (evasori e no) riescono a creare, ma la sua credibilità come stato.
Quale nazione partner, quale investitore può sentirsi garantito nel prestare soldi o investire in un paese nelle mani di un ridicolo fantoccio ormai incapace di pensare alla pur minima fesseria che non lo riguardi direttamente? Quale credito può avere un popolo che tollera ancora di rimanere prigioniero di un sistema “politico” che gli ha tolto ogni rappresentanza affidandola in toto a delle associazioni private che si definiscono partiti.
Nel vortice di una crisi economica mondiale, l’Italia spicca per la sua ridicola situazione istituzionale. Il Presidente della Repubblica interpreta il suo mandato con atteggiamento pontificale. Non agisce, ma suggerisce, invita e, nei fatti latita. La Lega, il famoso movimento con una grande base popolare, è due volte prigioniera. Prigioniera di un leader allo sfascio fisico ed intellettuale il cui declino è tristemente documentato dal disperato tentativo di servirci un deficiente come leader solo perché conduce il suo stesso codice genetico. Ed ancora prigioniera perché il leader che ormai si esprime a monosillabi e grugniti sa bene che se cade Silvio anche lui è perduto e continua a sostenerlo per evitare di essere sopraffatto.
Dov’è l’esercito di padroncini padani che doveva impugnare i centomila fucili per liberarsi di Roma ladrona? Possibile che si siano fatto comprare dai ministeri di Monza? No, semplicemente sono solo l’ennesimo bluff di una nazione che non è stata più capace di produrre un concetto politico intellegibile ormai da decenni.
Questo per non parlare di un’opposizione collusa e organica al sistema di corruzione e sfruttamento delle risorse comuni. Solo chi non vuole non scorge le complicità con i “gemelli diversi” di confindustria, con l’imprenditoria rapace e oscura che in Italia non ha mai pensato a creare valore, ma solo utile: molti, maledetti e subito.
Non esistono alternative. Se volete salvare il culo di Silvio, dei suoi amici e dei suoi presunti oppositori sacrificando il vostro e quello dei vostri figli, accomodatevi maledizione. Vorrà dire che se e quando verrà il momento sul banco degli imputati salirete anche voi. Perché se qualcuno si illude che da questa storia si riuscirà ad uscire con tutti le penne asciutte, per l’ennesima volta non ha capito un cazzo. Ci bagneremo tutti, è meglio che lo sappiate e non sarà solo acqua.
Chi può e vuole si prepari. Il freddo è arrivato e chi non si è ancora ammalato di anarchia è veramente perso. Per sempre.
Alfano Boccia le Primarie nel Pdl
Secondo Alfano è inutile fare le primarie per la scelta del leader del Pdl quando si sa che il popolo Pdiellino sceglierà comunque Berlusconi perché è lui il catalizzatore del partito e solo in lui vedono la leadership, pertanto sarà lui a presentarsi alle prossime elezioni.
Questo, in sintesi il ragionamento del segretario del Pdl Angelino Alfano.
Dopo le polemiche all’interno del partito tra coloro che vogliono le primarie e chi no, il segretario da una linea chiara e definitiva: niente primarie che, tra l’altro, definisce “un sacrificio organizzativo inutile”.
Dunque, dopo un tenue spiraglio di democrazia interna, ecco che il delfino scelto da Berlusconi alla dirigenza del partito pone una condizione primaria per la sopravvivenza del partito stesso: senza Berlusconi si muore! Condizione che spegne, praticamente ancora sul nascere, qualsiasi sintomo malsano di democrazia interna o di rinnovamento. Questo significa quello che si sa da sempre: il Pdl esiste nella misura in cui esiste Berlusconi? O serve al nuovo segretario a porre le basi per la sua futura leadership nel partito?
Probabilmente tutte e due. Se si considera il partito come un organismo chiuso e statico, come è stato considerato da Berlusconi, è facile intravvedere nella decisione del segretario di sopprimere le primarie come mezzo di assicurarsi la successione a Berlusconi. Eliminando le primarie come metodo per la scelta del leader, il segretario del Pdl lancia l’avviso a quanti vorrebbero “modernizzare” il partito in senso liberale(?) che ciò non è possibile.
L’impossibilità deriva dal fatto che il Pdl, in realtà, non è un partito ma un’associazione, un organismo politico, nata per la difesa di interessi particolari, pertanto, non può funzionare come un qualsiasi partito. A questo, bisogna aggiungere che, ruotando, il partito, intorno a un solo personaggio che fa da fondatore, coadiutore e decisionista, inserire un metodo democratico per la sua scelta sarebbe come uccidere il principio base del partito stesso, ovvero, il partito come proprietà!
Il leader, dunque, non può essere l’espressione di una corrente interna – perché non possono esistere correnti – e neanche essere soggetto al volere di un’assemblea. pertanto, essendo il segretario scelto dal fondatore Berlusconi, diventa lecito presupporre che sarà, in futuro, il prossimo padrone del partito.
Fonte notizia: la repubblica.it
Default Italia, 65 Giorni al Fallimento. E’ Venuto il Giorno del Giudizio
L’Italia è sull’orlo del fallimento. Al disastro democratico derivato dall’abolizione del diritto di voto e all’attacco concentrico al diritto del lavoro si è aggiunta la catastrofe economica aggravata dalla crescita incontrollata della spesa pubblica e dalla devastante evasione fiscale.
Di chi è colpa? E come pagherà?
Decidilo tu assumendoti le tue maledette responsabilità come giudice popolare. Immagina che dopo il cataclisma, al quale arriveremo in meno di due mesi, si instauri un nuovo governo democratico che, per rompere definitivamente col passato, decida di processare la vecchia classe dirigente ripristinando la pena di morte per reati contro la Nazione. Tu sei un giudice popolare e hai il dovere di dare la tua sentenza. Incominciamo con questi imputati qui. Se l’iniziativa ha successo li processeremo tutti: politici, giornalisti, economisti, opinionisti, scrittori, intellettuali, soubrette.
Prima o poi toccherà fare questo lavoro. Iniziamo subito, così sanno che cosa li aspetta. Giudica e fai giudicare i tuoi amici condividendo questo post su Facebook. Grazie
Aggiungi nei commenti la motivazione della tua sentenza.
Berlusconi nasconde in finanziaria legge ad personam per aggirare reato di evasione.
Le tanto sbandierate misure contro l'evasioneche dovrebbero aiutarci a risanare le finanze pubbliche? Lodevoli, se non celassero l'ennesima norma ad personam a favore delPresidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
A denunciare la misura-scandalo è il senatore e avvocato dell'Italia dei Valori, Luigi Li Gotti: "Manette agli evasori! - ha dichiarato Li Gotti - Una presa in giro e un regalo ai grandi evasori. Il Governo prevede la sospensione della pena se l'evasione supera i tre milioni nonché superiore al 30% del volume d'affari.
Spieghiamo meglio: nel maxiemendamento sul quale il governo porrà la fiducia viene inserito un ulteriore elemento affinché scattino le manette per gli evasori. In sostanza, affinché si vada in carcere la somma evasa dovrà essere superiore ai 3 milioni di euro e contemporaneamente equivalere o essere superiore al 30% del volume d'affari. La notizia è confermata anche da un lancio di MF Dow Jones.
Quindi, evadendo una cifra inferiore al 30% del volume d'affari, anche se tale somma supera, e di molto, i 3 milioni di euro, si potrà tranquillamente beneficiare delle misure alternative alla galera. "Insomma - aggiunge Li Gotti - con un volume di 100 milioni, si evade per 29 milioni e pena sospesa. Primo beneficiario? Indovinate. Silvio Berlusconi".
Lele Mora in lacrime in aula per chiedere la scarcerazione: "Voglio chiarire tutto"
Milano - (Adnkronos) - Il manager dei vip èin carcere dal 20 giugno scorso per concorso in bancarotta fraudolenta. Oggi i suoi legali hanno chiesto la detenzione ai domiciliari.
Milano, 7 set. (Adnkronos) - Ha lasciato il tribunale di Milano visibilmente commosso dopo aver abbracciato per un istante la figlia Diana, Lele Mora, il manager dei vip in carcere dal 20 giugno scorso per concorso in bancarotta fraudolenta, oggi presente nell'aula del tribunale del Riesame dove i suoi legali hanno chiesto per lui la detenzione ai domiciliari.
Davanti ai giudici Mora, come riferiscono i suoi avvocati, ha fatto brevi dichiarazioni spontanee per confermare "la sua totale disponibilita' a rispondere a tutte le domande". L'udienza e' terminata poco dopo le 10 e i giudici si sono riservati una decisione che depositeranno in Cancelleria nei prossimi giorni.Visibilmente dimagrito, abito grigio e scarpe celesti, Mora, scortato da agenti della polizia penitenziaria, entrato poco dopo le 9 nell'aula del tribunale del Riesame, chiusa al pubblico, per assistere all'udienza al termine della quale i giudici si riserveranno una decisione che comunicheranno alle parti nei prossimi giorni. Gia' il gip, nell'agosto scorso, aveva respinto la richiesta di scarcerazione per il manager, cosi' come chiedeva la Procura.A essere indagato insieme a Mora per la bancarotta della 'LM Management', la societa' del manager dichiarata fallita nel giugno del 2010 con un buco da circa 8,5 milioni di euro, e' anche il direttore del Tg4Emilio Fede.Proprio a lui, ha dichiarato Mora ai magistrati milanesi, l'agente dei vip avrebbe versato quella che ha definito come una "costosa intermediazione" da circa 1,2 milioni per ottenere un prestito da Silvio Berlusconi. Stando a quanto hanno ricostruito le indagini dal gennaio al settembre del 2010, in tre tranche, Mora avrebbe ricevuto attraverso Giuseppe Spinelli circa 2,8 milioni dal leader del Pdl.Diversa la versione di Emilio Fede che agli inquirenti ha dichiarato di aver ricevuto da Mora 350 mila euro come restituzione di un prestito che aveva fatto.
Caso Ruby, Berlusconi scrive alla Giunta “Le mie intercettazioni siano inutilizzabili”
Alla vigilia della discussione alla Camera sul caso Milanese (l’ex braccio destro di Giulio Tremonti per il quale i magistrati di Napoli chiedono l’arresto nell’ambito dell’inchiesta sulla P4, ndr), mentre l’Italia è nella bufera economica presa di mira dalla speculazione e in attesa dell’approvazione finale di una manovra che è già arrivata alla sua quarta versione, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi prende carta e penna per scrivere una lettera alla Giunta per le Autorizzazioni. Il motivo? Chiedere che questa dichiari inutilizzabili le intercettazioni relative al caso Ruby.
La lettera di tre pagine, depositata in serata in Giunta dal legale del premier e deputato del PdlNiccolò Ghedini, contiene anche numerosi allegati contenenti il testo delle intercettazioni a cui si fa riferimento. La maggior parte delle quali è tra le ragazze dell’Olgettina, Nicole Minetti e altre giovani protagoniste delle feste di Arcore.
In buona sostanza, si spiega nel centrodestra, si tratterebbe della memoria già depositata a Milano dai legali di Berlusconi Niccolò Ghedini e Piero Longo che però venne ‘respinta’ dai magistrati che non accolsero, tra l’altro, la richiesta di considerare tali conversazioni inutilizzabili perchè non ‘autorizzate’. Ora, si commenta nell’opposizione, premier e avvocati ripresentano la stessa istanza alla Giunta “quasi fosse una sorta di appello”. Ed è proprio per questo, si osserva nel centrosinistra, che la lettera di Berlusconi “è a dir poco irricevibile” viste anche le competenze della Giunta “estremamente limitate” e costituzionalmente “codificate”. Un conto, si sottolinea, è individuare se ci sia stato o meno del fumus persecutionis nei confronti di un parlamentare, un altro “è intervenire a gamba tesa in un processo sostituendosi di fatto alla magistratura”. In estrema sintesi, la tesi contenuta nella lettera firmata dal Cavaliere è che sia le intercettazioni, sia l’individuazione delle celle telefoniche delle ragazze non si sarebbero potute disporre né individuare senza l’autorizzazione della Giunta visto che il vero obiettivo che si voleva raggiungere era quello di ‘colpire’ il premier che è parlamentare della Repubblica.
Ora, il Presidente del Consiglio vorrebbe che l’organismo presieduto da Pierluigi Castagnetti(Pd) si pronunciasse su questo aspetto rendendo di fatto inutilizzabile l’uso dei colloqui telefonici (anche se su persone ‘terze’) nel processo Ruby: la giovane donna di origine marocchina che, da minorenne, avrebbe partecipato ai festini di Arcore. Ma la decisione di rivolgersi alla Giunta con queste modalità e con questi scopi, secondo l’opposizione, sarebbe un’“inaccettabile forzatura” e un “precedente gravissimo”.
La lettera di Berlusconi verrà letta ufficialmente nella seduta della Giunta di domani nella quale si dovrà affrontare anche il caso di Marco Milanese. Entro il 16 di settembre, dunque entro la prossima settimana, i deputati dovranno esprimere il parere per l’aula sulla richiesta di arresto del deputato Pdl. Sul tavolo dei componenti dell’organismo presieduto da Castagnetti sono arrivate ulteriori ‘carte’ che, su richiesta dello stesso deputato, la giunta ha deciso, a maggioranza, di acquisire. Ma fino ad oggi la documentazione non era ancora completa, spiega il relatore Fabio Gava, che aggiunge: “Ritengo che domani ci sarà una riunione interlocutoria. Mi riserverò le conclusioni circa la richiesta di arresto, sulla base dell’andamento della discussione e sulla base di tutti i documenti di cui chiederò che venga sollecitata l’acquisizione. Il calendario sarà fissato dal presidente Castagnetti. Al momento ritengo non si profilino elementi per un eventuale ulteriore proroga dei termini”. In ogni caso, bisognerà anche “svolgere l’audizione dello stesso Milanese”, sottolinea ancora il relatore ricordando che la richiesta di acquisizione di alcune intercettazioni, con la richiesta della trascrizione integrale, ad esempio, di quelle relative a Viscione fra il 15 e il 26 febbraio 2010 e di quella fra Viscione e Sidoti del 22 febbraio 2011.
L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa nei confronti del deputato del Pdl lo scorso sette luglio ed è stata inoltrata alla Giunta per le Autorizzazioni della Camera. Le accuse contestate sono di corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio e associazione per delinquere. L’inchiesta del pm Vincenzo Piscitelli è lo sviluppo di un’indagine che aveva portato in carcere nei mesi precedenti l’imprenditore irpino Paolo Viscione per una serie di società create anche a Malta nel settore assicurativo, in particolare la “Eig”. Milanese avrebbe ricevuto da questa società e da Viscione denaro, viaggi, orologi di lusso, gioielli e auto come Ferrari e Benthley, in cambio di notizie riservate e interventi per ostacolare le indagini della Guardia di Finanza sulle sue società.
Lo scorso 28 luglio, la Giunta aveva dato l’ok, unanime, all’acquisizione delle cassette di sicurezza in uso al deputato Pdl Marco Milanese e all’acquisizione dei tabulati telefonici ed aveva approvato, a maggioranza, la proroga fino al 16 settembre dei termini per formulare il parere per l’Aula sulla richiesta di autorizzazione. Era sato lo stesso relatore a chiedere di acquisire nuova documentazione. A favore della proroga avevano votato anche l’Udc e il presidente della Giunta Castagnetti. Il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, aveva quindi accolto la richiesta di proroga e la capigruppo aveva stabilito che l’aula si sarebbe pronunciata sull’arresto la terza settimana di settembre.
La lettera di tre pagine, depositata in serata in Giunta dal legale del premier e deputato del PdlNiccolò Ghedini, contiene anche numerosi allegati contenenti il testo delle intercettazioni a cui si fa riferimento. La maggior parte delle quali è tra le ragazze dell’Olgettina, Nicole Minetti e altre giovani protagoniste delle feste di Arcore.
In buona sostanza, si spiega nel centrodestra, si tratterebbe della memoria già depositata a Milano dai legali di Berlusconi Niccolò Ghedini e Piero Longo che però venne ‘respinta’ dai magistrati che non accolsero, tra l’altro, la richiesta di considerare tali conversazioni inutilizzabili perchè non ‘autorizzate’. Ora, si commenta nell’opposizione, premier e avvocati ripresentano la stessa istanza alla Giunta “quasi fosse una sorta di appello”. Ed è proprio per questo, si osserva nel centrosinistra, che la lettera di Berlusconi “è a dir poco irricevibile” viste anche le competenze della Giunta “estremamente limitate” e costituzionalmente “codificate”. Un conto, si sottolinea, è individuare se ci sia stato o meno del fumus persecutionis nei confronti di un parlamentare, un altro “è intervenire a gamba tesa in un processo sostituendosi di fatto alla magistratura”. In estrema sintesi, la tesi contenuta nella lettera firmata dal Cavaliere è che sia le intercettazioni, sia l’individuazione delle celle telefoniche delle ragazze non si sarebbero potute disporre né individuare senza l’autorizzazione della Giunta visto che il vero obiettivo che si voleva raggiungere era quello di ‘colpire’ il premier che è parlamentare della Repubblica.
Ora, il Presidente del Consiglio vorrebbe che l’organismo presieduto da Pierluigi Castagnetti(Pd) si pronunciasse su questo aspetto rendendo di fatto inutilizzabile l’uso dei colloqui telefonici (anche se su persone ‘terze’) nel processo Ruby: la giovane donna di origine marocchina che, da minorenne, avrebbe partecipato ai festini di Arcore. Ma la decisione di rivolgersi alla Giunta con queste modalità e con questi scopi, secondo l’opposizione, sarebbe un’“inaccettabile forzatura” e un “precedente gravissimo”.
La lettera di Berlusconi verrà letta ufficialmente nella seduta della Giunta di domani nella quale si dovrà affrontare anche il caso di Marco Milanese. Entro il 16 di settembre, dunque entro la prossima settimana, i deputati dovranno esprimere il parere per l’aula sulla richiesta di arresto del deputato Pdl. Sul tavolo dei componenti dell’organismo presieduto da Castagnetti sono arrivate ulteriori ‘carte’ che, su richiesta dello stesso deputato, la giunta ha deciso, a maggioranza, di acquisire. Ma fino ad oggi la documentazione non era ancora completa, spiega il relatore Fabio Gava, che aggiunge: “Ritengo che domani ci sarà una riunione interlocutoria. Mi riserverò le conclusioni circa la richiesta di arresto, sulla base dell’andamento della discussione e sulla base di tutti i documenti di cui chiederò che venga sollecitata l’acquisizione. Il calendario sarà fissato dal presidente Castagnetti. Al momento ritengo non si profilino elementi per un eventuale ulteriore proroga dei termini”. In ogni caso, bisognerà anche “svolgere l’audizione dello stesso Milanese”, sottolinea ancora il relatore ricordando che la richiesta di acquisizione di alcune intercettazioni, con la richiesta della trascrizione integrale, ad esempio, di quelle relative a Viscione fra il 15 e il 26 febbraio 2010 e di quella fra Viscione e Sidoti del 22 febbraio 2011.
L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa nei confronti del deputato del Pdl lo scorso sette luglio ed è stata inoltrata alla Giunta per le Autorizzazioni della Camera. Le accuse contestate sono di corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio e associazione per delinquere. L’inchiesta del pm Vincenzo Piscitelli è lo sviluppo di un’indagine che aveva portato in carcere nei mesi precedenti l’imprenditore irpino Paolo Viscione per una serie di società create anche a Malta nel settore assicurativo, in particolare la “Eig”. Milanese avrebbe ricevuto da questa società e da Viscione denaro, viaggi, orologi di lusso, gioielli e auto come Ferrari e Benthley, in cambio di notizie riservate e interventi per ostacolare le indagini della Guardia di Finanza sulle sue società.
Lo scorso 28 luglio, la Giunta aveva dato l’ok, unanime, all’acquisizione delle cassette di sicurezza in uso al deputato Pdl Marco Milanese e all’acquisizione dei tabulati telefonici ed aveva approvato, a maggioranza, la proroga fino al 16 settembre dei termini per formulare il parere per l’Aula sulla richiesta di autorizzazione. Era sato lo stesso relatore a chiedere di acquisire nuova documentazione. A favore della proroga avevano votato anche l’Udc e il presidente della Giunta Castagnetti. Il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, aveva quindi accolto la richiesta di proroga e la capigruppo aveva stabilito che l’aula si sarebbe pronunciata sull’arresto la terza settimana di settembre.
Nelle telefonate di Lavitola le strategie su come aggirare il referendum sull’acqua.
Nell'inchiesta dei pm di Napoli sulle presunte estorsioni ai danni di Berlusconi spuntano alcune telefonate in cui il direttore de L'Avanti parlava con Roberto Guercio, esperto di sistemi idraulici. Che gli spiega come le multiutility possano continuare a fare profitti dopo la consultazione popolare, a cosa servirà la nuova authority sulla risorsa idrica e quali siano i rapporti tra Acea e Regione Lazio.
Si interessa di tutto il direttore de L’Avanti Valter Lavitola. Di grandi affari e trame, passando per le reti strategiche del nostro paese. Tra le telefonate riportate dai magistrati di Napoli per chiederne l’arresto spunta anche la strategia dei grandi azionisti delle multiutility per beffare il voto dei referendum sull’acqua dello scorso giugno, fatta di nomine pilotate e di leggi regionali progettate per garantire i profitti milionari ai grandi gestori. Una manovra già iniziata da almeno due mesi, con una strategia precisa, discussa in lunghe telefonate rimaste agli atti dei magistrati di Napoli che si occupano dell’ipotesi di estorsione ai danni del presidente del Consiglio da parte dell’imprenditore Gianpaolo Tarantini e di Lavitola stesso.
Appena sette giorni dopo il voto del 12 e 13 giugno – che ha chiesto la restituzione ai cittadini del bene comune per eccellenza – Lavitola è al telefono con Roberto Guercio, professore all’università di Roma in sistemi idraulici, nominato dal governo commissario straordinario per le emergenze idrogeologiche in moltissime regioni d’Italia. Parlano a lungo di come mettere in salvo i profitti delle aziende interessate agli acquedotti italiani, che “stanno con la merda fino al collo perché le banche gli stanno chiedendo di rientrare”, come spiega Guercio al direttore de L’Avanti. E la rete di Lavitola si mette in moto, con l’obiettivo preciso di gabbare il voto popolare.
E’ il 21 giugno scorso. Il Parlamento ha appena approvato la conversione del decreto sviluppo che introduce la creazione della neonata Agenzia dell’acqua, con il compito di decidere le tariffe del servizio idrico. Una vera e propria authority, con poteri fondamentali, soprattutto dopo il referendum: dovrà essere questo nuovo organo, ad esempio, a rivedere le tariffe dopo l’abrogazione della remunerazione del capitale sugli investimenti.
Alle nove di sera Lavitola è al telefono con Guercio, che lo informa sul decreto appena approvato: “E’ passato, però nella forma che voleva Letta, tre posti, tre anni rinnovabili una volta… ha pagato 100 mila euro all’anno”, spiega l’ingegnere idraulico.
Il Gip di Napoli, nell’ordinanza con cui ha disposto l’arresto di Tarantini e Lavitola, sintetizza qual è l’interesse di Guercio nell’agenzia appena costituita. Commentando una telefonata del 5 luglio scorso, i magistrati annotano: “Pertanto lui (Roberto Guercio, ndr) è andato e gli ha detto: abbiamo fatto l’autorità di vigilanza, per me è un sacrificio andarci perché per 3 anni non posso fare niente, piglio 100mila euro e basta e dopo un anno che sono uscito non posso fare nulla uguale, però all’interno di un disegno strategico importante posso anche sacrificarmi ovviamente”. Il riferimento è alla norma contenuta nel regolamento dell’Agenzia che vieta ai componenti di avere consulenze con società private. Un vero “sacrificio” per l’ingegnere esperto di acquedotti, abituato alle ricche consulenze pagate dai gruppi multinazionali. Ma un potere immenso, in grado di incidere sulla gestione dell’acqua nell’intero Paese.
Per il membro in pectore della neonata autority – che dovrebbe garantire e tutelare gli interessi dei cittadini su un bene essenziale per la vita – in fondo il voto di giugno non sembra essere, una volta entrato nell’agenzia, un grande problema: “Secondo me il referendum è un’opportunità”, commenta Guercio parlando con Lavitola. E spiega nei dettagli come sarà possibile perCaltagirone, il principale socio di Acea, continuare a incassare gli utili milionari della multiutility romana, bypassando il voto di giugno: “Non è detto che tu e i francesi dovete prendervi i soldi da Acea – spiega Guercio, riferendo il contenuto di un incontro con Caltagirone – dalla remunerazione del capitale, il capitale non si paga un cazzo, ma trasformiamo l’attuale concessione di gestione in una concessione di gestione e costruzione… E tu la redditività del capitale te la prendi costruendo per conto di Acea al 50% delle opere come prevede in house la normativa europea”. Se il voto ha abrogato il profitto – secondo quesito sull’acqua – stabilendo il principio della gestione pubblica, in fondo basta spostare gli utili dalla gestione al vero core business del gruppo Caltagirone, la costruzione delle infrastrutture. Questo è il piatto ricco che potrà continuare a garantire nei fatti l’interesse dei privati nell’acqua, beffando il voto del referendum.
C’è un ultimo passaggio chiave nel piano di Guercio, che viene riferito a Lavitola: va cambiata la concessione che oggi regola il rapporto tra Acea e i comuni della provincia di Roma. Un’operazione che richiede l’intervento politico della Regione Lazio, che entro la fine dell’anno deve ridisegnare il funzionamento dell’Autorità d’Ambito, ovvero la parte pubblica del sistema di gestione idrica. E anche su questo punto Guercio ha la sua road map per il dopo referendum: “Dato che lei (Renata Polverini, ndr), comunque pensa di rifare un partito con Alemanno – si legge nelle intercettazioni riportate nell’ordinanza del Gip di Napoli – e comunque con Caltagirone si vede una volta al giorno, questa operazione sul Lazio la può fare solo lui. Cioè lui gli dice: Renata preparami la legge regionale entro l’anno in cui mi dai la concessione di gestione e costruzione e concessione del Peschiera (principale acquedotto che fornisce la capitale, ndr) e noi gliela facciamo tecnicamente. Poi la partita gliela teniamo sempre per le palle… no?”. Dal contesto delle telefonate appare chiaro che il “lui” citato è il costruttore romano Caltagirone, alleato di ferro di Casini e del sindaco Alemanno. Quello che non è ancora chiaro – anzi decisamente torbido – è perché il futuro potente membro dell’autority delle acque spieghi i suoi piani a Lavitola, il trait d’union tra il sistema Tarantini e il presidente del Consiglio.
di Riccardo Gardel
Appena sette giorni dopo il voto del 12 e 13 giugno – che ha chiesto la restituzione ai cittadini del bene comune per eccellenza – Lavitola è al telefono con Roberto Guercio, professore all’università di Roma in sistemi idraulici, nominato dal governo commissario straordinario per le emergenze idrogeologiche in moltissime regioni d’Italia. Parlano a lungo di come mettere in salvo i profitti delle aziende interessate agli acquedotti italiani, che “stanno con la merda fino al collo perché le banche gli stanno chiedendo di rientrare”, come spiega Guercio al direttore de L’Avanti. E la rete di Lavitola si mette in moto, con l’obiettivo preciso di gabbare il voto popolare.
E’ il 21 giugno scorso. Il Parlamento ha appena approvato la conversione del decreto sviluppo che introduce la creazione della neonata Agenzia dell’acqua, con il compito di decidere le tariffe del servizio idrico. Una vera e propria authority, con poteri fondamentali, soprattutto dopo il referendum: dovrà essere questo nuovo organo, ad esempio, a rivedere le tariffe dopo l’abrogazione della remunerazione del capitale sugli investimenti.
Alle nove di sera Lavitola è al telefono con Guercio, che lo informa sul decreto appena approvato: “E’ passato, però nella forma che voleva Letta, tre posti, tre anni rinnovabili una volta… ha pagato 100 mila euro all’anno”, spiega l’ingegnere idraulico.
Il Gip di Napoli, nell’ordinanza con cui ha disposto l’arresto di Tarantini e Lavitola, sintetizza qual è l’interesse di Guercio nell’agenzia appena costituita. Commentando una telefonata del 5 luglio scorso, i magistrati annotano: “Pertanto lui (Roberto Guercio, ndr) è andato e gli ha detto: abbiamo fatto l’autorità di vigilanza, per me è un sacrificio andarci perché per 3 anni non posso fare niente, piglio 100mila euro e basta e dopo un anno che sono uscito non posso fare nulla uguale, però all’interno di un disegno strategico importante posso anche sacrificarmi ovviamente”. Il riferimento è alla norma contenuta nel regolamento dell’Agenzia che vieta ai componenti di avere consulenze con società private. Un vero “sacrificio” per l’ingegnere esperto di acquedotti, abituato alle ricche consulenze pagate dai gruppi multinazionali. Ma un potere immenso, in grado di incidere sulla gestione dell’acqua nell’intero Paese.
Per il membro in pectore della neonata autority – che dovrebbe garantire e tutelare gli interessi dei cittadini su un bene essenziale per la vita – in fondo il voto di giugno non sembra essere, una volta entrato nell’agenzia, un grande problema: “Secondo me il referendum è un’opportunità”, commenta Guercio parlando con Lavitola. E spiega nei dettagli come sarà possibile perCaltagirone, il principale socio di Acea, continuare a incassare gli utili milionari della multiutility romana, bypassando il voto di giugno: “Non è detto che tu e i francesi dovete prendervi i soldi da Acea – spiega Guercio, riferendo il contenuto di un incontro con Caltagirone – dalla remunerazione del capitale, il capitale non si paga un cazzo, ma trasformiamo l’attuale concessione di gestione in una concessione di gestione e costruzione… E tu la redditività del capitale te la prendi costruendo per conto di Acea al 50% delle opere come prevede in house la normativa europea”. Se il voto ha abrogato il profitto – secondo quesito sull’acqua – stabilendo il principio della gestione pubblica, in fondo basta spostare gli utili dalla gestione al vero core business del gruppo Caltagirone, la costruzione delle infrastrutture. Questo è il piatto ricco che potrà continuare a garantire nei fatti l’interesse dei privati nell’acqua, beffando il voto del referendum.
C’è un ultimo passaggio chiave nel piano di Guercio, che viene riferito a Lavitola: va cambiata la concessione che oggi regola il rapporto tra Acea e i comuni della provincia di Roma. Un’operazione che richiede l’intervento politico della Regione Lazio, che entro la fine dell’anno deve ridisegnare il funzionamento dell’Autorità d’Ambito, ovvero la parte pubblica del sistema di gestione idrica. E anche su questo punto Guercio ha la sua road map per il dopo referendum: “Dato che lei (Renata Polverini, ndr), comunque pensa di rifare un partito con Alemanno – si legge nelle intercettazioni riportate nell’ordinanza del Gip di Napoli – e comunque con Caltagirone si vede una volta al giorno, questa operazione sul Lazio la può fare solo lui. Cioè lui gli dice: Renata preparami la legge regionale entro l’anno in cui mi dai la concessione di gestione e costruzione e concessione del Peschiera (principale acquedotto che fornisce la capitale, ndr) e noi gliela facciamo tecnicamente. Poi la partita gliela teniamo sempre per le palle… no?”. Dal contesto delle telefonate appare chiaro che il “lui” citato è il costruttore romano Caltagirone, alleato di ferro di Casini e del sindaco Alemanno. Quello che non è ancora chiaro – anzi decisamente torbido – è perché il futuro potente membro dell’autority delle acque spieghi i suoi piani a Lavitola, il trait d’union tra il sistema Tarantini e il presidente del Consiglio.
di Riccardo Gardel
Iscriviti a:
Post (Atom)