domenica 20 novembre 2011

Ars, pensioni e stipendi d'oro ai burocrati buste paga doppie rispetto alla Lombardia. - di ANTONIO FRASCHILLA







Al segretario generale 13 mila euro al mese, il suo omologo a Milano ne prende 6.500. Un consigliere parlamentare con incarico di direttore guadagna 9.200 euro netti al mese, in Lombardia si ferma a 3.790.


PALERMO - Il palazzo d'oro non garantisce solo stipendi da favola, consentendo a un commesso di guadagnare più di un dirigente scolastico o a uno stenografo non laureato di guadagnare quattro volte di più di un insegnante di ruolo. Il Palazzo garantisce anche pensioni impensabili per qualsiasi altro dipendente pubblico. I numeri sono stati messi nero su bianco proprio dagli uffici del Palazzo in questione: per la prima volta l'Assemblea regionale rende note le cifre delle pensioni dei suoi ex dipendenti, qualifica per qualifica, con uno studio calcolato su 35 anni di contributi, il minimo per andare a riposo nell'amministrazione dorata del più antico parlamento d'Europa. 

E le cifre sono impressionanti, specie se confrontate con quelle di un altro organismo consiliare come il Consiglio regionale della Lombardia, il tutto grazie all'autonomia ma anche a scatti d'anzianità automatici riconosciuti dall'Assemblea che consentono incrementi stipendiali ben superiori a quelli dell'inflazione Istat. E se è incontestabile che la Sicilia ha uno Statuto autonomo e che l'Ars ha una storia centenaria, è anche vero che in un momento di crisi come questo giustificare il costo del personale dell'Assemblea siciliana, doppio rispetto a quello di una regione come la Lombardia, è davvero difficile. 

I dipendenti di Palazzo dei Normanni sono equiparati a quelli del Senato, in virtù della tanto vantata autonomia. Grazie a questa equiparazione, sancita nella prima seduta di Sala d'Ercole nel 1947, oggi le retribuzioni non sono minimamente comparabili con quelle degli altri organismi consiliari regionali del resto d'Italia, compresi quelli delle altre regioni a Statuto speciale. All'Ars un segretario generale, incarico ricoperto attualmente da Giovanni Tomasello, con 24 anni di anzianità ha uno stipendio netto tabellare pari a 13.145 euro al mese in 16 mensilità. Un suo pari del Consiglio regionale della Lombardia guadagna 6.590 euro netti in sole 13 mensilità. 

Molto meno della metà. Lo stipendio del segretario generale, carica che all'Ars è ricoperta da due persone, è maggiore anche di pari funzioni di consigli di altre regioni a statuto speciale: per esempio il segretario del Consiglio della Valle d'Aosta, Christine Perrin, guadagna 8 mila euro lordi al mese. Chiaramente con questo divario anche le pensioni risulteranno differenti, e di molto: un segretario generale con 35 anni d'anzianità all'Ars ha garantita una pensione di 12.263 euro netti al mese, in Lombardia di 5.931 euro.

Le cifre sono incomparabili anche per tutte le altre qualifiche: in Assemblea, a esempio, un consigliere parlamentare con incarico di direttore con 24 anni d'anzianità guadagna 9.257 euro netti al mese, un suo pari in Lombardia si ferma a 3.790, con il risultato conseguente che la vecchiaia per il primo sarà dorata, per il secondo un po' meno. Perché l'Ars garantirà a questo consigliere parlamentare una pensione di 9.715 euro netti al mese, il Consiglio della Lombardia di 3.411. Le differenze di retribuzione riguardano comunque tutte le qualifiche fino alla più bassa, quella dei commessi. Differenze di retribuzione dovute non solo alla "specialità" siciliana, ma anche al tipo di contratto.

Quello dei dipendenti dell'Ars prevede infatti scatti d'anzianità automatici, cosa impensabile in Lombardia: "Qui lo stipendio tabellare delle varie qualifiche non cambia in base all'anzianità e rimane sempre fisso - dicono dall'ufficio retribuzioni del Consiglio regionale lombardo - in questo modo un dipendente può avere aumenti di stipendio solo se con concorsi interni cresce di qualifica". Con questo meccanismo in Lombardia un commesso di massimo grado, cioè di categoria D3, può arrivare nella migliore delle ipotesi a guadagnare 1.566 euro netti al mese, che diventano 2 mila con un'indennità aggiuntiva che copre gli straordinari. Quando andrà in pensione questo commesso lombardo avrà un assegno mensile di 1.409 euro. Numeri che farebbero a dir poco sorridere i 120 commessi dell'Assemblea regionale, che con 24 anni d'anzianità arrivano a guadagnare 3.736 euro netti al mese e possono contare su una pensione dorata da 3.439 euro.

Nel dettaglio l'Ars garantisce pensioni elevate a tutti i suoi dipendenti: uno stenografo parlamentare avrà minimo 6.324 euro al mese, un coadiutore 4.184 euro e un tecnico amministrativo 3.746 euro. Netti, chiaramente. Ecco perché entrare a Palazzo dei Normanni è il sogno di tutti i siciliani: qui si rimane sempre al riparo dalle intemperie e si vive davvero fuori dal mondo.

sabato 19 novembre 2011

Schifani e l’Antitrust di famiglia. - di Carlo Tecce



A vigilare sul conflitto di interessi di Berlusconi arriva il fido Pitruzzella, che ha collaborato con lo studio legale intestato al figlio del presidente del Senato. Il nuovo presidente dell'Autorità garante della concorrenza è stato anche, per anni, consulente di Totò Cuffaro.


L’avvocato Giovanni Pitruzzella, 52 anni di Palermo, è il nuovo presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, meglio conosciuta come Antitrust. È il successore di Antonio Catricalà, andato a Palazzo Chigi come sottosegretario di Ma-rio Monti. L’investitura è ufficiale: scelta, come da regolamento, dei presidenti Re-nato Schifani (Senato) e Gianfranco Fini (Camera), stretta di mano, ampi sorrisi e fotografie istituzionali al Quirinale. Non male per il governo Monti di larghe intese. L’uomo che dovrebbe tra le altre cose vigilare sul conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi e di numerosi emuli italiani è un amico di Schifani al cubo: consigliere, avvocato, socio di famiglia.

Consulenze a raffica. Forse il governo Monti crede che per gestire il conflitto d’interessi sia necessario incarnarlo. Per conto di Schifani, offeso per una battuta di Marco Travaglio a Che tempo che fa, Pitruzzella ha chiesto al giornalista un milione e 750 mila euro, ottenendo dal giudice 16 mila euro. L’atto di citazione fu firmato da Pitruzzella e da Giuseppe Pinelli. Pinelli è il figlio di Nunzio Pinelli, che assieme al padre è socio di uno studio legale di rampolli con Roberto Schifani. Pitruzzella è un concentrato di consulenze perché insegna Diritto costituzionale a Palermo. È consulente giuridico di Raffaele Lombardo, governatore siciliano. Per Lombardo ha curato un parere su nove assunzioni in Regione ricevendo un compenso di 31 mila euro. E per la Regione Sicilia vanta un mucchio di incarichi: presidente in Commissione paritetica, consulente per la riforma dello Statuto speciale, consulente in Commissione bicamerale per le questioni regionali del Parlamento italiano. Non finisce qui. Fino a pochi giorni fa, Pitruzzella era consulente giuridico anche per il ministero della Salute di Ferruccio Fazio: incarico dal 14 gennaio 2010, 60 mila euro. E soprattutto, in carriera per gradoni, dal settembre 2009 è presidente di garanzia per la Commissione scioperi, ovviamente scelto dalla coppia Schifani-Fini. Prima di diventare presidente, tanto per cominciare, mentre il governo di B. si scioglieva, nel 2006 debuttò nella Commissione scioperi con una nomina last minute accompagnata dalle proteste dei sindacati: “Giudichiamo la scelta del tutto discutibile”.

L’onore di Cuffaro. A parte l’amicizia di Schifani, l’avvocato in Cassazione è stato per anni consulente del governatore Salvatore “Totò” Cuffaro, attualmente in carcere per i suoi rapporti con la mafia. Non si limitava a suggerire leggi e riforme, ha anche scritto un libro con Totò che pensava di candidarlo per le provinciali. Pitruzella & Cuffaro hanno dato alle stampe Il coraggio della politica. Mezzogiorno, federalismo e democrazia. Non è mancato coraggio a Schifani e Fini per indicare Pitruzzella, adorato a destra, apprezzato a sinistra. È stato anche l’avvocato in Sicilia di Vincenzo Visco, temuto ministro delle Finanze di Romano Prodi. Quando la Finanziaria nazionale obbligava i consiglieri palermitani di circoscrizione a ridursi il gettone – da 1. 200 euro ai più modesti 500 – l’avvocato Pitruzzella è intervenuto con un mega-esposto per 67 di loro. Il professore è in costante viaggio fra Palermo e Roma, amici politici di là, amici politici di qua. È socio di Magna Carta, la fondazione del senatore Gaetano Quagliariello (Pdl). Ed è proprio Quagliariello a vincere la corsa ai complimenti & congralutazioni, precedendo di un attimo Enrico La Loggia. Seguono a ruota: Confindustria, Regione Sicilia, Pdl, Api ma anche il Pd.

Indipendenza cercasi. Soltanto l’ex ministro Paolo Gentiloni si lascia sfuggire un dubbio: “Mi auguro che abbiano fatto la scelta più opportuna anche sotto il profilo dei requisiti necessari per un incarico così rilevante”. Siamo sicuri? La legge che istituisce l’Autorità (n. 287 del 1990) prevede che il presidente sia “scelto tra persone di notoria indipendenza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo”. Non parliamo della “notoria indipendenza”. Escluse le consulenze, il curriculum di Pitruzzella è quello che è. Sarà il successore di Francesco Saja, ex presidente della Corte costituzionale; di Giuliano Amato, ex presidente del Consiglio; Giuseppe Tesauro, ex avvocato generale presso la Corte di giustizia europea. Proprio Tesauro concluse un’indagine sul dominio televisivo di Mediaset, prontamente dimenticata da
Catricalà. Chissà se Pitruzzella aprirà quel cassetto.

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Ora Putin se la prende coi bimbi. - di Giancarlo Castelli



Vladimir Putin


Il Cremlino ha trovato un nuovo metodo per zittire gli oppositori: minacciarli di togliergli i figli se non la smettono di disturbare. Spesso con accuse inventate o provocate da lettere anonime.


I leader dell'opposizione in Russia come moderni Erode che picchiano i loro stessi figli, li lasciano senza cibo o li abbandonano in strada. Perciò, la solerte polizia russa è costretta ad intervenire portandosi via letteralmente i bambini, minacciando poi di revocare la patria potestà ai legittimi genitori. 

Inutile dire che gli attivisti respingono queste accuse definendo questa pratica come l'ultima frontiera della pressione psicologica forse pensata da qualche think-tank contro chiunque si oppone al manovratore del Cremlino. La dinamica è semplice: può partire da una lettera anonima di un'anziana vicina, o semplicemente dalla partecipazione a manifestazioni di piazza o da un articolo di giornale sgradito. A quel punto scatta l'operazione degli uomini in uniforme.


L'ultimo caso in ordine di tempo è del 31 ottobre scorso, in occasione della protesta per l'articolo 31 della Costituzione russa (quello sulla libertà di manifestazione). Sergej Aksenov, leader di "Altra Russia", viene fermato nella centrale piazza Triumfal'naja di Mosca per manifestazione non autorizzata. Il suo bambino Vanja di sei anni attende lontano insieme alla baby sitter, una ragazza di sedici anni. Gli Omon (la temibile polizia antisommossa) portano i due minori in commissariato e li tengono per ore. Vengono anche interrogati. Al padre fanno sapere che potrebbero togliergli la patria potestà. 


Dopo diverse ore (la ragazza affermerà di essere stata minacciata di violenze) i due minori vengono rilasciati dopo essere stati per ore in mano agli uomini (tutt'altro che teneri) della sezione speciale antiestremismo nota come Tsentr E. Novaja gazeta ha pubblicato addirittura il verbale dell'interrogatorio al piccolo Vanja che sottoscrive una deposizione che comincia così: "In merito alle domande fattemi, posso fornire le seguenti spiegazioni...". 



Un linguaggio certamente non consono per un bambino di quell'età che a malapena sarà stato in grado di firmarlo quel verbale ma che non ha suscitato il minimo scandalo nei membri del Consiglio generale sul comportamento degli organi di polizia che, anzi, hanno elogiato il comportamento delle forze dell'ordine per aver trattenuto il bambino in commissariato e non averlo lasciato incustodito. Nulla, invece, sul fatto che il padre di Vanja, pur trovandosi trattenuto nella stessa stazione (ma in un altro ufficio) non fosse stato chiamato a presenziare all'interrogatorio del suo figlioletto.


Non è necessario, però, essere fermati durante una manifestazione per mettere in moto tale pressione psicologica. A volte basta una lettera anonima: come quella inviata alla polizia di Khimki da parte di un'anziana particolarmente solerte. Aveva denunciato per maltrattamenti la sua vicina di casa Evghenija Chrikova che così ricevette la visita inaspettata degli agenti a casa (secondo la lettera, le due bambine di 10 e 6 anni venivano sistematicamente picchiate, ed erano malnutrite e malvestite). La Chirikova è la leader del Comitato per la difesa dell'omonimo bosco che rischia di essere letteralmente spinato per far posto a un tratto dell'autostrada Mosca-S.Pietroburgo.

Capita l'antifona, Evghenija si barricò in casa e lanciò l'allarme attraverso i social network fino a che gli agenti furono costretti a desistere. La polizia ha sempre negato che la loro intenzione fosse quella di portare via le bambine. Poco tempo dopo, però, una vicenda simile accadde proprio ad un'amica di Chirikova, Alla Chernyshova. Anche lei attivista del Comitato per Khimki, venne portata in commissariato molti giorni dopo aver partecipato ad una protesta nel bosco per fermare le ruspe. Le sue due bambine di 6 e 4 anni che erano con lei, furono tenute per ore in un'ala della stazione di polizia, lontana dalla madre, impedendole di vederle fino al suo rilascio. Le bambine, riconsegnate bagnate e infreddolite, raccontarono di aver passato tutto il tempo in una piccola stanzetta, controllate da una poliziotta che "fumava pesante" in quello spazio così angusto.



Chiunque si è opposto al disboscamento di Khimki, prima o poi l'ha pagata. Come i giornalisti Mikhail Beketov e Oleg Kashin, vittime di feroci pestaggi (il primo ha perso l'uso delle gambe, una delle quali fu percossa fino ad essere scarnificata e ora è sostituita da una protesi di metallo. Il secondo rimase in coma per settimane. Entrambi avevano scritto articoli di denuncia contro l'amministrazione di Khimki che benedì la costruzione dell'autostrada). Ma è il "kidnapping di Stato", la pratica più diffusa di dissuasione. Alla direttrice del centro per bambini "Victoria", sfrattato proprio per i lavori di costruzione, avevano minacciato di portare via alcuni bambini orfani che aveva adottato. La donna fu costretta a fare marcia indietro. 

Alcuni ragazzini "reporters in erba" tra i 13 e i 14 anni, piccoli redattori del Zhukovskie vesti, autore di una campagna contro la distruzione del bosco di Zagovskij per la costruzione di centri commerciali, furono "arrestati" da una ventina di poliziotti per aver esposto nel bosco alcuni banner di cartone. Anch'essi vennero rilasciati dopo alcune ore. Uno dei casi più clamorosi, però, è quello accaduto a Oleg Vorotnikov, leader del gruppo situazionista Vojnà (autori del disegno di un pene di 65 metri sulla facciata della Lubjanka): durante una manifestazione non autorizzata dello scorso febbraio Oleg, col suo bambino di due anni in braccio, venne percosso dagli Omon e alla fine, come testimoniato da un video, sbattuto a terra mentre alcuni agenti gli strappavano via il bimbo terrorizzato e in lacrime. Per riprenderselo, al padre occorsero diversi giorni.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/ora-putin-se-la-prende-coi-bimbi/2166390

L'otto per mille e la Santa cresta. - di Stefano Livadiotti



Grazie al contributo fiscale lo Stato italiano versa più di un miliardo l'anno per pagare gli stipendi dei preti. Per i quali però bastano 361 milioni. E le altre centinaia? In un'inchiesta, tutta la verità su business e privilegi del Vaticano. Ecco un'anticipazione.


Trentunomila e 478 euro virgola qualcosa. E' la somma che lo Stato, quindi l'intera platea dei contribuenti, ha versato nel 2010 per il mantenimento di ognuno dei 33 mila e 896 sacerdoti in servizio attivo nelle diocesi del Paese. Il totale fa un miliardo e 67 milioni di euro, l'importo del cosiddetto 8 per mille (salito nel 2011 a un miliardo, 118 milioni, 677 mila, 543 euro e 49 centesimi). E l'assegno l'ha incassato la Chiesa, attraverso la Conferenza episcopale. Che poi a ciascuno di quei preti ha girato direttamente solo 10.541 euro, un terzo di quanto ha stipato nei propri forzieri. L'espressione è un po' forte, ma i numeri sono numeri: e dicono che i vescovi fanno la cresta sullo stipendio dei loro sottoposti. 

Wojtyla, si sa, non amava granché Agostino Casaroli. Considerava il suo segretario di Stato troppo amico dei regimi comunisti dell'Est. Quasi un propagandista. E per questo si scontrava spesso con lui. Invece avrebbe dovuto fargli un monumento equestre. Perché la revisione del Concordato che Casaroli trattò con l'allora premier italiano, Bettino Craxi (in sostituzione della "congrua", il salario di Stato garantito ai parroci), è stata di gran lunga il miglior affare che la Chiesa abbia portato a casa nella sua storia più recente. Funziona così. Un po' come in un gigantesco sondaggio d'opinione, ogni anno i contribuenti, mettendo una croce sull'apposita casella nella dichiarazione dei redditi, possono indicare come beneficiaria dell'8 per mille una delle confessioni firmatarie dell'intesa con lo Stato (o scegliere invece quest'ultimo). 

Sulla base delle indicazioni effettivamente raccolte, viene poi diviso in percentuale non il solo ammontare versato da quanti hanno espresso una preferenza (il 40 per cento circa del totale), ma l'intero montepremi.

Al gruzzolo concorrono, cioè, anche i versamenti all'erario di coloro che, maggioranza assoluta, non hanno barrato   un accidenti (quattrini che nella cattolicissima Spagna restano invece allo Stato). O che magari non hanno neanche mai sentito parlare del trappolone a suo tempo confezionato da Giulio Tremonti nelle vesti di consulente del governo. Il meccanismo, guarda caso, sembra ricalcato da quello scelto dai partiti per i rimborsi elettorali garantiti dal finanziamento pubblico. Il risultato dell'arzigogolo è facilmente intuibile. Anche perché perdere una sfida con lo Stato italiano davanti a una giuria popolare è matematicamente impossibile. Tanto più se lo stesso sedicente avversario ha stabilito regole che lo penalizzano in partenza. E ancor più se durante la gara cammina invece che correre (la Chiesa si affida a un gigante mondiale come la Saatchi & Saatchi per una martellante campagna pubblicitaria costata nel 2005 qualcosa come 9 milioni di euro, il triplo di quanto donato dai preti alle vittime dello tsunami; lo Stato risulta non pervenuto). Ma il vantaggio per la Chiesa va perfino al di là di quanto si possa intuire. 



Per quantificarlo bisogna necessariamente affidarsi a dati un po' vecchiotti, per il semplice motivo che il ministero dell'Economia fornisce le statistiche sulle scelte effettive dei contribuenti solo alle confessioni religiose ammesse al beneficio. Non è però un problema, dal momento che le percentuali variano in maniera quasi impercettibile tra un anno e l'altro. Dunque: nel 2004 la Chiesa è stata scelta da una minoranza pari al 34,56 per cento dei contribuenti italiani. Ma lo stesso dato, calcolato invece sulla sola platea di quanti hanno ritenuto di dare un'indicazione sull'8 per mille, l'ha fatta schizzare di colpo, e miracolosamente, a una schiacciante maggioranza dell'87,25. Ed è quest'ultima la percentuale utilizzata per ripartire l'intera torta. Che è destinata inevitabilmente a crescere. Il suo valore, infatti, si aggancia ora alla variazione del Pil, cioè alla crescita economica, ora all'aumento della pressione fiscale. Quando non ai due elementi insieme. 

Questo garantisce alla Chiesa di incassare sempre più quattrini, a prescindere dal consenso racimolato. E perfino quando questo scende in maniera vistosa. E' successo, per esempio, nelle dichiarazioni dei redditi del 2007 (incassate nel 2010: c'è uno sfasamento temporale di tre anni). Quell'anno, forse sulla scia dello scandalo pedofilia, il numero dei contribuenti che ha indicato come beneficiari Ratzinger & C. si è ridotto, secondo i calcoli degli stessi vescovi, di 95.104 unità.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/lotto-per-mille-e-la-santa-cresta/2166754

Leggi anche:
http://espresso.repubblica.it/dettaglio//2166758
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/quanto-paghiamo-per-la-chiesa/2158813
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/la-santa-evasione/2159411

Libia, catturato Saif al-Islam Gheddafi. Folla tenta linciaggio. L'Aja: "Datelo a noi"



Saif al-Islam Gheddafi (Xinhua)


Tripoli - (Adnkronos/Aki/Ign) - Il figlio del defunto leader libico, ultima icona del regime, è stato arrestato nel sud del Paese (VIDEO). E' ricercato per crimini contro l'umanità. Il Tribunale penale internazionale: "Consegnatecelo". Il Cnt: "Resta qui, ma avrà un giusto processo". Festeggiamenti nelle strade (Diretta Al Jazeera). Gli ultimi istanti del rais: ''Non sparate'' (VIDEO 1 - 2)


Tripoli, 19 nov. - (Adnkronos/Aki/Ign) - Saif al-Islam Gheddafi, figlio del defunto leader libico Muammar Gheddafi, e' stato catturato insieme a due collaboratori ''nella regione di al Obari'', nel sud della Libia.
Saif, stando a Mohammad al-Alaqi, esponente del Cnt citato da al-Arabiya, sarebbe stato arrestato mentre tentava la fuga verso il Niger ed è stato trasferito a Zintan. La tv libica al-Ahrar ha trasmesso le immagini di Saif al-Islam dopo la cattura. Nel video, girato con un cellulare, il figlio di Gheddafi appare vivo con la mano destra fasciata. Una folla inferocita ha tentato di assaltare l'aereo su cui Saif veniva trasportato da al Obari a Zintan.
Il figlio del colonnello è ricercato dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l'umanità. Dall'Aja il Tpi ha fatto sapere di aver ricevuto conferma dalle autorita' libiche della cattura di Saif al-Islam. ''Ci stiamo coordinando con il ministero libico della Giustizia affinche' ogni circostanza riguardo l'arresto di Saif al-Islam rispetti la legge'', ha detto un portavoce del Tpi.
E dopo le polemiche internazionali per il brutale assassinio di Muammar Gheddafi da parte dei ribelli, ora il ministro della Giustizia del Cnt libico, Mohammad Alalaqi, assicura che il figlio del colonnello avrà un ''processo giusto, sulla base degli standard internazionali''. ''Ci coordineremo con il Tribunale penale internazionale per il processo'', ha detto il ministro.
Il presidente del Tribunale dell'Aja, Luis Moreno Ocampo, ha detto che si rechera' a Tripoli la prossima settimana per discutere del processo di Saif al Islam. Una sua portavoce inoltre ha dichiarato che la Libia ha il dovere legale di collaborare con il Tpi e che il figlio del defunto rais libico deve essere trasferito all'Aja.
Un appello è stato lanciato anche da Amnesty International, secondo cui Saif al Islam "deve essere consegnato al Tpi e la sua sicurezza e i suoi diritti devono essere garantiti". Secondo Hassiba Hadj Sahraoui, vice direttore dell'ufficio di Medio Oriente e Nord Africa, il figlio di Gheddafi deve "rispondere dei suoi crimini in un giusto processo che non preveda la pena di morte".
Col diffondersi della notizia della sua cattura, i libici sono scesi in strada per festeggiare. Al-Jazeera riferisce di festeggiamenti nella citta' costiera di Misurata. Scene di giubilo e spari in aria anche a Tripoli, riporta la Bbc, con caroselli di macchine per le strade piene di libici armati di bandiere.
Saif al-Islam e' l'ultimo esponente di spicco della famiglia Gheddafi a essere catturato o ucciso in Libia.

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Libia-catturato-Saif-al-Islam-Gheddafi-Tentava-di-fuggire-verso-il-Niger_312662350866.html

San Raffaele, inchiesta sulla banacarotta I voli spericolati di Don Verzè. - di Antonella Mascali







L'ex capo del San Raffaele non gradiva i check-in, venti milioni per l'aereo privato. Ieri interrogatorio fiume per Piero Daccò, il faccendiere arrestato nei giorni scorsi. Su di lui il sospetto di aver creato fondi neri per conto della dirigenza dell'ospedale milanese

Un capriccio del dominus del San Raffaele di Milano, don Luigi Verzé, avrebbe contribuito al buco da oltre un miliardo e mezzo dell’istituto ospedaliero. Almeno, è questa la chiave che usa una testimone ascoltata dai pm Luigi Orsi, Laura Pedio e Gaetano Ruta, per spiegare l’acquisto di un aereo da “quasi 20 milioni di euro”. Alessia Zacchia, racconta che nel 2007 don Verzé, conMario Cal (il vicepresidente morto suicida a luglio) presero quella decisione perché il sacerdote non voleva fare la coda ai check-in. “Convengo – dice imbarazzata – che si è trattato di un’operazione sopra le righe… Don Verzé, vista l’età, non accetta dei normali check-in quando viaggia in aereo. Convengo che non è una motivazione seria per fare una spesa così enorme”.

Secondo le indagini della procura e della polizia giudiziaria della Finanza, però, nell’acquisto di quell’aereo è coinvolta anche una società riconducibile a Piero Daccò, consulente del San Raffaele, senza incarichi ufficiali, vicino a Cl, amico di Roberto Formigoni. I PM riportano la nota delle fiamme gialle del 24 ottobre scorso nella quale “viene analizzato quanto la Fondazione ha speso per l’operazione Assion, circa 20 milioni di euro” e ricostruisce che dietro la società Assion, che ha acquistato “un aereo Bombardier modello Challenger 604”, c’è la “Norconsulting”, società riconducibile a Daccò.

E’ lui l’uomo sospettato di costituire fondi neri, forse anche per finanziare politici per conto dei vertici del San Raffaele. Oggi il gip, Vincenzo Tutinelli, si pronuncerà sul suo fermo, avvenuto martedì per pericolo di fuga. Ieri, interrogato per oltre 7 ore nel carcere di Opera, Daccò ha respinto l’accusa di volersi rifugiare in Israele e ha fornito la sua versione sulle 4 operazioni contestate da 4 milioni e 300 mila euro. I pm, coordinati dal procuratore aggiunto, Francesco Greco, ritengono che Daccò fosse un finto consulente. Una parte dei soldi che ha preso, li avrebbe distribuiti per conto del San Raffaele. E sul tragitto della montagna di soldi in contanti, sia il provvedimento di fermo che la richiesta di convalida, contengono molti omissis. Qualcosa, però, emerge. Il 4 novembre, come riportato dal Corriere della Sera, Pierino Zammarchi (titolare con il figlio di Diodoro-Metodo), intercettato, confida a un amico quanto detto dal figlio Gianluca: “Io vado là e gli racconto tutto. Che il Mario (Cal, ndr) diceva che dava dei soldi ai politici”, attraverso Daccò. Zammarchi padre, però, fa notare al figlio che si tratta di un racconto de relato: “Non hai le prove, porco cane!”.

Anche Valsecchi, indagato per concorso in bancarotta e false fatturazioni, ammette il metodo delle fatture gonfiate con rientri in nero. Racconta di aver visto gli Zammarchi dare denaro a Cal e che Cal gli aveva detto che era per Daccò. Ma è Stefania Galli, segretaria di Cal, a entrare nel dettaglio: “Le consegne delle buste da parte di Pierino Zammarchi al dottor Cal sono iniziate orientativamente nel 2005…”. Poi descrive le buste: “Erano dell’altezza di 3-4 centimetri e contenevano banconote da 500 euro”. Rivela che era lei a conservarle in una “cassaforte” della vice presidenza e poi, nella cassaforte “dell’albergo Rafael”. Secondo Galli, se non c’era Cal, le mazzette erano affidate a Valsecchi. Nelle mani dei pm c’è anche il notebook di Cal con 20 mila e-mail intestate fittiziamente alla segretaria. E soprattutto, scrivono, sono stati estratti “alcuni file particolarmente significativi” in riferimento a società riconducibili a Daccò. L’inchiesta sul quasi crac del San Raffaele, inevitabilmente, ha avuto ripercussioni in Regione Lombardia che garantisce all’ospedale 450 milioni di euro all’anno di rimborsi pubblici. Sel ha proposto una commissione d’inchiesta con l’accordo di Pd e Udc. Ma Formigoni non la vuole: intralcerebbe il lavoro della procura. Prende anche le distanze da Daccò: “Non aveva nessun rapporto con la Regione Lombardia. Può darsi che esponenti della Regione lo abbiano incontrato”, se lo ha mandato in rappresentanza il San Raffaele. Il governatore parla di Daccò come se fosse uno sconosciuto. Eppure, è stato anche ospite su uno degli Yaught dell’uomo d ’ affari.