Totò Cuffaro - u zu vasa-vasa - mr. coppola - mr. cannolo siciliano.
Tredici anni di carcere. È quanto ha chiesto il procuratore generale di Palermo Luigi Patronaggio nella sua requisitoria contro l’ex Presidente della regione siciliana Salvatore Cuffaro, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Una pena “giusta”, commenta il pg, senza “accanimento” da parte dello Stato che tiene conto delle ragioni umane per un imputato già condannato, quindi da scontare in continuazione con la condanna a sette anni incassata dal politico in via definitiva per favoreggiamento alla mafia.
Non usa mezzi termini Patronaggio per spiegare le motivazioni a monte della sua richiesta: “L’apporto del politico a Cosa Nostra è stato volontario e consapevole”, avendo agito “nella piena consapevolezza della mafiosità di Giuseppe Guttadauro, dei Mandalà di Villabate e di Michele Aiello”. I fatti parlano chiaro e vanno oltre il solo favoreggiamento poiché passando notizie riservate su indagini in corso Salvatore Cuffaro “ha fornito notizie fondamentali per la sopravvivenza di Cosa Nostra, ha evitato che Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro venissero arrestati, permettendo alla mafia di Villabate di riorganizzarsi e ad Aiello di continuare ad arricchirsi ai danni della pubblica amministrazione”. Cuffaro, che nel ’91 entrava in politica stringendo le mani ad Angelo Siino, punto di riferimento del ‘tavolino degli appalti’ in Sicilia, ha “tradito” lo Stato e il suo patto con i cittadini, dunque, avverte Patronaggio, quando Cuffaro vasa vasa affermava che in buona fede baciava tutti senza sapere chi fossero, non bisogna farsi ingannare. Tra quelle persone c’erano degli assassini. “Lo ha stabilito la Cassazione e su questo non possiamo tornare indietro”. Il Procuratore si è poi soffermato sull’aspetto più oscuro di tutta l’inchiesta che ha portato all’arresto delle due talpe istituzionali che facevano trapelare le informazioni degli uffici giudiziari all’esterno, i marescialli Giuseppe Ciuro, della Dia, e Giorgio Riolo, del Ros. “Che motivo aveva Cuffaro di mettere in piedi questa macchina infernale che aveva contatti a Roma, Palermo e nei carabinieri? E’ una cosa che fa accapponare la pelle”. Contatti che avevano permesso a Cosa Nostra di sapere in anticipo che il capo mandamento di Brancaccio, cognato del latitante Matteo Messina Denaro, era sotto osservazione e che Michele Aiello era stato nominato dal pentito Giuffrè quale braccio economico di Provenzano ed in ultimo, che i due carabinieri erano stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Palermo per i loro rapporti con Aiello. Notizia corrispondente alla realtà ma che poteva essere rivelata solo da una spia all’interno della Procura e dei palazzi ministeriali romani in quanto entrambi registrati con nomi di copertura. Ed è qui che il Pg contesta l’assoluzione di Cuffaro in primo grado per “ne bis idem” da parte del giudice Anania. “Siamo di fronte – ha detto Patronaggio – ad un gravissimo scambio politico – mafioso. Ci sono fatti nuovi – ha aggiunto -. Abbiamo cercato di leggere il materiale probatorio in maniera unica senza parcellizzazione. Questo lavoro il gup non l’ha fatto. Il giudice non ha dedicato una sola riga per spiegare chi era Michele Aiello e i suoi rapporti con Provenzano. Non ha dedicato una sola riga alla rete di talpe. Siamo di fronte a quegli episodi gravissimi che rendono invincibile il potere mafioso. Questa rete non serviva ad Aiello solo per trovatore voti, ma le informazioni servivano per proteggere Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro - ha concluso -. In questa rilettura dei rapporti fra Cuffaro e Aiello, Lo Verso avrebbe potuto aggiungere elementi importanti”. Ma l’audizione del collaboratore di giustizia che avrebbe confermato le dichiarazioni del pentito Francesco Campanella sui suoi rapporti con Cuffaro e tra questi con Guttadauro, Aiello e i due sottufficiali, non è stata ammessa dalla Corte. Infine, Patronaggio ha citato l’apporto dichiarativo di Massimo Ciancimino sul contributo offerto in qualche modo da Cuffaro a Provenzano nel settore della sanità e della grande distribuzione, anche se – ha detto - “mi fa venire l’orticaria pensare che Ciancimino sia stato arrestato per avere calunniato il capo della polizia”. L’udienza è stata così rinviata al 16 giugno per le arringhe della difesa, la Corte presieduta da Biagio Insacco il 18 dovrebbe emettere la sentenza.