Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 3 aprile 2012
La raccomandazione internazionale per la fidanzata dell'uomo politico. - di Giuseppe Caporale
Raccomandati
Vice presidente dell'Abruzzo scrive al vice ministro albanese per favorire l'associazione di danza della compagna. La lettera finisce agli atti di un'inchiesta e la procura dell'Aquila indaga l'esponente del Pdl per corruzione: "Quel favore in cambio di consulenze". La replica: "Un equivoco..."
PESCARA - Una lettera di raccomandazione internazionale per favorire la convivente di un politico. Destinatario, il vice ministro albanese Nora Malaj. Mittente, il vice presidente della Giunta regionale dell'Abruzzo, Alfredo Castiglione (Pdl). L'oggetto, una raccomandazione per l'associazione di danza gestita della compagna di Castiglione in cerca di una "convenzione" per una "collaborazione di lunga durata" con l'Accademia di danza di Tirana.
"Signor vice ministro - scrive Castiglione - facendo seguito all'incontro del 14 gennaio 2011 sono a manifestare con la presente l'interesse della Regione Abruzzo a collaborare con codesto Ministero al fine di sviluppare una fattiva collaborazione in ambito culturale. Penso, infatti, che la cultura rappresenti un importante fattore di sviluppo economico e auspico uno scambio di esperienze foriero di una crescita culturale reciproca che possa dare un contributo importante alle economie dei nostri Paesi".
E dopo questa generica premessa, Castiglione nella lettera entra nello specifico dello "scambio culturale".
"In particolare - continua la missiva su carta intestata della Giunta - attesa la rilevanza dell'Accademia di danza di Tirana, si rileva la valenza di una collaborazione con l'associazione Rassjanka con sede in Pescara per finalizzare una convenzione per definire una collaborazione di lunga durata nel campo della danza. Ringraziandola per la collaborazione che vorrà accordarsi, le porgo i miei più cordiali saluti". Firmato il vice presidente della Giunta regionale.
"Signor vice ministro - scrive Castiglione - facendo seguito all'incontro del 14 gennaio 2011 sono a manifestare con la presente l'interesse della Regione Abruzzo a collaborare con codesto Ministero al fine di sviluppare una fattiva collaborazione in ambito culturale. Penso, infatti, che la cultura rappresenti un importante fattore di sviluppo economico e auspico uno scambio di esperienze foriero di una crescita culturale reciproca che possa dare un contributo importante alle economie dei nostri Paesi".
E dopo questa generica premessa, Castiglione nella lettera entra nello specifico dello "scambio culturale".
"In particolare - continua la missiva su carta intestata della Giunta - attesa la rilevanza dell'Accademia di danza di Tirana, si rileva la valenza di una collaborazione con l'associazione Rassjanka con sede in Pescara per finalizzare una convenzione per definire una collaborazione di lunga durata nel campo della danza. Ringraziandola per la collaborazione che vorrà accordarsi, le porgo i miei più cordiali saluti". Firmato il vice presidente della Giunta regionale.
La lettera è stata sequestrata alcune settimane fa dalla squadra mobile di Pescara nell'ambito di un'inchiesta su consulenze e appalti pubblici - secondo l'accusa pilotati e gonfiati - legati a una società (Ecosfera) che gestiva progetti internazionali. L'ipotesi degli investigatori a carico di Castiglione è corruzione aggravata ed è sintetizzata nell'ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari dell'Aquila Marco Billi: "L'attività tecnica - scrive il giudice - ha fatto emergere l'interesse di natura privata che Castiglione perseguiva nella vicenda consistente nel conseguimento di vantaggi in favore dell'associazione della convivente Marina Kozina, direttrice dell'associazione Rassjanka". Ulteriori verifiche della polizia hanno fatto emergere come la stessa associazione sia stata destinataria di alcuni contributi pubblici (complessivamente quasi ventimila euro) tutti provenienti da amministrazioni di centrodestra.
Venuto a conoscenza dell'inchiesta, il vice presidente della Giunta regionale dell'Abruzzo è intervenuto con una nota per "affermare pubblicamente la propria totale estraneità, in termini oggettivi e soggettivi, all'ipotesi di accusa formulata dal pm nei propri riguardi" e per "dichiarare di non aver mai inquinato l'esercizio delle proprie funzioni e attività pubbliche e istituzionali connesse e correlate alle predette cariche con il perseguimento di interessi di carattere privatistico".
"In particolare - aggiunge Castiglione - comunico di non essermi mai adoperato per favorire il raggiungimento di obiettivi di asserite associazioni illecite e di non aver mai speso la mia autorevolezza e la mia influenza politico-istituzionale per l'aggiudicazione pilotata di commesse pubbliche. Ho motivo di ritenere che l'indagine a mio carico e l'ipotesi di accusa formulata nei miei confronti siano derivate da un equivoco che mi propongo di chiarire al più presto, presentandomi non appena possibile dinanzi al magistrato inquirente per spiegare i motivi della mia estraneità alla vicenda".
http://www.repubblica.it/cronaca/2012/04/02/news/raccomandazione_vice_presidente_abruzzo-32633653/?ref=fbpr
Lega, indagato il tesoriere Francesco Belsito.
Umberto Bossi e, a destra, Francesco Belsito
Con i militari anche il pm napoletano Henry John Woodcock.
MILANO - Carabinieri e uomini della Gdf si sono presentati stamani nella sede della Lega in via Bellerio a Milano. La perquisizione in corso riguarda a quanto si è appreso una inchiesta relativa alla vicenda degli investimenti in Tanzania effettuati dal tesoriere del partito Francesco Belsito, il quale risulta indagato per appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato. Oltre alla Guardia di Finanza i carabinieri che oggi si sono recati in via Bellerio sono quelli del Noe, il Nucleo Operativo Ecologico di Roma e con loro c'é il pm napoletano Henry John Woodcock.
Stamattina nell'ambito delle indagini coordinate dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai pm Paolo Filippini e Roberto Pellicano, come spiega una nota firmata dal procuratore della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati, "sono state eseguite perquisizioni nei luoghi in disponibilità degli indagati, nonché di soggetti loro collegati". La procura della Repubblica di Milano, si legge ancora nella nota, "procede per il reato di appropriazione indebita aggravata a carico di Belsito Francesco, Scala Paolo e Bonet Stefano, con riferimento al denaro sottratto al partito politico Lega Nord".
I pm procedono "inoltre per il delitto di truffa aggravata ai danni dello stato a carico dello stesso Belsito con riferimento delle somme ricevute a titolo di rimborso spese elettorali". La procura, infine, procede "per truffa ai danni dello Stato a carico di Bonet Stefano e Belsito Francesco con riferimento alle erogazioni concesse allo Stato sotto forma di credito di imposta in favore della società Siram Spa con sede a Milano". I presunti reati sarebbero stati commessi "in Milano e altrove dal 2010 al gennaio 2012". L'attività di indagine, conclude la nota, "é svolta in coordinamento con le procura di Napoli e Reggio Calabria".
Le perquisizioni in corso nella sede della Lega e in quelle di società e aziende sono coordinate dalle procure di Napoli, Milano e Reggio Calabria. Per quanto concerne l'indagine degli inquirenti partenopei l'ipotesi di reato formulata è di riciclaggio. A quanto si è appreso l'inchiesta della procura di Napoli scaturisce dall'indagine che portò al coinvolgimento del direttore dell'Avanti! Valter Lavitola e dell'imprenditore barese Gianpaolo Tarantini. I magistrati di Napoli sono alla ricerca di prove in relazione al presunto riciclaggio e indagano in particolare sui rapporti tra un imprenditore veneto e il tesoriere della Lega Francesco Belsito. Fonti della procura precisano che tuttavia la Lega non è coinvolta in attività di riciclaggio.
Ville di Antigua, una firma e una garanzia Così Berlusconi sbloccò l'operazione. - di Walter Galbiati e Emilio Randacio
Nelle carte dell'inchiesta Arner, il banchiere della Popolare di Sondrio racconta come ha raccolto la fideiussione del premier a un ex fallito. Per la banca non contava dove andavano quei soldi e per quale operazione. Bastava la firma di Berlusconi. Ora la procura ha chiuso le indagini contestando un danno per il Fisco DI 30 milioni di euro e riciclaggio.
MILANO - Non importa se i soldi vengono concessi a un bancarottiere qualsiasi, se l’operazione per cui servono ha poco senso dal punto di vista imprenditoriale e se quei denari vanno e vengono dall’Italia all’estero in barba a qualsiasi segnalazione prevista dalle normative antiriclaggio. Basta che a garantire il fido ci sia la firma di un soggetto «capiente». E capiente l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi, lo è sicuramente. A ricostruire come la Popolare di Sondrio, sulla carta una delle migliori banche italiane, abbia sborsato 10 milioni di euro a Giorgio Rivolta, grazie alla garanzia di Berlusconi per la costruzione delle ville ad Antigua, è Francesco Rota, direttore della sede di Milano della banca valtellinese e capo area di Genova e Torino. Uno meticoloso, preciso che annota tutti gli appuntamenti sulle agende e le conserva per molti anni.
È l’8 maggio 2008, quando Rota viene convocato in via Paleocapa dall’amministratore delegato della Fininvest, Pasquale Cannatelli. Una convocazione che non stupisce Rota perché i rapporti con l’azienda del premier sono «consolidati e storici». È presente anche Silvano Spinelli, il “cassiere factotum” di Berlusconi, reso celebre dai pagamenti a Ruby e alle “Olgettine”. È lui a fissare il successivo appuntamento ad Arcore, presso la villa di Berlusconi. «Cannatelli - mette a verbale Rota il 27 gennaio 2011 - mi raccontò che era in corso un’operazione immobiliare ad Antigua con la costruzione di ville di lusso e che il cavaliere Berlusconi era interessato a comprare due ville per un prezzo di circa 15 milioni di euro. Mi presentò Rivolta come dominus dell’operazione. Rivolta operava attraverso la Siti. Cannatelli mi disse che vi era l’esigenza di finanziare 10 milioni di euro e mi chiarì da subito che Rivolta non era in grado di accedere autonomamente al credito anche perché aveva avuto dei problemi in passato. Cannatelli mi disse che Berlusconi era disposto a rilasciare una garanzia personale pari all’importo finanziato, a condizione che non fosse di prima richiesta, ma contro garantisse la fideiussione personale di Rivolta».
Viene attivata la procedura d’urgenza e, visti gli importi in gioco, viene chiamato in causa il consiglio di amministrazione della banca. «La ragione dell’affidamento - chiarisce Rota - appoggia esclusivamente sulla garanzia personale di Berlusconi. La preoccupazione della banca non fu di valutare la fondatezza e la rischiosità dell’operazione, riguardante la costruzione di Antigua», anche se «gli elementi di debolezza dell’iniziativa erano per altro evidenti». Così il 19 maggio 2008, Rota va a casa dell’ex premier: «su appuntamento fissato da Spinelli, mi sono recato ad Arcore per raccogliere la firma di Berlusconi. Era presente oltre a Berlusconi e Spinelli, Scabini (giuseppino, responsabile comparto estero di Finivest) e un’altra persona di cui non ricordo il nome che si presentò come architetto o geometra della società». Con la firma arrivano 10 milioni di euro, che secondo la procura, attraverso la Siti, sarebbero stati riversati su una società offshore, la Flat point di Antigua.
L’operazione è al centro di una inchiesta per riciclaggio ed esterovestizione con un danno per il fisco italiano di 30 milioni di euro. «La banca non ha considerato la destinazione delle somme né si pose il problema di effettuare segnalazioni di operazioni sospette alla Banca d’Italia», sostiene Rota, aggiungendo che solo dopo che il caso di Antigua ebbe risonanza mediatica nacque il problema. Eppure anche “a caso Antigua” conclamato, il 24 maggio 2010, Rota si recò a casa di Berlusconi per raccogliere la firma per il rinnovo della garanzia. «Erano presenti Berlusconi, Spinelli, Scabini e Sciascia (responsabile fiscale di Fininvest)». E il consiglio di amministrazione della banca invece di interrogarsi sulla destinazione dei soldi, concesse nuovamente il fido «nella forma “a revoca”, cioè senza una scadenza predeterminata».
È l’8 maggio 2008, quando Rota viene convocato in via Paleocapa dall’amministratore delegato della Fininvest, Pasquale Cannatelli. Una convocazione che non stupisce Rota perché i rapporti con l’azienda del premier sono «consolidati e storici». È presente anche Silvano Spinelli, il “cassiere factotum” di Berlusconi, reso celebre dai pagamenti a Ruby e alle “Olgettine”. È lui a fissare il successivo appuntamento ad Arcore, presso la villa di Berlusconi. «Cannatelli - mette a verbale Rota il 27 gennaio 2011 - mi raccontò che era in corso un’operazione immobiliare ad Antigua con la costruzione di ville di lusso e che il cavaliere Berlusconi era interessato a comprare due ville per un prezzo di circa 15 milioni di euro. Mi presentò Rivolta come dominus dell’operazione. Rivolta operava attraverso la Siti. Cannatelli mi disse che vi era l’esigenza di finanziare 10 milioni di euro e mi chiarì da subito che Rivolta non era in grado di accedere autonomamente al credito anche perché aveva avuto dei problemi in passato. Cannatelli mi disse che Berlusconi era disposto a rilasciare una garanzia personale pari all’importo finanziato, a condizione che non fosse di prima richiesta, ma contro garantisse la fideiussione personale di Rivolta».
Viene attivata la procedura d’urgenza e, visti gli importi in gioco, viene chiamato in causa il consiglio di amministrazione della banca. «La ragione dell’affidamento - chiarisce Rota - appoggia esclusivamente sulla garanzia personale di Berlusconi. La preoccupazione della banca non fu di valutare la fondatezza e la rischiosità dell’operazione, riguardante la costruzione di Antigua», anche se «gli elementi di debolezza dell’iniziativa erano per altro evidenti». Così il 19 maggio 2008, Rota va a casa dell’ex premier: «su appuntamento fissato da Spinelli, mi sono recato ad Arcore per raccogliere la firma di Berlusconi. Era presente oltre a Berlusconi e Spinelli, Scabini (giuseppino, responsabile comparto estero di Finivest) e un’altra persona di cui non ricordo il nome che si presentò come architetto o geometra della società». Con la firma arrivano 10 milioni di euro, che secondo la procura, attraverso la Siti, sarebbero stati riversati su una società offshore, la Flat point di Antigua.
L’operazione è al centro di una inchiesta per riciclaggio ed esterovestizione con un danno per il fisco italiano di 30 milioni di euro. «La banca non ha considerato la destinazione delle somme né si pose il problema di effettuare segnalazioni di operazioni sospette alla Banca d’Italia», sostiene Rota, aggiungendo che solo dopo che il caso di Antigua ebbe risonanza mediatica nacque il problema. Eppure anche “a caso Antigua” conclamato, il 24 maggio 2010, Rota si recò a casa di Berlusconi per raccogliere la firma per il rinnovo della garanzia. «Erano presenti Berlusconi, Spinelli, Scabini e Sciascia (responsabile fiscale di Fininvest)». E il consiglio di amministrazione della banca invece di interrogarsi sulla destinazione dei soldi, concesse nuovamente il fido «nella forma “a revoca”, cioè senza una scadenza predeterminata».
La riforma può aggravare le conseguenze dei provvedimenti del governo Berlusconi. - di Domenico D'Amati
Nel valutare le possibili conseguenze di una riforma dell’articolo 18 non si deve dimenticare che l’indebolimento delle garanzie contro i licenziamenti arbitrari si inserirebbe in un contesto già intaccato da provvedimenti legislativi varati dal governo Berlusconi. Si tratta in particolare del decreto legge n. 138 del 2011 (manovra bis) che ha previsto la possibilità di derogare, con contratti collettivi sottoscritto a livello aziendale o territoriale, alle leggi in materia di mansioni, contratti a termine, modalità di assunzione, conseguenze del licenziamento ecc.. E’ lo strumento utilizzato da Marchionne per le sue esigenze “organizzative” che hanno portato all’espulsione della Fiom dagli stabilimenti Fiat. E’ ovvio che, eliminate le garanzie dell’articolo 18, le possibilità dell’azienda di ottenere deroghe sempre più ampie a suo favore sarebbero notevolmente accresciute, stante le diminuite capacità di resistenza dei lavoratori. V’è poi la normativa diretta ad ampliare il ricorso all’arbitrato introdotta con la legge n. 183 del 4.11.2010 meglio nota come Collegato Lavoro. E’ bene ricordare che originariamente questa legge prevedeva la possibilità di far sottoscrivere al lavoratore una clausola compromissoria, all’atto dell’assunzione, con l’impegno quindi di ricorrere al giudizio arbitrale per le controversie derivanti dal rapporto di lavoro.
Questa possibilità è stata eliminata in seguito a un intervento del Presidente Napolitano che, nel marzo del 2010, con un messaggio alle Camere ha richiamato la giurisprudenza della Corte Costituzionale secondo cui nei rapporti in cui sussiste un evidente marcato squilibrio di potere contrattuale tra le parti è necessario garantire la effettiva volontarietà delle negoziazioni e delle eventuali rinunce. In materia di arbitrato Napolitano ha affermato la necessità di garantire l’effettiva volontarietà della clausola compromissoria e un’adeguata tutela dei diritti più rilevanti del lavoratore, con adeguamenti normativi “che vanno al di là della questione, pur rilevante, delle garanzie apprestate nei confronti del licenziamento dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.”
Da questo intervento presidenziale emerge la funzione fondamentale dell’articolo 18 e addirittura la necessità di potenziare le garanzie da esso offerte a fronte del rischio insito nel ricorso alla giustizia arbitrale per il contraente più debole. Ciò deve indurre a riflettere sulle possibili gravi conseguenze che la riforma dell’articolo 18 potrebbe avere non solo in materia di licenziamenti, ma anche, in generale, per le possibilità di tutela effettiva di tutti i diritti dei lavoratori.
Legge elettorale: Giulietti-Vita, testo debole, manca conflitto interessi.
“Dal dibattito sulla riforma elettorale e’ colpevolmente rimossa la regolamentazione del ‘conflitto di interessi’. Senza definire i termini della divisione tra i poteri, il ‘berlusconismo’ sottotraccia rischia di ritornare, magari con altre sembianze. Anche per simile grave lacuna – e per il resto, segnato da un frettoloso abbandono del bipolarismo unito all’eslusione dei partiti più piccoli – il testo in discussione appare debole. In mancanza di un chiarimento sul conflitto di interessi puo’ diventare impervio anche votarlo”. Lo affermano in una nota il portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti e il senatore Pd Vincenzo Vita.
http://www.articolo21.org/2012/04/legge-elettorale-giulietti-vita-testo-debole-manca-conflitto-interessi/
La trattativa e la casa sul lago. I pm seguono i soldi di B. e Dell’Utri. - di Monica Centofante
Proseguono sulla pista dei soldi le indagini che legano Marcello Dell’Utri alla trattativa siglata tra lo Stato e la mafia negli anni delle stragi. Come anticipato a novembre da Antimafia DuemilaAntimafia Duemila, i magistrati che hanno iscritto il senatore del Pdl nel registro degli indagati per “violenza o minaccia a un Corpo Politico, amministrativo o giudiziario”, stanno infatti passando in rassegna una serie di anomali e ingiustificati versamenti milionari di Silvio Berlusconi all’amico Marcello. Scoperti grazie alle indagini sulla cosiddetta P3,nella quale lo stesso Dell’Utri è indagato insieme a personaggi della portata di Flavio Carboni, faccendiere, da sempre vicino ad ambienti criminali.
In quelle carte si legge che il 22 maggio del 2008 Berlusconi aveva versato sul conto dell’amico Marcello, un bonifico di 1,5 milioni di Euro” con la causale “prestito infruttifero”. Operazione che si era ripetuta il 25 febbraio e l’11 marzo 2011, date in cui, con la medesima causale, l’allora Presidente del Consiglio aveva elargito a Dell’Utri rispettivamente 1 milione e 7 milioni di euro. Per un totale di 9 milioni e mezzo.
Soldi che in parte, avevano ricostruito Uif e Guardia di Finanza, erano stati utilizzati per pagare i lavori di ristrutturazione della splendida villa sul lago di Como del senatore. E oggi è proprio quella villa la protagonista di questo nuovo capitolo delle indagini sulla trattativa, con la notizia pubblicata ieri da Il Fatto Quotidiano dell’insolito acquisto della dimora da favola di Dell’Utri da parte, ancora, di Silvio Berlusconi: 21 milioni di Euro per una proprietà che ne valeva 9. E una spesa effettuata alla vigilia del pronunciamento della Cassazione al processo contro il senatore del Pdl, condannato nei precedenti gradi di giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa.
L’esito in Cassazione è noto a tutti: accogliendo la richiesta del sostituto procuratore generale Iacoviello il presidente Grassi ha deciso per un rinvio del processo in Corte d’Appello. Una richiesta a dir poco discutibile alla quale ora si aggiunge il nuovo interessante elemento dell’acquisto della villa a poche ore del verdetto. In quello che sarebbe potuto essere l’ultimo giorno di libertà per Marcello Dell’Utri, che con quei soldi avrebbe estinto debiti e ipoteche della casa (bene che in caso di condanna sarebbe stato a rischio sequestro) e rimpinguato il conto della moglie Miranda Ratti.
L’anomalo acquisto è adesso al vaglio del procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e dei sostituti Lia Sava, Nino Di Matteo e Paolo Guido, che stanno ricostruendo le innumerevoli operazioni finanziarie mai chiarite che, da sempre, caratterizzano la storia dell’impero di Silvio Berlusconi. E che tenteranno di rispondere ai tanti perché di quella vendita in una data e a un costo che destano sospetti.
Soprattutto alla luce delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino e del pentito Gaspare Spatuzza, sottoposte ad attenta verifica da parte della Dda, che hanno delineato l’importante ruolo rivestito da Marcello Dell’Utri nella trattativa tra Stato e mafia. Secondo il primo, tra la fine del '92 e il '93 il senatore avrebbe preso il posto del padre, Vito Ciancimino, diventando il nuovo referente delle cosche anche negli anni della nascita di Forza Italia, il partito che i boss hanno successivamente sostenuto con il proprio voto. Mentre è il secondo a raccontare di un incontro con il capomafia Giuseppe Graviano, che nel gennaio del 1994, seduto a un tavolino del bar Doney di Roma, gli avrebbe detto: “Abbiamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo”, grazie alla “serietà” di Berlusconi e “del nostro compaesano Dell’Utri”, con i quali “ci eravamo messi il paese nelle mani”.
Da qui la decisione dei pm palermitani di acquisire l´atto di compravendita, che ora è parte della corposa inchiesta su quegli anni bui che hanno dato i natali alla seconda Repubblica. Anche se i dettagli di questa operazione sono ancora tutti da definire.
Soldi che in parte, avevano ricostruito Uif e Guardia di Finanza, erano stati utilizzati per pagare i lavori di ristrutturazione della splendida villa sul lago di Como del senatore. E oggi è proprio quella villa la protagonista di questo nuovo capitolo delle indagini sulla trattativa, con la notizia pubblicata ieri da Il Fatto Quotidiano dell’insolito acquisto della dimora da favola di Dell’Utri da parte, ancora, di Silvio Berlusconi: 21 milioni di Euro per una proprietà che ne valeva 9. E una spesa effettuata alla vigilia del pronunciamento della Cassazione al processo contro il senatore del Pdl, condannato nei precedenti gradi di giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa.
L’esito in Cassazione è noto a tutti: accogliendo la richiesta del sostituto procuratore generale Iacoviello il presidente Grassi ha deciso per un rinvio del processo in Corte d’Appello. Una richiesta a dir poco discutibile alla quale ora si aggiunge il nuovo interessante elemento dell’acquisto della villa a poche ore del verdetto. In quello che sarebbe potuto essere l’ultimo giorno di libertà per Marcello Dell’Utri, che con quei soldi avrebbe estinto debiti e ipoteche della casa (bene che in caso di condanna sarebbe stato a rischio sequestro) e rimpinguato il conto della moglie Miranda Ratti.
L’anomalo acquisto è adesso al vaglio del procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e dei sostituti Lia Sava, Nino Di Matteo e Paolo Guido, che stanno ricostruendo le innumerevoli operazioni finanziarie mai chiarite che, da sempre, caratterizzano la storia dell’impero di Silvio Berlusconi. E che tenteranno di rispondere ai tanti perché di quella vendita in una data e a un costo che destano sospetti.
Soprattutto alla luce delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino e del pentito Gaspare Spatuzza, sottoposte ad attenta verifica da parte della Dda, che hanno delineato l’importante ruolo rivestito da Marcello Dell’Utri nella trattativa tra Stato e mafia. Secondo il primo, tra la fine del '92 e il '93 il senatore avrebbe preso il posto del padre, Vito Ciancimino, diventando il nuovo referente delle cosche anche negli anni della nascita di Forza Italia, il partito che i boss hanno successivamente sostenuto con il proprio voto. Mentre è il secondo a raccontare di un incontro con il capomafia Giuseppe Graviano, che nel gennaio del 1994, seduto a un tavolino del bar Doney di Roma, gli avrebbe detto: “Abbiamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo”, grazie alla “serietà” di Berlusconi e “del nostro compaesano Dell’Utri”, con i quali “ci eravamo messi il paese nelle mani”.
Da qui la decisione dei pm palermitani di acquisire l´atto di compravendita, che ora è parte della corposa inchiesta su quegli anni bui che hanno dato i natali alla seconda Repubblica. Anche se i dettagli di questa operazione sono ancora tutti da definire.
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