Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 8 aprile 2012
La rivolta degli ingenui. - Paolo Flores d’Arcais
Tangentopoli era un “piccolo mondo antico” di peccati veniali, rispetto al baratro di debordanti liquami corruttivi in cui è precipitata l’Italia nel quasi ventennio berlusconiano, grazie anche al corrivo atteggiamento bipartisan del centrosinistra sulla giustizia (abbiamo dimenticato che il ministro nominato da Prodi a Largo Arenula si chiamava Mastella?). Ormai siamo alla cupa orgia di illegalità, onnipervasiva, i cui putridumi vengono alla luce in quantità industriale non appena una procura riesca ad avviare un’indagine, rompendo il muro di omertà di politicanti, cricche, “giornalismo” servile e anche magistratura di regime stile P3 e P4, ben ramificata fino ai piani alti e altissimi.
Mitridate, re del Ponto, è passato alla storia per essersi reso immune ai veleni, ingerendone ogni giorno quantità minime ma crescenti. La nostra è una società mitridatizzata rispetto alla corruzione e alla illegalità, e alla dismisura che queste tabi della convivenza civile hanno ormai raggiunto. Questa è la vera e devastante vittoria storica dell’intreccio corruttivo politico-finanziario-mafioso: l’egemonia in cui ha imbozzolato istituzioni e “informazione”, l’assuefazione in cui ha invischiato ormai decine di milioni di cittadini, rendendoli incapaci di indignazione e rivolta.
Diventare un paese normale significa liberarsene. Solo una politica di INGENUITA’ può salvarci. Lucida e consapevole ingenuità, che sbandieri apertamente il programma di ragionevolezza e di equità che impone il buon senso, senza la paralizzante paura di essere accusata di “semplicismo”: per ogni futura “manovra” economica e finanziaria, e per il rilancio in grande del welfare (sanità, asili, salario di cittadinanza), neppure un euro va preso ai ceti medi (e meno che mai a disoccupati, precari, pensionati), ma tutto deve essere a carico dei ricchi, molto ricchi, mega ricchi, cominciando dalle ricchezze illegali della corruzione e dell’evasione (200 miliardi all’anno).
Il deterrente sono confisca e manette, strumenti ordinari in quel santo Graal del capitalismo che si chiama America. E l’obbligo in dichiarazione dei redditi di “qualsiasi rapporto bancario di cui si abbia disponibilità”. E pene draconiane per il reato di ostruzione di giustizia, di falso in bilancio, di falsa testimonianza. E abrogazione della prescrizione dopo il rinvio a giudizio. E nel 2013 una “lista dell’ingenuità” di sindacalisti, magistrati, preti di strada. Estremismo? Allora ci si accomodi in terza classe sul Titanic, a ingrassare i grassatori di sempre, e amen.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-rivolta-degli-ingenui/
I nasi comunicanti. - Marco Travaglio
Nella classifica delle peggiori pagliacciate
leghiste a carico nostro, vince ai punti la
rinoplastica finanziata coi rimborsi elettorali
per Eridanio Sirio Bossi: cioè abbiamo
pagato pure il naso nuovo all’ultimogenito del
Senatur, che ora va in giro con un naso non più suo,
ma parastatale. Medaglia d’oro. L’argento spetta di
diritto al diploma e alla laurea comprati dall’ex
tesoriere Belsito (cioè dagli ignari contribuenti) per
tale Pier Moscagiuro in arte Pier Mosca, 36 anni,
poliziotto in aspettativa, distaccato alla
vicepresidenza del Senato con regolare contratto
come segretario molto particolare della sua
attempata fiamma, Rosi Mauro detta “la Nera”, 49
anni, segretaria del presunto sindacato padano
Sinpa, numero due di Palazzo Madama, ma
soprattutto badante tuttofare del vecchio leader. Il
Moscagiuro (che Nadia Dagrada chiama nei verbali
“G i u ra m o s c a ”, forse influenzata dalle avventure di
Ettore Fieramosca), è anche un eccellente cantante,
molto apprezzato nella “batelada”, la tradizionale
gita in barca sul lago di Como che il Sinpa organizza
a ogni Primo Maggio (quest’anno si spera non più),
dove il Pier e la Rosi erano soliti esibirsi in
memorabili duetti tipo “La coppia più bella del
mondo” degli incolpevoli Adriano Celentano e
Claudia Mori. Ma il brano più celebre dell’usignolo
padano, versione celtica di Apicella, rimane quello
inciso per beneficenza con Enzo Iacchetti: “Ko o ly
n o o dy ”, allitterazione di culi nudi, autentico
reperto di un’epoca. La medaglia di bronzo, in tutti
i sensi, va invece ai papaveri verdi che sfilano a ogni
ora del giorno e della notte avanti e indietro da Via
Bellerio, tutti intenti a giurare che “ha fatto tutto
Belsito”, “Bossi non c’e n t ra ”, “ora facciamo pulizia”
e “voltiamo pagina”. È una parola. Il più pensoso è
Roberto Castelli del comitato amministrativo,
quello che aveva avviato addirittura un’inda gine
privata, tipo Sherlock Holmes, perché “Belsito non
mi faceva vedere i conti”. Chissà che avrebbe fatto
se glieli avesse mostrati: Castelli è lo stesso che nel
2001, divenuto ministro della Giustizia, affidò
l’edilizia carceraria a un consulente molto esperto:
Giuseppe Magni, sindaco leghista di Calco, in quel
di Lecco, dove Castelli è nato e vive, ma soprattutto
ex artigiano metalmeccanico (ramo fili da saldatura)
ed ex grossista di pesce alla Seamar (“commercio di
prodotti ittici vivi, freschi, congelati e surgelati”),
nonché – si leggeva nel curriculum– “socio
militante della Lega Nord dal 1995 e parlamentare
eletto al Parlamento di Chignolo Po” dove i lumbard
giocavano alla secessione. Magni scorrazzò per
quattro anni su e giù per l’Italia, con auto blu
blindata e scorta armata, per il modico stipendio di
100 milioni di lire, raddoppiato a 100 mila euro
quando cambiò la moneta. Risultato, secondo il pm
della Corte dei Conti: “Attività dall’i n d e fi n i t o
c o n t e nu t o ” senza “raggiungere alcuno degli
obiettivi menzionati nel decreto di incarico”,
presentando “relazioni quasi in codice, con
riferimenti per così dire criptici” e allusioni ad
“alcuni progetti (quali?)”. Un pataccaro. Per un’a l t ra
consulenza inutile, la Corte dei Conti condannò
Castelli a risarcire 100 mila euro allo Stato in solido
col suo vicecapogabinetto, quell’altro galantuomo
di Alfonso Papa. Ora indaga sui soldi della Lega,
finiti peraltro in buone mani: il “nu ovo ” tesoriere è
Stefano Stefani, noto per la sua oculatezza, avendo
messo mano a geniali operazioni finanziarie come il
villaggio padano in Croazia (bancarotta), la banca
padana Credieuronord (fallimento), il Bingo padano
(dissesto), il giornale fantasma Quotidiano d’Italia (14
milioni pubblici). Insomma, una garanzia. Su tutti
vigilerà il triumviro Calderoli, che di soldi se ne
intende: l’ottimo Fiorani ha raccontato di aver
girato 200 mila euro a lui e a Brancher. Ma è tutto
calcolato: basterà lasciar fare i “nuovi leader” per un
paio di mesi, poi tutti chiederanno il ritorno di quei
galantuomini di Bossi e Belsito, a furor di popolo.
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=361762470528624&set=a.139700576068149.13581.139696202735253&type=1
sabato 7 aprile 2012
Umberto, sei tutti loro. - di Marco Travaglio
“E ora chi rappresenterà il Nord?”, domanda affranto Dario Di Vico, vicedirettore del Corriere, a Linea Notte. E Pigi Battista, sempre sul Pompiere, si unisce al cordoglio magnificando “la riconosciuta grandezza di un leader che ha imposto nell’agenda politica nazionale la “questione settentrionale” e ha interpretato i sentimenti di un popolo che non aveva rappresentanza politica…Non sarà una miserabile vicenda di fondi stornati a cancellare una storia iniziata nelle periferie del sistema”.
Nord? Popolo? Questione settentrionale? Ma la Lega, quando le andava bene, rastrellava il 30 % dei voti validi in Lombardia e in Veneto, molto meno nel resto della cosiddetta Padania: mai rappresentato più del 10-15 % degli elettori nordisti. Il che non cancella il suo ruolo storico nella caduta della Prima Repubblica e nel sostegno a Mani Pulite, quando tutti i vecchi partiti avrebbero volentieri spedito Di Pietro in Aspromonte o in Barbagia. Ma son passati vent’anni. L’ultima volta che Bossi fece qualcosa di utile fu nel ‘94, quando rovesciò B., giocandosi tutto mentre il Cainano si comprava i leghisti a uno a uno (ci volle tutto l’impegno di D’Alema per resuscitarlo con la Bicamerale). Ma son passati 18 anni. Poi la Lega divenne un tragicomico caravanserraglio di pagliacci, parassiti, cialtroni, molti razzisti, qualche ladro, parecchi servi. L’ampolla, il matrimonio celtico, il druido, Odino, il tricolore nel cesso, i terun, i negher, foera di ball, il dito medio, il gesto dell’ombrello, le pernacchie, il ce l’ho duro, i kalashnikov, le camicie i fazzoletti le cravatte verdi, il parlamento padano, la moneta padana, la banca padana, il villaggio vacanze in Croazia, l’amico Fiorani, le zolle di Pontida, l’uscita dall’euro.
Si sono inventati tre trovate da avanspettacolo di strapaese – la secessiùn, il federalismooo, la devolusssion – e ci han campato per due decenni alle spalle del cosiddetto “popolo”. Ma, sotto sotto, di quell’armamentario carnevalesco, ridevano anche i leader, ben felici di trovare qualche milione di persone disposto a bersi tutto come l’acqua del dio Po e a rimandarli a Roma ladrona, a occupar poltrone come tutti gli altri. In un raro momento di lucidità, Calderoli, divenuto ministro, confessò al Corriere: “Su di me non avrei scommesso un soldo”. Ora è nientemeno che triumviro, ma la sua fidanzata Gianna Gancia, che lo conosce bene, fa sapere che “Roberto non va bene, ha il faccione e veste male, va da un sarto quasi cieco”. Senza contare che un giorno, colto da raptus, incenerì col lanciafiamme “375 mila leggi inutili”, fra cui i decreti di annessione del Veneto e del ducato di Mantova al Regno d’Italia. Ora sui giornali è tutto un rincorrersi di versioni assolutorie per il grande capo: han fatto tutto il cerchio magico, la famiglia famelica, la moglie fattucchiera, i figli spendaccioni, la badante Rosi, il tesoriere ladro, all’insaputa del povero infermo.
A parte il fatto che Bossi sapeva da mesi, almeno da quando i giornali lo informarono che Belsito aveva portato 7 milioni in Tanzania e questo lo ricattò sui soldi alla Family per salvare la cadrega, chi ha scelto Belsito? Bossi. Chi ha mandato in Regione il Trota a 12 mila euro al mese? Bossi (senza contare i presunti 20 milioni di fondi neri da lui girati all’ex tesoriere Balocchi). Il resto sono lacrime di coccodrillo. Ma la mano leggera e l’occhio umido di molti giornali nasconde una coda di paglia lunga così: per anni han preso sul serio quei gaglioffi e il loro federalismo da baraccone. Anche le parole tenere e commosse degli altri capi-partito celano la coda di paglia di chi sa benissimo che la truffa dei “rimborsi” senza controllo riguarda tutti: oggi è toccato a Bossi, domani potrebbe toccare a loro. Ieri mattina infatti, letti i giornali, il Senatur ha prontamente cambiato parole d’ordine: non più l’ “ho sbagliato” della sera prima, ma “è un complotto” dei soliti pm.
Se passa il principio che un leader neppure indagato si dimette, si crea un pericoloso precedente. Infatti dal Palazzo si leva un coro unanime: Umbe’, nun ce lassà.
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Rosi Mauro, il compagno e le lauree pagate Dalle casse leghiste ai “Kooly noody”. - di Giampiero Calapà e Silvia D’Onghia
"Denaro all'amante di Rosy Mauro per diploma e laurea". Si tratta di Pier Moscagiuro, in arte Pier Mosca, cantante di Varese che ha inciso con Enzo Iacchetti la canzone 'Kooly noody' . Poliziotto in aspettativa, ex scorta del Senatur e di Maroni, Moscagiuro ora lavora per la leghista . La Mauro si difende: "M'infangano per colpire il SinPa", che via Bellerio ha già deciso di chiudere.
Le banche, la politica, la borsa coi suoi guai / e a fine mese non si arriva mai / Aumentano le spese poi, benzina luce e gas / e a kooly noody ci hanno messo già / Le promesse non valgono, i patti non si rispettano / loro di noi se ne fregano / siamo rimasti tutti a kooly noody”. Proprio tutti forse no. Pier Mosca è un cantautore varesotto di 36 anni, anzi, un “giovane artista appassionato di musica”, che ha avuto la fortuna di incidere una canzone con Enzo Iacchetti (“Kooly noody”, che si legge “culi nudi”, appunto) e di farsi produrre un disco dalla Immaginazione srl, l’etichetta dello stesso conduttore di Striscia. Col quale ha l’onore di salire sul palco della Notte Bianca di Varese. “È successo un anno e mezzo fa, è da allora che non lo vedo – conferma Iacchetti –. Non lo conoscevo, l’ho solo trovato un giorno in casa discografica, mi ha chiesto di incidere una canzone per beneficenza”. Che c’entra il cantautore Pier Mosca con Rosy Mauro? È lo stesso Iacchetti a legare i fili: “So che faceva il poliziotto”.
IL VIDEO DI PIER MOSCA
Ma si scopre che Pier Mosca è il nome d’arte di Piero Moscagiuro, poliziotto in aspettativa, finito a lavorare con un contratto alla Vicepresidenza del Senato. Infatti, a quanto racconta Nadia Dagrada, la segretaria di Umberto Bossi, ai pm che stanno indagando su “Lega ladrona”, l’agente cantautore sarebbe il compagno di Rosi Mauro, anzi “il gigolò, perché in fondo quello è”, dice Nadia Dagrada a Francesco Belsito, l’ormai ex tesoriere della Lega, come rivelano le intercettazioni. Proprio a Pier, secondo la Dagrada, sarebbero arrivati i soldi per pagare gli studi per conseguire diploma e laurea in Svizzera, intorno ai 130 mila euro (a cui avrebbe attinto anche la stessa Mauro), oltre a un aiuto per ottenere un mutuo agevolato.
Nel verbale dell’interrogatorio si legge: “Per quanto attiene l’amante di Rosi Mauro – afferma Dagrada –, Belsito mi ha riferito che Pier Giuramosca (sic), poliziotto, attualmente suo segretario particolare, è stato da lei aiutato a ottenere un mutuo agevolato e gli sono stati pagati soldi per conseguire un titolo di studio. Il poliziotto è attualmente in aspettativa e ha un contratto con la Vicepresidenza del Senato, dove la Rosi è Vicepresidente dello stesso organo”. A quanto ammonterebbero queste spese passate dalle casse padane agli affari di Rosi e del cantautore Pier secondo la Dagrada? Tutto verbalizzato dai pm di Napoli e Milano: “Il diploma e la laurea (forse in corso) di Mosca-giuro Pier, compagno e segretario particolare della Rosi Mauro; il diploma e laurea (forse in corso) per la Rosi Mauro per complessivi 130 mila euro”.
Poi ancora “spese per acquisto e noleggio di autovetture, spese di soggiorno per vacanze, spese per la telefonia, comodato d’uso a titolo gratuito dell’associazione umanitaria Padana”. Quando, qualche anno fa, l’agente Moscagiuro è stato trasferito dalla Questura di Varese, i colleghi sono rimasti perplessi. Quel poliziotto era in servizio presso l’ufficio tutele dei ministri Bossi e Maroni. Nel frattempo avrebbe conosciuto la tredici-anni-più-grande-di-lui Rosi Mauro. “Era entrato nell’occhio del ciclone”, rivela al Fatto un ex collega che vuole rimanere anonimo. A Varese la sua famiglia è conosciuta e di lui si sa che amava dilettarsi alle feste con la musica. Un bel salto di qualità, dunque, anche musicale. Sarà che l’anno della Notte Bianca a Varese Pier Mosca ha già conosciuto una platea di tutto rispetto, Radio Padania Libera, dove è approdato il 2 maggio, il giorno dopo la “batelada” del Sin. pa sul Lago di Como.
Sul battello Orione ci sono molte personalità leghiste e c’è, naturalmente, la fondatrice del sindacato, Rosi Mauro. “Io sono un buono – spiega Pier ai microfoni leghisti –, appaio sicuro di me, ma in fondo sono un timido”. Ma davanti a tutti loro Pier Mosca si esibisce ed è la stessa Mauro, svela il conduttore di Radio Padania, a innamorarsi della canzone e a sceglierla come sigla delle trasmissioni del sindacato.
INTERVISTA A RADIO PADANIA CON PIER MOSCA
Quel Sinpa, sindacato padano – a cui secondo la Dagrada sarebbero stati versati dalla Lega 60 mila euro nel 2011 – che adesso la Mauro difende con tutte le sue forze dopo la decisione di via Bellerio di chiuderlo: “Non sono solita commentare le notizie di stampa – scrive in una nota Rosi Mauro – che spesso riguardano la mia persona. Sono abituata a lavorare, ma in questo momento mi trovo costretta a ribattere alle ‘ porcherie ’ che i giornali si stanno inventando, per salvaguardare il bene più prezioso, il sindacato, che ho creato con enormi sacrifici”. È furiosa Rosi Mauro: “Contesto questa campagna mediatica denigratoria; ogni questione riguardante la mia persona o il sindacato è assolutamente legale e ciò verrà dimostrato in ogni sede. I nostri detrattori vogliono affossare il Sinpa, ma non glielo permetterò. Proprio per questa ragione risponderò personal-mente agli attacchi e alle accuse prive di ogni fondamento che mi vengono fatte, ciò anche davanti alle autorità competenti, tutto quanto come per legge, contro tutti coloro che mi stanno infamando”.
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Ma si scopre che Pier Mosca è il nome d’arte di Piero Moscagiuro, poliziotto in aspettativa, finito a lavorare con un contratto alla Vicepresidenza del Senato. Infatti, a quanto racconta Nadia Dagrada, la segretaria di Umberto Bossi, ai pm che stanno indagando su “Lega ladrona”, l’agente cantautore sarebbe il compagno di Rosi Mauro, anzi “il gigolò, perché in fondo quello è”, dice Nadia Dagrada a Francesco Belsito, l’ormai ex tesoriere della Lega, come rivelano le intercettazioni. Proprio a Pier, secondo la Dagrada, sarebbero arrivati i soldi per pagare gli studi per conseguire diploma e laurea in Svizzera, intorno ai 130 mila euro (a cui avrebbe attinto anche la stessa Mauro), oltre a un aiuto per ottenere un mutuo agevolato.
Nel verbale dell’interrogatorio si legge: “Per quanto attiene l’amante di Rosi Mauro – afferma Dagrada –, Belsito mi ha riferito che Pier Giuramosca (sic), poliziotto, attualmente suo segretario particolare, è stato da lei aiutato a ottenere un mutuo agevolato e gli sono stati pagati soldi per conseguire un titolo di studio. Il poliziotto è attualmente in aspettativa e ha un contratto con la Vicepresidenza del Senato, dove la Rosi è Vicepresidente dello stesso organo”. A quanto ammonterebbero queste spese passate dalle casse padane agli affari di Rosi e del cantautore Pier secondo la Dagrada? Tutto verbalizzato dai pm di Napoli e Milano: “Il diploma e la laurea (forse in corso) di Mosca-giuro Pier, compagno e segretario particolare della Rosi Mauro; il diploma e laurea (forse in corso) per la Rosi Mauro per complessivi 130 mila euro”.
Poi ancora “spese per acquisto e noleggio di autovetture, spese di soggiorno per vacanze, spese per la telefonia, comodato d’uso a titolo gratuito dell’associazione umanitaria Padana”. Quando, qualche anno fa, l’agente Moscagiuro è stato trasferito dalla Questura di Varese, i colleghi sono rimasti perplessi. Quel poliziotto era in servizio presso l’ufficio tutele dei ministri Bossi e Maroni. Nel frattempo avrebbe conosciuto la tredici-anni-più-grande-di-lui Rosi Mauro. “Era entrato nell’occhio del ciclone”, rivela al Fatto un ex collega che vuole rimanere anonimo. A Varese la sua famiglia è conosciuta e di lui si sa che amava dilettarsi alle feste con la musica. Un bel salto di qualità, dunque, anche musicale. Sarà che l’anno della Notte Bianca a Varese Pier Mosca ha già conosciuto una platea di tutto rispetto, Radio Padania Libera, dove è approdato il 2 maggio, il giorno dopo la “batelada” del Sin. pa sul Lago di Como.
Sul battello Orione ci sono molte personalità leghiste e c’è, naturalmente, la fondatrice del sindacato, Rosi Mauro. “Io sono un buono – spiega Pier ai microfoni leghisti –, appaio sicuro di me, ma in fondo sono un timido”. Ma davanti a tutti loro Pier Mosca si esibisce ed è la stessa Mauro, svela il conduttore di Radio Padania, a innamorarsi della canzone e a sceglierla come sigla delle trasmissioni del sindacato.
INTERVISTA A RADIO PADANIA CON PIER MOSCA
Quel Sinpa, sindacato padano – a cui secondo la Dagrada sarebbero stati versati dalla Lega 60 mila euro nel 2011 – che adesso la Mauro difende con tutte le sue forze dopo la decisione di via Bellerio di chiuderlo: “Non sono solita commentare le notizie di stampa – scrive in una nota Rosi Mauro – che spesso riguardano la mia persona. Sono abituata a lavorare, ma in questo momento mi trovo costretta a ribattere alle ‘ porcherie ’ che i giornali si stanno inventando, per salvaguardare il bene più prezioso, il sindacato, che ho creato con enormi sacrifici”. È furiosa Rosi Mauro: “Contesto questa campagna mediatica denigratoria; ogni questione riguardante la mia persona o il sindacato è assolutamente legale e ciò verrà dimostrato in ogni sede. I nostri detrattori vogliono affossare il Sinpa, ma non glielo permetterò. Proprio per questa ragione risponderò personal-mente agli attacchi e alle accuse prive di ogni fondamento che mi vengono fatte, ciò anche davanti alle autorità competenti, tutto quanto come per legge, contro tutti coloro che mi stanno infamando”.
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Da un fungo velenoso una tossina in grado di annientare la crescita delle cellule tumorali.
L'Amanita Falloide è un fungo mortale che, tuttavia, pare possa arrestare le cellule tumorali per mezzo del suo veleno
Quasi tutti hanno sentito nominare almeno una volta l’amanita falloide (Amanitaphalloides), il fungo tristemente famoso per essere la causa di alcune morti che si verificano ogni anno per via della sua erronea ingestione da parte di improvvisati raccoglitori di funghi.
Questo fungo contiene un potente veleno – l’a-amanitina– in grado di uccidere in breve tempo chi lo ingerisca. Ma questo stesso veleno mortale pare possa essere invece utile nell’offrire una speranza a chi è colpito da un altro potenziale agente mortale: il cancro.
Ricercatori tedeschi del Centro tedesco di Ricerca sul Cancro ( Deutsches Krebsforschungszentrum, DKFZ), il Centro Nazionale per le Malattie TumoraliHeidelberg e del Max Planck Institute for Medical Research hanno scoperto che il veleno contenuto nell’amanita falloide è in grado di annientare e arrestare la crescita delle cellule tumorali di diversi tipi di cancro come quello della prostata, del seno, dei condotti biliari e del colon.
L’immunologo dottor Gerhard Moldenhauer, insieme al professor Heinz Faulstich, ha testato l’effetto del veleno su un linea di cellule tumorali dei diversi tipi, osservando come la tossina fosse in grado di uccidere le cellule cancerogene senza sortire danni all’organismo.
Il segreto del successo starebbe nel far giungere il principio attivo direttamente alle cellule malate. Per far ciò, i ricercatori hanno sfruttato un anticorpo specifico che si occupa di attaccare una proteina che si trova sulla superficie delle cellule tumorali chiamata EpCAM. In questo modo, sono riusciti a recapitare direttamente a domicilio il veleno, in modo da attaccare le cellule cancerogene senza intaccare quelle sane. Un ulteriore vantaggio di questo metodo è che il veleno si lega all’anticorpo per mezzo di una connessione chimica stabile.
Durante i test sulle cellule coltivate in vitro il veleno si è dimostrato efficace nell’annientare le cellule malate. In un secondo test, condotto su modello animale, si è scoperto che nei topi portatori di tumore del pancreas umano, una singola iniezione era in grado di inibire la crescita tumorale. Ulteriori due iniezioni con dosi più alte della tossina hanno infine provocato la completa regressione del tumore nel 90 percento dei topi malati.
Un’altra serie di test atti a verificare la possibile tossicità di dosi maggiori di veleno hanno evidenziato come non vi fossero effetti avversi sul fegato degli animali.
«Trattamenti con anticorpi non coniugati contro l’EpCAM sono già stati testati in studi clinici come quelli per il cancro al seno. Essi avevano lo scopo di attaccare il cancro soltanto con le armi del sistema immunitario, ma si sono rivelati essere clinicamente inefficaci – spiega Moldenhauer nel comunicato DKFZ – tuttavia, il nostro anticorpo a-amanitina coniugato ha un potenziale molto maggiore nell’uccidere le cellule tumorali».
Se ulteriori approfondimenti potranno confermare i promettenti risultati di questo studio, si aprono nuove possibilità nel combattere il cancro utilizzando metodi che abbiano meno effetti indesiderati come le radio o chemio terapie.
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Banca padana, giornale e villaggio turistico Stefani e le tre disavventure della Lega. - di Ferruccio Sansa
L'orafo di Vicenza, 74 anni, parlamentare da 4 legislature e sottosegretario in tre governi, è "l'uomo nuovo". Il suo nome è stato legato alla vicenda della Credieuronord, poi salvata da Fiorani. Ma fu indagato anche per truffa ai danni dello Stato e ricettazione: posizione archiviata anche per il mancato uso delle intercettazioni grazie alla sua carica di parlamentare.
Stefani si è interessato di affari del Carroccio poco legati ai gioielli. Si è concentrato su case, banche e via discorrendo. Fu protagonista della realizzazione di un villaggio turistico in Istria: 180 appartamenti, albergo, golf, piscina a punta Salvore. Controlla l’operazione una piccola srl, la Ceit, con ben 114 azionisti tra cui 10 parlamentari e mezzo stato maggiore del Carroccio (Manuela Marrone, moglie del Senatùr, Stefano Stefani e Maurizio Balocchi, il tesoriere del partito che lasciò poi l’incarico al suo delfino Belsito). Stefani e Balocchi figurano anche nel cda. L’affarone si conclude con 10 avvisi di garanzia. Ipotesi di reato: bancarotta fraudolenta documentale e a scopo distrattivo. Stefani ne esce indenne risarcendo a una banca carinziana 500 mila euro di tasca propria .
L’accoppiata Stefani-Balocchi (poi scomparso) si butta in un’altra impresa: nel 2000 nasce Credieuronord, la banca leghista. Parte una sottoscrizione nelle sezioni, con tanto di lettera di Bossi. L’obiettivo: “Portare avanti gli ideali della Lega: la difesa del risparmio delle famiglie e della piccola e media impresa”. I militanti, purtroppo per loro, ci credono e affidano i risparmi a Credieuronord. Si raccolgono 3.000 sottoscrizioni fino a 100 milioni di lire l’una. Ma i primi bilanci si chiudono con 8 milioni di euro di perdite. La tecnica creditizia pare singolare: la metà delle sofferenze fa capo a cinque soggetti, tra cui la società Bingo.net (un’altra disavventura leghista, la sfida “verde” ai bingo “rossi” dei Ds, altrettanto sfortunati). Nel cda della banca ben due sottosegretari: Balocchi e Stefani. Nel 2003 Bankitalia fa emergere il dissesto. Centinaia di risparmiatori padani sono sul piede di guerra. Ma arriva il salvatore, Gianpiero Fiorani, numero uno della Banca Popolare di Lodi. Se la Lega non finisce a gambe all’aria, lo si deve a lui. Che fino al 2004 garantisce milioni di euro. Il Carroccio offre come pegno la storica sede di via Bellerio, la scuola leghista di Varese e il prato di Pontida. Così evita la bancarotta.
Passano due anni e Stefani è indagato a Roma per concorso in truffa ai danni dello Stato e riciclaggio nella vicenda dei finanziamenti pubblici a Il Giornale d’Italia. Tutto comincia l’11 maggio 2007 con l’arresto di Massimo Bassoli, immobiliarista ed ex direttore-editore del quotidiano. È accusato di aver usato il giornale per rastrellare 14 milioni di contributi all’editoria di partito. Dalle telefonate di Bassoli gli investigatori scoprono conversazioni molto amichevoli con Stefani che è sospettato dal pm Olga Capasso di aver intascato una parte dei fondi ottenuti da Bassoli in cambio del “patrocinio” prestato o promesso dalla Lega a società editrici di Bassoli. In una telefonata, Bassoli e Stefani parlano di “bottiglie”. I pm dubitavano si trattasse di denaro. In un’altra occasione Bassoli chiama un collaboratore, pare intendere di aver raggiunto un accordo sulla cifra da versare in cambio dell’appoggio della Lega e dunque dell’accesso ai fondi. Più tardi, dopo cena, Bassoli invia un sms all’amico, precisando l’ammontare della presunta “ricompensa”: 1 milione. Di sicuro Bassoli versò alla Lega 117 mila euro regolarmente iscritti nel bilancio del partito. L’accusa voleva sapere se ci fosse altro. I pm chiesero al Senato l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni di Bassoli. Niente da fare, la legge Boato rendeva inutilizzabili le intercettazioni con la voce di un eletto dal popolo. Alla fine Stefani ottenne l’archiviazione.
Nel curriculum di Stefani c’è anche un incidente internazionale che nel 2003 lo costrinse alle dimissioni da sottosegretario al Turismo. Erano i tempi in cui Berlusconi definiva Kapò il socialdemocratico tedesco Martin Shultz. Stefani intervenne con un frase non molto diplomatica: “Se in passato è bastato un automobilistico ‘test dell’alce’ per capire la fallibilità della Germania, paese ubriaco di tronfie certezze, chissà quante coscienze potrebbe far crollare un doveroso e indispensabile test d’intelligenza. I tedeschi sono noti per le loro roboanti gare di rutti dopo pantagrueliche bevute di birra e scorpacciate di kartoffeln fritte…”. Già, i rutti, orgoglio leghi-sta.
Ce n’è abbastanza per spiegare l’attestato di Matteo Salvini: “La Lega non è morta. C’è un nuovo tesoriere che conosco e stimo. Bravo a far di conto. Quindi si va avanti”.
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