domenica 26 agosto 2012

Voi siete qui - Finger food per tutti. Ma chi paga? - Alessandro Robecchi



Ogni riga un piccolo brivido, ogni capoverso una vertigine. 
Leggere sui giornali governativi (cioè più o meno tutti) la cronaca del consiglio dei ministri dell’altro giorno è stato un viaggio – a tratti divertente, a tratti deprimente – in un magistrale teatrino dell’assurdo. Tralasciamo qui per carità di patria il provincialissimo ricorso alla lingua inglese, cioè le elucubrazioni sulla spending review (trad: tagli), sull’informal time (trad: Monti si leva la giacca) e sull’ordine alle cucine di procurare per tutti finger food (trad: panini). 
Passiamo invece alla sostanza. 
Il consiglio dei ministri, ribattezzato “seminario”, doveva verificare i numerosi dossier preparati dai vari ministri. In pratica numerose proposte di azione “per la crescita”, contenute in cartelline colorate, che ognuno ha potuto illustrare aspettando la chiosa del ministro Grilli, variabile da “Non ci sono risorse” a “Non facciamo annunci avventati”. Insomma, a leggere le cronache, un lungo rosario di “intenzioni”, “progetti allo studio”, “valutazioni”, “studi di fattibilità”. 
Tutto un campionario di “si potrebbe”, tutto un florilegio di “pensiamoci”, di “verifichiamo”, di “monitoriamo”, che in qualsiasi riunione di redazione, o consiglio di amministrazione, o consesso decisionale verrebbe chiamato col suo vero nome: “fuffa”. 
Esilarante poi, come sempre, l’intervento del ministro Fornero che avanza due proposte. La prima: “Abbassiamo il cuneo fiscale per i giovani anche se capisco che le risorse sono limitate”. Traduzione: sarebbe bello ma non si può. La seconda (occhio, siamo al capolavoro): “Monitoriamo come la riforma del lavoro influisca sull’occupazione”. Traduzione: tutti quelli sani di mente ci hanno detto che questa riforma produrrà povertà e disoccupati, mah, ora che l’abbiamo fatta a colpi di fiducia, vediamo se è vero. Poi, finito il seminario, uno se ne va a far passerella dai ciellini, uno stacca, un altro prende congedo, qualcuno, si suppone, spazzola gli avanzi del finger food. Ah, dimenticavo: ci vorranno più privati alle Poste, nella cultura e nella sanità. Ma chi l’avrebbe mai detto, eh?

http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201208/voi-siete-qui-finger-food-per-tutti-ma-chi-paga/

Fassissta!



"Fassissti! Fassissti del web" ha gridato Gargamella Bersani. "Venite qui a darmi dello zombie se avete il coraggio". 

Fatemi capire, se Bersani viene accomunato a uno zombie politico (tesi supportata dalla sua storia passata e recente) è un insulto gravissimo, se invece Bersani considera il MoVimento 5 Stelle alla pari del nuovo Partito Nazionale Fascista è normale dialettica.

A Bersani non mi sognerei mai di dare del fascista, gli imputo invece di aver agito in accordo con ex fascisti e piduisti per un ventennio, spartendo insieme a loro anche le ossa della Nazione. Anni in cui non c'è traccia di leggi sul conflitto di interessi o contro la corruzione. Violante e D'Alema sono stati le punte di diamante del pdl/pdmenoelle. Bicamerale, garanzia delle televisioni a Berlusconi, concessione delle frequenze televisive all'uno per cento dei ricavi. E lo Scudo Fiscale, passato grazie alle assenze dei pidimenoellini? e le decine di volte in cui il governo Berlusconi poteva essere sfiduciato, ma i pdimenoellini erano sempre altrove?


Nel 2007 sono state presentate tre leggi di iniziativa popolare per ripulire il Parlamento dai poltronissimi (massimo due mandati) e dai condannati e per l'elezione diretta degli eletti: non sono mai state discusse. Chi è il fassissta, caro Bersani? Chi ha ignorato 350.000 firme? Quando mi presentai "in carne e ossa" per la segreteria del pdmenoelle mi fu impedito. Chi era il fassissta, caro Bersani? 

Il MoVimento 5 Stelle ha rifiutato ogni rimborso elettorale, il pdmenoelle non ha mollato neppure l'ultima rata dello scorso giugno perché già spesa. 
Chi fa il fassissta con il finanziamento pubblico abolito da un referendum, caro Bersani? Chi voleva il nucleare "pulito" nonostante un referendum contrario? Io ho girato l'Italia con un camper, a mie spese, per fare campagna elettorale. 
Senza scorta. 
La Finocchiaro con la scorta ci fa la spesa e Fassino il primo maggio. 
Chi è il fassissta, caro Bersani? Lei ha ricevuto 98.000 euro da Riva, il padrone dell'ILVA, a che titolo? 
Chi è il fassissta, caro Bersani? 
Ma si rassicuri, lei non è un fascista. E' solo un fallito. Lo è lei insieme a tutti i politici incompetenti e talvolta ladri che hanno fatto carne da porco dell'Italia e che ora pretendono di darci anche lezioni di democrazia. Per rimanere a galla farete qualunque cosa. A Reggio Emilia si celebra Pio La Torre mentre si tratta con l'Udc di Cuffaro. Amen.

http://www.beppegrillo.it/2012/08/fassissta.html

Legge elettorale, Cicchitto: “Un terzo dei parlamentari con liste bloccate”. - Fabio Amato




Il capogruppo alla Camera del Pdl 'confessa': "I partiti hanno fatto un pessimo uso delle liste bloccate, ma senza di esse una serie di parlamentari di alto livello non sarebbero entrati o non entrerebbero più in Parlamento". E sulla legge elettorale Buttiglione attacca: "E' pronta da prima dell'estate, ma nella pantomima del bipolarismo non si può dire".

Nella prossima legislatura i big dei partiti torneranno tutti a sedere comodamente sugli scranni del Parlamento. Esattamente come è successo con il Porcellum, così accadrà con la nuova legge elettorale, quale che sia. A dirlo, per una volta, non sono i retroscena di palazzo, ma direttamente il capogruppo alla Camera del Pdl, Fabrizio Cicchitto, in una intervista pubblicata sul Mattino: “Un terzo dei parlamentari va scelto dai partiti con i listini bloccati – spiega Cicchitto – certo, delle liste bloccate i partiti hanno fatto pessimo uso, ma senza di essi una serie di parlamentari di alto livello non sarebbero entrati o non entrerebbero più in Parlamento. Serve equilibrio, non demagogia”.
Giù il velo dell’ipocrisia, Cicchitto ‘confessa’: c’è una intera oligarchia politica che non può permettersi di rimanere a casa solo perché gli elettori non la vogliono più vedere. E pazienza se questo permetterà di mettere in Parlamento le Minetti di turno. Per il resto, il capogruppo del Pdl si mostra “cauto” sull’accordo per la legge elettorale. “Il filo del dialogo non si è mai interrotto ma su alcuni punti qualificanti esistono più opzioni: se il premio andrà al primo partito, come chiediamo noi del Pdl, o alla coalizione, come vuole il Pd, e di che entità sarà, se del 10% o del 15%. Poi, preferenze o collegi oppure una soluzione intermedia tra queste due ipotesi”.
Proprio questi sembrano essere, allo stato, i nodi della trattativa tra i partiti. Un filo, stando alle parole del Pd Enrico Letta, sempre sul punto di interrompersi ma tenuto insieme dal duro lavoro di mediazione: “Se non si cambia la legge elettorale ora – ha dichiarato il vice di Bersani –  il prossimo Parlamento sarebbe l’agonia della Seconda Repubblica. Invece, il prossimo Parlamento deve essere l’inizio della Terza Repubblica. E questo può avvenire solo con un Parlamento eletto dai cittadini”.
Dopo l’ottimismo della scorsa settimana – “l’accordo è vicino, a breve l’annuncio” – il numero due del Pd torna a dubitare per invocare la responsabilità del trio ABC: ”Serve la buona volontà dei partiti maggiori a seguire l’appello di Napolitano. Lo ha detto con forza in questi mesi, richiamando il tema dell’interesse generale. La nuova legge elettorale è per il bene del Paese e serve a recuperare credibilità politica. Ci siamo vicini, ma ognuno deve fare la sua parte”.
A gelare la retorica di Letta di fronte ai microfoni di Tgcom 24, è però intervenuto un altro ex democristiano, l’ex ministro dei Beni Culturali Rocco Buttiglione. Ieri compagno di partito, poi nemico, oggi e domani quasi sicuramente alleato dello stesso Partito democratico, Buttiglione ha buttato acqua sul sacro fuoco della responsabilità politica che da mesi viene continuamente invocato ogni volta che si parla della transizione dal Porcellum a una nuova legge. 
L’accordo sulla legge elettorale – ha svelato Buttiglione – “è pronto da prima dell’estate”, ma non si dice perché in Italia “è ancora in piedi la pantomima del bipolarismo, un sistema per cui gli accordi non si fanno o, se si fanno, bisogna disprezzarli o attaccarli con odio. Una mentalità malata da cui bisogna uscire”. In un’intervista al Mattino, il presidente dell’Udc ha descritto nei dettagli – molti dei quali a dire il vero noti da giorni – i contorni dell’accordo:  “Il sistema elettorale sarà di base proporzionale – spiega Buttiglione – con uno sbarramento nazionale al 5% e all’8% in tre circoscrizioni, premio al primo partito, un terzo di liste bloccate e due terzi di preferenze o collegi”.
Buttiglione ha anche escluso l’ipotesi di elezioni anticipate, “a meno che non venga sconfitta in Europa la linea Monti-Draghi-Hollande-Merkel”. Quanto alla grande coalizione, “molto dipende dal sistema elettorale. Se passa quello di cui abbiamo parlato, che favorisce le aggregazioni ma non le impone, a meno che non vinca nettamente un’alleanza di centrodestra o una di centrosinistra, vorrà dire che è il popolo sovrano a volerla”, dichiara. “Molti che nel loro cuore la vogliono, nel Pd come nel Pdl, ma a parole la negano, sanno che è la sola soluzione possibile. Solo con il Porcellum o con un Super-Porcellum si potrebbe evitarla”.
Con questo sistema, quindi, l’unico nodo resta quello dell’entità del premio da assegnare al primo partito. Il Pd, al momento confortato dai sondaggi che lo vedono attorno al 25-27%, in vantaggio netto sul Pdl, spinge per ottenere un premio del 15% (o più) che garantirebbe controllo su una eventuale coalizione con Udc e Sel e la speranza di avere una maggioranza. Il Pdl vorrebbe mantenerlo più basso, tra il dieci e il 12%, rendendo in questo modo indispensabile un continuo accordarsi delle forze politiche. Con buona pace dei proclami di Alfano - “Silvio vuole vincere e governare” – buoni per dare una idea di competizione.
Del resto, i numeri – che i partiti conoscono a memoria – dicono che con l’attuale grado di sfiducia nei confronti della classe politica, con il nuovo sistema “alla greca” formare una maggioranza in parlamento sarebbe impresa ardua. Il Pd – dicono gli ultimi dati dell’Istituito Cattaneo pubblicati dalla Stampa – ci riuscirebbe solo con una alleanza con Sel e Udc. Solo in questo modo si garantirebbe una quarantina di seggi di vantaggio sull’opposizione. Ma questo renderebbe indispensabile una pace permanente tra centro e sinistra che al momento non si vede. Il centrodestra, di contro, ha tutto da guadagnare da un premio più basso – con buona pace della governabilità – che agirebbe da richiamo della sirena per riportare l’Udc verso il centrodestra. Di certo, numeri alla mano, nessun partito potrà cavarsela da solo. 

Shell: spesi 383 milioni per pagare illegalmente polizia e milizia nigeriana. - Federica Geremia




Una delle maggiori compagnie petrolifere al mondo, nonché la principale per ricavi, sembra avere grossi problemi di "sicurezza".

Infatti, la spesa di 4 milioni e mezzo per attrezzarsi nella trivellazione dell'Alaska è stata pressoché inutile dato che una piattaforma ha perso l'ancoraggio finendo quasi col toccare le coste della baia di Dutch. E nonostante la Shell abbia minimizzato sull'accaduto, le associazioni ambientaliste hanno imbastito una campagna mediatica mettendo profondamente in ridicolo l'azienda.
Ma il fatto più grave è emerso recentemente quando la Ben Amunwa di Platform, un'associazione londinese che monitora le compagnie petrolifere, ha scoperto che la Shell avrebbe speso 383 milioni in tre anni per "finanziare" polizia e militari nigeriani.
Infatti, tale ricerca ha fatto emergere che la compagnia avrebbe distribuito somme di denaro da 65 milioni direttamente nelle mani degli interessati, favorendo il dilagare della corruzione e degli abusi in un paese dove le forze dell'ordine hanno la fama di non rispettare i diritti umani.
Inoltre, i soldi in questione sarebbero molti di più di quelli spesi dalla compagnia in beneficio alle popolazioni colpite delle sue attività fortemente inquinanti.
Quindi, la dichiarazione fatta dal gruppo stampa dell'azienda che afferma di investire quasi il 40% del suo budget da 1 milione di dollari per la sicurezza degli impianti in Nigeria, pare del tutto infondata.
Detto questo, pare che la Shell abbia grandi responsabilità rispetto alla guerriglia interna che persiste nello stato africano, dato che sembra intrattenere relazioni con le autorità fin dal 1995.
Le associazioni locali confermano, e ora la Shell non potrà fare altro che dare spiegazioni.
Fonte: Reuters


Read more: http://it.ibtimes.com/articles/34838/20120821/shell-nigeria.htm#ixzz24fP3HQiV

Uragani: Isaac punta su Florida; a Haiti 1 morto e 5000 evacuati.

Uragani: Isaac punta su Florida; a Haiti 1 morto e 5000 evacuati

(AGI) - Port-au-Prince, 25 ago. - Un morto e 5000 persone evacuate: e' questo il bilancio del passaggio su Haiti e sulla Repubblica Dominicana della tempesta tropicale Isaac che si sta ora dirigendo su Cuba per poi raggiungere domani, forse in veste rafforzata di 'uragano', la costa della Florida. Secondo il centro statunitense degli uragani la tempesta ora si troverebbe a circa 65 chilometri a est di Guantanamo e a circa 615 chilometri da Nassau, nelle Bahamas. Isaac ha toccato terra stamane a Haiti a ovest della capitale Port-au-Prince. Il Paese caraibico, ancora alle prese con le conseguenze del devastante terremoto del 2010, e' stato investito da venti da 110 chilometri orari e da piogge torrenziali. Il presidente haitiano, Michel Martelly, che ha annullato una visita in Giappone per seguire da vicino le conseguenze, ha visitato alcuni rifugi di Port-au-Prince per distribuire viveri e coperte e il governo ha assicurato di essere pienamente mobilitato per fronteggiare l'emergenza. Intanto la Florida, dove lunedi' a Tampa e' in programma la convention del partito repubblicano, ha dichiarato lo Stato di emergenza. Il vicepresidente americano Joe Biden ha gia' annullato la sua visita e al momento e' confermato solo il programma di martedi' in altre due citta' dello Stato-chiave del sud degli Usa, Orlando e St. Augustine, salvo "cambiamenti legati alle condizioni atmosferiche".

http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201208251929-ipp-rt10103-uragani_isaac_punta_su_florida_a_haiti_1_morto_e_5000_evacuati

La ricetta di Stiglitz: combattere le disuguaglianze per far ripartire la crescita.


L’uscita dell’ultimo lavoro di Joseph Stiglitz, “The Price of Inequality: How Today’s Divided Society Endangers Our Future” (il prezzo della disuguaglianza: come la società divisa di oggi mette in pericolo il nostro futuro), è importante per due fondamentali motivi. Perché l’economista Nobel denuncia l’insensatezza delle politiche di austerità in un periodo di depressione come quello attuale, e perché punta il dito sugli effetti negativi delle disuguaglianze dei redditi sulla crescita del Pil, mostrando come negli Stati Uniti quest’ultimo aspetto sia divenuto tanto patologico da far diventare il mito del “sogno americano” solo un pallido ricordo.
Stiglitz torna ad intervenire sull’argomento sulle colonne del Los Angeles Times  puntando direttamente a chiarire che i problemi di sviluppo che le economie avanzate stanno oggi affrontando hanno una fondamentale radice: la debolezza della domanda aggregata. Ed è evidente che la porzione di reddito che viene spesa è più elevata nelle fasce più basse di reddito mentre diminuisce al crescere del reddito. La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi – che è aumentata ovunque, ma in alcuni paesi di più che in altri – è pertanto diventata un problema strutturale dello sviluppo delle economie avanzate.
Per queste sue evidenti implicazioni il concetto, prosegue Stiglitz, dovrebbe risultare immediato anche per i sostenitori dell’”economia dell’offerta” (supply-side economics), che individuano nella bassa produttività un importante freno alla crescita. Allo stesso tempo è necessario considerare che l’aumento delle disuguaglianze tra i redditi non è solo il risultato dell’operare delle cosiddette forze del mercato, ma anche l’esito inevitabile di comportamenti imprenditoriali che hanno premiato la ricerca di una rendita piuttosto che l’investimento produttivo. Meno investimenti produttivi e maggiori disuguaglianze nei redditi hanno dunque minato profondamente le prospettive di crescita delle economie avanzate. Un combinato disposto assolutamente esplosivo: non solo risulta indebolita la domanda aggregata, ma tendono anche ad indebolirsi i presupposti per la costituzione di una base produttiva ad alto potenziale di crescita, nella quale siano incorporati nuovi saperi ed innovazione. In un contesto nel quale investire equivale ad andare alla ricerca della miglior posizione di rendita finanziaria, anche il sistema del credito risulta distorto venendo a mancare quella fondamentale attività di prestito alle imprese per la realizzazione di investimenti nel settore dei beni reali.
Ora la questione cruciale che Stiglitz intende sottolineare è la seguente: far sì che gli investimenti tornino ai settori produttivi non è una operazione trascendentale. Sarebbero infatti necessarie una migliore regolamentazione finanziaria, migliori e più incisive leggi antitrust, una legislazione sulle imprese che limiti il potere dei grandi manager di fissarsi arbitrariamente le proprie retribuzioni, e nel complesso una maggiore trasparenza in tutti questi ambiti. Inoltre poiché la maggior parte del reddito delle fasce più alte della distribuzione deriva dai guadagni di operazioni puramente finanziarie e/o speculative, una tassazione maggiormente progressiva (ed in particolare una tassazione dei capital gains) sarebbe un utile deterrente. Peraltro, l’eventuale utilizzo da parte dello Stato dei maggiori introiti fiscali potrebbe trovare impiego in investimenti pubblici ad alta redditività, producendo in questo senso un duplice effetto positivo.
In generale i paesi che presentano un alto tasso di diseguaglianza tendono a disinvestire nel benessere collettivo, spendendo troppo poco rispetto a quanto dovuto in istruzione, innovazione ed infrastrutture. Ed oggi gli investimenti pubblici sono particolarmente importanti: aumentano la domanda nel breve periodo e la produttività nel medio termine. Rivolgendo l’attenzione agli Stati Uniti, Stiglitz inoltre sottolinea come proprio una ripresa dell’investimento pubblico nell’istruzione potrebbe riportare in auge il mito del “sogno americano”.
In sintesi: è necessario revisionare profondamente le priorità dell’agenda della politica economica, passando dall’obiettivo di riduzione del bilancio pubblico a quello di favorire una migliore distribuzione dei redditi. Gli effetti espansivi che si otterrebbero andrebbero inoltre a beneficio della stessa riduzione del deficit pubblico. E’ la bassa crescita a generare deficit di bilancio pubblico, non il contrario. E conclude: “Possiamo raggiungere il livello di ricchezza diffusa che ha caratterizzato le decadi dopo la Seconda Guerra Mondiale”.  Quei “30 anni d’oro” in cui hanno prevalso negli USA e nel resto del mondo politiche di stampo keynesiano.
Sullo stesso argomento, in italiano, si può leggere un articolo di Stiglitz pubblicato il mese scorso su Project Syndicate.

Orrore!



Ammessi, anzi richiesti, scongiuri di ogni tipo...

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