domenica 6 novembre 2011

Italia 2020, un Paese senza mestieri. A rischio 385 mila posti di lavoro.




Cgia di Mestre: allarme estinzione per sarti e falegnami. Mancato turn over di saperi e competenze.

Artigiani al lavoro al Teatro alla Scala di Milano (Ansa)
Artigiani al lavoro al Teatro alla Scala di Milano (Ansa)
MILANO – Trovare un falegname tra dieci anni? Per chi vive in città sarà come cercare un ago in un pagliaio. Andrà meglio con gli elettricisti? Macché. Soprattutto ristrutturare casa diventerà una corsa a ostacoli. Pochi piastrellisti e stuccatori. Rifare la facciata del palazzo? Bisognerà per forza di cose affidarsi alla manodopera immigrata che almeno mitiga questa fuga dai mestieri. Mancheranno i ponteggiatori. Manovali e carpentieri saranno merce rara. Ma almeno avremo a disposizione chi ci dà una mano con le faccende domestiche? Tutt'altro. Addetti alle pulizie con il contagocce, colf e badanti per i più anziani avranno maggiore potere contrattuale in un mercato in cui la domanda crescerà esponenzialmente (per via dell'invecchiamento della popolazione) e l'offerta comincerà a latitare, se non adeguatamente compensata da una massiccia immigrazione.
Il RAPPORTO – Scrive la Cgia di Mestre che nell'Italia del 2020 c'è il rischio di un mancato ricambio per oltre 385mila posti di lavoro. Una città di piccole-medie dimensioni a rischio estinzione. I saperi e le competenze manuali – tradizionalmente trasmesse per via ereditaria – dilapidate in poco più di una generazione. Dai baby-boomers ai Millennials, da una società che da agricola diventava industriale (e manifatturiera) a una post-terziaria il conto alla cassa sembra poter dare ragione ai detrattori della cosiddetta economia dei servizi. «Tornare alla terra!», il grido che da più parti comincia a sollevarsi per riappropriarsi di uno stile di vita, per così dire, più bucolico, sembra riverberarsi anche sulle dinamiche occupazionali. Mancheranno gli allevatori di bestiame nel settore zootecnico e anche i braccianti agricoli.
FUGA DALL'ARTIGIANATO – Ma sono soprattutto i mestieri manuali dell'artigianato a determinare questo «smottamento» di competenze. Nell'Italia che sul tessile e sul manifatturiero ha costruito la sua crescita economica il risultato è che si troverà sempre più con il lanternino sarti, pellettieri, valigiai, borsettieri. Con inevitabili ricadute sulla produttività e sull'export. Dice Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, che il problema è culturale: «Bisogna rivalutare il lavoro manuale e le attività imprenditoriali che offrono queste opportunità. Per molti genitori – prosegue – far intraprendere un mestiere al proprio figlio in un'azienda artigiana è l'ultimo dei pensieri. Si arriva a questa decisione solo se il giovane è reduce da un fallimento scolastico». In attesa di una rivoluzione culturale qualcosa si muove in termini legislativi. Il Testo Unico per l'apprendistato – diventato operativo alla fine di ottobre anche se in attesa di tutti i decreti attuativi – incentiva le aziende assumere giovani con questo particolare contratto di inserimento, consentendo particolari vantaggi fiscali e contributivi. Ancora poco, se mancano i giovani potenzialmente interessati
Fabio Savelli

Il "ristorante" degli italiani.



Qui vediamo un italiana che sta scegliendo cosa mangiare dal menù di un ristorante "slow food" dopo essere passata all'agenzia viaggi, per prenotare l'aereo per Antigua.
(Salvatore Danilo Peddis e Pat)


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Le cazzate di Berlusconi....

berlusconi ristoranti pieni e1320488092516 Berlusconi e i ristoranti pieni (vignetta)

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Mezzo milione per il La Russa show. - di Gianluca Di Feo



Una valanga di denaro pubblico gettato per manichini, televisori, modellini, bandierine e altra chincaglieria. Ecco tutti i costi della festa delle Forze Armate nel Circo Massimo, voluta dal ministro per celebrare se stesso, alla faccia della crisi. E il bello è che Roma ha un'intera città militare che poteva ospitare gratis l'evento.

Un tempo il Quattro novembre era il giorno in cui le caserme si aprivano: una festa di democrazia con i cittadini che potevano entrare nella vita dei militari. Ma il ministro Ignazio La Russa ha pensato di fare le cose in grande e trasformare il centro di Roma in una piazza d'armi ai piedi dei palazzi imperiali. Costosissima. I documenti riservati che L'Espresso pubblica in esclusiva dimostrano che per il week end di esibizione nel Circo Massimo si spenderà circa mezzo milione di euro. E questo in un momento in cui la crisi spinge la nazione sull'orlo della bancarotta.


Da una settimana su molte strade della capitale si incontrano convogli con carri armati e semoventi, che hanno mandato il traffico in tilt, mentre elicotteri atterrano davanti alla zona archeologica: una piccola replica della parata del 2 giugno. Come accade da tre anni, le forze armate mettono in mostra i loro mezzi di pace e di guerra, esibendoli in uno show con prezzi discutibili. La lista della spesa è impressionante. Si parte con settemila euro di bandierine. Oltre 25 mila euro per l'impianto di illuminazione, 3.650 per la ghiaia da spargere sul terreno, cinquemila per noleggiare la recinzione, 14 mila per affittare i wc chimici. Insolita l'uscita di 15 mila euro per il noleggio di pulman: le forze armate ne possiedono centinaia, a che servono questi rinforzi? Forse per garantire confort extralusso a qualche autorità che non è abituata ai sedili spartani dei normali torpedoni?


Che dire invece dei manifesti sugli autobus pubblici? Ne sono stati stampati cento, poi buttati via e rifatti perchè era cambiata la sede del concerto: 1.100 euro. Solo per "riparare e lavare" le bandiere tricolori sono andati via mille euro. E il rancio? Cinquemila di materiali da cucina "da impiegare al Circo Massimo". Stupiscono i tremila per "il funzionamento dei sistemi informatici": specificando che si tratta di "parti di ricambio" per le attrezzature impiegate nell'area. Difficile capire quali pezzi si logorino nei computer che serviranno per due giorni di festa nel centro di Roma: Esercito e Marina hanno sistemi informatici costruiti per funzionare in mezzo al deserto e sotto i bombardamenti ma temono di perdere i pezzi al Circo Massimo? 


Alcune voci appaiono singolari. Oltre 12 mila euro per la "stampa di banner per allestimento portale". duemila di materiale odontoiatrico, duemila di attrezzature tipografiche, 5.500 di "monouso e pulizia" per la mensa da campo. Insospettiscono i dodici manichini per "esposizione uniformi storiche" sono costati 6600 euro: 550 euro per sagoma, neanche fossero automi... Forse al vertice della Difesa dimenticano che a Roma esistono almeno cinque musei militari e centinaia di manichini pronti al trasferimento sul nuovo fronte: granatieri, carabinieri, fanti, carristi, genieri d'epoca, senza bisogno di arruolare altre reclute immoobili.


Anche la tecnologia è cara. Per noleggiare cinque tv color da 50 pollici escono cinquemila euro, tremila per un videowall, 6000 per allestire gli impianti elettrici, 2500 per "implementare l'impianto di diffusione sonora". C'è poi la tendona-tensostruttura, che è costata 28 mila euro. E l'esposizione dei modelli in scala reale di aerei da ventimila euro. Trentamila euro se ne vanno in rappresentanza e promozione. E quattromila per "spese di cancelleria, telefoniche e postali". 


Anche la truppa riceverà degli extra per la spedizione romana. Circa 18 mila euro di straordinari, 9000 per spese di trasporto e missione, Mille euro di "indennità di marcia" per l'Ottavo Reggimento Casilina: i tempi in cui i bersaglieri correvano senza sosta e senza supplementi forse sono superati dalla storia. Alla fine si contano 355 mila euro solo di uscite fuori bilancio. A cui vanno aggiunti i carburanti. E l'esibizione delle Frecce Tricolori che, meteo permettendo, segnerà i sette colli con il loro spettacolo di acrobazie. Non è chiaro invece se Ennio Morricone dirigerà gratuitamente la fanfara dei bersaglieri per il gran finale di Piazza del Popolo.


C'era bisogno di questo show? Le nostre forze armate hanno appena concluso una guerra voluta dal parlamento e dal capo dello Stato: la campagna in Libia dove Aeronautica e Marina sono state impegnate in pattugliamenti e nei più massicci bombardamenti della storia repubblicana. Sono impegnate in Afghanistan, dove giovedì si è combattuto alle porte del nostro comando di Herat. E garantiscono la pace in Libano e Balcani. E' giusto che vengano festeggiate. Ma non si capisce la necessità di questo doppione della festa del Due giugno, dove hanno già sfilato tutti i mezzi e tutti i reparti. Non era più efficace mantenere la tradizione delle caserme aperte? Alle porte di Roma esiste la città militare della Cecchignola, con mezzi, veicoli, cannoni, computer e cucine che funzionano tutti i giorni senza bisogno di spese ulteriori. La capitale è poi costellata di basi e ministeri, con le loro raccolte storiche, i modellini e i cimeli delle imprese epiche. Lo spreco di denaro pubblico per il campo d'armi nel circo degli imperatori tanto caro al ministro La Russa va invece a incidere su bilanci dove anche la Difesa stenta a tirate avanti.


Oggi molte caserme non riescono nemmeno a pagare la bolletta della luce. L'ordine del ministero è di saldare il conto solo quando arriva la minaccia di distacco per morosità. In un caso, nella base di un reparto del genio trasmissioni, sono stati allestiti i gruppi elettrogeni da prima linea per fronteggiare l'eventualità del distacco. Quanti conti si sarebbero saldati con il mezzo milione del La Russa Imperial Show?


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/mezzo-milione-per-il-la-russa-show/2165568


Leggi anche:


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/le-spese-per-la-parata-militare/2165585
http://speciali.espresso.repubblica.it/interattivi/numeri-armata/index.html
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Forze-disarmate/2126103
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/armamenti-la-super-casta/2160322
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/e-se-invece-tagliassimo-le-armi/2159634




"Sapeva che l’ostello in realtà era diventato hotel di lusso"




Ravenna, 4 novembre 2011 - Fra gli indagati nell’ambito dell’inchiesta per la gestione dei fondi del Giubileofinalizzati alla trasformazione dell’ex orfanotrofio in un ostello per giovani e pellegrini, c’è anche il vescovo monsignor Giuseppe Verucchi. La notizia è filtrata ieri, a indagine già conclusa. Il nome dell’alto prelato sembra sia stato iscritto solo recentemente nel registro degli indagati. Nel provvedimento con cui il gip ha autorizzato alcuni mesi fa, l’ultima proroga alle indagini, infatti, risultano solo i primi due nominativi iscritti, ovvero quelli di monsignor Guido Marchetti, tesoriere della curia e quello di Raffaele Calisesi, titolare della Ayr, la società che dal 25 gennaio 2005 ha assunto la gestione della struttura prima affidata all’Archidiocesi ravennate.
E sempre ieri si è appreso che l’ipotesi di reato formulata dal pm Monica Gargiulo, il magistrato titolare dell’indagine, è per tutti quella di malversazione ai danni dello Stato, un reato previsto dall’articolo 316 bis la cui pena va da sei mesi a quattro anni. La condotta punita è quella di chi avendo ricevuto finanzimenti pubblici «destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità».
Al momento nessuno dei tre indagati è stato sentito dal pm. Posto che un indagato ha il diritto di essere interrogato, se lo chiede, una volta che gli sia stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini, nel caso in questione, pur risultando scaduto il termine per effettuare indagini, il pm può ancora procedere all’interrogatorio degli indagati. E in questa ottica non si può escludere che ai tre venga presto notificato il cosiddetto avviso a comparire per rendere l’interrogatorio. Va da sè che gli interessati possono sempre avvalersi del diritto al silenzio anche in questa fase.
Ripercorriamo, per una migliore comprensione della vicenda, le tappe che vedono protagonista, negli anni fra il 1998 e il 2007, il ‘Galletti Abbiosi’. Il 20 marzo 1998 la Presidenza del Consiglio- Ufficio per Roma capitale, deliberò, assieme a tanti altri, il finanziamento di cinque miliardi di lire all’Archidiocesi, per la ristrutturazione dell’ex orfanotrofio di via di Roma 140 finalizzata alla realizzazione di un ostello per i pellegrini e che, concluso il Giubileo, avrebbe dovuto svolgere la funzione di struttura ricettiva a basso costo una-due stelle, vale a dire uno studentato. Il 9 giugno 1998 gli uffici comunali rilasciarono alla ‘Istitutizioni assistenze riunite Galletti Abbiosi’ la concessione edilizia n. 1050 per i lavori. Il 28 ottobre fu rilasciata una concessione in variante.
L’11 agosto 2000 il Sedrvizio commercio del comune autorizzò l’archidiocesi all’esercizio dell’ostello. Il 24 luglio 2001 la gestione passò all’Opera di Religione della Diocesi. Il 25 gennaio 2005 la gestione passò alla società Ayr. Il 16 novembre 2007 fra Ayr e Comune venne firmata la convenzione relativa alla gestione della struttura, così come previsto dall’atto unilaterale d’obbligo collegato alla concessione edilizia. Nella convenzione si faceva riferimento alla destinazione della struttura come studentato. Tant’è che della bozza della convenzione fu resa partecipe anche il polo universitario. Il fatto è che la struttura già allora (e fin dalla conclusione dei lavori di ristrutturazione) aveva le caratteristiche dell’albergo di lusso; di lì a poco, gli studenti, furono ‘cacciati’ e la struttura fu adibita esclusivamente ad albergo di gran classe. Pur senza averne la licenza perchè solo nell’agosto del 2010 il consiglio comunale ha approvato il nuovo Rue che prevede per quella zona un nuovo esercizio alberghiero.
Redazione.

Parlamentare vs cittadino



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sabato 5 novembre 2011

Genova, Berlusconi: “Si è costruito dove non si doveva”. Ma dimentica i suoi due condoni. - di Elena Rosselli

In una nota il premier stigmatizza l'eccessiva cementificazione della Liguria senza ricordare le sanatorie edilizie varate nel 2003 e nel 2009. Immediata la polemica. A livello locale il sindaco Pd Marta Vincenzi rivendica la scelta di non aver chiuso ieri le scuole: "Decisione provvidenziale". La mamma della 19enne morta: "Dovevano chiudere quei maledetti edifici".


Il sindaco di Genova Marta Vincenzi viene contestata durante la visita in via Fereggiano
“E’ evidente che si è costruito là dove non si doveva costruire”. A mettere nero su bianco queste parole, dopo l’alluvione che ha colpito Genova e ha visto la morte di quattro donne e due bambine, non è un ambientalista della prima ora, ma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Che per un giorno intero ha deciso di non dire nulla e tantomeno di farsi vedere nelle zone alluvionate. Ma che, 24 ore dopo la tragedia, decide comunque di emettere una nota. A far notare l’incoerenza, per primo, il responsabile Green economy del Pd Ermete Realacci: “Le parole di Berlusconi a commento della tragedia di Genova sono senza vergogna – spiega – Le migliaia di case abusive sono infatti il risultato deidue condoni (edilizi, nel 2003 e nel 2009, ndr) che portano la sua firma, provvedimenti che solo qualche giorno fa pensava di riproporre per l’ennesima volta tra le pieghe delle misure di risanamento finanziario del suo governo”.

E infatti, proprio a inizio ottobre, il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto aveva parlato di una doppia sanatoria – edilizia e fiscale – da inserire nella manovra finanziaria in via di approvazione. Un progetto messo da parte dopo la levata di scudi che aveva coinvolto non solo l’opposizione, ma anche parte della stessa maggioranza (Tremonti in primis), la Chiesa e Confindustria.

La frase di Berlusconi scatena immediatamente la polemica. Di “stupro dell’ambiente” parla il presidente della Camera Gianfranco Fini che, pur senza chiamare in causa il Cavaliere, attacca: “Nessuno può avere la presunzione che si possa stuprare l’ambiente senza che ci sia la vendetta della natura”. Il nome di Berlusconi viene pronunciato esplicitamente dall’Idv: “Quanto accaduto ieri a Genova, e solo dieci giorni fa alle Cinque Terre e in Lunigiana, è figlia degli ingentissimi tagli inferti da questo governo alla difesa del suolo per un miliardo di euro e di quella politica dei condoni edilizi ‘a gogò’ e delle sanatorie degli abusivismi con cui l’ineffabile duo Berlusconi-Tremonti ha caratterizzato la sua azione politica”, ha detto Antonio Borghesi, vicepresidente del gruppo Idv alla Camera. Il presidente della Regione Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni Vasco Errani chiede invece “prevenzione” e “risorse” perché “le scelte del governo, confermate dai tagli per realizzare le opere di conservazione e messa in sicurezza del territorio e dalla rigidità delle nuove norme sulla protezione civile, vanno purtroppo nella direzione opposta”.

Contro l’Italia “del cemento, del fango, senza legge, senza giustizia e senza vergogna” si scaglia il comico genovese Beppe Grillo con un post dal suo blog: “Oggi mi sento impotente. La distruzione di Genova era annunciata. E io non ho potuto fare nulla. Ho visto la mia città trasformata in fanghiglia con le auto che cadevano sul porto insieme alla pioggia e ai morti sapendo che si poteva evitare – scrive Grillo – L’Italia del Fango sta mostrando la sua faccia, il suo ghigno, il suo sberleffo. L’Italia Senza Giustizia che manda in galera chi denuncia”. Perché, spiega l’ideatore del Movimento 5 stelle, “il cittadino è solo, senza rifermenti, senza informazione, senza rappresentanti. L’Italia del Cemento – continua Grillo – lo sta seppellendo vivo”. E chiede: “Chi arresteranno ora per disastro colposo? I meteorologi? Persino di fronte al default dell’Italia non si arresta questa bulimia criminale, questo pasto immondo dei partiti sul corpo della Nazione. L’aria è gonfia di pioggia e di rabbia. Genova è tagliata in due come il Paese”.

E’ bufera sul sindaco di Genova: “Si dovevano chiudere le scuole”. A livello locale le polemiche si concentrano sul sindaco di Genova Marta Vincenzi, colpevole per i cittadini di non aver chiuso le scuole ieri. A chi  questa mattina, in via Fereggiano – la strada in cui ieri hanno perso la vita 6 persone – le urlava “dimettiti, vergogna, il primo cittadino ha ribattuto esattamente quanto dichiarato ai giornali il giorno prima in piena tragedia: “La scelta di mandare i bambini a scuola è stata provvidenziale – ha spiegato la Vincenzi – Immaginate cosa sarebbero stati 40mila bambini portati in macchina dai nonni, dai parenti o dagli amici in giro per la città durante l’alluvione”.

Difficile dimenticare però che le vittime di questa alluvione sono state travolte dalla “bomba d’acqua” proprio mentre andavano a prendere i loro figli o fratelli a scuola. E’ accaduto così per la 19enne Serena Costa inghiottita dall’acqua del torrente Fereggiano mentre tentava di riportare a casa il fratello 13enne. Stessa sorte è toccata ad Angela Chiaramonte, infermiera di 40 anni, morta per raggiungere il figlio Domenico al liceo Cassini, così vicino alla stazione Brignole e al Bisagno. E sempre dopo aver portato via dalla scuola ‘Giovanni XXIII’ la sua bambina Joia, è morta anche Shiprese Djala, donna albanese di 28 anni. Solo Evelina Pietranera, 50 anni, è morta per essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, dopo aver dato il cambio al maritoAttilio Toffi all’edicola di via Giacometti. “Le dovevano chiudere quelle maledette scuole, le dovevano chiudere – ha gridato a distanza, piena di dolore, la mamma di Serena, Rosanna Costa – Mi hanno chiamata dalla scuola di mio figlio e mi hanno detto di andarlo a prendere. Io ero al lavoro e non potevo così l’ho detto a mia figlia. Ma non l’ho più vista rientrare”.

Ma Marta Vincenzi non ci sta a dire ‘ho sbagliato’ e rivendica le scelte dell’amministrazione comunale: “Abbiamo avvisato la cittadinanza di non usare i mezzi privati. Ma ricordare i comportamenti da tenere in queste occasioni non è bastato. C’erano, in giro per la città, più auto di quelle che normalmente transitano sulle nostre strade”, dice il sindaco che anzi contrattacca: “Buonsenso, senso civico sono concetti che evidentemente non basta ricordare. Vanno intimati, fatti oggetto di divieti”. E mentre il presidente della Regione Claudio Burlando cerca di smarcarsi dalle polemiche con un pilatesco “è difficile decidere cosa fare”, il capo della Protezione civileFranco Gabrielli evoca il “patto sociale” necessario per “evitare che in certe situazioni i sindaci possano essere poi crocifissi” anche se ”le scuole di Genova ieri potevano essere tranquillamente chiuse per ridurre gli spostamenti”.

Ora la paura è tale che il Comune ha deciso di tenere chiusi gli edifici scolastici di ogni ordine e grado anche lunedì 7 novembre, giorno in cui è stato proclamato il lutto cittadino. Tommaso Pezzano, dirigente scolastico della scuola materna, elementare e media Giovanni XXIII nel quartiere di Marassi (quella frequentata dalla piccola Joia), spiega com’è avvenuto il coordinamento tra scuola e amministrazione: “Ci hanno mandato una nota dal Comune, poche righe: stato di allerta meteo due, ma che cosa significa? Tutto e nulla. E noi cosa avremmo dovuto fare? Nessuno ci dava indicazioni”. Nella comunicazione scritta del Comune di Genova, testualmente si legge: “Si invitano le famiglie a connettersi tempestivamente con i mezzi di comunicazione pubblici (Raitre, Emittenti televisive locali, sito del Comune) per acquisire informazioni su eventuali provvedimenti adottati a tutela della pubblica incolumità”. Peccato però che alle 11 la corrente elettrica fosse saltata in quasi tutta la città impedendo ogni forma di comunicazione. “Neppure i cellulari funzionavano – spiega Pezzano – e anche per questo molti genitori sono corsi a scuola per prendere i loro bambini, per portarli a casa”. Una corsa fatale.