“Un’iniziativa senza precedenti, un unicum assoluto, una vicenda inquietante e sinistra”. Le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, arrivano a seguito della notizia dell’apertura di un fascicolo preliminare da parte del pg della Cassazione, Gianfranco Ciani, contro il sostituto procuratore di Palermo, Nino Di Matteo, e contro il procuratore capo, Francesco Messineo. La possibilità che il procuratore generale della Cassazione mandi alla sezione disciplinare del Csm un atto di incolpazione a carico del pm Di Matteo per violazione del riserbo sulle indagini, e del procuratore Messineo, per non aver autorizzato il suo sostituto a rilasciare un'intervista è alquanto realistica.
E altrettanto oscena. Questo ennesimo assedio alla procura di Palermo avviene immancabilmente sotto il “Generale Agosto”, clima ideale per attuare strategie criminali ordite ad alti vertici istituzionali nel silenzio assordante di un’opinione pubblica distratta da ferie ed olimpiadi. Sul fronte giudiziario palermitano il prossimo autunno si preannuncia decisamente “caldo”. Il processo Mori-Obinu per la mancata cattura di Provenzano si avvia verso la fase conclusiva. L’inchiesta sulla “trattativa” Stato-mafia approderà all’udienza preliminare che potrà sfociare in un rinvio a giudizio. Tra gli imputati “eccellenti” vi sono mafiosi del calibro di Totò Riina e Bernardo Provenzano, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e i senatori Marcello Dell'Utri e Calogero Mannino. Come è noto tra i magistrati del pool che investigano sulla “trattativa” vi sono Antonio Ingroia e Nino Di Matteo. Gli attacchi scomposti nei loro confronti, ai quali abbiamo assistito in questi mesi, si sono acuiti ulteriormente proprio in prossimità dell’autunno giudiziario che si avvicina. Con la temporanea uscita di scena di Antonio Ingroia (dovuta alla sua trasferta in Guatemala per ricoprire l’incarico affidatogli dalle Nazioni Unite) l’obiettivo da colpire con ogni mezzo resta quindi il pm Di Matteo e a seguire gli altri componenti del pool: Lia Sava, Francesco Del Bene, Paolo Guido, così come quei magistrati che a vario titolo stanno investigando su delicate inchieste di mafia e politica. L’ingerenza del Quirinale nei confronti della procura di Palermo (attraverso la sollevazione del conflitto di attribuzione davanti alla Consulta in merito alle intercettazioni tra Napolitano e Mancino) ha rappresentato la punta massima di un attacco violento, mirato e del tutto preventivo nei confronti di determinati magistrati. Così come ha ricordato lo stesso Ingroia un pugno di magistrati è entrato nella “stanza della verità”. All’interno si cominciano ad intravedere le sagome dei corresponsabili di quelle stragi sulle quali lo Stato-mafia non intende fare luce. Gli attacchi istituzionali nei confronti di Roberto Scarpinato, Antonio Ingroia e Nino Di Matteo segnano il punto di non ritorno di un Paese colpevole e senza più dignità, attraversato da una classe politica che, salvo rarissime eccezioni, si rende consapevolmente strumento di un potere criminale per delegittimare, isolare e sovraesporre chi persegue unicamente la verità per rendere giustizia a tutti i martiri della violenza politico-mafiosa.
Più di dieci anni fa il padre del pool antimafia, Antonino Caponnetto, si era rivolto a centinaia di ragazzi e adulti intervenuti ad un convegno riprendendo l’appello lanciato poco tempo prima da Antonio Ingroia: “Uomini e donne di buona volontà se ci siete battete un colpo!”. A quella “chiamata” ognuno di noi ha il dovere morale di continuare a rispondere. Ora.
Non saranno certamente i “sepolcri imbiancati” delle istituzioni a dare la solidarietà ai magistrati sotto assedio, né tantomeno quella magistratura pavida pronta solo a commemorare i propri colleghi uccisi, o quegli esponenti politici collusi con i peggiori criminali. Mai come oggi la responsabilità di stringersi attorno a questi magistrati è di quella parte della società che si definisce “civile”.
Ci eravamo sbagliati quando avevamo scritto che il Csm oggi è tornato ad essere il Sinedrio che perseguita i propri eroi (basta citare l’esempio del trattamento riservato a Falcone e Borsellino). Sì, ci siamo sbagliati perché al Sinedrio dobbiamo associare una parte del vertice della Procura Generale della Cassazione che può essere tranquillamente definita la procura di Erode al servizio del potere del Governatore politico Ponzio Pilato.
Più di dieci anni fa il padre del pool antimafia, Antonino Caponnetto, si era rivolto a centinaia di ragazzi e adulti intervenuti ad un convegno riprendendo l’appello lanciato poco tempo prima da Antonio Ingroia: “Uomini e donne di buona volontà se ci siete battete un colpo!”. A quella “chiamata” ognuno di noi ha il dovere morale di continuare a rispondere. Ora.
Non saranno certamente i “sepolcri imbiancati” delle istituzioni a dare la solidarietà ai magistrati sotto assedio, né tantomeno quella magistratura pavida pronta solo a commemorare i propri colleghi uccisi, o quegli esponenti politici collusi con i peggiori criminali. Mai come oggi la responsabilità di stringersi attorno a questi magistrati è di quella parte della società che si definisce “civile”.
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