venerdì 28 ottobre 2011

Se Air France non ride e Alitalia piange. - di Leonardo Martinelli




A fine 2011 il bilancio del colosso francese dei cieli rischia di virare in negativo. "Colpa" della primavera araba che ha svuotato i voli verso il Mediterraneo. Le conseguenze peggiori - complice anche la sempre più evidente inimicizia tra Sarkozy e Berlusconi - potrebbero riversarsi sulla nostra compagnia di bandiera di cui i cugini posseggono il 25%.

Berlusconi e Sarkozy, che al vertice di Bruxelles non hanno incrociato neppure gli sguardi. E una situazione contabile per Air France-Klm che, secondo le voci, sempre più insistenti a Parigi, è in fase di degenerazione accelerata. Siamo sicuri che il colosso-franco-olandese, che già possiede il25% di Alitalia, avrà ancora l’intenzione di accaparrarsi il resto del capitale a fine 2012, quando i soci italiani potranno vendere a chi vogliono? In realtà sta diventando sempre più improbabile. E al di là delle solite paturnie patriottiche, per la compagnia italiana questo può rappresentare solo un problema. Mesi ed anni futuri saranno economicamente difficili. Per tutti. Alitalia compresa.

Nei giorni scorsi radio Bfm Business ha dato per sicuro che «Air France-Klm procederà a un importante profit warning». Il gruppo prevedeva di terminare il 2011 con i conti positivi, ma gli analisti del settore a Parigi cominciano a storcere la bocca: possibile un bilancio in rosso. I vertici del colosso hanno opposto un no comment. Ma lo scorso 17 ottobre hanno già cacciato dalla poltrona di amministratore delegato Pierre-Henri Gourgeon, sostituito da Jean-Cyril Spinetta, che aveva già svolto quella funzione in precedenza. E alla guida di Air France, la componente francese (e più importante dell’alleanza), hanno messo Alexandre de Juniac, un manager che più sarkoysta non si puo’. Tutti segnali di nervosismo. Aggravati ora da uno sciopero indetto dai principali sindacati dei dipendenti che si prolungherà da domani, sabato, fino a martedì, giusto per rovinare il ponte dei morti di tanti viaggiatori francesi.

I dati del terzo trimestre dell’anno, che aiuteranno a valutare la situazione finanziaria, sono previsti per il 9 novembre. Ma quelli già disponibili, per il periodo aprile-giugno, non lasciano sperare niente di buono. Quel trimestre si è chiuso con perdite operative pari a 145 milioni e nette di 197, a causa soprattutto della «primavera araba» (i voli verso la sponda Sud del Mediterraneo partivano e ritornavano semivuoti: la situazione è solo in parte migliorata) e del disastro diFukushima in Giappone. A lungo i dirigenti di Air France-Klm hanno ripetuto che nel 2011 avrebbero migliorato i conti rispetto all’anno scorso (archiviato con un utile operativo di 28 milioni). A fine luglio, invece, si sono limitati a promettere conti positivi. Adesso potrebbero ammettere che il bilancio si chiuderà peggio del previsto, forse addirittura in rosso. Per quanto riguarda il risultato 2011 prima degli oneri finanziari (Ebit), un pool di esperti di Starmine, filiale di Thomson Reuters, prevede già da ora perdite per 88 milioni.

A tutto questo si aggiunge un indebitamento netto che a fine giugno era stimato a sei miliardi(1,4 per Lufthansa e 480 milioni per Iag, il tandem British Airways-Iberia). I due concorrenti principali soffrono, ma meno di Air France, che perde terribilmente quote di mercato nei confronti delle società low cost. Intanto in Borsa l’azione Air France-Klm è ormai sotto del 57% rispetto all’inizio dell’anno. Insomma, è molto improbabile che il colosso si preoccupi a breve e medio termine della sorte della «cugina» Alitalia, anche se questa avrà un bisogno disperato di fondi a fine 2012. A questo si aggiunge il fatto che il duo ora in sella ai vertici di Air France-Klm è legato mani e piedi all’entourage di Nicolas Sarkozy, in particolare de Juniac, che già nel lontano 1994 lo incrociò, allora ministro del Bilancio, operando per lui come consigliere. Dopo aver lavorato ad alti livelli per gruppi francesi, in particolare Thales, è stato il braccio destro di Christine Lagarde, già ministro dell’Economia di Sarkozy, prima che la signora andasse a dirigere il Fondo monetario internazionale. Insomma, anche negli ultimi anni i suoi legami con il Presidente sono stati strettissimi. De Juniac non muoverà un dito se Sarkozy non darà il via libera. Ed è assai improbabile che Sarkozy voglia collaborare in qualsiasi modo con lo screditato premier italiano. I rapporti tra i due, dopo i risolini del Presidente francese domenica scorsa, sono ormai pessimi. D’altra parte fu proprio Berlusconi a opporsi nel 2008 al un’offerta di Air France-Klm per comprare il 100% di Alitalia. I francesi ne acquisirono l’anno dopo il 25%, ma a prezzo stracciato , quando la compagnia italiana sembrava ormai bollita. «Merci Silvio», titolò il quotidiano Les Echos.



Cina-Europa. Inizia la “lunga marcia” delle trattative per attirare i capitali orientali. - di Matteo Cavallito




Il salvataggio europeo passa dal coinvolgimento dei capitali cinesi. Ne è consapevole Klaus Regling numero uno del fondo salva-stati, atterrato ieri a Pechino per l’avvio delle discussioni. Le opzioni non mancano, ma la strada verso l’accordo è ancora tutta da percorrere.

E alla fine, se non altro, Giulio Tremonti potrà affermare senza remore il sempre consolante “io l’avevo detto”. Messo da parte dal suo presidente del Consiglio e ormai definitivamente escluso dalla stesura dei programmi del Governo (nella lettera di intenti presentata all’Ue non c’è traccia del suo contributo), il super ministro delle finanze può trovare infatti almeno il conforto della preveggenza. Visto che, a due giorni di distanza dalla notte più lunga dell’eurozona, i programmi a breve e medio termine dell’Unione sembrano confermare in pieno l’intuizione di fine estate del titolare dell’economia: per salvare l’Europa dalla catastrofe non si può fare a meno dei cinesi.

Aprire le porte a Pechino, coinvolgere i capitali cinesi nel finanziamento del Fondo salva Stati (Efsf), mettere sul piatto obbligazioni, beni immobili e, perché no, anche qualche golden share. Quello che all’inizio di settembre era stato il leitmotiv del vertice “segreto” Tremonti-Lou Jiwei (il presidente del fondo sovrano China Investment Corp. una bestia da oltre 400 miliardi di dollari) torna oggi prepotentemente alla ribalta su scala continentale. Il numero uno dell’Esfs Klaus Regling è volato ieri in Cina per incontrare, tra gli altri, il vice-ministro delle finanze della seconda economia del Pianeta, Zhu Guangyao. Per ora, ha fatto sapere quest’ultimo, nessun accordo è stato raggiunto. Ma la Cina, giurano a Pechino, è pronto a valutare ogni possibilità. E allora sotto a chi tocca, in una mega operazione di mutuo scambio che potrebbe dare una svolta decisiva alla risoluzione della più grave crisi della storia di eurolandia.

Qualche cifra chiave per avere un’idea del contesto. Il Fondo Ue ha in cassa oggi circa 250 miliardi di euro ma questo ammontare, ha stabilito l’accordo di mercoledì notte, dovrà essere quadruplicato. Come? Con un po’ di leverage, ovviamente, visto che l’Europa non è minimamente in grado di autofinanziarsi a questi livelli. Ed ecco allora la soluzione: ¼ di capitale proprio, ¾ dagli investitori, per una leva complessiva di 3 a 1. Se si trattasse di un’operazione speculativa (dove di solito si arriva facilmente a 20) ci sarebbe anche da sorridere, ma per un investimento “di lungo” lo sforzo è notevole. I cinesi, che possiedono riserve estere per oltre 3.200 miliardi di dollari, sono candidati ideali, tanto più che un salvataggio europeo è di certo nel loro interesse. Ma siccome a Pechino hanno capito da tempo che il denaro non va sperperato, ecco sorgere la necessità di valutare attentamente ogni opzione.

La prima, la più semplice, consiste nel finanziamento obbligazionario dell’Efsf, cosa che per altro sta già avvenendo. I famosi eurobond che tanto fanno inorridire Berlino sono infatti sul mercato da tempo per iniziativa del Fondo stesso. Il 40% del totale, ha spiegato Regling, è finito in mano agli investitori asiatici tra cui ovviamente i cinesi. La quota complessiva della partecipazione di Pechino non è nota, ma c’è da credere che non sia minoritaria. Ora l’Europa vorrebbe convincere la Cina a concedere ulteriore credito garantendo ai bond Efsf un rating da tripla A. Solo che a questo punto i conti non tornano: in sintesi si tratterebbe di garantire un interesse “tedesco” scaricando contemporaneamente un rischio che è anche “italiano, spagnolo, greco e portoghese”. Decisamente un cattivo affare. A partire dal 2007, Pechino ha acquistato titoli provenienti da Lisbona, Atene e Madrid che si affiancano ai 1.000 miliardi di dollari già investiti nelle obbligazioni sovrane Usa e ai 76 miliardi di crediti vantati con il Tesoro italiano (circa il 4% del nostro debito pubblico). Investimenti che, soprattutto nel caso delle periferie europee, non rendono come dovrebbero e che, proprio per questo motivo, non possono essere replicati con la stessa facilità.

Tremonti se lo deve essere sentito dire già un mese fa, ed è probabile che per Regling la musica sia la stessa. A meno che, è ovvio, l’Europa non sappia mettere sul piatto qualche altra contropartita. E qui si aprono le altre opzioni, quelle che Pechino giudica più interessanti. Prima di tutto proprio sul fronte dei bond con Pechino, sostiene il Financial Times, che avrebbe intenzione di chiedere che una parte delle future emissioni del Fondo siano denominate in valuta cinese per ammortizzare le fluttuazioni dell’euro. Poi ovviamente ci sono altre opportunità, dagli ingressi di capitali cinesi nelle grandi società europee (per l’Italia si era parlato di quote in Eni ed Enel, le famose golden shares nelle partecipate), fino all’eterna partita che si disputa in sede Wto. La Cina chiede da tempo all’Europa il riconoscimento del suo status di “economia di mercato”, un nulla osta che renderebbe illegittime le politiche protezionistiche (anti dumping) adottate dal Vecchio continente contro l’export di Pechino. Probabile, a questo punto, che il governo cinese torni a battere su questo tasto in occasione dei prossimi incontri con i leader europei. Il primo appuntamento è per il vertice del G20, in programma a Cannes tra meno di una settimana
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La lettera dei sogni. - di Massimo Giannini




È arrivato il verdetto sul piano anti-crisi smerciato da Berlusconi ai leader di Eurolandia. Lo hanno emesso i mercati, che nel vuoto abissale della politica sono ormai gli unici giudici di ultima istanza delle malefatte dei governi. Ed è un verdetto pesantissimo. L'asta dei Btp decennali fa il tutto esaurito, ma a un costo che è ormai da allarme rosso. Il "premio di rischio" richiesto dai fondi e dagli investitori internazionali per sottoscrivere i titoli del debito pubblico italiano ha sfondato il tetto del 6%. Una soglia psicologica, oltre che aritimetica, che fa temere il peggio ovunque. Ma non in Italia, dove il presidente del Consiglio continua beatamente a sproloquiare di riforme scritte sull'acqua 1 e a lanciare appelli accorati e pelosi all'opposizione, facendo finta di non vedere che alle sue spalle non c'è più una maggioranza che lo spalleggia e un ministro del Tesoro che lo appoggia.

I perfidi "speculatori", malefici demoni faustiani secondo l'iconografia spicciola e autoassolutoria della destra italiota, hanno dunque sentenziato: le diciassette cartelle della falsa "rivoluzione liberale" che il premier ha illustrato a Bruxelles sono solo carta, che forse presto sarà anche straccia. Non ci voleva un genio, per capire che il diversivo berlusconiano (un documento programmatico invece di un decreto legge) sarebbe stato sufficiente a guadagnare qualche ora di tempo davanti al direttorio franco-tedesco, ma non certo a convincere i trader che ogni giorno, a colpi di ordini di compravendita, decidono le sorti di questo o di quel debito sovrano. E infatti non si sono convinti. Come dargli torto? Al contrario dei politicanti domestici, ottusi e provinciali, gli operatori internazionali ricordano benissimo le innumerevoli lettere di intenti (con tanto di firme autografe di Papandreou su altrettanti impegni solenni accolti con entusiasmo dalla Ue) con le quali è lastricata la via dell'inferno che sta portando la Grecia al default.

L'Italia sta seguendo paurosamente e irresponsabilmente lo stesso sentiero. Il Cavaliere non ha capito quello che invece ha compreso Zapatero, che a Bruxelles si è presentato non con un elenco di promesse, ma con i provvedimenti di risanamento (compresa la riforma costituzionale sulla "golden rule") già approvati dal Parlamento di Madrid. Questo ha salvato la Spagna e l'ha messa oggi in una condizione migliore della nostra, sia pure in presenza di fondamentali economici persino peggiori. Questo deficit di comprensione rischia adesso di travolgere non solo l'inerte governo Berlusconi, ma l'intero Sistema-Paese. Per questo è urgente la "discontinuità", cioè la caduta del Cavaliere, la nascita di un gabinetto di salute pubblica o in ipotesi estrema il ritorno alle urne. Ai mercati non interessa il "libro dei sogni", ma solo il "libro dei fatti".



Patto scellerato?



Leggendo delle varie inchieste per corruzione pubblicate dai giornali, viene quasi naturale pensare che sia stato progettato ed attuato un patto scellerato di accaparramento, da parte di pochi, di tutte le ricchezze del paese.
Partiamo, ad esempio, dall'INPS
L'INPS, come tutti sappiamo, incamera i contributi di tutti i lavoratori dipendenti ed autonomi per assicurare loro, una volta usciti dal mondo del lavoro, una pensione equivalente alle quote versate durante la vita lavorativa. Ma se qualcuno incomincia a prelevare dalle casse dell'INPS anche importi che non hanno una corrispondenza in termine di versamenti effettuati, vedi pensioni di vecchiaia e cassa integrazione, e non continua a versare ulteriori ed adeguati contributi, vedi  precariato, nelle casse dell'Ente si verificheranno ammanchi spaventosi. Un'azienda solida si mantiene adeguando le uscite alle entrate.
Sorge, pertanto, il dubbio che vi sia una volontà di distruggere l'Ente per far fiorire società assicurative, a scapito dei lavoratori per il profitto dei pochi.
Prendiamo ad esempio Equitalia. Come ben sappiamo, Equitalia è l'agenzia alla quale è stato demandato il compito di riscuotere i tributi dovuti dai cittadini di gran parte d'Italia. A parte che sarebbe più logico e trasparente se il governo procedesse personalmente ad incassare i tributi dovuti, ma perchè dare ad un'agenzia questo compito? E perchè queste agenzie possono caricare i tributi non versati con interessi illegali da anatocisto? E perchè affidare ad un'agenzia il compito di confiscare i beni di chi è in ritardo con i pagamenti? Sappiamo anche, e lo leggiamo sui giornali, che attorno a questa agenzia sono state create apposite società, tra i cui soci ci sono anche alcuni politici, che acquistano a prezzi stracciati, i beni confiscati ai contribuenti morosi:  http://www.nocensura.com/2011/10/ecco-come-equitalia-rovina-le-famiglie.html


 Anche Equitalia è stata creata per togliere ai tanti per il profitto dei pochi?


E possiamo continuare all'infinito.


(I miei post)



Malpensa, accuse (e inchieste) sulla Cargo city “Precariato selvaggio, ricatti e caporalato”




La procura di Milano indaga sulla cooperativa "La Corsica", sospettata di pagamenti fuori busta, fatture false, creazione di fondi neri. I lavoratori sono pronti allo sciopero: "Enac e Sea fanno finta di non vedere, siamo operai di serie B".

Pagamenti fuori busta, fondi neri e accuse di caporalato. Le indagini delle procure di Milano e Busto Arsizio aprono uno squarcio su quella che dovrebbe essere l’isola felice dell’aeroporto diMalpensa. Dovrebbe essere, ma non è. Perché laCargo city, a differenza dello scalo passeggeri, fa segnare numeri in forte crescita (nel 2010 sono transitate 422mila tonnellate di merci, con un incremento del 26,6%) ed è una voce decisiva per gli utili di Sea, la società che gestisce i due aeroporti milanesi. Eppure i suoi lavoratori sono pronti a scioperare, “perché – spiega il sindacato Cub Malpensa, che rappresenta oltre la metà degli operai – qui non esistono regole e gli enti che dovrebbero controllare sulla regolarità del lavoro, cioè Enac e la stessa Sea, girano alla larga dall’area Cargo”.

Le società che hanno in gestione lo scalo merci sono due, Argol e Alha, ed entrambe hanno appaltato a cooperative esterne l’intero comparto. E’ a questo livello della filiera che emergono i problemi. Le cooperative si avvalgono di personale esterno, che non è soggetto alle regole di Sea. La coop “La Corsica” (che lavora per Alha e ha 280 soci-dipendenti), è al centro di un’indagine della procura di Milano, coordinata dal pm Maria Teresa Latella, che ha autorizzato la Guardia di Finanza a effettuare una serie di verifiche fiscali a partire dal 23 giugno 2010. Dal verbale dei finanzieri emerge la conferma dei sospetti: fatture su operazioni inesistenti e pagamenti in nero di circa la metà delle ore lavorate, con il sospetto della creazione di fondi neri.

Nelle 148 pagine del verbale, le Fiamme gialle contestano violazioni fiscali per circa 15 milioni di euro. Numeri da capogiro. Ad esempio nell’anno fiscale 2007, figurano 161mila euro di ricavi non dichiarati, 5 milioni e 500mila euro di costi non deducibili, 287mila euro di Iva dovuta e bem 9 milioni e mezzo di valore della produzione non dichiarato ai fini dell’Irap. Viste le “numerose e reiterate irregolarità di natura contabile rilevate”, i finanzieri hanno messo sotto la lente d’ingrandimento anche i principali fornitori de La Corsica: le ditte individuali “Carlo Lucchese” e “Aldo Rizzotti” che si sono rivelate due “cartiere”, ovvero società il cui unico scopo è quello di produrre fatture false.

Tuttavia è la struttura stessa di “cooperativa” ad essere messa in forte dubbio: “Per poter operare – spiega Renzo Canavesi, sindacalista di Cub trasporti – le leggi impongono precise norme, che non sono rispettate. Non vengono fatte assemblee periodiche dei soci, non vengono redatti regolamenti e non esiste mutualità: La Corsica, infatti, si arroga il diritto di chiamare il lavoratore ‘a gettone’, avvertendolo all’ultimo momento. E al contrario, se lo vuole punire, non lo chiama facendogli perdere lo stipendio”.

Nonostante le indagini siano formalmente avviate e il presidente de La Corsica Cristofaro Palumbo abbia ricevuto formalmente la comunicazione di notizia di reato dalla Finanza, all’interno dell’aeroporto nulla si è mosso. Nessuna indagine interna, nessun provvedimento nei confronti della cooperativa che, anzi, ha ampliato il suo business dopo la revoca dell’appalto alla cooperativa Riz service, con la quale fino allo scorso anno condivideva l’appalto di Alha. Il capo di Riz Giovanni Caforio è passato alla “concorrenza”, portando con sé una parte dei lavoratori da una coop all’altra. E guadagnandosi una denuncia per caporalato alla procura di Busto Arsizio (il pm ha chiesto l’archiviazione, ora si aspetta la decisione del Gup).

Anche in Argol, l’altra società che gestisce le merci dello scalo, non mancano i problemi: a luglio i lavoratori della cooperativa Air service, dopo un cambio di appalto che ha comportato il taglio di una parte degli operai e il regime a orario ridotto per altri, hanno dovuto allestire un presidio e bloccare i camion in entrata nello scalo solo per riuscire a ottenere il trattamento di fine rapporto. E solo l’interessamento dei legali del sindacato di base ha permesso, dopo mesi di trattative, di ottenere la promessa di liquidazione.

Ora la battaglia solitaria dei lavoratori (in larga parte pakistani, senegalesi, marocchini) difesi solo dal Cub, ha trovato negli ultimi giorni anche l’appoggio della Filt Cgil di Milano, che in un comunicato durissimo denuncia l’assenza dell’Ente nazionale aviazione civile: “La decisione, prima tra tutti quella di Enac, dovrebbe essere quella di verificare la correttezza dell’intera filiera delle imprese coinvolte. L’intervento immediato è obbligatorio. Siamo in una catena di super-sfruttamento, senza che nessuno abbia la determinazione di capirne le origini. La pratica dell’appalto per l’abbattimento del costo avviene stravolgendo le regole”.

E se le autorità aeroportuali e i gestori continuano a tacere, ora sono i lavoratori ad alzare la voce: ieri pomeriggio si sono riuniti in assemblea e hanno dato l’ok alla cosiddetta “procedura di raffreddamento”, in pratica l’iter per ottenere la possibilità di scioperare con tutte le garanzie contrattuali richieste dal settore del trasporto aereo.

Fatto sta che il sistema di illegalità delle cooperative rischia di compromettere l’intera filiera delle imprese coinvolte nello scalo merci dell’aeroporto milanese. E’ per questo che la Filt Cgil si augura un’azione allargata che coinvolga ente gestore, forze dell’ordine e sindacati “così come è avvenuto in passato per il caso dell’Ortomercato di Milano”. Il paragone, non a caso, è con uno degli esempi di malaffare più clamorosi che avvenuti in città negli ultimi anni.

di Simone Ceriotti e Lorenzo Galeazzi



giovedì 27 ottobre 2011

Dalle ragazze di Arcore al senatore Sciascia I mille bonifici di Silvio Berlusconi.



Le mini minor per le ragazze dei festini di Arcore alloggiate nel residence di via Olgettina. I bonifici al ragionier Giuseppe Spinelli, che con l’aiuto di Nicole Minetti, saldava i conti delle bunga girls, dall’affitto alle bollette della luce. I prestiti infruttiferi per parenti, amici, politici e pulzelle varie. I finanziamenti ai circoli della Libertà del ministro Michela Vittoria Brambilla. Gli acquisti nelle gioiellerie, tra Parigi e Milano, e i versamenti per costruire le ville ad Antigua attraverso la riservatissima Arner Bank. L’estratto conto di Silvio Berlusconi non mente. Voce per voce, operazione per operazione, l’universo del premier si schiude a colpi di euro. Un fiume di denaro che in 18 mesi si prosciuga: il due gennaio 2007 il conto è in attivo con 162 milioni di euro, nel giugno 2008 ne rimangono appena 2,8 milioni.

I movimenti bancari del Cavaliere sono finiti nell’inchiesta fiorentina che vede Denis Verdiniindagato per associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita e Marcello Dell’Utriper appropriazione indebita con altre 53 persone per finanziamenti e prestiti milionari concessi senza garanzie dal Credito cooperativo fiorentino, oggi commissariato, del coordinatore nazionale del Pdl. Durante le indagini sull’istituto di credito è emersa la particolare posizione di Dell’Utri: il senatore aveva un’esposizione di 7 milioni di euro. Ad aiutarlo è intervenuto, il 22 maggio 2008, l’amico benefattore Silvio con un prestito infruttifero di 1,5 milioni partito dal conto corrente numero 129 acceso presso l’agenzia di Segrate del Monte dei Paschi di Siena e intestato al Cavaliere. I pm toscani hanno così chiesto ai Carabinieri del Ros di verificare i movimenti del deposito nel periodo compreso dal gennaio 2007 a tutto giugno 2008.

Uno dei maggiori beneficiari di “silviomat” è il ragionier Giuseppe Spinelli, da sempre fidatissimo tesoriere della cassaforte di Berlusconi, divenuto noto durante l’inchiesta Ruby: è lui che gestisce i pagamenti delle “olgettine”, le ragazze che, hanno appurato gli inquirenti, frequentano le feste di Arcore e sono “sistemate” negli appartamenti nel residence in via Olgettina. Le ragazze chiamano direttamente Spinelli sul cellulare chiedendogli qualunque cosa: di avere una casa più grande, di pagare le bollette della luce e soprattutto quando finiscono “la benzina”, cioè il denaro contante. Le carte dell’inchiesta milanese, che vede il premier indagato per concussione e induzione alla prostituzione minorile, contengono centinaia di telefonate tra Spinelli e le giovani delle “serate eleganti”.

Al ragioniere, Berlusconi versa complessivamente oltre 15 milioni di euro in 18 mesi tra bonifici e assegni che Spinelli incassa per liquidità. Per soddisfare le richieste delle olgettine? Non è dato saperlo. Ma certo i pm milanesi hanno accertato che il ragioniere ha gestito un notevole giro di denaro per pagare gli affitti alle ragazze. Sempre dalle carte del processo Ruby si scopre che le olgettine avevano come segno distintivo, oltre ai monili con farfalle regalati dal premier, l’auto mini minor. E ora dal conto corrente personale di Berlusconi si scopre che ne ha comprate otto tra febbraio 2007 e maggio 2008. Tutte dalla concessionaria Mariani Motors di Milano, a cui complessivamente lascia 236mila euro. Il 28 novembre 2007 ne acquista due per 45.190 euro. Anche i gioielli rientrano nelle passioni del Cavaliere, affezionato cliente della gioielleria Cusi di via Montenapoleone, dove fa acquisti per 337 mila euro complessivi.

Dal conto corrente di Berlusconi partono anche i fondi al fratello Paolo (48 milioni di euro come “finanziamento per azionista), i figli Marina e Piersilvio (100 mila euro al mese circa), e l’imprenditore Renato Della Valle. Quest’ultimo è l’unico che riceve un prestito e ne restituisce una parte: 800mila euro. Anche la storica fedelissima assistente del premier beneficia di un versamento: il 17 aprile 2008 per 1,4 milioni. Tra gli amici spunta il senatore del Pdl Salvatore Sciascia che beneficia di un bonifico di 500mila euro. Ex ragioniere della Fininvest, Sciascia venne condannato in via definitiva dalla Cassazione a 2 anni e 6 mesi per la corruzione di uomini della Guardia di Finanza. Confessò di aver ricevuto soldi da Paolo Berlusconi per versare  quattro tangenti da 100 milioni di lire l’una, con l’intento di ammorbidire le verifiche fiscali sulle società del gruppo.

A beneficiare della generosità del premier ci sono anche molte donne. Giornaliste e starlette, presunte attrici e vallette. Evelina Manna, che raccontò di dormire “stretta stretta, a seggiolina” con il premier, ha ricevuto in un colpo solo 700 mila euro. C’è poi Francesca Impiglia, giornalista del tg4 che intasca 50.000 euro e la scrittrice Michelle Nouri, che riceve 10 mila euro. L’elenco è lungo. A Natalia Mesa Bush, finita nello scandalo Ruby, ne vengono donate invece 20mila. Natalia è arrivata in tv grazie a un gioco a premi condotto da Marco Predolin e, senza ironia, le sue successive tappe degne di nota nel mondo dello spettacolo la vedono partecipare nel 2006 al programma I Raccomandati e sul grande schermo per il film “ La Fidanzata di papà”.

Una delle fette più grosse la prende Rasa Kulyte che riceve un bonifico di 220.000 euro. Rasa detta Giada è stata miss Lituania ma in Italia la fortuna l’ha fatta nelle vesti di Dea, lo scorso anno, per la trasmissione “Il Lotto alle Otto” su Rai2. Finita anche nelle carte del Rubygate per la frequentazione delle feste di Arcore e Palazzo Grazioli sarebbe stata “rifiutata” dalla direzione Rai per tre volte per la trasmissione tv. Ma intervenne Mauro Masi: il suo contratto venne firmato direttamente da lui. Più di 130mila euro anche alla “olgettina” Raissa Skorkina, 150mila all’ex annunciatrice Virginia Sanjust oltre a una lunga lista di nomi noti e meno noti legati per qualche motivo a B, inseriti nello showbiz e nelle inchieste per prostituzione minorile.

di Sara Frangini e Davide Vecchi



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/27/dalle-ragazze-di-arcore-al-senatore-sciasciai-mille-bonifici-di-silvio-berlusconi/166764/

I trecento miliardi che lo Stato non vuole Mafiosi, corrotti ed evasori ringraziano. - di Mario Portanova


Tanto vale l'economia nera italiana. Recuperarne una parte è possibile e alleggerirebbe i sacrifici di famiglie e pensionati. Tra le proposte non accolte dal governo Berlusconi, la ritassazione dei capitali scudati e norme più severe per rompere il sistema delle mazzette. Mentre il nuovo codice contro la criminalità organizzata ostacola la confisca dei beni. 

Trecentotrenta miliardi di euro ogni anno, un oceano di soldi. Dove si potrebbe andare a pescare, in un momento in cui il governo vara una manovra che promette almeno tre anni di lacrime e sangue, con più tasse e drastici tagli alla spesa pubblica. E’ l’oceano dell’economia illegale italiana. In dettaglio: 150 miliardi, il fatturato della criminalità organizzata, secondo la Commissione parlamentare antimafia (e 180 mila posti di lavoro persi al Sud, secondo il Censis); 60 miliardi il costo pubblico della corruzionesecondo la Corte dei conti, cioè mille euro tondi a cittadino, neonati compresi; 120 miliardi di evasione fiscale, stima il ministero dell’Economia, con l’Italia al primo posto in Europa per la quota di reddito non dichiarato, il 51,1 per cento secondo un recente studio di Krls-Network of Business Ethic.

Totale: 330 miliardi di euro all’anno che sfuggono a ogni imposizione, un ordine di grandezza a cui arriva anche la stima dell’Istat, che valuta il “sommerso” tra i 255 e i 275 miliardi di euro, cioè tra il 16 e il 17 per cento del Pil. Un dato strutturale dell’economia italiana, che mette insieme fenomeni diversi, dallo scontrino non battuto al carico di cocaina sbarcato al porto di Gioia Tauro, e tutte le sfumature di illegalità che ci stanno in mezzo, dal lavoro nero alle mazzette.

Ma ora che il governo impone sacrifici ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani, alle famiglie, qualcuno comincia a mettere la questione sul tavolo. Quei soldi si possono recuperare. Né tutti, né subito, naturalmente. Ma l’oceano è talmente vasto che anche una piccola percentuale avrebbe un impatto sostanzioso sulle casse dello Stato.

A lanciare il sasso nello stagno ci ha provato Avviso pubblico, la rete di oltre 180 enti pubblici contro le mafie presieduta da Andrea Campinoti, sindaco di Certaldo in provincia di Firenze. “Non ci risulta”, si legge in un comunicato dell’associazione, che nei vari “tavoli” tra governo e parti sociali “sia stato affrontato il tema dei costi economici e sociali dell’illegalità”. Eppure “i costi delle mafie, della corruzione, dell’evasione fiscale e dell’economia sommersa incidono pesantemente sulla qualità della nostra economia, della nostra sicurezza, della giustizia e della vita in generale”. Ogni singolo italiano paga un “ticket dell’illegalità” pari a 5.500 euro all’anno, cioè 15 euro al giorno.

La manovra appena approvata contiene alcuni provvedimenti che pescano nelle acque grigie dell’economia, come la tracciabilità delle transazioni sopra i 2.500 euro (prevista con soglie ancora più basse dal governo Prodi e cancellata dal centrodestra tornato in sella nel 2008) e le misure più severe per chi non emette fattura. Ma si può fare molto di più e il tema non è più appannaggio esclusivo dei soliti paladini della legalità: “Rinnovo la mia proposta al Governo di trattare i grandi evasori fiscali come i grandi criminali mafiosi, con la sanzione conseguente della immediata confisca dei beni”, ha dichiarato il senatore del Pdl Raffaele Lauro pochi giorni prima dell’approvazione della manovra.
Nessuno dei suoi sembra averlo seguito, ma almeno è un segnale. Perché se no va a finire che “pagano tutti meno gli evasori”, ha scritto il direttore di Avvenire Marco Tarquinio. Cioè “gli unici che non hanno legge, che non subiscono tagli, che dribblano i sacrifici. Chi ci governa e chi siede in Parlamento ricordi che, da oggi, tutto ciò che verrà scontato e addirittura condonato o perdonato a quest’altra casta peserà 45 miliardi di volte in più nel giudizio degli italiani onesti”.
La deputata del Pd Simonetta Rubinato ha calcolato che potrebbero essere raccolti ben 18 miliardi di euro chiedendo un “contributo di solidarietà” a chi ha rimpatriato i capitali beneficiando dello “scudo fiscale”. L’aliquota potrebbe essere del 18 per cento, spiega la senatrice, “che aggiunto al 5 per cento già versato all’erario, equivale all’aliquota più bassa dell’Irpef, cioè 23 per cento”. Così si potrebbe “evitare di dover ancora una volta chiedere sacrifici ai ceti medio-bassi già duramente provati dalla crisi”. L’idea è entrata nel pacchetto di sette controproposte del Pd alla manovra economica approvata dal governo, insieme alla tracciabilità delle transazioni superiori ai mille euro (invece di 2.500), al pagamento elettronico di prestazioni e servizi, all’obbligo di tenuta dell’abo clienti-fornitori per le imprese. Tutti provvedimenti messi in cantiere quattro anni fa dal governo Prodi e immediatamente cancellati dalla maggioranza berlusconiana, perché mica si può vivere “in uno stato di polizia”.

Insomma, per rimettere le mani su parte dell’economia illegale italiana, lo Stato potrebbe fare molto, molto di più.
CORRUZIONE. Pochi lo ricordano, ma in Italia è in vigore una norma sulla confisca dei beni ai corrotti, sul modello di quanto si fa con i mafiosi. Fu approvata, anche questa dal governo Prodi, con la Finanziaria nel 2007, ma da allora è rimasta “in sonno” perché i successori berlusconiani non si sono mai preoccupati dei decreti attuativi. “Potrebbe essere un primo passo, il gettito sarebbe simbolico, ma il segnale forte”, afferma Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso pubblico. Insieme a Libera, l’associazione ha lanciato una campagna di raccolta firme perché governo e parlamento adottino le convenzioni internazionali e le direttive europee in materia di corruzione e diano seguito alla norma sulla confisca. “Significherebbe per esempio introdurre il reato di corruzione tra privati, più adatto ai meccanismi di oggi, dato che molte malversazioni avvengono in società partecipate dal pubblico, ma regolate dal diritto privato”, continua Romani.
E’ una delle previsioni della Convenzione di Strasburgo sulla corruzione, approvata nel 1999 e mai adottata in Italia (già oggetto della campagna per una nuova legge anticorruzione condotta su Il Fatto Quotidiano da Marco Travaglio), “insieme alla normativa sui collaboratori di giustizia e persino i test di integrità”, continua Romani, “grazie ai quali la polizia può mettere alla prova i funzionari pubblici con finte offerte di mazzette”. Sarebbe come pescare a strascico, nel paese delle “cricche”. Invece il governo Berlusconi ha chiuso l’Alto commissariato per la lotta alla corruzione e lo ha sostituito con un “ufficetto”, il Saet, Servizio anticorruzione trasparenza. E ildecreto anticorruzione, approvato in Senato il 15 giugno, non contiene grandi novità, a parte un leggero inasprimento delle pene e norme sull’ineleggibilità ancora da definire.
Perché più che riprendersi i soldi dei corrotti, combattere efficacemente il sistema delle tangenti permetterebbe allo Stato “di recuperare negli anni parecchi miliardi di euro”, commenta Alberto Vannucci, professore di scienza politica all’Università di Pisa, dove tiene un Master su criminalità organizzata e corruzione. “I 60 miliardi stimati dalla Corte dei conti rappresentano non solo le tangenti, ma i costi aggiuntivi che queste determinano per la collettività. I nostri studi dicono che in Italia le opere pubbliche arrivano a costare il 40-50 per cento in più rispetto agli altri paesi europei. Per un certo periodo subito dopo Mani pulite si registrò una drastica riduzione, perché evidentemente il sistema si era momentaneamente fermato. Un ulteriore danno sociale consiste nella gigantesca distorsione della concorrenza a svantaggio dell’imprenditore onesto, capace ed efficiente, che viene estromesso dal mercato, mentre prosperano le ‘cricche’ di amici e parenti”.
Transparency, la più autorevole organizzazione internazionale in materia, colloca l’Italia al 63esimo posto della sua classifica, tra il Ruanda e la Georgia, ma “se depuriamo il fattore reddito, visto che normalmente nei paesi più poveri c’è più corruzione, risultamo secondi al mondo dopo la Grecia”. Eppure il governo Berlusconi non sembra percepire l’emergenza, né le possibilità di recuperare soldi in questo campo invece che dalle tasche dei soliti noti. “Un modo per farlo sarebbe l’imposta sui grandi patrimoni”, suggerisce il professore, “che in Italia sono anche frutto dell’economia illecita. Basti pensare che l’83 per cento degli affitti è percepito in nero, secondo un recente rapporto del ministero dell’Economia. E le rendite finanziarie, altro tipico sbocco del denaro accumulato in nero, finora sono state sempre tassate coi guanti bianchi”. Infine, la tassazione extra dei capitali scudati “sarebbe facilmente applicabile, demandando la riscossione alle banche che hanno gestito il rientro. Certo, la prossima volta nessuno aderirebbe più allo scudo, ma a me personalmente sembra una buona ragione in più per farlo”.
MAFIA. Giusto una settimana prima della manovra “lacrime e sangue”, il Consiglio dei ministri ha approvato il nuovo codice antimafia. Una grande occasione per aggredire con maggior vigore le immense ricchezze delle cosche. Un’occasione sprecata, hanno commentato invece molti osservatori, a cominciare dall’ex presidente della Commissione parlamentare Giuseppe Lumia. Anzi, un regalo ai boss, soprattutto la nuova nornativa sui beni mafiosi, che fissa un limite di 18 mesi tra il sequestro e la confisca, un tempo giudicato troppo breve, data l’estrema difficoltà delle indagini patrimoniali e gli esigui mezzi messi in campo dallo Stato. Così come rischia di vanificare molti sforzi la possibilità, per chi viene assolto dall’accusa di associazione mafiosa, di chiedere la restituzione del bene confiscato. Una misura all’apparenza garantista, che in realtà affossa l’intuizione di Pio La Torre sul doppio binario delle indagini penalli e di quelle patrimoniali.
Il nuovo codice antimafia “dimentica” un’altra richiesta univoca di chi si occupa di lotta alla mafia: la riforma del reato di voto di scambio, l’articolo 416 ter del codice penale che oggi punisce soltanto il politico che compra voti in cambio di soldi, un caso molto raro. Che cosa c’entra con i conti dello Stato? Molto, perché di solito il politico colluso “compra” il voto mafioso in cambio di appalti, forniture, assunzioni. Moltiplicando il caso singolo per la capillarità del controllo dei clan in ampie aree del paese (e non solo al Sud), si arriva a una voragine che ingoia denaro della collettività in cambio di opere e servizi scadenti, e a volte non realizzati affatto. “Avevamo chiesto che l’azienda mafiosa sorpresa in un cantiere pubblico dovesse anche restituire i soldi incassati dallo Stato”, ricorda Romani di Avviso pubblico. “Con la normativa attuale, invece, il cantiere si ferma e basta, con un doppio danno per i cittadini, che poi finiscono per pensare che la mafia dà lavoro e l’antimafia lo toglie. Ma il nostro suggerimento è caduto nel vuoto”.
EVASIONE E SOMMERSO. “Pagano i soliti noti”, è stato il commento più diffuso alla manovra bis. E’ scomparsa anche l’imposta di solidarietà ad hoc per i redditi da lavoro autonomo superiori ai 55 mila euro, un implicito tentativo di recuperare una piccola parte delle tasse evase dalla categoria. Qualche provvedimento è stato preso, sulla tracciabilità e sulle sanzioni a chi non emette fattura, ma appare poca cosa davanti alla prateria di miliardi che si aprirebbe di fronte a una seria caccia all’evasore. Invece, poco meno di un mese fa il direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera ha annunciato “meno controlli alle piccole e medie imprese”, sia pure con una “maggiore qualità”.
Intanto i giornali pubblicano gli sconcertanti redditi medi ricavati dalle dichiarazioni Irpef dei lavoratori autonomi: 46.200 euro per i dentisti, 46.700 per gli avvocati, 17.700 per i concessionari di automobili, 14.500 per i ristoratori, 14.300 per gioiellieri e orologiai. E così via. Il 12 agosto, a Firenze, La Guardia di finanza ha messo sotto inchiesta un’intera famiglia di imprenditori del tessile per una frode fiscale da 10,2 milioni di euro, basata su false fatturazioni e aggiramento dell’Iva. Una famiglia, 10 milioni di euro, e intanto si grattano le banconote da cento dal fondo del barile di chi deve dichiarare tutto.
L’evasione va anche in vacanza. E’ di questi giorni uno studio di Assoedilizia secondo il quale il 18-20 per cento delle presenze nelle strutture ricettive è in nero, con un gran fiorire di cartelli del tipo: “Non si accettano pagamenti con assegni e carte di credito”. Sempre a proposito di tracciabilità.