lunedì 16 luglio 2012

La Procura di Milano intercettò Scalfaro, ma dal Quirinale nessuna iniziativa. - Giovanna Trinchella

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Era il febbraio del 1997 quando scoppiò il caso dell'intercettazione delll'allora presidente della Repubblica. ''Il Giornale'' pubblicò il testo di un colloquio tra il capo dello Stato e un banchiere. Alle varie interpellanze rispose l'allora ministro della Giustizia Flick e il Csm archiviò la pratica aperta su ordine del Plenum.

Era il febbraio del 1997 quando scoppiò il caso dell’intercettazione delll’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Il 27 febbraio ”Il Giornale” pubblicò il testo di un colloquio, registrato dalla Guardia di Finanza il 12 novembre 1993 tra il  capo dello Stato e l’allora amministratore delegato della banca popolare di Novara, Carlo Piantanida. La conversazione era stata depositata agli atti dell’inchiesta per la bancarotta della finanziaria svizzera Sasea, a Milano, che faceva capo a Florio Fiorini. Il finanziere, coinvolto in diverse inchieste dell’epoca di Mani Pulite, presentò un esposto nel quale si accusava il pm di Milano Luigi Orsi proprio per non aver proceduto nei confronti di Scalfaro. Ma dal Quirinale, però, non arrivò nessuna iniziativa, nessuna lamentela e soprattutto nessun conflitto di attribuzione sollevato davanti alla Corte Costituzionale. 
Il caso Scalfaro. E sì che Scalfaro al telefono conversava con Carlo Piantanida, ex amministratore delegato della banca Popolare di Novara (città natale dell’ex presidente, ndr) di un “ricambio” al vertice della banca dopo una conversazione con il “governatore”, presumibilmente di Bankitalia. Parole prive di qualsiasi “rilevanza penale” come disse l’allora capo della Procura di Milano Francesco Saverio Borelli rispondendo agli attacchi politici e anche alle diverse interpellanze parlamentari, una delle quali presentata dall’ex inquilino del Quirinale Francesco Cossiga. Alle interpellanze risposero al Senato (di cui era presidente Nicola Mancino) il premier Romano Prodi e il ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick. Sul caso erano intervenuti anche i consiglieri del Consiglio Superiore della Magistratura, di cui il presidente della Repubblica è capo, Franco Fumagalli e Gianvittorio Gabri (laici ex Lega), chiedendo un’indagine del consiglio sul perché il contenuto di quella conversazione non fosse stato distrutto, ma allegato ad atti pubblici. “E’ spiacevole che il nome del Presidente della Repubblica compaia in una intercettazione, peraltro del tutto legittima, fatta su altra utenza” disse Borrelli, confermando l’irrilevanza penale. 
Per il presidente emerito e senatore a vita Cossiga quell’intercettazione non poteva essere effettuata. Ma non solo; una volta fatta non poteva essere trascritta, né poteva essere depositata agli atti dell’inchiesta. Cossiga chiese all’allora Guardasigilli quali misure intesse “adottare a tutela delle prerogative del presidente della Repubblica poste a protezione della sua indipendenza e libertà fisica, giuridica e morale”.  Una interpellanza alla quale Flick aveva risposto fornendo una spiegazione ambigua: da una parte aveva rimproverato il pool sostenendo che la procedura non era stata “in linea” con il sistema di garanzie assicurate dalla costituzione al presidente della Repubblica (che gode dell’immunità e può essere incriminato solo per alto tradimento, ndr), ma poi aveva osservato che la sua spiegazione a sua affermazione era la conseguenza di una “interpretazione sistematica” della Costituzione che non trovava “riferimenti letterali nei codici”. Insomma risposta aveva messo in evidenza l’esistenza di leggi che non consentivano l’adozione di provvedimenti. Le conclusioni alle quali giunse Flick a Palazzo Madama furono acquisite dalla Commissione del Csm che aveva aperto un’istruttoria – su ordine del Plenum - che fu archiviata.Anche all’epoca era in discussione un disegno di legge materia di intercettazioni telefoniche su cui proprio Flick doveva dare un parere. 
L’intercettazione. Ecco di seguito parte della trascrizione tra Scalfaro e Pintanida. Il presidente non viene nominato o identifica. Il banchiere (P) lo chiama “presidente” o “eccellenza”; le Fiamme gialle, secondo la prassi, “interlocutore” (I).
I: Buonasera, probabilmente sono notizie che voi già avete. Mi ha chiamato il governatore e mi ha detto che ha avuto le relazioni (o che) non so se ha già mandato a dire queste cose. P: No, per ora. I: Indubbiamente la banca, gli hanno scritto nella (parola incomprensibile) ha una sua forza, sarebbe bene pero’ data questa situazione, che non ci fosse, come era stato detto all’inizio, tutto il ’94 P: Ho capito. I: Ma, dice, sarebbe bene che alla prossima scadenza tecnica ci fosse un po’ di ricambio. P: Ho capito. I: Lui parlava di Boroli che prendesse la presidenza e poi dice che lui ha sentito dire che li’ da voi sarebbe ben visto Caletti, io non lo conosco. P: Sì (…) è da inserire con calma però (…) è un giovane. I: Cioè me lo ha detto come dire che…P: C’è bisogno di inserire qualcuno. I: E’ una persona stimata. P: Sì, certo. I: Però ha ripetuto che non mi pare opportuno attendere tutto il ’94, alla prossima scadenza arrivarci più rapidamente. P: Ho capito. I: Io penso che forse varrà la pena di fare una chiacchierata da lui. P: Sono stato convocato per l’altro martedì. I: Ah, va bene (….) P: Io tra l’altro stasera avevo telefonato al Nino per fare sapere che ieri siamo stati interrogati. Direi che è andata bene, cioè credo che abbiano capito la posizione mia e di Venini. Insomma, sembra che le cose si mettano bene. I: Questo potrebbe aiutare forse questo discorso. P: Certo, penso di sì. I: Per una prosecuzione più tranquilla. 
L’interrogazione del senatore Ceccanti. Diversa la lettura dei fati del 1997 da parte del costituzionalista e senatore del Pd, Stefano Ceccanti che ricorda che “nel dibattito parlamentare svoltosi in Senato il 7 marzo ’97 emerge in modo sostanzialmente unanime, a partire da alcune interrogazioni e da un puntuale intervento dell’allora ministro Flick, che intercettazioni anche casuali nei confronti del Presidente della Repubblica siano totalmente illegittime sulla base dell’art. 90 della Costituzione e dell’’art. 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219. Gli articoli 90 e 96 della Costituzione valgono anche per la procura di Palermo”. Per Cennati “la decisione della presidenza della Repubblica a tutela della funzione presidenziale e non di un privilegio personale era a questo punto inevitabile”. “Come chiarito in un’interrogazione parlamentare depositata poco fa insieme al collega Sanna, e rivolta al ministro della Giustizia per conoscere valutazioni ed eventuali iniziative del Governo già l’inchiesta in linea generale, come chiaramente esposto dal professore Onida, rientra nell’ambito dei reati ministeriali  - osserva il senatore – di cui all’articolo 96 della Costituzione, per cui la suddetta Procura avrebbe pertanto dovuto fermarsi ‘omessa ogni indagine’, trasmettendo gli atti al Tribunale dei ministri“. 

Vent’anni di trattativa. Episodio Uno 30 gennaio-30 maggio 1992




Mafiosi, uomini dello Stato, figure di confine. Sono i protagonisti della “trattativa”, il presunto patto segreto tra potere politico e Cosa nostra che, secondo un’inchiesta della Procura di Palermo, fu stretto tra il 1992 e il 1993. I corleonesi avrebbero cessato le stragi e le ritorsioni contro i politici siciliani considerati “infedeli”, lo Stato avrebbe garantito benefici processuali e carcerari, a partile dall’alleggerimento del famigerato 41bis. Il giudice Paolo Borsellino potrebbe essere stato ucciso anche perché si sarebbe sicuramente opposto a qualunque accordo con i boss che avevano ammazzato, neppure due mesi prima, Giovanni Falcone (continua…)
Guarda anche


http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/07/16/ventanni-trattativa-episodio-gennaio-maggio-1992/201696/

Onore al merito!



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=264870596960281&set=a.116979528416056.20344.116969748417034&type=1&theater

A quanto pare si tratta di balle, per rendersene conto leggere questo articolo:
http://attivissimo.blogspot.it/2012/07/i-miracoli-dhollande.html

Unioni di fatto, un diritto solo per i parlamentari.




"Spero lo sappiate ma molti dei nostri parlamentari che votano contro i diritti alle coppie di fatto sono essi stessi conviventi fuori del matrimonio, ma, non si sa perché, godono di un trattamento legislativo di favore, che si sono fatti ad hoc, per cui i loro conviventi sono trattati con gli stessi diritti che avrebbero dentro un matrimonio regolare: assistenza sanitaria, quota contributiva doppia, reversibilità della pensione...
È dal 1990 che i parlamentari si sono fatti una legge apposita, per cui basta che il partner dichiari di convivere "more uxorio" da almeno tre anni e la legge lo tratta come uno sposo legittimo (Regolamento di assistenza sanitaria integrativa dei Deputati, art. 2, lettera "d").
Il 25% dei parlamentari e del personale della Camera usufruisce di questi trattamenti di favore. La differenza tra gli eletti e gli impiegati di Montecitorio sta nel fatto che per i primi il diritto può estendersi anche oltre il convivente (ad esempio ai figli, anche quelli nati "fuori dal matrimonio", ma fino al raggiungimento della maggiore età), mentre per i secondi ci si limita al partner.
Ultimamente ai partner di fatto è stato riconosciuto anche il vitalizio.
Ma non basta: il diritto al vitalizio è riconosciuto anche al partner di fatto dei consiglieri regionali!!!
Ecco dove arriva l'ipocrisia di costoro: negare agli altri quello che si è votato allegramente per se stessi da 20 anni!!
E poi non dovremmo chiamarli una Casta!!???" viviana v., bologna



http://www.beppegrillo.it/2012/07/unioni_di_fatto_un_diritto_solo_per_i_parlamentari.html

Leggi anche questo:


http://violapost.it/?p=9641

Napolitano solleva il conflitto con la procura di Palermo.





Napolitano solleva conflitto di attribuzione con Palermo: 'Intercettazioni lesive per le prerogative del presidente della Repubblica'. Procuratore Messineo: 'Siamo sereni. Rispettate tutte le norme, già dati chiarimenti all'Avvocatura'. Ingroia: 'Intercet.

Napolitano ha affidato all'Avvocato Generale dello Stato l'incarico di rappresentare la Presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo per le decisioni che questa ha assunto su intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato; decisioni che il Presidente ha considerato, anche se riferite a intercettazioni indirette, ''lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione".  Napolitano è giunto a prendere questa decisione ispirandosi all'insegnamento di Einaudi, per "evitare" precedenti "grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà" previste dalla Costituzione.
I MAGISTRATI: NORME RISPETTATE - "Siamo sereni. Tutte le norme messe a tutela del Presidente della Repubblica riguardo a una attività diretta a limitare le sue prerogative sono state rispettate. I chiarimenti sono stati già dati all'Avvocatura dello Stato. Mai la Procura avrebbe avviato una procedura mirata a controllare o comprimere le prerogative attribuite dalla Costituzione al Capo dello Stato". Lo ha detto il procuratore di Palermo Francesco Messineo. Ho appreso dell'avvio di una procedura relativa al conflitto di attribuzione. Dalla motivazione si ricava che questa iniziativa è stata attivata perché le intercettazioni, anche se indirette, sono lesive delle prerogative del Capo dello Stato. Al momento non conosciamo altro", ha concluso il procuratore.
Nei giorni scorso l'Avvocatura dello Stato di Roma aveva chiesto a Messineo chiarimenti sulle intercettazioni di conversazioni tra l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e il capo dello Stato Giorgio Napolitano che sarebbero state "captate" nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Le conversazioni sarebbero state intercettate indirettamente visto che ad essere sotto controllo era il telefono dell'ex ministro Mancino, indagato nell'ambito del procedimento per falsa testimonianza. Sono state invece depositate le conversazioni tra l'ex capo del Viminale e il consigliere giuridico del Quirinale Loris D'Ambrosio.
LE REAZIONI -  Il guardasigilli Paola Severino, a Mosca per una visita ufficiale, ha difeso la decisione del Quirinale di sollevare un conflitto di attribuzioni sulla vicenda delle intercettazioni telefoniche dell'inchiesta di Palermo: "Il capo dello Stato ha utilizzato il mezzo più corretto".
"Se l'intercettazione non è rilevante per la persona che è sottoposta a immunità e lo è per un indagato qualsiasi, può essere utilizzata". Lo dice il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, a proposito del conflitto di attribuzione sollevato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. "Secondo la nostra posizione - ha aggiunto Ingroia - per altro confortata da illustri studiosi, se l'intercettazione è rilevante nei confronti della persona intercettata, allora è legittima. Non esistono intercettazioni rilevanti nei confronti di persone coperte da immunità. E per quelle non coperte da immunità non c'e bisogno di alcuna autorizzazione a procedere".
"Ha ragione il Presidente della Repubblica quando sostiene che non devono esserci interferenze tra i vari organi costituzionali dello Stato e, proprio per questa ragione, ci auguriamo che nessuno, qualunque carica rivesta, interferisca con l'Autorità Giudiziaria nell'accertamento della verità", afferma Antonio Di Pietro. L'Idv, aggiunge, si schiera "senza se e senza ma al fianco dei magistrati palermitani". Per Di Pietro, i magistrati palermitani "stanno facendo ogni sforzo possibile per accertare la verità in ordine alla pagina buia rappresentata dalla trattativa tra Stato e mafia, che ha umiliato le istituzioni ed ha visto magistrati del calibro di Falcone e Borsellino perdere la vita, mentre altri trattavano per farla franca". "In uno Stato democratico, credo che tutti i cittadini abbiano il diritto di sapere se qualcuno abbia interferito nella ricerca della verità. E, nel caso specifico, è dovere dello Stato accertare le ragioni per cui un ex presidente del Senato, ex presidente del Csm ed ex ministro dell'Interno abbia cercato di interferire con le indagini, ricorrendo ai buoni uffici delle più alte cariche dello Stato per non dover rispondere delle proprie azioni davanti alla magistratura", conclude.
DECRETO NAPOLITANO, GIA' LESE PREROGATIVE CAPO STATO - Le prerogative del Capo dello Stato sono state già lese dai pm di Palermo con la valutazione dell'irrilevanza delle intercettazioni e la loro permanenza agli atti dell'inchiesta; sarebbero ulteriormente lese da una camera di consiglio per deciderne in contraddittorio la distruzione. lo si legge nel decreto del presidente Napolitano.
"Comportano lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione - è scritto nel decreto del Capo dello Stato - l'avvenuta valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione (investigativa o processuale), la permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento e l'intento di attivare una procedura camerale che - anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio sul punto - aggrava gli effetti lesivi delle precedenti condotte".

Inchiesta Maugeri, sequestro per oltre 60 milioni. Yacht, vini, quote e ville.

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Nel mirino della Procura è finito la yacht "America" di Daccò, considerato il "tesoriere". Oltre alla barca, di oltre 30 metri, sono state sequestrate mille bottiglie di vini pregiati per un valore di oltre 300mila euro. Nella stessa inchiesta è indagato anche Roberto Formigoni. A ex assessore Simone contestato riciclaggio da oltre 10 milioni.

E dopo gli arresti arrivano i sequestri nell’ambito dell’inchiesta Maugeri, quella in cui risulta indagato anche il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Gli uomini della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato stanno sequestrando beni  oltre 60 milioni di euro per lo scandalo che ha travolto nuovamente la sanità lombarda. I beni sono stati sequestrati alle cinque persone arrestate lo scorso aprile tra cui il faccendiere Pierangelo Daccò, l’imprenditore che pagava le vacanze al governatore lombardo e i cui ultimi verbali sono stati secretati. Gli investigatori stanno eseguendo il sequestro in Sardegna, Liguria e a Venezia; tre immobili a Olbia, località Schina Manna; quattro a Sant’Angelo Lodigiano (Lodi); uno a Venezia; quattro a Milano; cinque a Bonassola. Sigilli anche alle quote societarie di numerose società con sede in Italia ed all’Estero (Svizzera, Olanda, Inghilterra, Irlanda, USA, Seychelles, Panama, Nuova Zelanda, Lussemburgo, Singapore, Hong Kong); varie automobili di grossa cilindrata e motocicli. 
Nel mirino della Procura è finito lo yacht  ”America”, l’ex “Mi amor”, un Ferretti di proprietà di Daccò. Oltre alla barca, di oltre 30 metri, sono state sequestrate mille bottiglie di vini pregiati per un valore di oltre 300mila euro che uno degli indagati aveva depositato presso la cantina di un noto ristorante di Milano. L’indagine coordinata dai pm di Milano Luigi Orsi, Laura Pedio, Gaetano Ruta e Antonio Pastore, infatti, ipotizza l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata a plurimi al riciclaggio, l’appropriazione indebita pluriaggravata ai danni della Fondazione Maugeri (composta da diverse cliniche specializzate nella raibilitazione), la frode fiscale, l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Dalle casse della Maugeri, per la Procura di Milano, sono usciti poco meno di 70 milioni di euro di cui Daccò era in qualche modo il “tesoriere”.  
Gli arresti erano stati eseguiti il 13 aprile scorso. In manette per la distrazione di fondi oltre a Daccò finirono l’ex assessore regionale alla sanità (anni ’90) Antonio Simone, il direttore amministrativo della clinica pavese Costantino Passerino (il primo a parlare in un interrogatorio quando era semplice teste dei rapporti Daccò Formigoni, ndr), un consulente, un commercialista e il presidente della Fondazione. Nelle carte dell’inchiesta erano immediatamente emersi  i contatti tra Passerino e Daccò “uomo importante per i suoi rapporti con il presidente” ed erano già nota l’amicizia dell’imprenditore, già arrestato nell’ambito dell’inchiesta sul San Raffaele per cui la Procura ha chiesto 5 anni e mezzo. 
Dopo le misure cautelari erano iniziati gli interrogatori degli indagati. In uno di questi Simone aveva spiegato di avere il ruolo di sponsor per la legge regionale del 2007 che in qualche modo avrebbe favorito la Fondazione Maugeri. Per ripagare una norma favorevole dalle casse della clinica, sotto forma di contratti e consulenze anche molto fantasiose come lo studio per accertare la presenza di vita su Marte, sarebbero usciti secondo la Procura di Milano circa 70 milioni di euro, finiti in fondi neri. Da qui la decisione del sequestro preventivo “del profitto dei reati contestati anche ‘per equivalente’ laddove non sia possibile reperire le somme direttamente pertinenti il reato”. Proprio a Simone viene contestato un riciclaggio di 10 milioni di euro e 1 milione e 300mila dollari Usa. Per il giudice per le indagini preliminari Vincenzo Tutinelli Simone “in concorso con Grenci, in qualità di fiduciario svizzero, socio della Norconsulting, con più atti esecutivi di un medesimo disegno crimonoso, in tempi diversi, fuori dei casi di concorso nei reati di appropriazione indebita ai danni della Fondazione Maugeri, trasferiva denaro provento di tali delitti per un importo di circa 10 mln di euro e 1 mln e 300mila dollari Usa, e compiva in relazione ad esso altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della sua provenienza delittuosa facendo transitare tali somme su conti correnti esteri riferibili a lui personalmente o a sue società, in forza di falsi contratti di consulenza, così da disperderne le tracce”. Tra i beni sequestrati all’ex assessore, vi è un complesso abitativo a Olbia e quote societarie per 20mila euro oltre a un conto corrente e due conto deposito.
Secondo gli inquirenti Daccò, Simone, Passerino, l’ex presidente della fondazione, Umberto Maugeri, e i due consulenti Gianfranco Mozzali e Claudio Massimo, avrebbero agito in concorso con altri indagati: Mario Cannata, legale rappresentante della società Icb, Ridolfo Paolo Latmiral, legale rappresentante di altre società e Manfred Hirshmann, legale rappresentante della Mtb, una delle società di Daccò. Nel decreto di sequestro vengono messi “nero su bianco” i ruoli di tutti gli indagati nell’associazione e viene chiarito che “sotto la direzione di Maugeri, Passerino, Daccò e Simone” venivano prese “decisioni” nel corso di “frequenti riunioni” nello studio di Daccò, nelle sedi di alcune società e “presso la sede della redazione della rivista Tempi in Milano. Gli associati “si accordavano allo scopo di distrarre ingenti risorse ai danni della Fondazione Maugeri ed effettivamente ponevano in essere plurime operazioni che assicuravano profitti illeciti pari a circa 69 milioni di euro”. In particolare il gip quantifica i fondi neri in “69.284.580” euro.
Un contributo importante allo sviluppo dell’indagine è arrivato da due indagati arrestati ad aprile: “Deve rilevarsi – scrive il gip  come la situazione fotografata a quella data (il riferimento è all’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti degli indagati nell’aprile scorso, ndr) sia profondamente mutata per effetto delle dichiarazioni degli indagati Passerino e Mozzali e di ulteriori soggetti escussi quali Parricchi e Fenyo”. Gli interrogatori di Daccò invece, alcuni in parte vincolati al segreto, hanno poi smentito di fatto le dichiarazioni di Formigoni sulle vacanze di gruppo, ai Caraibi in barca. Il faccendiere in un interrogatorio aveva fatto sapere che mai gli erano stati restituiti i soldi di quei viaggi e del resto Formigoni non ha mai mostrato le ricevute di cui parlava. Le indagini sono state dirette anche sui soldi usati per le ville in Costa Smeralda, senza dimenticare che nell’ambito dell’inchesta San Raffaele era emerso che Formigoni aveva aiutato l’amico Alberto Perego  a comprare da Daccò Villa Li Grazii, a cinque chilometri da Porto Cervo. E Alberto Perego, convivente del presidente, è stato stato condannato in primo grado a quattro mesi per falsa testimonianza per aver negato di essere il beneficiario di un conto bancario svizzero nell’inchiesta della Procura di Milano. Sull’operazione di sequestro a chi gli chiedeva spiegazioni Formigoni ha risposto: ”Non ne so nulla, l’ho appreso dalle agenzie”. 

Forza Italia? Si legge Forza Mediaset. La “svolta” di Berlusconi per restare a galla. - Sara Nicoli

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Il ritorno al passato, allo "spirito del 94", nasconde un progetto ben meno ambizioso. Non quello di vincere le elezioni, ma di avere un presidio in Parlamento per difendere aziende e fedina penale. Il Pdl è finito, ex An in cerca di collocazione.

Alla fine, il Capo ha deciso. Si torna a Forza Italia, allo “spirito del ’94” e anche ai suoi padri fondatori, i Martino, i Dell’Utri, gli ScajolaSilvio Berlusconiparlando come di consueto ai giornali stranieri perché di quelli italiani non si è mai fidato (a cominciare dal “suo”) ha svelato che la macchina da guerra della sua propaganda sta lavorando da mesi solo per tornare all’antico. L’annuncio vero ci sarà proprio oggi, a Villa Germetto, dove Berlusconi ha convocato un consesso di economisti (pare ci sia anche un premio Nobel di cui, però, si ignora il nome) per dare concretezza a quello che dovrebbe diventare la sua proposta politica in vista delle elezioni 2013.
Una linea tutta improntata alle questioni economiche e al rilancio dello sviluppo (un modo anche per prendere in contropiede Giulio Tremonti che ha intenzione di insidiarlo con il suo nuovo partito e un progetto politico similare) che è anche alla base della scelta di ritornare al vecchio nome, a Forza Italia. Perché in un momento del genere, ragionava qualche giorno fa Paolo Bonaiuti, suo storico portavoce, “ci dobbiamo dare tutti la forza di ricominciare e guardare avanti ritrovando lo spirito di coesione che animò il ’94”. Ecco, dunque, che Berlusconi tornerà, avvolto dalla sua vecchia bandiera e, soprattutto, circondato dai suoi veri amici di sempre, quelli che non lo hanno mai tradito, quelli che – come Martino – lo hanno pesantemente criticato quando dava troppo retta a Tremonti e “non faceva di testa sua”.
Oggi a Villa Germetto, però, non si consumerà solo la rinascita di Forza Italia, ma anche la definitiva lacerazione di quello che fu il Pdl. Gli ex An sono già con un piede fuori dalla porta, Ignazio La Russa ha già un  nuovo nome in tasca e, forse, anche un nuovo progetto politico da dividere con Gasparri e Matteoli, ma il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, frena perché vuole ancora delle primarie che non avrà mai: “Non mi convince una scomposizione del centrodestra, con la destra da una parte e il centro dall’altra. E poi, che destra? Destra sociale? Liberale? Liberista? Lasciamo perdere…”.
La notizia, comunque, è che il Cavaliere ha girato pagina. All’indietro. Riavvolgendo il nastro della sua storia politica di quasi vent’anni, convinto che a un Paese come l’Italia – e in particolare al suo elettorato – basti davvero una sorta di operazione nostalgia per salvarlo non tanto dal capestro della giustizia “ad orologeria”, come l’ha sempre chiamata lui, quanto dal tracollo delle sue aziende. Sembra di capire che Berlusconi sia conscio di non poter vincere in alcun modo le prossime elezioni (anche se in pubblico, ovviamente, spaccia il contrario) ma ciò che gli serve, oggi più di ieri, è il restare al centro dell’agone della politica, se non come centravanti, almeno come mediano, quello che influenza direttamente il gioco e, in qualche modo, lo tiene in pugno da centrocampo.
Pierferdinando Casini ha già bocciato questo ritorno, ma in fondo il ritorno del Cavaliere non piace neppure allo zoccolo duro del suo elettorato che, probabilmente, si frammenterà ulteriormente, in attesa che nuove aggregazioni facciano da calamita verso quel che resta degli ex An, del Pdl. E anche della Lega. Non c’è dubbio, infatti, che l’annuncio di Berlusconi abbia anche dato definitivamente la stura a un progetto di nuova legge elettorale d’impronta fortemente proporzionale, perché solo in questo modo la nuova Forza Italia (e tutto il resto del pulviscolo partitico che si formerà a destra) potranno avere qualche minima chance di trovare un posto il Parlamento. E di condizionare pesantemente il governo che verrà e il dopo Monti. Altro che Forza Italia; per Berlusconi sarà sempre e solo Forza Mediaset. E perchè no, Forza Gnocca…