giovedì 17 gennaio 2013

Ghepardo e leopardo, Botswana.

Le foto del giorno, gennaio 2013

Fotografia di Jamie Hopf, Your Shot

Uno scontro molto raro, pieno di adrenalina, tra due predatori felini in Botswana. Un ghepardo maschio cerca di allontanare una femmina di leopardo dal cibo che ha appena cacciato.


http://www.nationalgeographic.it/wallpaper/2013/01/01/foto/la_foto_del_giorno_gennaio_2012-1460956/17/#media

Scoperto l'oggetto astronomico più grande dell'universo. - Andrew Fazekas


astronomia
Un'illustrazione dei getti emessi da un quasar. Un ammasso di quasar appena scoperto è l'oggetto astronomico più grande mai osservato. Immagine gentile concessione M. Kornmesser, ESO

Le dimensioni della struttura - un ammasso di quasar - sono così impressionanti da rappresentare una sfida alla nostra attuale comprensione del cosmo.

Alcuni astronomi hanno scoperto una struttura talmente grande che secondo la moderna teoria cosmologica non dovrebbe neanche esistere. Utilizzando i dati provenienti dallo Sloan Digital Sky Survey, un team internazionale di ricercatori ha scoperto un ammasso di quasar - galassie giovani e attive - che si estende per 4 miliardi di anni luce.

"Questa scoperta è stata una grande sorpresa. Batte ogni record cosmologico in quanto a grandi strutture rilevate nell'universo noto", ha dichiarato Roger Clowes, astronomo alla University of Central Lancashire che ha diretto lo studio. Giusto per fare un confronto, la nostra galassia, la Via Lattea, si estende solamente per un centinaio di migliaia di anni luce, mentre il Superammasso Locale di galassie (detto anche Superammasso della Vergine, che contiene il Gruppo Locale all'interno del quale c'è la Via Lattea), si estende solamente per un centinaio di milioni di anni luce.

Un grattacapo gigante
Che i quasar potessero formare immensi ammassi grandi più di 700 milioni di anni luce era noto da tempo, spiega Clowes. Ma la dimensione epica di questo gruppo di 73 quasar, che se ne stanno a circa 9 miliardi di anni luce di distanza, ha lasciato gli 
astronomi a grattarsi la testa. Questo perché gli attuali modelli astrofisici sembrano indicare che il limite superiore per le dimensioni di una struttura del genere dovrebbe essere non più di 1,2 miliardi di anni luce.

"I risultati dello studio rappresentano una sfida per la nostra attuale comprensione dell'universo. Ora come ora la presenza di questa struttura è un mistero", ha detto Clowes. La struttura titanica, soprannominata Large Quasar Gruop (LQG), sembra contraddire anche le leggi un altro principio cosmologico largamente accettato, secondo il quale l'universo dovrebbe apparire piuttosto uniforme se osservato alle scale più grandi. "Questo potrebbe significare che la nostra descrizione matematica dell'universo è il risultato di una semplificazione troppo netta", spiega Clowes.

Decodificando l'evoluzione delle giovani galassie
Questa enorme struttura non è importante solamente per le sue dimensioni record. Potrebbe infatti anche far luce sull'evoluzione di galassie simili alla nostra Via Lattea. I quasar, che emettono potenti getti di energia, sono tra gli oggetti più brillanti e più energetici dell'universo giovane: rappresentano una delle prime, brevi, tappe nell'evoluzione della maggior parte delle galassie.

Secondo alcuni astronomi, questi colossali gruppi di quasar potrebbero essere i precursori dei superammassi di galassie dell'universo moderno, ma l'esatta natura della loro connessione è ancora un mistero. La scoperta, un grande risultato per le simulazioni al computer, avrà bisogno di essere confermata e mappata in modo più approfondito con nuove osservazioni tramite telescopi, ha detto Gerard Williger, astronomo presso la University of Louisville, in Kentucky, che non ha partecipato allo studio.

"Questa struttura è più grande di quanto ci aspetteremmo basandoci sulle onde d'urto formate nell'universo dopo il Big Bang", ha detto Williger. "Molto probabilmente esiste un meccanismo che dà vita a quasar come questi su larga scala e in così poco tempo, che potrebbe essere collegato a qualche condizione particolare dell'universo primordiale".

Lo studio è stato pubblicato questa settimana nelle Monthly Notices della Royal Astronomical Society.

Tav, coop rosse e sospetti di camorra: “Materiali pericolosi e di scarsa qualità”.


Treno Tav


Truffa allo Stato, frode, corruzione, associazione a delinquere: 36 indagati dalla procura di Firenze tra cui l'ex presidente di Regione Umbria Lorenzetti e il funzionario del ministero Ercole Incalza. Dai test emerse il rischio di collasso della struttura. Perquisizioni di Ros e della Forestale.

Materiali scadenti per la costruzione della galleria, l’ombra della camorra sullo smaltimento dei rifiuti di cantiere del Tav e il sospetto di favori negli appalti alle Coop rosse. Sono le ipotesi della Procura di Firenze che indaga sul nodo fiorentino dell’Alta velocità. Per i magistrati, che hanno iscritto nel registro degli indagati 36 persone tra cui dirigenti del ministero delle Infrastrutture e delle Ferrovie, il materiale ignifugo sarebbe stato di qualità scadente. L’ipotesi è che sia stato allungato con l’acqua con conseguenti gravi problemi per la sicurezza. Ma non solo: lo smaltimento delle terre di scavo, da cui è partita l’indagine, sarebbe stata un affare di una ditta riferibile al clan dei Casalesi. 
Le ipotesi di reato sono, a vario titolo, associazione a delinquere, corruzionetruffa, frode nelle pubbliche forniture, traffico illecito di rifiuti, violazione delle norme paesaggistiche e abuso d’ufficio. Venticinque le perquisizioni in varie città d’Italia da parte dei carabinieri del Ros e degli uomini della Forestale. Obiettivo dell’inchiesta, coordinata dal procuratore capo di Firenze, Giuseppe Quattrocchi e dai pm Giulio Monferini e Gianni Tei, comprendere i meccanismi di gestione degli appalti, dei subappalti e sull’esecuzione delle opere, lo smaltimento abusivo dei rifiuti risultanti dalle terre di scavo.
I magistrati hanno inoltre disposto il sequestro della maxi-trivella che stava scavando il tunnel di 7,5 chilometri sotto il capoluogo toscano. La trivella, la cosiddetta talpa chiamata Monna Lisa, sarebbe stata montata con guarnizioni non idonee a sostenere le pressioni dello scavo e materiali non originali. Il progetto del passante fiorentino prevede un sottoattraversamento per congiungere il quartiere Campo di Marte alla zona di Castello, alla periferia della città, con una nuova stazione in zona Rifredi.
Galleria con materiali scadenti.  “Il risultato non è solo un risparmio economico illecito per il subappaltatore, ma la fornitura di un prodotto concretamente pericoloso e non conforme alle specifiche contrattuali come risulta dalle prove a cui i ‘conci’ sono stati sottoposti in laboratori sia in Germania, sia in Italia”, sostiene l’accusa. In particolare “dai test ripetuti si è manifestato evidente il fenomeno dello ‘spalling’, ossia il collassamento della struttura dovuta al calore e al fuoco”. L’Europa dopo il disastro del tunnel del Monte Bianco aveva imposto “specifiche tecniche di resistenza al fuoco e al calore” di questi rivestimenti. Invece qui, sempre secondo le tesi dell’accusa, le percentuali di parti ignifughe nei componenti sono state abbassate: l’impianto che ha costruito i conci si trova a Calcinate (Bergamo).
Smaltimento dei rifiuti in odor di camorra.  Secondo l’accusa, una ditta che si occupava di smaltire fanghi e rifiuti (terre di scavo) dai cantieri per la Tav fiorentina, sarebbe legata alla camorra, e in particolare al clan dei Casalesi. Secondo l’accusa “le ditte smaltitrici si dividevano in pieno accordo i quantitativi di fanghi e acque, e si occupavano anche della loro raccolta, trasporto e smaltimento in discarica”. In particolare, una di queste ditte, con sede in provincia di Caserta, sarebbe collegata a una famiglia del clan camorristico. L’indagine è partita seguendo le tracce delle terre di scavo trasformate in rifiuti durante la costruzione di una galleria di ausilio per i lavori della Tav. Monferini e Tei sono stati titolari anche dell’indagine sui danni ambientali prodotti nel Mugello dai lavori per la Tav. Migliaia le tonnellate state “smaltite abusivamente”. Dagli accertamenti è emerso “che l’attività di smaltimento veniva gestita attraverso una precisa e organizzata regia. I vertici di una importante società di settore davano indicazioni e direttive puntuali ad altre ditte minori coinvolte nel traffico illecito; pertanto la Rete Ferroviaria Italiana pagava gli elevati costi di smaltimento alle ditte, ma in realtà i rifiuti non seguivano la corretta procedura prevista dalla normativa vigente, creando quindi, un indebito profitto a favore delle varie ditte interessate”. Dal punto di vista ambientale, “la gravità del reato consiste nel fatto che” i rifiuti “soprattutto i fanghi venivano scaricati direttamente nella falda acquifera posta nelle vicinanze dei lavori con il rischio di contaminazione della stessa e del suolo”. 
Appalti alle Coop rosse. Indagata ex presidente Umbria. A Maria Rita Lorenzetti, ex presidente della Regione Umbria e presidente dell’Italferr (società di progettazione del gruppo Ferrovie) vengono contestati l’abuso di ufficio, l’associazione a delinquere e la corruzione, “svolgendo la propria attività nell’interesse e a vantaggio della controparte Nodavia e Coopsette (soggetti appaltanti, ndr) mettendo a disposizione dell’associazione le proprie conoscenze personali i propri contatti politici e una vasta rete di contatti grazie ai quali era in grado di promettere utilità ai pubblici ufficiali avvicinati e conseguendo altresì incarichi professionali nella ricostruzione dei terremoto in Emilia in favore del coniuge”. Tra gli altri indagati, ci sono Valerio Lombardi, dirigente Italferr, responsabile unico del procedimento e Gualtiero Bellomo, funzionario della commissione ‘Valutazione impatto ambientale’ (Via) del ministero delle Infrastrutture; quest’ultimo, secondo i magistrati, in cambio di “assunzioni di parenti, consulenze” e altri favori personali, “si metteva a disposizione per stilare pareri compiacenti”. Indagato anche Ercole Incalza, ex consigliere del ministro Lunardi, dirigente dell’unità di missione del ministero delle infrastrutture. Coinvolti anche imprenditori e funzionari del ministero dell’ambiente e di società di Fs.
Inchieste interno di ministero e Ferrovie. Il ministero delle Infrastrutture e Trasporti “auspica che sia fatta al più presto chiarezza sulla vicenda della Tav di Firenze, un’opera strategica a livello territoriale e nazionale”. Avviata un’indagine interna per  collaborare “con massima trasparenza e disponibilità con gli inquirenti”. Anche le Ferrovie dello Stato hanno avviato “un’inchiesta interna”, “sarà rivolta istanza alla Procura della Repubblica per una valutazione congiunta volta ad individuare gli adempimenti necessari per una pronta ripresa dei lavori dell’opera che, come noto, è di rilevante interesse nazionale. Sarà assicurata la massima collaborazione e trasparenza da parte di tutte le società del Gruppo, anche in considerazione del coinvolgimento della controllata Rfi come parte lesa”. 
Il presidente della Toscana Rossi: “Opera necessaria”. “Esprimo pieno rispetto per l’operato della magistratura e mi auguro che sia fatta chiarezza al più presto – afferma il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi -. Se ci sono responsabilità penali è bene che siano accertate rapidamente. Resto profondamente convinto della necessità dell’opera e mi auguro che i lavori riprendano quanto prima. Credo si debba separare l’accertamento delle eventuali responsabilità penali dalla necessità, che ribadisco, di completare l’opera presto e bene, come ho detto fin dall’inizio e come è stato già fatto in altre città italiane. Si tratta di un’opera indispensabile per il futuro della Toscana e di Firenze ed un importante investimento, in questo momento di crisi, per rilanciare il lavoro e l’l’occupazione”. 

E ora Ingroia candida anche il poliziotto. - Luca Fiore


La campagna acquisti dell’ex magistrato prosegue spedita. E nelle liste di Rivoluzione Civile approda Claudio Giardullo, segretario del sindacato di polizia della Cgil. Contrario alla legge sulla tortura e al codice identificativo.
“Serve una rappresentanza politica del mondo della sicurezza e della legalità, due versanti strategici per la crescita e lo sviluppo del Paese e per la garanzia ed il rispetto dei diritti dei cittadini a fronte di una crescita rapida e pericolosa della criminalità mafiosa e della sua espansione non soltanto nelle regioni in cui é tradizionalmente presente''. E sono necessarie “politiche a tutela degli operatori delle forze di polizia che svolgono un compito fondamentale per la difesa della legalità e della democrazia”. E’ con questa dichiarazione che Claudio Giardullo, segretario nazionale del sindacato di polizia Silp-Cgil, ha annunciato oggi la sua candidatura nelle liste di Rivoluzione Civile per le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio. Di Ingroia, ha detto Giardullo, “mi convince la credibilità del progetto ed il rigore professionale e intellettuale di una persona che ha dedicato gran parte sua vita alla battaglia per la legalità”.
Il candidato premier della lista nata dall’appello Cambiare si Può e poi diventata strada facendo l’ombrello di Idv, Pdci, Verdi e Rifondazione, ha voluto candidare Giardullo in ben 5 diversi collegi.
Il che, c’è da scommetterci, sarà fonte di non poche polemiche, perché il segretario del sindacato più 'a sinistra' che c'è nelle forze dell’ordine non è stato sempre in prima fila in battaglie e prese di posizione controcorrente, anzi.
A pochi mesi fa risale la sua ultima presa di posizione contro l’identificazione degli agenti tramite un codice di riconoscimento da apporre sui caschi dei celerini o sulle divise, chiesto a gran voce dalle associazioni in prima fila contro gli abusi, sempre più frequenti, dei membri degli apparati di sicurezza. E non si era neanche sottratto al dibattito sull’introduzione del reato di tortura, prendendo posizione contro una legge da un iter più che travagliato. (Qui l'intervista a Giardullo di Eleonora Martini, de Il Manifesto www.veritagiustizia.it/rassegna_stampa/il_manifesto_la_mattanza_del_g8_fu_una_scelta_politica.php)

Come si concili un candidato con questo retroterra – che oltretutto si candida a rappresentare e tutelare in Parlamento gli operatori di Polizia, come lui stesso ammette – con le richieste che gli sono venute nei giorni scorsi dalle vittime di molti casi di ‘malapolizia’ è difficile comprenderlo. Ed è anche difficile capire quali posizioni potrà prendere un Giardullo eletto alla Camera su questioni come il fiscal compact, o le missioni militari all’estero, o altre battaglie caratteristiche di una coalizione che comunque si schiera a sinistra.

Insieme al poliziotto, nelle liste di Rivoluzione Civile, ci sarà anche un avvocato. Sarà Luigi Li Gotti, capogruppo uscente dell'Italia dei Valori in commissione Giustizia a Palazzo Madama, a guidare la lista per il Senato in Sicilia della coalizione arancione. L'ex procuratore aggiunto di Palermo prestato alla politica, Antonio Ingroia, per conquistare consensi nell'isola punta sull'avvocato 65enne conosciuto per essere stato difensore di noti pentiti quali Tommaso Buscetta,, Totuccio Contorno, Giovanni Brusca, Francesco Marino Mannoia e Gaspare Mutolo. Inoltre Li Gotti é stato avvocato di parte civile nel processo per la strage di Piazza Fontana, ma ha anche rappresentato i familiari del maresciallo Oreste Leonardi nel processo Aldo Moro e ha tutelato la famiglia del commissario Luigi Calabresi in un lungo iter processuale.

Non sarà invece candidato, in Sardegna, Antonello Zappaddu, il paparazzo che con i suoi scatti rubati ad alcuni ospiti di Berlusconi di Villa Certosa qualche tempo fa. Ma non certo per la sua sensibilità sociale, o per la sua competenza nei temi ambientali o del lavoro. E neanche l’operaio Antonello Pirrotto; quello che in diretta tv mandò a quel paese l’ex ministro leghista Castelli, ma che è iscritto alla Cisl e non nasconde le sue simpatie per il sindaco PD di Carbonia. Due candidature, volute di Ingroia in persone, che sarebbero saltate per l’indisponibilità degli interessati ma anche a causa delle proteste suscitate in Sardegna dalle eccentriche selezioni dell’ex magistrato. Che molti hanno accusato di voler riempire le liste di volti noti prescindendo da serietà, competenza e identità politica.

Ed intanto, per protesta contro il metodo di scelta della candidatura marchigiana nella lista Ingroia e in polemica con i vertici del partito, oggi si é dimesso il segretario regionale di Rifondazione Comunista, Marco Savelli. Che in un comunicato denuncia: “il Prc delle delle Marche è stato espropriato dell'indicazione di un suo candidato da parte di un'assemblea civica variegata e composita con l'esplicito sostegno del segretario nazionale del partito''.

mercoledì 16 gennaio 2013

Bufera Pdl, arrestato Vignali. Il pm: “Contattava Berlusconi grazie alla Macrì”. - Emiliano Liuzzi e Silvia Bia


Bufera Pdl, arrestato Vignali. Il pm: “Contattava Berlusconi grazie alla Macrì”

17 indagati a Parma, sequestrati beni per 3,5 milioni. Accuse di corruzione e peculato. In manette il vice presidente Iren, l'ex numero uno di Stt e l'editore di Polis. Spartiti allegramente soldi pubblici per piazzare amici e pagare giornalisti. Inoltre l'ex sindaco chiedeva l'intervento dei vertici del Pdl: Letta, Alfano e Berselli.


Un consigliere regionale del Pdl in carica, l’ex sindaco – anche lui Pdl – di Parma, imprenditori, nani, giornalisti e ballerine. Un giro di malaffare che risparmia poche persone. Ma soprattutto, il gruppo di potere del Pdl che, quando il sistema inizia a scricchiolare, chiede aiuto a Gianni Letta, Angelino Alfano e Niccolò Ghedini. Vignali si spinge anche più in là: attraverso Nadia Macrì, oggi “assunta” in un night club di Livorno, cerca di riagganciare i contatti con Berlusconi che si erano sfilacciati. 
Questi i particolari dell’inchiesta Public Money, che alle prime ore dell’alba ha fatto scattare gli arresti domiciliari per l’ex primo cittadino Vignali, il consigliere regionale Pdl e vicepresidente Iren Luigi Giuseppe Villani, l’ex amministratore della società partecipata Stt Andrea Costa e l’imprenditore edile ed editore del quotidiano locale Polis Angelo Buzzi, che è anche presidente di Iren Emilia. Nomi molto conosciuti a livello locale a cui si aggiungono 17 indagati che ruotavano intorno al “sistema Parma” che provoca l’ennesimo terremoto nella città che deve far fronte a quel miliardo di euro in debiti che da oggi sappiamo, almeno in parte, dove finirono. Nelle tasche di Vignali, nelle intercettazioni dove veniva chiamato addirittura il “papa”.
“Un sistema di potere pernicioso e insidioso – come lo ha definito il comandante della Guardia di finanza Guido Maria Geremia – finalizzato al controllo della spesa pubblica per interessi personali”. Le indagini sono partite da elementi emersi nell’ambito dell’inchiesta Green Money, sono stati degli ex dirigenti del Comune arrestati nel 2011 a collaborare con gli inquirenti e a portare alla luce la politica portata avanti negli ultimi anni dal governo di centrodestra a Parma. La richiesta di arresto con misura cautelare in carcere era stata presentata dalla Procura a fine luglio, ma solo mercoledì mattina è scattata l’ordinanza firmata dal gip Maria Cristina Sarli, dopo più di sei mesi di indagini sull’operato delle persone coinvolte.
“Quello che è emerso è una serie di illeciti che facevano capo al gruppo di riferimento composto da Villani, Vignali e Costa – ha spiegato il procuratore capo Gerardo Laguardia – che grazie alla collaborazione con dirigenti pubblici posizionati in ruoli chiave portavano vantaggi patrimoniali e non a scapito della comunità”. Il procuratore ha parlato di “totale spregiudicatezza dei tre principali indagati nella convinzione di impunità che ha portato il Comune alle soglie del tracollo, violando il patto di stabilità e cedendo credito bancario facendo leva sul potere creato”.
Tutto ruotava intorno al sindaco Pietro Vignali e quindi al sistema Parma, ma nell’inchiesta della Procura compaiono (anche se non sono indagati e non sono coinvolti direttamente) anche i nomi di rappresentanti politici nazionali come l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il sottosegretario Gianni Letta, l’ex ministro della Giustizia Angelino Alfano, il senatore Filippo Berselli e Niccolò Ghedini, a cui Villani e Vignali si rivolgevano direttamente o indirettamente per avere sostegno durante il mandato politico e dopo lo scoppio dello scandalo Green Money. In particolare, ha spiegato il procuratore Laguardia, “Vignali aveva stretto un rapporto diretto con Berlusconi grazie all’amicizia con Nadia Macrì”, una delle ragazze che aveva partecipato ai festini di Arcore. La giovane reggiana, che Vignali conosceva da tempo, è la persona chiave che fa conoscere e incontrare l’ex sindaco con Berlusconi. Il rapporto che lega Parma con i vertici del potere centrale si riscontra anche nei ripetuti attacchi da parte del senatore Berselli alla Procura di Parma dopo Green Money, sfociate nelle interrogazioni parlamentari e nella richiesta al ministro Alfano di ispezioni nella sede ducale, oltre alle accuse al pm Paola Dal Monte. A dimostrarlo ci sono le intercettazioni telefoniche: “Oggi scoppia la bomba” rassicura Villani al telefono con uno dei suoi, riferendosi alle interrogazioni di Berselli.
Solo un dettaglio nell’inchiesta in cui gli illeciti e i fatti si sommano alle accuse di peculato e corruzione. Grazie a un giro di appalti e società secondarie, nel 2007 la campagna elettorale di Vignali venne pagata con i soldi del Comune attraverso Enìa, che a sua volta li girava a Sws, un’altra società già finita nel mirino di Green Money 2. Enìa al tempo gestiva per il Comune l’appalto di global service per il verde pubblico, ma circa 600mila euro di quei soldi vennero destinati a promuovere la figura di Vignali attraverso santini e volantini elettorali. I soldi venivano girati da Enìa,Infomobility (altra società partecipata del Comune) e altre società riconducibili al Comune grazie alla collaborazione dei dirigenti e società del verde pubblico già finite nel mirino di Green Money.
A coprire il giro di denaro ci pensava Sws, che emetteva fatture per lavori mai svolti, tanto che pur essendo una piccola realtà, si calcola che dal 2007 al 2011 abbia fatturato 4,5 milioni di euro. Soldi utilizzati per la costituzione del movimento Parma Civica (che sosteneva la candidatura di Vignali), ma anche, in seguito, per la gestione del suo profilo Facebook: non solo venivano controllati i contenuti dei post pubblicati dal sindaco, ma anche i commenti dei “fan” erano in realtà pilotati attraverso persone che venivano pagate per scrivere cose positive sul conto del primo cittadino.
Vignali era “il papa”, come risulta da un’intercettazione ambientale, e tutto girava intorno a lui, che prendeva ogni decisione insieme al consigliere regionale ed ex coordinatore del Pdl provinciale Villani. Lo ricorda Ernesto Balisciano, ex amministratore di Sws finito in manette con Green Money, che ai soci di Sws ad un certo punto ricorda che “la società appartiene al Papa”, riferendosi appunto al sindaco. Tanto che per promuovere la sua figura gli inquirenti ipotizzano che dal 2007 al 2011 siano stati spesi circa 1,8 milioni di euro.
Del sistema faceva parte anche Iren (allora Enìa): gli addetti a illustrare ai cittadini la raccolta differenziata a casa ai cittadini, venivano istruiti per nominare Vignali almeno tre volte, con diverse possibilità di proseguire l’incontro a seconda delle reazioni dei parmigiani. Dalle intercettazioni risulta però che c’è un momento in cui Vignali si mette “contro” Iren, cercando di ostacolare la costruzione del termovalorizzatore con i ricorsi al Tar del 2011. “Tutto ai fini della campagna elettorale – spiega Laguardia – perché si aspettava di correre contro Vincenzo Bernazzoli, che era a favore dell’inceneritore”.
Il controllo e la valorizzazione dell’immagine di Vignali avveniva anche con l’assunzione di consulenti esperti, come Klaus Davi (che non è coinvolto nell’inchiesta), che procurava al sindaco interviste e spazi su quotidiani ed emittenti nazionali. Ma è soprattutto sulla stampa locale che si vedono i risultati più eclatanti. Ad un certo punto dell’amministrazione di Vignali, lo storico quotidiano cartaceo d’opposizione “Polis” cambia linea editoriale. Villani e Vignali, che chiamano il giornale “la spina nel fianco”, girano all’editore Buzzi 98mila euro attraverso la società guidata da Costa, Stt. In cambio il giornale cambia direttore e linea editoriale. E in cambio Buzzi ottiene un posto nel consiglio di Iren. Costa è indagato anche per peculato: come amministratore di Stt aveva sottoscritto un contratto con una società per uno studio di tracciabilità isotopica del vino utilizzato poi da Terra di Fiori, società di vini cui è amministratore.
Tra i 17 indagati c’è anche Marco Rosi, patron di Parma Cotto, che aveva pagato un hotel di lusso a Forte dei Marmi a Vignali in cambio di un regolamento scritto “ad personam” per i dehors di un esercizio di sua proprietà nel centro di Parma.
I documenti sequestrati e le intercettazioni dimostrano che Villani e Vignali interferivano in diversi settori della vita pubblica con nomine nelle fondazioni bancarie, nell’azienda di trasporto locale Tep, nelle partecipate, nell’Ente fiera di Parma, ma anche in quelle per il prefetto, per il questore di Parma e per il commissario prefettizio. Ai quattro arrestati sono stati sequestrati beni mobili e immobili per 3,5 milioni di euro, di cui 1,8 a Vignali (che aveva anche tentato dopo Green Money 2 un occultamento attraverso un commercialista), 1,3 a Costa, 163mila a Buzzi e 98mila a Villani.
Gli indagati sono, oltre a Vignali, Buzzi, Villani e Costa, il presidente del Parma Calcio Tommaso Ghirardi, gli ex dirigenti del Comune Emanuele Moruzzi e Carlo Iacovini, il presidente di Enìa Mauro Bertoli, l’ex presidente di Engioi Ernesto Balisciano, gli imprenditori Alessandro Forni e Norberto Mangiarotti, gli amministratori della società Sws Gian Vittorio Andreaus e Tommaso Mori, Alfonso Bove, il patron del Parmacotto Marco Rosi, gli ex ufficio stampa del Comune Alberto Monguidi e Aldo Torchiaro, l’ex ufficio stampa di Stt Lara Ampollini, Riccardo Ragni, Antonio Cenini, Danilo Cucchi e il presidente di Tep Tiziano Mauro.

Grillo : IO sono un programma.



Quote latte, blitz Gdf in sedi della Lega a Milano e Torino. Presenti Bossi e Maroni.


La sede leghista di via Bellerio


Perquisizioni a Milano e Torino nell'ambito dell'inchiesta per bancarotta e corruzione sulle quote latte: ipotesi mazzette.

MILANO - La Guardia di Finanza di Milano, su ordine del pm Maurizio Ascione, ha perquisito ieri sera le sedi di Milano e Torino della Lega Nordnell'ambito dell'inchiesta per bancarotta e corruzione con al centro presunte irregolarità sulle quote latte.

Umberto Bossi e Roberto Maroni erano presenti nella sede di via Bellerio a Milano durante le perquisizioni. Con loro anche Roberto Calderoli e Roberto Cota. Su alcuni uffici i rappresentanti del Carroccio hanno sollevato la questione dell'immunità parlamentare.

L'inchiesta. Gli uomini della Guardia di Finanza di Milano ieri sera sono entrati nelle sedi del Carroccio per acquisire materiale informatico e cartaceo. L'inchiesta parte dal crack della cooperativa "La Lombarda", fallita con un buco da 80 milioni di euro. Oltre alla bancarotta, gli inquirenti ipotizzano anche la corruzione perché, da quanto si è saputo, si sospetta di presunte mazzette a funzionari pubblici e politici per interventi sia ministeriali che legislativi a favore degli agricoltori per ritardare i pagamenti sulle quote latte da versare all'Unione Europea. Il pm Maurizio Ascione ha ascoltato nel frattempo come persone informate sui fatti la segretaria amministrativa di via Bellerio, Daniela Cantamessa, e la segretaria della sede torinese, Loredana Zola. Perquisite anche le abitazioni delle due donne.